a proposito di rumori, attenzione al regolamento di condominio…

la norma regolamentare può diventare, per il Condominio, una ghigliottina più restrittiva di quanto prevede l’art. 844 cod.civ. in tema di immissioni. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano con sentenza n. 5465/2016 del  3 maggio 2016.

Un condomino (rectius,  un conduttore di un condomino)lamentava disturbo da immissioni di rumori all’interno della propria unità e provenienti da parti comuni.

Il Giudice ha ritenuto che in questo caso la norma codicistica e il limite della normale tollerabilità fossero superati dalla previsione specifica del regolamento di condominio: la norma interna faceva «assoluto divieto di recare disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi natura e, segnatamente, dalle ore 20,00 alle ore 8,00» . Tale prescrizione è stata ritenuta dal Giudice  ben più restrittiva di quella posta dall’articolo 844 cod.civ. , che invece richiede all’attore di provare  che i rumori  superino la normale tollerabilità. Il Tribunale ha comunque ribadito che «non vi è la necessità di ricorrere ad una perizia fonometrica allorché il giudice, basandosi su altri elementi probatori acquisiti agli atti, si sia formato il convincimento (…) che vi sia stato il superamento dei limiti di tollerabilità» (Cassazione, sentenza 3000/97)”.

 la sentenza per esteso

qui

© massimo ginesi giugno 2016

 

in corso di modifica la norma uni 10200 sulla contabilizzazione del calore

Sono state elaborate modifiche alla norma tecnica a cui possono essere svolte osservazioni sino al 13 giugno 2016. Maggiori dettagli si trovano alla pagina  ripartizione delle spese ,   sul sito dell’Ente Italiano di Normazione.

Va evidenziato che sono in itinere anche ipotesi di modifica al D.lgs 102/2014, volte a correggere le possibili disparità di trattamento, soprattutto negli edifici destinati a seconde abitazioni e per i piani posti ai margini del fabbricato. A tal proposito la X commissione del Senato ha inviato osservazioni al Governo.

© massimo ginesi giugno 2016 

niente negoziazione assistita se è già stata esperita la mediazione

E’ quanto ha deciso il Tribunale di Verona (estensore Vaccari) con l’ordinanza del 12 maggio 2016, decidendo su un caso in cui si poneva il problema della sovrapposizione tra la mediazione e la negoziazione assistita, poiché entrambi i procedimenti sono previsti dall’ordinamento come obbligatori  ai fini della procedibilità dell’azione giudiziale (ad esempio cause relative risarcimento danni da sinistro stradale).

Interessante la riflessione del giudice sulla portata della norma sulla negoziazione assistita: l’ambito di applicazione di tale norma, «la cui legittimità costituzionale, per contrasto con l’articolo 24, comma 1, della Costituzione è alquanto dubbia», deve ritenersi limitato ai casi in cui la medesima domanda o una pluralità di domande distinte siano soggette a condizioni di procedibilità diverse.

Si finirebbe altrimenti (e secondo quel giudice già vi sono dubbi che si sia travalicato il limite) per ostacolare il diritto di difesa garantito dalla norma costituzionale.

l’ordinanza per esteso qui

© massimo ginesi – giugno  2016 

le gravi irregolarità che danno luogo a revoca – il rapporto fiduciario

Come è noto le gravi irregolarità che possono dar luogo a revoca indicate nell’art. 1129 cod.civ. costituiscono un mero elenco esemplificativo che non vincola il Giudice, che è sempre chiamato a valutare nel merito l’effettiva gravità della violazione contestata.

La giurisprudenza di merito che da ultimo ha affrontato il tema  appare tranquillizzante.

Ne emerge una lettura della norma non rigoristica e non formale da parte dei Giudici, che affermano che la gravità deve esser tale da incidere in maniera sostanziale sul rapporto fiduciario che sta alla base del mandato ad amministrare condominii e che l’accertamento della violazione non può avere conseguenze automatiche.

In particolare Tribunale di Mantova, con sentenza  22.10.2015, afferma che compete al giudice la valutazione sulla gravità concreta della condotta: “l’art. 1129 c.c. prevede che l’Autorità Giudiziaria, in presenza di gravi irregolarità, può disporre la revoca dell’amministratore ciò che impone al Giudice di verificare se, pur ricorrendo in astratto una ipotesi rientrante nell’ambito della previsione normativa, sussista nel caso concreto un comportamento contrario ai doveri imposti per legge, con esclusione pertanto di ogni automatismo”; il Tribunale aggiunge  che il mero ritardo formale rispetto al termine previsto dall’art. 1130 n. 10 cod.civ. appare comunque, pur costituendo irregolarità, non così grave da giustificare la revoca, atteso che nel caso specifico  sussistevano motivi che lo hanno provocato e di cui l’amministratore ha fornito prova e giustificazione. Aggiunge infine il giudice lombardo, nel rigettare il ricorso per la revoca: ” che, nel caso in esame, benchè non risulti formalmente rispettato il termine previsto dall’art. 1130 n. 10 c.c., la grave irregolarità in concreto non è ravvisabile atteso che il ritardo nel dare corso alla predisposizione del rendiconto e alla convocazione dell’assemblea non fu dovuto a colpevole inerzia da parte dell’ing. B. nell’adempimento dei suoi doveri ma risulta giustificato dalla esigenza di fare piena chiarezza su una voce importante della contabilità del condominio, rilevandosi altresì che l’amministratore si è ripetutamente attivato per sollecitare i dovuti chiarimenti da parte del fornitore senza ottenerli, che, comunque, della questione aveva tenuto informato il Consiglio di Condominio ed infine che nessun pregiudizio risulta essere derivato alla compagine condominiale”.

In sostanza i Giudici ancorano la loro valutazione al pregiudizio effettivamente arrecato al Condominio dalla asserita violazione della regola di condotta e mostrano di non considerare la violazione grave ove tale pregiudizio non vi sia o sia minimo.

Va tuttavia osservato che, ove la condotta sia ritenuta grave, non vale a sanarla neanche la successiva ratifica assembleare, come accade nel caso del Tribunale di Taranto (Decreto 21.9.2015); nel caso di specie  l’amministratore  ha reso il conto per oltre due anni e viene revocato nonostante l’assemblea abbia successivamente approvato il rendiconto cumulativo: “Che una singola violazione, cioè il non aver presentato il conto relativo ad un esercizio, sia grave e come tale giustifichi la revoca giudiziale non può quindi revocarsi in dubbio. Né poi l’amministratore resistente adduceva giustificazioni a siffatto ritardo intollerabile. Anzi emerge anche una sorta di recidiva, se si considera che anche nel settembre 2012 l’approvazione assembleare aveva ad oggetto ancora una volta due esercizi cumulativi e cioè il periodo 2010-2012… La circostanza che pur se in ritardo l’assemblea abbia approvato i due rendiconti non esclude la gravità della violazione addebitata all’amministratore resistente e la conseguente ricorrenza del presupposto per la sua revoca giudiziale.”

