Una signora ottantanovenne lamenta che nel bar al primo piano del Condominio, nei weekend, si tengano feste danzanti che creano grave disturbo per la musica ad alto volume e il rumore.
“La ricorrente ha dedotto che, durante il fine settimana, City Bar srl adibisce il locale a discoteca, provocando emissioni rumorose e vibrazioni intollerabili che si protraggono fino alle quattro del mattino, che le impediscono di riposare, hanno addirittura provocato crepe nei muri dell’appartamento e le hanno cagionato danni alla salute, quali insonnia, cardiopatia, aritmia cardiaca, ansia e stress, danni aggravati dalle intimidazioni ricevute a seguito delle sue richieste di cessare tale condotta. Ha aggiunto che gli avventori del locale si trattengono numerosi sul marciapiede antistante il ristorante, che non può contenerli tutti, e producono schiamazzi notturni, rompono bicchieri ed altro, ostacolano il passaggio e l’accesso all’edificio.
Tale situazione l’ha costretta, nei giorni di giovedì, venerdì e sabato, a pernottare in albergo ovvero presso conoscenti ed a chiedere altresì l’assistenza domiciliare del figlio Th. Vi..
Ha aggiunto che City Bar srl esercita l’attività di discoteca in assenza delle necessarie autorizzazioni comunali, che tale attività si svolge nel piano seminterrato, privo di uscite di sicurezza, e che essa utilizza il marciapiede come cosa propria.
Ha perciò lamentato la violazione degli artt. 844 e 2043 c.c. nonché degli articoli 5 e 6 del Regolamento dell’Edificio, che vietano feste da ballo, riunioni rumorose e di recare disturbo ai vicini, specie di notte; ha altresì dedotto la illiceità penale della condotta, ai sensi dell’art. 659 c.p., per la sua idoneità al disturbo del riposo e delle occupazioni di un numero indeterminato di persone.
Con specifico riguardo al proprietario, ha dedotto la sua responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1585 c.c., nonché anche quella extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2051 c.c..”
Il Giudice (Trib. Milano sez. XIII, 05/12/2018, , n.12316), accogliendo accoglie la domanda, rilevando come le previsioni del regolamento contrattuale, ove siano più restrittive, prevalgano sulla disposizione di cui all’art. 844 cod.civ., consentendo di prescindere dall’accertamento sulla normale tollerabilità previsto da detta norma.
il caso peculiare, poiché riguarda un immobile che non costituisce condominio, trattandosi di bene in comunione , ma che è comunque dotato di un regolamento interno, di cui il giudice sottolinea la differenza cogente rispetto a quello condominiale: aldilà di tale fatto specifico e particolare consente comunque al Tribunale di ribadire un principio consolidato: “In materia di rapporti condominiali, quando l’attività posta in essere da uno dei condomini di un edificio è idonea a determinare il turbamento del bene della tranquillità degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento condominiale, non occorre accertare, al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ex art. 844 c.c., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelle stabilite dall’indicata norma generale sulla proprietà fondiaria. Ne consegue che, quando si invoca, a sostegno dell’obbligazione di non fare, il rispetto di una clausola del regolamento contrattuale che restringa poteri e facoltà dei singoli condomini sui piani o sulle porzioni di piano in proprietà esclusiva, il giudice è chiamato a valutare la legittimità o meno dell’immissione, non sotto la lente dell’art. 844 c.c., ma esclusivamente in base al tenore delle previsioni negoziali di quel regolamento, costitutive di un vincolo di natura reale assimilabile ad una servitù reciproca.trattandosi – nel caso della comunione, di fonte contrattuale che vincola i soli locatori e non anche i conduttori, che non hanno preso parte alla pattuizione”
© massimo ginesi 8 gennaio 2019