E’ diffusa (e infondata) opinione che colui che acquista un immobile all’asta non sia sottoposto alla disciplina dell’art. 63 disp.att.cod.civ. (che prevede solidarietà fra acquirente e venditore per l’esercizio in corso e quello precedente), sull’assunto che la vendita che conclude una esecuzione immobiliare benefici del c.d. effetto purgativo, previsto dall’art. 586 cod.proc.civ.: la norma prevede che la vendita forzata determini l’estinzione dei diritti di prelazione, anche con diritto di seguito, che gravavano sul bene pignorato.
Non va tuttavia confuso il c.d. effetto purgativo della vendita all’asta, che si limita a liberare l’immobile da pregressi pignoramenti, ipoteche e sequestri, con la solidarietà che incombe a colui che diviene proprietario del bene e che risponde, ai sensi dell’art. 63 disp.att.cod.civ., di una obbligazione propter rem.
E’ ormai pacifico in giurisprudenza che l’acquisto all’asta abbia natura derivativa e non originaria: “la giurisprudenza di questa Corte è ormai saldamente orientata nel senso che “l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario ricollegandosi a un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato” (Cass., n. 27 del 2000). In tale pronuncia, questa Corte ha consapevolmente ribadito l’indicato orientamento, rilevando come quello secondo cui l’acquisto per effetto di decreto di trasferimento emesso all’esito di una procedura di esecuzione forzata sarebbe un acquisto a titolo originario, costituisca un isolato precedente (Cass. n. 4899 del 1980), non condivisibile, mentre più aderenti alla natura stessa della vendita forzata si appalesano decisioni antecedenti e successive a quella ora richiamata, secondo le quali l’acquisto di un bene in sede di esecuzione forzata, da parte dell’aggiudicatario, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario e ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha appunto natura di acquisto a titolo derivativo e non originario in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato (Cass., n. 2724/ 1969; Cass., n. 1299/1977; Cass., n. 5888/1982; Cass., n. 443/1985; Cass., n. 15503/2000)” (Cass. sent.20037/10).
La natura derivativa dell’acquisto comporta la piena applicabilità del precetto di cui all’art. 63 disp.att.cod.civ. anche all’acquirente all’asta in virtù del c.d. principio dell’ambulatorietà passiva dell’obbligazione propter rem, in virtù del quale l’acquirente di una unità immobiliare condominiale può essere chiamato a rispondere dei debiti condominiali del suo dante causa in via solidale con lui.
Pare invece inapplicabile all’acquisto all’asta il vincolo introdotto dalla riforma del 2012 e che prevede il permanere della responsabilità in capo al venditore sino alla comunicazione all’amministratore di copia dell’atto di vendita: il meccanismo coattivo di trasferimento, la pubblicità connessa e l’assenza di poteri dispositivi in capo all’esecutato inducono a ritenere tale fattispecie applicabile solo ai trasferimenti volontari.
Quanto alla solidarietà per il biennio, il principio ha trovato recente conferma anche nella giurisprudenza di merito (Trib. Parma 11 ottobre 2017 n. 1386) ove si è affermato che l’acquirente all’asta risponde ai sensi dell’art. 63 disp.att.cod.civ. per le spese relative all’esercizio in corso ed a quello precedete e che è tuttavia nulla la delibera che gli attribuisca spese relative ad esercizi precedenti: “Come rilevato dalla giurisprudenza (Cass. 16975/2005), trattasi di norma speciale rispetto a quella posta, in tema di comunione in generale, dall’art. 1104, ult. co. cod. civ., che rende il cessionario obbligato, senza alcun limite di tempo, in solido col cedente, a pagare i contributi dovuti dal cedente e non versati. Pertanto, in tema di contributi condominiali va fatta applicazione dell’art. 63, co. 2., disp. att. cod. civ., poichè, il rinvio operato dall’art. 1139 cod. civ. alle norme sulla comunione in generale vale, per espressa previsione dello stesso articolo, solo per quanto non sia espressamente previsto dalle norme sul condominio.
La deliberazione condominiale impugnata, in violazione del criterio legale, ha posto a carico della ricorrente anche la morosità dell’annualità 1 luglio 2008 – 30 giugno 2009, che in quanto ulteriore rispetto al biennio precedente all’acquisto, non le competeva.
La violazione del criterio legale di imputazione dei contributi condominiali comporta la nullità della deliberazione impugnata.”
© massimo ginesi 11 dicembre 2017