E’ ancora opportuno  segnalare  l’interessante pronuncia  del Tribunale di Santa MAria CApua a Vetere (decreto 26.5.2015), ove si  riafferma l’obbligo dell’amministratore di ricevere anche i pagamenti i contanti dai condomini (entro al soglia prevista per legge, che è con ogni evidenza cosa diversa dall’obbligo di far transitare le somme ricevute o erogate attraverso il conto corrente condominiale, così come prevede l’art. 1129 cod.civ). Anche in tal caso, comunque, l’invito alla condomina ad effettuare bonifico, seppur irregolare, non è stato ritenuto sufficiente per la revoca.

© massimo ginesi aprile 2016 

danni derivanti dal lastrico solare esclusivo – le Sezioni Unite si pronunciano

 

In tema di condominio negli edifici, allorquando l’uso del lastrico solare non sia comune a tutti i condomini, dei danni che derivino da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario o l’usuario esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), in quanto custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio, in quanto la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare (o della terrazza a livello), ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all’amministratore l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni (art. 1130, primo comma, n. 4, c.c.) e all’assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (art. 1135, primo comma, n. 4, c.c.). Il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova contraria della riferibilità del danno all’uno o all’altro, va di regola stabilito secondo il criterio di imputazione previsto dall’art. 1126 cod. civ., il quale pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 28 aprile – 10 maggio 2016, n. 9449

Presidente Rovelli – Relatore Petitti

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione, notificato il 15 luglio 1999, C.N. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma, il Condominio (omissis) , ed I.E. per sentirli condannare al risarcimento dei danni causati dalle infiltrazioni verificatesi, tra il novembre 1997 ed il maggio 1998, nel proprio appartamento sito all’int. 9, palazzina D. L’attrice deduceva che le infiltrazioni erano provenienti dal sovrastante terrazzo di proprietà esclusiva della I. , avente, in parte, funzione di copertura del medesimo edificio, precisando che il Pretore di Roma, in data 19/21 giugno 1999, adito con ricorso per danno temuto, aveva emesso nei confronti di entrambi i convenuti un provvedimento interinale di condanna in solido all’esecuzione di lavori, come indicati dal C.T.U. nel corso del giudizio, ed aveva fissato il termine di trenta giorni per l’instaurazione della fase di merito.
1.1. – Si costituiva il Condominio che contestava la sussistenza di ogni responsabilità a proprio carico, e chiedeva la condanna dell’attrice al rimborso dell’importo (lire 14.800.000) necessario per l’esecuzione dei lavori disposti dal Pretore; in subordine, chiedeva accertarsi l’esclusiva responsabilità della I. e disporsi la sua conseguente condanna al rimborso delle somme indicate.
1.2. – Si costituiva in giudizio anche I.E. , chiedendo il rigetto delle domande avanzate nei suoi confronti.
2. – Nel corso del giudizio di primo grado la I. proponeva reclamo al Collegio avverso la predetta ordinanza e il Tribunale di Roma, con provvedimento del 13 settembre 1999, rigettava sia il reclamo principale, che quello incidentale, proposto dal Condominio (omissis) , confermando l’ordinanza reclamata, con ordine ad ambedue i reclamanti di eseguire, in solido tra loro, le opere descritte nella consulenza tecnica d’ufficio. In esecuzione di detto provvedimento il Condominio (omissis) eseguiva tutte le opere indicate dal C.T.U..
3. – Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 13250, depositata il 16 aprile 2003, confermava l’ordinanza cautelare, condannando i convenuti in solido al risarcimento del danno di Euro 10.000 in favore dell’attrice, da ripartire per 1/3 a carico della proprietaria esclusiva del terrazzo e per i 2/3 a carico degli altri condomini, oltre al pagamento delle spese processuali.
4. – Avverso tale decisione I.E. proponeva appello chiedendo che, in parziale riforma della sentenza impugnata, il risarcimento del danno a suo carico, in favore della C. fosse rapportato alla sua quota millesimale e non a quella di 1/3 ex art. 1126 cod. civ..
Si costituiva in giudizio C.N. contestando, interamente, i motivi di appello, chiedendo il rigetto del gravame.
Il Condominio, con appello incidentale, domandava in via subordinata la condanna della I. al pagamento di 1/3 del costo dei lavori, per una somma pari a circa 2.900,00 Euro, ferma analoga ripartizione ex art. 1126 cod. civ. del danno liquidato in favore dell’attrice. Chiedeva, inoltre, il rigetto di ogni domanda svolta nei suoi confronti, con la conseguente condanna dell’attrice al pagamento, in proprio favore, delle spese del doppio grado del giudizio; in ogni caso chiedeva limitarsi la determinazione del danno subito dalla C. a quello realmente sopportato come diretta conseguenza delle infiltrazioni subite.
5. – La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3279 del 24 luglio 2007, rigettava il gravame, confermando la sentenza impugnata, e quindi ritenendo I.E. ed il Condominio tenuti ad eliminare tutte le cause delle infiltrazioni di acqua con le dovute riparazioni al terrazzo di copertura dell’edificio, nonché a rifondere i danni che dette infiltrazioni avevano provocato all’interno dell’appartamento di C.N. , nella misura indicata dall’art. 1126 cod. civ..
6. – Avverso tale decisione I.E. proponeva ricorso per cassazione, notificato il 9 luglio 2008, affidato ad un unico motivo.
C.N. resisteva con controricorso.
7. All’esito della discussione della causa nella pubblica udienza dell’11 marzo 2014, la Seconda Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 13526/14, rimetteva gli atti al Primo Presidente ai fini della eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ritenendo opportuno un ripensamento dell’orientamento espresso da queste Sezioni Unite nella sentenza n. 3672 del 1997, sulla base del quale la controversia era stata decisa nei gradi di merito.
8. La causa è quindi stata discussa all’udienza del 28 aprile 2015, in vista della quale la contro ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
All’udienza del 28 aprile 2015, in vista della quale sono state depositate memorie da parte, la causa è stata discussa e poi decisa.

Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo di ricorso, I.E. deduce violazione di norme di diritto e contraddittoria motivazione (ex art. 360, n. 3 e 5, cod. proc. civ.) circa la propria legittimazione passiva ex art. 1126 cod. civ. e 1130 e 1131 cod. civ., evidenziando che le sentenze che si erano succedute, pur avendo riconosciuto in fatto che nessuna responsabilità diretta era a lei ascrivibile, la avevano tuttavia condannata al risarcimento del danno subito da C.N. nella misura di cui all’art. 1126 cod. civ., oltre alle spese di giudizio. Precisa che il Condominio era stato tempestivamente avvertito delle infiltrazioni e che aveva ritardato gli interventi a causa del mancato raggiungimento della maggioranza per deliberare gli interventi necessari, nonostante il suo voto favorevole. Chiede, quindi, la cassazione della sentenza di appello, sia con riferimento alla regolamentazione delle spese di tutti i gradi di giudizio, le quali dovevano essere poste a carico di C.N. e del Condominio, che l’avevano illegittimamente evocata in giudizio, sia con riferimento alla imputazione del risarcimento del danno con riferimento all’art. 1126 cod. civ., anziché in proporzione della quota millesimale.
2. – Come si è già riferito, le decisioni del Tribunale e della Corte d’appello di Roma si sono uniformate al principio espresso dalla sentenza di queste Sezioni Unite n. 2672 del 1997, emessa in sede di risoluzione di contrasto, secondo cui “poiché il lastrico solare dell’edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all’obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati all’appartamento sottostante per le infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due terzi, e il titolare della proprietà superficiaria o dell’uso esclusivo, in ragione delle altre utilità, nella misura del terzo residuo”.
2.1. – Le Sezioni Unite hanno ritenuto che la responsabilità per danni prodotti all’appartamento sottostante dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico solare (lastrico condominiale o in proprietà o uso esclusivo), per difetto di manutenzione, si ricollegasse, piuttosto che al disposto dell’art. 2051 cod. civ., ed al generale principio del neminem laedere, direttamente alla titolarità del diritto reale e, perciò, dovesse considerarsi come conseguenza dell’inadempimento delle obbligazioni di conservare le parti comuni, poste a carico dei condomini (art. 1223, primo comma, cod. civ.) e del titolare della proprietà superficiaria o dell’uso esclusivo (art. 1126 cod. civ.).
Secondo tale sentenza, tanto l’art. 1123, primo comma, cod. civ., quanto l’art. 1126 cod. civ. individuano tipi di obbligazioni propter rem, contrassegnate dalla titolarità, giacché soggetti attivi e soggetti passivi ne sono i partecipanti al condominio, e dall’oggetto, consistente nella prestazione delle spese per la conservazione dei beni esistenti nell’edificio. Le obbligazioni reali di conservazione coinvolgerebbero tutti i rapporti reali riguardanti l’edificio, con la conseguenza che la responsabilità per inadempimento deve coprire i danni arrecati ai beni comuni costituenti il fabbricato; con la precisazione che, se alle riparazioni ed alle ricostruzioni del lastrico solare sono obbligati i condomini secondo le regole previste dagli artt. 1123 e 1126 cod. civ., al risarcimento dei danni cagionati all’appartamento sottostante per difetto di manutenzione dovrebbero essere tenuti gli obbligati inadempienti.
Le norme condominiali elaborate dal nostro legislatore – si è aggiunto sembrano essere riferite essenzialmente al profilo “reale” del fenomeno sicché, mediante il ricorso al diritto delle obbligazioni, deve ritenersi configurato un generale dovere di correttezza e di cooperazione attiva tra i condomini, idoneo a preservare le esigenze abitative dei vicini. Ne consegue che trovano applicazione i canoni fissati dall’art. 1218 cod. civ. per le obbligazioni contrattuali, salva l’eventualità di un fatto illecito commesso dal titolare del diritto reale, che configura una responsabilità extracontrattuale. Viene, infatti, fatta salva l’eventualità che con l’individuata responsabilità per inadempimento delle obbligazioni propter rem possa concorrere la responsabilità extracontrattuale per fatto illecito, fondata sul disposto dell’art. 2051 cod. civ. e nascente dalla lesione di un diritto soggettivo dei condomini estraneo ai rapporti di condominio (per esempio, del diritto alla salute del proprietario del piano sottostante), ovvero dalla lesione di un diritto dei terzi che entrano in relazione con l’edificio.
2.2. – La sentenza ora richiamata non ha uniformato la giurisprudenza successiva, essendosi registrate decisioni (Cass. n. 6376 del 2006; Cass. n. 642 del 2003; Cass. n. 15131 del 2001; Cass. n. 7727 del 2000) che hanno ricondotto la vicenda in esame all’ambito di applicazione dell’art. 2051 cod. civ.. Si è, infatti, sostenuto che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, essendo obbligato ad adottare tutte la misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, risponde, in base al disposto dell’art. 2051 cod. civ., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini. Secondo questo indirizzo, dunque, la legittimazione passiva del condominio sussiste anche per quanto riguarda i danni subiti dai singoli condomini (Cass. n. 6849 del 2001; Cass. n. 643 del 2003), in quanto, a tal fine, i criteri di ripartizione delle spese necessarie (ex art. 1126 cod. civ.) non incidono sulla legittimazione del condominio nella sua interezza e del suo amministratore, comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1130 cod. civ. (Cass. n. 3676 del 2006; Cass. n. 5848 del 2007; Cass. n. 4596 del 2012).
Ancor più radicalmente, ma sempre riconducendo la responsabilità per infiltrazioni nell’alveo dell’art. 2051 cod. civ., Cass. n. 15300 del 2013 ha ritenuto che “la responsabilità per i difetti originari di progettazione o di realizzazione del lastrico solare ad uso esclusivo di uno dei condomini dal medesimo indebitamente tollerati, qualora siano suscettibili di recare danno a terzi, ricade in via esclusiva sul proprietario del lastrico solare, ex art. 2051 cod. civ., e non – nemmeno in via concorrente – sul condominio” (in senso conforme, vedi già Cass. n. 9084 del 2010).
3. – La Seconda Sezione civile di questa Corte, con la ordinanza interlocutoria n. 13526 del 2014, ha quindi ritenuto opportuno l’intervento delle Sezioni Unite, manifestando perplessità con riferimento alla posizione argomentativa espressa dalla sentenza del 1997, e sollecitando quindi un ripensamento sulla natura giuridica della responsabilità per danni provenienti dal lastrico solare di uso o di proprietà esclusiva e conseguenti oneri risarcitori.
Il Collegio ha condiviso gli orientamenti critici della dottrina e della giurisprudenza discordante e ha ritenuto condivisibile la tesi che sostiene la responsabilità ex art. 2051 cod. civ., sottolineando, in particolare, l’indebita applicazione degli artt. 1123 e 1126 cod. civ., che vengono interpretati dalla sentenza del 1997, non più come norme che disciplinano la ripartizione delle spese interne, ma come fonti da cui scaturiscono le obbligazioni propter rem.
Nell’ordinanza interlocutoria vengono individuati i seguenti passaggi qualificanti dell’orientamento criticato delle S.U. del 1997: 1. l’esclusione, in via di principio, che la responsabilità per danni prodotti nell’appartamento sottostante dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico solare per difetto di manutenzione si ricolleghi al disposto dell’art. 2051 cod. civ.; 2. l’affermazione che “dall’art. 1123 e dall’art. 1126 cod. civ. discendono obbligazioni poste dalla legge a carico ed a favore dei condomini dell’edificio, da qualificare come obbligazioni propter rem di cui i partecipanti al condominio sono ad un tempo soggetti attivi e soggetti passivi”; 3. la deduzione da tali premesse che “le obbligazioni reali di conservazione riguarderebbero tutti i rapporti reali inerenti, con la conseguenza che la susseguente responsabilità per inadempimento concerne i danni arrecati ai beni costituenti il fabbricato”; 4. l’assimilazione delle “condizioni materiali di dissesto e di degrado del lastrico” come species dell’unico concetto tecnico “di difetto di manutenzione” e quale coincidente conseguenza “dell’inadempimento delle obbligazioni propter rem”; 5. la conclusione per cui la responsabilità e il risarcimento dei danni sono regolati secondo gli stessi criteri di imputazione e di ripartizione, cioè quelli prescritti dall’art. 1126 cod. civ..
