E’ caso frequente che l’Autorità Urbanistica pretenda dal condomino che richiede il rilascio di un titolo abilitativo la dimostrazione che gli altri condomini, o l’assemblea, siano favorevoli.
Si tratta di prassi non corretta, come si desume anche da recente sentenza del Consiglio di Stato (Cons. stato sez. IV 9 maggio 2017 n. 2118) nella specifica materia della soprelevazione.
Afferma l’organo giurisdizionale amministrativo”I signori Ma. e An. Di Do., proprietari nel Comune di Giulianova di un appartamento al primo ed ultimo piano di un fabbricato in precedenza coperto con un tetto a falde, hanno impugnato dinanzi al Tar dell’Aquila la concessione edilizia (n. 34394/2000) con la quale i signori Re., Pe., Si. e Al. Di Gr., hanno ottenuto il permesso di soprelevare la stessa copertura e di realizzare un sottotetto agibile”
Il Tar ha respinto il ricorso ed i soccombenti hanno proposto appello, che il Consiglio di Stato rigetta non ritenendo fondate le ragioni addotte: “Il Comune di Giulianova avrebbe rilasciato la concessione impugnata omettendo di valutare che i contro interessati non erano i soli proprietari del fabbricato e quindi violando le disposizioni del codice civile con pregiudizio del loro diritto di proprietà.
Gli appellanti, infatti, non hanno prestato il consenso all’intervento, comunicando, con raccomandata inviata il 20 luglio 2001 al Comune, di essere disponibili a concorrere al ripristino del tetto nel suo stato originario, ma non alla sua sopraelevazione.
(...) L’appello non è fondato. I signori Al. Di Gr., An. Ma. Re., Ra. Pe. e Si. Di Gr., destinatari della concessione edilizia impugnata, come risulta in atti, sono proprietari esclusivi del lastrico solare del fabbricato di cui è causa e dunque, sia in forza delle disposizioni contrattuali (cfr. atto di acquisto del 3 luglio 1971), sia alla luce delle disposizioni di cui all’articolo 1127, comma 1, del c.c., sono titolari del diritto di sopraelevazione.
Per l’esercizio di tale diritto non avevano la necessità del consenso da parte degli altri condomini giacché, come rilevato dal Tar nella sentenza impugnata, non appare compromessa la statica e l’architettura dello stabile e non sono presenti limitazioni alla luce o all’aria del sottostante appartamento (il Comune, in sostanza, poteva rilasciare la concessione essendo l’opposizione dei singoli condomini di carattere facoltativo in ragione dell’assenza di problemi statici – cfr. art. 1127, comma 3, c.c. e Cassazione civile, sez. II, 27 marzo 1996, n. 2708).”
Va osservato che nella stessa linea si pone Tar Liguria 9 luglio 2015 n. 651 (in tema di riedificazione a diversa quota del tetto comune), mentre di contratto avviso appare Tar Cagliari 1 marzo 2012 n. 207 che ritiene necessaria delibera assembleare ogni volta che i lavori, per cui si richiede titolo amministrativo, riguardino parti comuni.
Già in tempi risalenti (Consiglio di Stato, Sezione V, 23 giugno 1997, n. 699) si è osservato che l’intervento del singolo avviene in forza dell’art. 1102 cod.civ. e non è compito della P.A. dirimere conflitti civilistici: “In tal senso depongono sia il disposto dell’art. 1102 codice civile relativo all’uso della cosa comune da parte dei comunisti (Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto ), sia la regola sancita dal successivo art. 1105, sull’amministrazione della cosa comune (Tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune ), sia, infine, nella materia del condominio negli edifici, la cui caratteristica è la compresenza di parti di proprietà esclusiva (unità immobiliari) e di parti necessariamente comuni, la specificazione apportata ai suddetti principi generali in materia di comunione dall’art. 1122 codice civile, secondo cui «Ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio»: letta in forma positiva, la norma conferisce al condomino una sorta di disponibilità ordinaria delle parti comuni dell’edificio pertinenti alla sua unità immobiliare. Le suddette regole e principi lasciano concordemente dedurre che è in facoltà dei condomino eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni, siano strettamente pertinenti, sotto il profilo funzionale e spaziale, alla sua unità immobiliare, con la conseguenza che egli va considerato come soggetto avente titolo per ottenere, a nome proprio, l’autorizzazione o la concessione edilizia relativamente a tali opere… Quanto al fatto che l’opera possa esser contestata dagli altri condomini, l’assenza di danno altrui è un limite sostanziale che, per la sua natura negativa, è connessa con valutazioni soggettive ed esula, comunque, dalle possibilità di accertamento della pubblica amministrazione, la quale deve limitarsi al titolo formale di disponibilità della porzione immobiliare e rilascia le autorizzazioni sempre con salvezza dei diritti dei terzi (da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, n. 1341 dei 20 dicembre 1993).”
In senso conforme Tar Campania 22/06/ 2015 n. 1409.
Diversa l’ipotesi della richiesta di concessione in sanatoria, in cui è stato ritenuto legittimo che l’amministrazione possa richiedere se sussista il consenso degli altri comproprietari dell’area interessata dall’intervento edilizio (Tar Sicilia 14.6.2016 n. 1477, Consiglio di Stato, sezione V, 21 ottobre 2003, n. 6529, anche C.d.S., Sez. V, 20.9.2001 n. 4972)
© massimo ginesi 7 giugno 2017