E’ noto che, con grande frequenza, i condomini che si vedono richiedere quote scadute del rendiconto eccepiscano in posizione (a volte solo a meri fini strumentali e dilatori) crediti per asseriti danni subiti nella propria unità immobiliare.
Ed è altrettanto noto che i giudici hanno sempre affermato che mentre il credito condominiale, derivante da uno stato di ripartizione ritualmente approvato, è certo liquido ed esigibile, l’asserito credito da fatto illecito non è né certo, né liquido fino a quando non ne sarà accertata consensualmente o giudizialmente l’entità e dunque detta compensazione non operi legalmente.
Ciò non toglie che ove il credito opposto in compensazione sia di semplice e celere accertamento, possa comunque operare la compensazione in sede giudiziale.
Una recentissima sentenza (Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 maggio – 27 giugno 2016, n. 13244) fa chiarezza sul punto.
I ricorrenti affermano che “è del tutto irragionevole ed erronea l’affermazione del giudice d’appello secondo cui il credito della società 1V, & &r.1_ non sarebbe certo e liquido e quindi impedirebbe la compensazione con un credito certo vantato dal condominio. Il requisito della certezza del credito opposto in compensazione non risulta, infatti, previsto dall’art. 1243 c.c., il quale richiede espressamente soltanto che il credito sia liquido (o di facile e pronta liquidazione) c.d. esigibile”.
La Suprema Corte ritiene la doglianza fondata e osserva: “La compensazione presuppone che ricorrano, i requisiti di cui all’art. 1243 c.c., cioè che sì tratti di crediti certi, liquidi ed esigibili (o di facile e pronta liquidazione). La compensazione legale, a differenza di quella giudiziale, opera di diritto per effetto della sola coesistenza dei debiti, sicché la sentenza che la accerti è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi e questo automatismo non resta escluso dal fatto che la compensazione non possa essere rilevata di ufficio, ma debba essere eccepita dalla parte, poiché tale disciplina comporta unicamente che il suddetto effetto sia nella disponibilità del debitore che se rie avvale, senza che sia richiesta una autorizzazione alla compensazione dalla controparte (Cass. 22 ottobre 2014, n. 22324).
La compensazione legale, tuttavia, non può operare qualora il credito addotto in compensazione sia contestato nell’esistenza o nell’ammontare, in quanto la contestazione esclude la liquidità del credito medesimo, laddove la legge richiede, affinché la compensazione legale si verifichi, la contestuale presenza dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del credito (Cass. 31 maggio 2010, n_ 13208).
La compensazione giudiziale, invece, prevista dall’art. 1243, secondo comma, c.c., può essere disposta dal giudice quando il credito (illiquido) opposto in compensazione sia dì facile e pronta liquidazione.
Questa forma dì compensazione sì distingue da quella legale per il fatto che mentre la prima presuppone la sussistenza (anteriormente al giudizio) di contrapposti crediti liquidi ed esigibili, la seconda presuppone che il debito opposto in compensazione sia illiquido, tua di facile e pronta liquidazione (Cass. 15 ottobre 2009, n. 21923).
L’apprezzamento circa la facile e pronta liquidità va inteso in senso ampio, e dunque anche in riferimento all’an debeatur (Cass. 20 giugno 2003, n. 9904) e costituisce un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. 26 settembre 2005, n, 18775). Il giudice che non riconosca la facile e pronta liquidità del credito opposto in compensazione deve disattendere la relativa eccezione e il convenuto potrà far valere il credito in un autonomo giudizio (Cass. 15 ottobre 2009, n. 21923).
La compensazione giudiziale prevista dall’art. 1243, comma secondo, c.c., presupponendo l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione è fatta valere, non può fondarsi su di un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio ira corso, in quanto tale credito non è liquidabile se non in quella sede (Cross. 25 maggio 2004, n. 10055).
Qualora, invece, il credito illiquido non sia semplicemente opposto in compensazione al solo fîne di paralizzare la domanda della controparte, una in relazione al medesimo sia stata proposta domanda riconvenzionale, il giudice, in forza di quanto disposto dagli artt. 36 e 112 c.p.c., non può spogliarsi della cognizione della controversia, ma, dopo aver provveduto circa la domanda dell’attore, deve pronunciarsi anche in merito al credito fatto valere dal convenuto (Cass. 5 gennaio 2005, n. 157).”
La questione della comprensibilità dei crediti è attualmente pendente, per altri profili dinanzi alle sezioni unite della Corte, profili che la seconda sezione ha ritenuto non ostativi alla pronuncia in commento: “Non vi è invece interferenza con la questione rimessa alle Sezioni Unite a seguito dell’ordinanza dell’11 settembre 2015, n, 18001, vertendosi in quel caso in una fattispecie in cui a non essere certo era il credito opposto in compensazione, in quanto fondato su sentenza non ancora passata in giudicato_ Nel caso di specie, invece, il credito portato in compensazione è senz’altro certo, essendo passata in cosa giudicata in corso di causa la pronuncia dì rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo proposta nei confronti del decreto monitorio su cui si fonda la pretesa della società intimata”
© massimo ginesi giugno 2016