Il Collegio rimettente, quindi, dopo aver rilevato che la soluzione richiamata, pur se seguita da molte pronunce successive, non ha tuttavia sopito le opinioni contrarie, ha espresso il convincimento che tale orientamento “abbia effettuato una indebita applicazione delle norme fissate per stabilire il contributo alle riparazioni o ricostruzioni, concepite dal legislatore (si veda la Relazione al Re circa l’art. 1126 e suoi richiami all’art. 563 abrogato) per tenere conto della maggiore utilità che i condomini aventi l’uso esclusivo (quale piano di calpestio) traggono rispetto agli altri condomini che si giovano della funzione principale del lastrico, quella di copertura”. Ha ancora rilevato che “più coerentemente altre pronunce della Suprema Corte (si vedano esemplificativamente Cass. 7727/07; 6376/06; 642/03; 15131/01) hanno richiamato l’applicazione dell’art. 2051 c.c. nell’ipotesi di cattiva manutenzione di cose in uso esclusivo al condomino, seguendo il principio che addebita il danno ascrivibile ai singoli o al condominio all’eventuale comportamento lesivo di chi lo ha cagionato”. La Seconda Sezione ha quindi osservato che “la linea di contrasto è percepibile anche a proposito della individuazione del legittimato passivo a resistere all’azione risarcitoria del terzo (anche se condomino) danneggiato”, in quanto “si è introdotta (…) una distinzione tra l’ipotesi in cui ci si duole di danni dovuti a vetustà o di danni riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell’opera, indebitamente tollerati dal singolo proprietario, sancendo nel primo caso l’esclusiva legittimazione del condominio e nel secondo caso quella del condomino (cfr. Cass. 9084/10; 15300/13)”.
Ciò che maggiormente rileva, ha ancora osservato la Seconda Sezione, “è però la convinzione che gli obblighi di contribuzione fissati negli art. 1123, 1125 e 1126 cod. civ. riguardano il diritto dei proprietari e l’utilità che essi traggono dai beni, non l’allocazione del danno subito dai terzi, che nella complessa tipologia in esame prescinde, di regola, dalla condotta dell’utilizzatore. Esso infatti risale alla mancata solerzia del condominio nell’apprestare ricostruzioni e riparazioni tempestivamente, prima cioè che si produca il pregiudizio per l’appartamento sottostante. Questa omissione di azione condominiale può esservi, come nella specie è stato denunciato, anche se il condomino che vanta l’uso esclusivo del lastrico o la proprietà della terrazza (…) sia esente da specifiche colpe”. Né – si è precisato – “il criterio di regolazione di cui all’art. 1218 vale a correggere, di norma, l’imputazione degli addebiti” e “il risarcimento prescinde da ogni considerazione sull’utilità che il danneggiante trae dal pregiudizio arrecato, criterio contrario a quello che regge l’art. 1126 c.c., fondato sull’utilità del danneggiante”.
La Seconda Sezione ha, infine, ribadito che “il fatto costitutivo dell’illecito risale alla condotta omissiva o commissiva dei condomini, che fonda una responsabilità aquiliana, la quale deve essere scrutinata secondo le rispettive colpe dei condomini e, in caso di responsabilità condominiale, secondo i criteri millesimali, senza utilizzare la normativa coniata ad altro fine”.
4. -Il Collegio ritiene che alla questione posta con l’ordinanza di rimessione debba rispondersi nel senso che la responsabilità per danni da infiltrazioni prodotte dal lastrico solare o dal terrazzo di proprietà o di uso esclusivo va attratta all’ambito di operatività dell’art. 2051 cod. civ., avuto riguardo alla posizione del soggetto che del lastrico o della terrazza abbia l’uso esclusivo. Ritiene, altresì, che, tenuto conto della funzione assolta in ambito condominiale dal lastrico o dalla terrazza posta a copertura dell’edificio o di una sua parte, sia configurabile anche una concorrente responsabilità del condominio, nel caso in cui l’amministratore ometta di attivare gli obblighi conservativi delle cose comuni su di lui gravanti ai sensi dell’art. 1130, primo comma, n. 4, cod. civ., ovvero nel caso in cui l’assemblea non adotti le determinazioni di sua competenza in materia di opere di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 1135, primo comma, n. 4, cod. civ. (entrambe tali disposizioni nei rispettivi testi originari, applicabili ratione temporis al caso di specie, e comunque non modificati, per quanto rileva in questa sede, nell’ambito della riscrittura dell’art. 1130 e dell’art. 1135 da parte della legge 11 dicembre 2012, n. 220.
4.1. – I profili maggiormente critici della soluzione data dalla decisione del 1997 alla questione in esame sono sostanzialmente ravvisabili in ciò che risulta attratta ad una disciplina di tipo obbligatorio una situazione in cui viene in rilievo la produzione di un danno ad un terzo, per effetto della violazione di un obbligo di custodia e comunque del dovere di manutenzione della cosa comune. Se la previsione legislativa del concorso tra condominio e condomino che abbia l’uso esclusivo del lastrico solare o di una sua parte, di cui all’art. 1126 cod. civ., trova la propria giustificazione nella diversità di utilizzazione della cosa comune e quindi nella esigenza che chi sia legittimato a fare un uso esclusivo della cosa comune concorra in misura maggiore – predeterminata in un terzo – alle spese per le riparazioni o le ricostruzioni del lastrico, restando gli altri due terzi a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno, altrettanto non può dirsi per i danni che dalla mancanza di manutenzione derivino alle proprietà sottostanti o a terzi.
È innegabile, infatti, che chi ha l’uso esclusivo del lastrico solare o di una terrazza a livello si trovi in rapporto alla copertura dell’edificio condominiale in una posizione del tutto specifica, che se da un lato gli consente appunto l’uso esclusivo, dall’altro lo costituisce quale custode della superficie del lastrico o della terrazza, con il conseguente insorgere a suo carico di una responsabilità ex art. 2051 cod. civ.. In proposito, si è affermato che per la sussistenza di una simile responsabilità è sufficiente la prova del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, mentre non assume rilievo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia non presuppone, né implica, uno specifico obbligo di custodia analogo a quello previsto per il depositario, responsabilità a chi, di fatto, si trova nella condizione di controllare i rischi inerenti alla cosa. La speciale responsabilità ex art. 2051 cod. civ. va ricercata nella circostanza che il custode “ha il potere di governo sulla cosa” (Cass. n. 3676 del 2006; Cass. n. 5848 del 2007; Cass. 4596 del 2012).
4.2. – La precedente decisione di queste Sezioni Unite ha ricondotto, invece, la posizione del titolare dell’uso esclusivo del lastrico ad una obbligazione propter rem dei condomini per la manutenzione delle cose comuni. In sostanza, la responsabilità risarcitoria del titolare di diritto reale o di uso esclusivo sul lastrico solare sarebbe riconducibile più ad un preesistente rapporto di debito (della prestazione di manutenzione del lastrico o della terrazza) nei confronti del proprietario dell’appartamento sottostante, con conseguente insorgere di una pretesa all’adempimento in capo a quest’ultimo, che non una violazione del dovere generale del neminem laedere.
Tuttavia, la configurabilità di un siffatto rapporto obbligatorio non sembra tenere conto che il proprietario dell’appartamento danneggiato dalla cosa comune, anche se in uso esclusivo, è un terzo che subisce un danno per l’inadempimento dell’obbligo di conservazione della cosa comune (in tal senso, v., di recente, Cass. n. 1674 del 2015); il che implica la chiara natura extracontrattuale della responsabilità da porre in capo al titolare dell’uso esclusivo del lastrico e, per la natura comune del bene, dello stesso condominio.
Nell’ambito di tale tipo di responsabilità, poi, deve ritenersi che le fattispecie più adeguate di imputazione del danno siano quella di cui all’art. 2051 cod. civ., per il rapporto intercorrente tra soggetto responsabile e cosa che ha dato luogo all’evento, ovvero quella di cui all’art. 2043 cod. civ., per il comportamento inerte di chi comunque fosse tenuto alla manutenzione del lastrico.
