La Cassazione ( Cass.civ. sez. II ord. 28 agosto 2017 n. 20445) ribadisce un principio già più volte affermato, esaminando il caso di un locale adibito a falegnameria e dal quale derivavano immissioni di polveri, vapori e rumori nell’appartamento posto sopra al laboratorio.
Il Tribunale di Roma aveva condannato i falegnami rumorosi al pagamento di diecimila euro alla condomina danneggiata, mentre la Corte di Appello capitolina ” ha riformato con sentenza depositata il 13/03/2013 la decisione del tribunale, rigettando la domanda risarcitoria, affermando che il danno da immissioni sarebbe risarcibile solo ove ne sia derivata comprovata lesione della salute, non essendo risarcibile la minore godibilità della vita, nonché – quanto al profilo probatorio – espressamente “dissente(ndo) dall’indirizzo giurisprudenziale recepito dal primo giudice, secondo cui quando venga accertata la non tollerabilità delle immissioni la prova del danno deve considerarsi in re ipsa” e rilevando che l’attrice avrebbe dovuto produrre “idonea documentazione sanitaria… e… chiedere l’espletamento di una c.t.u. medico-legale“
Il Giudice di legittimità censura la pronuncia di secondo grado e statuisce nel merito, riconoscendo all’attrice il risarcimento di diecimila euro già individuato in prime cure: “al di là di remoti precedenti citati dalla corte d’appello e rimontanti a epoca in cui né la materia del danno alla salute né quella dei rimedi in tema di immissioni avevano conosciuto l’attuale sistemazione sorretta dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, vada data continuità al principio da reputarsi oramai sufficientemente consolidato nella giurisprudenza di questa corte (Cass. Sez. U. 01/02/2017, n. 2611, in relazione alla trattazione anche di una questione di giurisdizione; ma v. anche ad es. Cass. 19/12/2014, n. 26899 e 16/10/2015, n. 20927), secondo il quale il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita personale e familiare all’interno di un’abitazione e comunque del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi (vedi Cass. 16/10/2015, n. 20927);
ne consegue che la prova del pregiudizio subito può essere fornita anche mediante presunzioni o sulla base delle nozioni di comune esperienza”
© MASSIMO GINESI 30 AGOSTO 2017