4.3. – In tal senso deve quindi escludersi la natura obbligatoria, sia pure nella specifica qualificazione di obbligazione propter rem, del danno cagionato dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare o dalla terrazza a livello, e deve affermarsi la riconducibilità della detta responsabilità nell’ambito dell’illecito aquiliano.
In quest’ambito, come detto, non può essere posta in discussione la specificità del lastrico solare, quando questo sia anche solo in parte in uso esclusivo. Esso, invero, per la parte apparente, e quindi per la superficie, costituisce oggetto dell’uso esclusivo di chi abbia il relativo diritto; per altra parte, e segnatamente per la parte strutturale sottostante, costituisce cosa comune, in quanto contribuisce ad assicurare la copertura dell’edificio o di parte di esso.
Risultano allora chiare le diverse posizioni del titolare dell’uso esclusivo e del condominio: il primo è tenuto agli obblighi di custodia, ex art. 2051 cod. civ., in quanto si trova in rapporto diretto con il bene potenzialmente dannoso, ove non sia sottoposto alla necessaria manutenzione; il secondo è tenuto, ex artt. 1130, primo comma, n. 4, e 1135, primo comma, n. 4, cod. civ. (nei rispettivi testi originari), a compiere gli atti conservativi e le opere di manutenzione straordinaria relativi alle parti comuni dell’edificio (per l’affermazione della responsabilità del condominio, v., in particolare, Cass. n. 3522 del 2003).
Ed è nel concorso tra tali due tipi di responsabilità che va risolta la questione di massima sottoposta all’esame di queste Sezioni Unite.
Invero, in disparte il caso in cui risulti provato che il titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico solare o della terrazza a livello sia responsabile dei danni provocati ad altre unità immobiliari presenti nell’edificio per effetto di una condotta che abbia essa stessa provocato l’infiltrazione e quindi il danno, deve ritenersi che le due responsabilità concorrano.
La naturale interconnessione esistente tra la superficie del lastrico e della terrazza a livello, sulla quale si esercita la custodia del titolare del diritto di uso in via esclusiva, e la struttura immediatamente sottostante, che costituisce cosa comune – sulla quale la custodia non può esercitarsi nelle medesime forme ipotizzabili per la copertura esterna e in relazione alla quale è invece operante il dovere di controllo in capo all’amministratore del condominio ai sensi del richiamato art. 1130, primo comma n. 4, cod. civ. induce tuttavia ad individuare una regola di ripartizione della responsabilità mutuata dall’art. 1126 cod. civ. In assenza di prova della riconducibilità del danno a fatto esclusivo del titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico solare o di una parte di questo, e tenuto conto che l’esecuzione di opere di riparazione o di ricostruzione – necessarie al fine di evitare il deterioramento del lastrico o della terrazza a livello e il conseguente danno da infiltrazioni – richiede la necessaria collaborazione del primo e del condominio, il criterio di riparto previsto per le spese di riparazione o ricostruzione dalla citata disposizione costituisce un parametro legale rappresentativo di una situazione di fatto, correlata all’uso e alla custodia della cosa nei termini in essa delineati, valevole anche ai fini della ripartizione del danno cagionato dalla cosa comune che, nella sua parte superficiale, sia in uso esclusivo ovvero sia di proprietà esclusiva, è comunque destinata a svolgere una funzione anche nell’interesse dell’intero edificio o della parte di questo ad essa sottostante.
4.4. – Dalla attrazione del danno da infiltrazioni nell’ambito della responsabilità civile discendono conseguenze di sicuro rilievo. Trovano, infatti, applicazione tutte le disposizioni che disciplinano la responsabilità extracontrattuale, prime fra tutte quelle relative alla prescrizione e alla imputazione della responsabilità, dovendosi affermare che del danno provocato dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare o dalla terrazza a livello risponde il proprietario o il titolare di diritto di uso esclusivo su detti beni al momento del verificarsi del danno. Una volta esclusa la applicabilità della disciplina delle obbligazioni, deve infatti escludersi che l’acquirente di una porzione condominiale possa essere ritenuto gravato degli obblighi risarcitori sorti in conseguenza di un fatto dannoso verificatosi prima dell’acquisto, dovendo quindi dei detti danni rispondere il proprietario della unità immobiliare al momento del fatto.
Trova applicazione altresì la disposizione di cui all’art. 2055 cod. civ., ben potendo il danneggiato agire nei confronti del singolo condomino, sia pure nei limiti della quota imputabile al condominio. In tal senso, del resto, si è già affermato che “il risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà condominiale soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, primo comma, cod. civ., norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota, anche quando il danneggiato sia un condomino, equiparato a tali effetti ad un terzo, sicché devono individuarsi nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili, poiché la custodia, presupposta dalla struttura della responsabilità per danni prevista dall’art. 2051 cod. civ., non può essere imputata né al condominio, quale ente di sola gestione di beni comuni, né al suo amministratore, quale mandatario dei condomini” (Cass. n. 1674 del 2015).
Trova, infine, applicazione l’intera disciplina dell’art. 2051 cod. civ., anche per i limiti alla esclusione della responsabilità del soggetto che ha la custodia del bene da cui è stato provocato il danno.
4.5. – Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “in tema di condominio negli edifici, allorquando l’uso del lastrico solare non sia comune a tutti i condomini, dei danni che derivino da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario o l’usuario esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), in quanto custode del bene ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., sia il condominio, in quanto la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare (o della terrazza a livello), ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all’amministratore l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni (art. 1130, primo comma, n. 4, cod. civ.) e all’assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (art. 1135, primo comma, n. 4, cod. civ.). Il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova contraria della riferibilità del danno all’uno o all’altro, va di regola stabilito secondo il criterio di imputazione previsto dall’art. 1126 cod. civ., il quale pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio”.”.
5. – In applicazione di tale principio, la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta, risultando comunque il dispositivo conforme a diritto. Invero, la pretesa risarcitoria è stata azionata dalla proprietaria dell’appartamento danneggiato nei confronti della proprietaria della terrazza a livello e del condominio e la Corte d’appello, facendo applicazione del precedente orientamento espresso da queste Sezioni Unite, ha ritenuto che correttamente il Tribunale avesse affermato che la I. e il Condominio erano corresponsabili del danno subito dalla C. , nella proporzione stabilita dall’art. 1126 cod. civ., essendo incontestato che il terrazzo di proprietà esclusiva della I. svolgeva anche la funzione di copertura del fabbricato condominiale, con la conseguenza che dei danni subiti dalla C. doveva rispondere per due terzi il Condominio e per un terzo la proprietaria della terrazza a livello. Soluzione, questa, che discende anche dall’applicazione dell’enunciato principio di diritto, non venendo in rilievo, nella specie, profili ulteriori e diversi rispetto a quello della ripartizione della responsabilità risarcitoria tra proprietaria esclusiva della terrazza a livello e condominio.
6. – In conclusione, il ricorso va rigettato.
In considerazione del fatto che ai fini della decisione sul ricorso è stato necessario affrontare una questione di massima di particolare importanza, le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.

pronuncia di grande interesse, soprattutto per la disamina relativa all’inquadramento dell’obbligazione risarcitoria; a breve un approfondimento su “non solo massime”

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gennaio 2016 – le servitù in condominio e il diritto di parcheggio

il diritto reale di servitù può essere costituito anche nel condominio a carico di beni comuni ed a favore di beni individuali, non applicandosi in tale contesto il principio “nemini in res sua servit”.

Il diritto di parcheggio non costituisce diritto autonomo ma semplice facoltà di godimento del proprietario. (massima non ufficiale)

Tribunale di Massa 20 gennaio 2016

La vicenda all’esame del Tribunale è davvero peculiare. Un condomino si duole che altri condomini parcheggino nel cortile antistante il fabbricato, comune anche a soggetti terzi estranei al condominio e sul quale è costituita per titolo servitù di passo a favore della sua unità; a tal proposito sostiene che l’esistenza di servitù a carico del cortile è incompatibile con l’uso a parcheggio in assoluto – anche laddove non intralci il passaggio – e deve essere dichiarata l’inesistenza di tale diritto in capo ai comproprietari del fondo servente.

Il fatto è così delineato nella sentenza: “La complessa e non sempre lineare qualificazione giuridica che l’attore ha inteso dare alla propria istanza – così come anche risulta dalle conclusioni rassegnate all’udienza del 25 novembre 2015 – sembra volta a richiedere una pronuncia dichiarativa circa l’inesistenza di un diritto di parcheggio sull’intero mappale 3.. f. 1.. poiché, a suo dire, la mera attività del parcheggiare non sarebbe consentita ai comproprietari del fondo servente (fra i quali peraltro figura lo stesso attore) e sarebbe, in re ipsa, lesiva del diritto di servitù di passo pedonale e carraio, costituito su tale mappale con atto Notaio M. 15.9.53, in forza del quale veniva gravata di detto peso “una striscia di terreno della larghezza di metri 3,50 che partendo dalla via M. raggiunge con andamento rettilineo perpendicolare alla facciata del predetto edificio lì avancorpo della fabbrica stessa ove si apre la porta principale di ingresso”

Il Tribunale respinge la domanda ed osserva che “ l’attore non deduce specifiche condotte ostative nell’atto introduttivo né le lamenta e offre di provarle nelle memorie ex art. 183 c.p.c., ove si limita a dedurre prove circa l’appartenenza delle auto rappresentate nelle foto; immagini, da lui stesso prodotte, che peraltro mostrano tutte veicoli che sono parcheggiati in maniera tale da consentire pacificamente e ampiamente il transito veicolare nella striscia che costituisce proiezione del cancello di ingresso all’area”.

Richiamato un orientamento giurisprudenziale, che appare consolidato, in ordine all’esistenza della servitù in condominio (“ Premesso che può sussistere servitù ove il proprietario del fondo dominante sia anche comproprietario del fondo servente (Cassazione civile, sez. II, 17/07/1998, n. 6994”), il Giudice osserva che il diritto di parcheggio non costituisce un autonomo genere di posizione soggettiva ma è semplicemente una delle modalità con le quali, nell’ambito dei limiti previsti dall’art. 1102 cod.civ., il proprietario esercita il proprio diritto e che – ove tale esercizio non leda il pacifico godimento degli altri diritti sul bene – deve ritenersi perfettamente legittimo: “i comproprietari del fondo servente (fra i quali risulta lo stesso attore), esercitano la facoltà di parcheggio come una delle possibili manifestazioni della (com)proprietà di cui sono titolari (cass. 23708/2014). Non esiste un genus autonomo di diritto riconducibile al parcheggio di autoveicoli, che costituisce invece mera facoltà del titolare del diritto dominicale, che dovrà esercitarsi nei limiti dell’art. 1102 cod.civ. e nel rispetto di eventuali diritti di terzi. Tutti i comproprietari, per pacifica giurisprudenza, hanno diritto di trarre dal bene le utilità che lo stesso può dare, con l’unico limite di rispettarne la destinazione e di non impedirne agli altri di farne parimenti uso. L’attore non ha dedotto che a lui venga impedito di parcheggiare, mentre non è sostenibile che l’intero mappale sia destinato al passaggio e transito, essendo tale vincolo impresso solo alla striscia gravata di servitù che, peraltro, non risulta lesa nella sua funzione dalle condotte denunciate dall’attore. “

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gennaio 2016 – durata dell’incarico e gravi irregolarità

L’incarico all’amministratore ha durata annuale e si rinnova per un altro anno senza necessità di alcuna delibera assembleare, salvo revoca. Al termine del secondo anno l’assemblea dovrà procedere a nomina con le modalità ordinarie. (massima non ufficiale)

 

Tribunale di Cassino 21 gennaio 2016, decreto n. 1186

 

Il Tribunale di Cassino, nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione attinente alla nomina dell’amministratore, ritorna sulla vexata questio della durata dell’incarico e delle attività che l’assemblea deve porre in essere, allineandosi alla lettura già data dai giudici milanesi alcuni mesi or sono e commentata su queste pagine.

Alcuni condomini ricorrono al Tribunale affinché nomini un amministratore giudiziale, attese le gravi irregolarità commesse da quello in carica e, soprattutto, evidenziando che costui “avrebbe omesso di inserire all’ordine del giorno, nemmeno dell’ultima assemblea del 24.8.15, l’argomento relativo alla conferma o revoca del suo incarico, vista la scadenza annuale”

Il Tribunale, con il provvedimento in commento, respinge il ricorso, osservando che : “a norma di quanto disposto dall’art 1129 comma 10° c.c., l’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata; pertanto, non v’era necessità alcuna di convocare l’assemblea per decidere se rinnovare o meno l’incarico all’amministratore, salva sempre la facoltà per la medesima di deliberarne la revoca; per altro, l’assemblea del 24.10.15, discutendo sull’istanza della sig.ra V. per la sua revoca, espressamente affermò di riservarsi di esaminare la questione allo scadere del biennio esprimendo ringraziamento nei suoi confronti per il lavoro di ricostruzione contabile delle amministrazioni precedenti ed apprezzamento in toto per il lavoro svolto “

Il provvedimento, infine, merita menzione per l’ampia disamina di merito che svolge delle possibili gravi irregolarità così come delineate oggi dalla nuova formulazione dell’art. 1129 cod.civ. “ Ebbene, come replicato dai convenuto, il Collegio riscontra preliminarmente che nessuna di tali denunziate inadempienze e scorrettezze rientrerebbe in ogni caso nell’analitico elenco delle gravi irregolarità dell’amministratore di cui all’art 1129 comma 12 c.c., nel suo testo riformato dall’art 9 della L n. 220/12. Nello specifico, poi, deve osservarsi: essendo l’amministratore mero esecutore di quanto deliberato in seno all’assemblea, in alcun modo egli può esser ritenuto investito della sua conduzione e della previa verifica della regolarità del suo insediamento e dei suoi deliberati (operazione rimessa agli stessi partecipanti sotto la direzione del presidente); l’amministratore ha fornito prova documentale della spedizione tramite la “Sail Post” delle lettere raccomandate di convocazione della ricorrente a tutte le indicate assemblee: tanto basta a ritener assolto il suo compito, l’eventuale mancata ricezione delle missive dovendo costituire oggetto di riscontro in seno all’assemblea; a fronte della sua nomina avvenuta nell’agosto del 2014, già in occasione dell’assemblea tenutasi il 31.1.15 risultavano pervenuti 7 preventivi a fronte dei quali l’assemblea, e non certo l’amministratore, deliberò di affidare ad una commissione costituita da condomini l’esame dei medesimi; il ricorso ex art 700 c.p.c. venne notificato il 7.1.15 per l’udienza del 16.1.15, sicché legittimamente egli diede immediato incarico a legale di sua fiducia; la Cassazione ha precisato: “Alla luce delle considerazioni svolte va enunciato il seguente principio di diritto: “L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione” (ss.uu. n. 18331/10); nel nostro caso, stante l’evidente impossibilità di convocare preventivamente l’assemblea, tale operato dell’amministratore venne ratificato dall’assemblea tenutasi il 31.1.15 (all. 3 parte ricorrente); l’intervento di asfaltatura del viale condominiale ben può esser considerato, per la modestia del suo complessivo ammontare e per la sua incontestata necessità, quale atto di ordinaria manutenzione per la conservazione delle parti comuni

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gennaio 2016 – il giudice non può sindacare nel merito le scelte dell’assemblea

il sindacato dell’Autorità giudiziaria sulle delibere delle assemblee condominiali non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale comprende anche l’eccesso di potere, ravvisabile quando la decisione sia deviata dal suo modo di essere, perché in tal caso il giudice non controlla l’opportunità o la convenienza della soluzione adottata dalla delibera impugnata i posti auto nel cortile comune è una manifestazione del potere di regolamentare l’uso della cosa comune del tutto legittimo per l’assemblea condominiale. Nell’ipotesi in cui non vi sia accordo tra le parti, è altrettanto legittimo ricorrere al giudice per raggiungere lo stesso obiettivo. (massima non ufficiale)

Tribunale di La Spezia 27.1.2016 n. 58

Un sentenza che ribadisce un orientamento espresso in maniera costante dalla Corte di Cassazione, applicandolo ad una serie fattispecie assai comune per gli amministratori.

L’amministratore pone a consuntivo una serie di esborsi sostenuti per l’invio delle convocazioni e per la redazione dei solleciti, l’assemblea approva il rendiconto ed un condomino impugna la delibera ritenendo che ne l’uno né l’altro importo sarebbero congrui.

Altri aspetti di impugnativa riguardano una serie di interventi di manutenzione ordinaria fatti effettuare dall’amministratore, di importi assai modesti (nell’ordine di qualche centinaio di euro) per inconvenienti alll’ascensore, all’impianto centralizzato di antenna e ad altre parti comuni.

Infine l’ultimo motivo di impugnazione appare singolare: l’amministratore, esasperato dalla condotta emulativa proprio di quel condomino, aveva comunicato dimissioni irrevocabili ma – in assemblea – a fronte delle insistenti richieste degli altri condomini aveva ritenuto, melius re perpensa, di accettare l’incarico anche per l’anno successivo.

Il fatto è così sintetizzato dal Giudice: “Gli attori hanno allegato di essere condomini dello stabile di via Le S in L ed hanno impugnato la delibera assunta dall’assemblea condominiale il…; hanno chiesto l’annullamento di tale decisione per i seguenti motivi: 1. la delibera in relazione al punto 2 dell’o.d.g. ha approvato i consuntivo spese esercizio anno 2… e relativo riparto; i ricorrenti lamentano che nel consuntivo vi sarebbero spese non documentate o non giustificate o non autorizzate 2. la delibera al punto 8 ha approvato il preventivo dell’esercizio 2… e relativo riparto; lamentano i ricorrenti che anche nel preventivo approvato vi sarebbero voci di spesa non documentate, non giustificate o non autorizzate; 3. evidenzia che non sono pervenuti nei 15 gg il prospetto ratei ascensore e che l’amministratore aveva dato dimissioni irrevocabili”

Il Tribunale, richiamato il principio riportato in massima, esprime alcuni principi di diritto che devono essere evidenziati:

  • “a fronte della esistenza di documentazione di spese, laddove esse risultino regolarmente approvate dall’assemblea (con le maggioranze di legge), nessuna censura contro di esse può essere posta a fondamento dell’impugnazione della delibera perché il giudizio di impugnazione sconfinerebbe in una valutazione di opportunità di tali spese
  • circa le spese che gli attori hanno indicato come non previamente autorizzate deve osservarsi che, in realtà, si tratta di spese tutte riconducibili a poteri propri dell’Amministratore, e, cioè, ad attività che lo stesso può svolgere senza preventiva autorizzazione dell’assemblea (ex art 1130 cc); invero si tratta di spese ordinarie di natura conservativa della cosa comune (antenna, ripristino ascensore, accertamenti tecnici preliminari in presenza di infiltrazioni nel vano scala)
  • nulla di rilevante da dire circa il motivo relativo alla nomina ad amministratore di soggetto che in quanto già amministratore in carica aveva rassegnato dimissioni irrevocabili; decisivo è il fatto che, dopo quelle dimissioni, un’assemblea, con le maggioranze di legge, ha (ri)nominato tale soggetto; tuttalpiù sarà il soggetto nominato a rassegnare nuove dimissioni laddove non voglia accettarle o proseguire”

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febbraio 2016 – B&B Breakfast, il pregiudizio deve essere dimostrato

Ai fini dell’emissione del provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., il condominio deve dimostrare, concretamente, la sussistenza di un pregiudizio grave e irreparabile per la tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni non potendo essere considerato in re ipsa nella stessa attività di affittacamere, pur se realizzata in contrasto con il regolamento condominiale.

Tribunale di Milano, sez. XIII Civile, ordinanza 4 – 10 febbraio 2016
Presidente Manunta – Relatore Rota

Un provvedimento di merito di grande interesse: “il Condominio ha azionato un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. avverso una condomina, proprietaria di un monolocale di mq 35 ubicato al quinto piano dello stabile, nonché avverso il conduttore di tale unità immobiliare, al fine di impedire loro l’utilizzo di detto immobile a scopo di bed and breakfast in quanto uso contrario al regolamento di condominio e tale da menomare grandemente la tranquillità e sicurezza dei condomini atteso il continuo via vai a tutte le ore del giorno e della notte di soggetti estranei alla compagine condominiale”.
Il Giudice monocratico ha rigettato il ricorso d’urgenza e anche il Collegio, cui è stato proposto reclamo, è pervenuto alle stesse conclusioni.
Le motivazioni che hanno indotto i Giudici a decidere in tal senso potranno essere di grande aiuto all’amministratore che spesso in assemblea vede sollevarsi sonore lamentele su attività ricettive aperte in condominio.
E’ noto il precedente giurisprudenziale di CAss. 24707/2014 che ha affermato la compatibilità del B&B con la destinazione a civile abitazione: “L’esercizio dell’attività di affittacamere non modifica la destinazione d’uso a civile abitazione degli appartamenti in cui è condotta. Conseguentemente, anche in presenza di regolamento condominiale che vieti di destinare gli appartamenti “ad uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato”, l’attività di bed & breakfast è da ritenersi consentita, essendo inammissibile un’interpretazione estensiva della suddetta norma regolamentare che riservi ai soli proprietari, ai loro congiunti e ai singoli professionisti il godimento delle unità immobiliari site nel condominio”.

Anche ove vi sia espressa clausola del regolamento di condominio che vieti di adibire le unità a B&B, la possibilità di ottenere in via d’urgenza la sospensione di tale esercizio non è così scontata. I Giudici milanesi, dovendo decidere su una istanza cautelare che presuppone un pregiudizio grave ed imminente, rilevano che incombe al ricorrente dimostrare che quella attività sia foriera di grave danno alla collettività condominiale non potendo ritenersi tale caratteristica intrinseca alla attività di B&B: “Nel merito devesi osservare che, sia pur ad una delibazione sommaria propria della presente fase cautelare, l’attività di affittacamere e/o di bed and breakfast che la proprietaria ed il conduttore dell’unità immobiliare sita nel Condominio di Via P. S. in Milano hanno inteso realizzare all’interno della predetta unità immobiliare si pone in contrasto con quanto stabilito dall’art. 3, lettera b), dei regolamento di condominio; ciononostante tale considerazione non appare sufficiente ad accogliere la domanda cautelare azionata dal Condominio di Via P.S. stante il manifesto difetto del pregiudizio imminente ed irreparabile a fondamento della tutela cautelare d’urgenza da quest’ultimo invocata. Senza volere nella presente sede entrare nell’annosa questione del se la lesione di diritti aventi contenuto di natura non patrimoniale – quale la tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni – richieda una pronta tutela per il fatto che il pericolo del pregiudizio irreparabile sia insito nella lesione stessa dell’interesse protetto dall’ordinamento, ad avviso del Collegio, nel caso al vaglio del presente giudizio, il Condominio di Via P.S. non ha fornito alcun elemento da cuì desumere la effettiva e concreta messa in pericolo della tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni ad opera dell’espletamento dell’attività di affittacamere e di bed and breakfast che la proprietaria ed il conduttore dell’unità immobiliare sita nel Condominio hanno inteso realizzare all’intero della predetta unità immobiliare: piuttosto il Giudice di prime cure ha messo in risalto come, tenuto conto delle modeste dimensioni del bene all’interno del quale viene svolta la censurata attività, delle modalità operative con cui veniva e viene espletata l’attività incriminata desunte dal materiale estrapolato dal sito in cui viene pubblicizzato l’immobile, nonché infine tenuto conto dei complessivo stato dei luoghi, la effettiva e concreta messa in pericolo della tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni fosse radicalmente da escludere nel caso in esame.
In definitiva la difesa di parte reclamante ha desunto la sussistenza del pregiudizio imminente ed irreparabile a fondamento della tutela cautelare d’urgenza da quest’ultima invocata dalla mera violazione, ad opera dei convenuti, della disposizione di natura regolamentare in precedenza menzionata che vieta di destinare `gli alloggi a uso collegi, quasi si trattasse di un danno in re ipsa non bisognevole di prova: resta comunque sullo sfondo se, ferma rimanendo la legittimazione del Condominio ad invocare il rispetto delle disposizioni del regolamento ad opera dei singoli condomini ed ad agire a tale scopo anche in via d’urgenza ex art.. 700 c.p.c., il Condominio possa altresì agire a tutela della tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni in luogo di questi ultimi a presidio di beni giuridici spettanti ai singoli compartecipi”.
Gioverà infine osservare che Giudice relatore nel procedimento di reclamo è il dr. Giacomo Rota, noto e profondo studioso della materia condominiale.

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febbraio 2016 – distanze in condominio

In materia condominiale le norme relative ai rapporti di vicinato trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 novembre 2015 – 2 febbraio 2016, n. 1989
Presidente Mazzacane – Relatore Orilia

La corte riprende un orientamento già più volte manifestato in tema di applicazione all’interno del condominio delle norme del codice civile che disciplinano le distanze.
Il fatto: “Con atto 27.1.1997 Mu.Gi. , proprietario di un immobile nel fabbricato in via (OMISSIS) , convenne davanti al Tribunale i condomini M.G. e G.C. per sentirli condannare alla riduzione in pristino e al risarcimento dei danni in relazione ad una serie di interventi lesivi dei sui diritti e il Tribunale di Padova, per quanto ancora interessa in questa sede, li condannò ad arretrare alcune tubazioni installate a distanza illegale dal confine delle rispettive proprietà rigettando invece la domanda di risarcimento danni.”
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che qui si intende ribadire, in materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art. 88 9 cod. civ., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali (tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 12520 del 21/05/2010 Rv. 613141; Sez. 2, Sentenza n. 16958 del 25/07/2006 Rv. 591489; Sez. 2, Sentenza n. 139 del 19/01/1985 Rv. 438337).
Nell’affermare tale principio, questa Corte ha altresì precisato che, anche con riferimento ai tubi dell’impianto di riscaldamento di edifici condominiali, l’applicabilità dell’art. 889 cod. civ. è derogabile solo per incompatibilità dell’osservanza della distanza ivi indicata con la struttura stessa di tali edifici: v. Sez. 2, Sentenza n. 13852 del 09/11/2001 Rv. 550113).
Ebbene, nel caso di specie la Corte d’Appello ha affermato che è possibile una diversa collocazione delle tubazioni nel rispetto dell’art. 889 cc anche se, come affermato dal CTU, ciò comporta il rifacimento dell’impiantistica ed ha osservato in proposito che il CTU aveva prospettato alcune ipotesi certamente fattibili, indicate a pagg. 7 e 8 del supplemento (v. pag. 7 sentenza impugnata). La Corte d’Appello ha quindi rilevato che in sede di ristrutturazione dell’immobile gli appellanti avrebbero potuto mettere a norma l’impiantistica rispettando sostanzialmente le distanze di cui all’art. 889 cc

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Schermata 2016-05-21 alle 15.29.56.