lastrico solare, solo una espressa pattuizione nel titolo fonda la proprietà esclusiva

Il lastrico solare, in quanto destinato a copertura dell’edificio, costituisce uno dei beni funzionalmente destinati all’uso comune e che pertanto si devono ritenere condominiali ai sensi dell’art. 1117 cod.civ.

E’ la stessa norma che prevede tale presunzione di condominialità per i beni ivi elencati (in via esemplificativa e non tassativa), salvo che il contrario risulti dal titolo.

Il costruttore  del fabbricato condominiale dovrà dunque provare di aver riservato a sè, negli atti di vendita ai condomini, la proprietà esclusiva del lastrico, essendo unicamente tale presupposto a fondare la titolarità esclusiva del bene che – in difetto – deve ritenersi comune.

A tal fine sono irrilevanti sia gli interventi di modificazione compiuti dal costruttore  sul bene sia il fatto che i condomini che ne rivendicano la proprietà comune non abbiano accesso diretto alla copertura.

Si tratta di principi noti e consolidati, che la Cassazione ha anche di recente ribadito nella

sentenza 16 febbraio – 5 maggio 2016, n. 9035

art. 1129 cod.civ. e revoca – una lettura di buon senso

L’art. 1129 cod.civ., così come novellato dalla L. 220/2012, indica una serie di irregolarità tipiche (anche se non tassative e vincolanti) che possono indurre il Giudice alla revoca dell’amministratore che se ne renda colpevole.

Si è più volte sottolineato da parte della giurisprudenza e della dottrina che tale norma non è affatto vincolante per il Tribunale, né sotto il profilo delle condotte indicate né sotto quello della loro automatica rilevanza, così che il Giudice dovrà sempre valutare l’effettiva gravità della condotta e la sua idoneità ad incidere sul rapporto fiduciario che è sotteso all’incarico di amministratore.

E’ tuttavia vero che la nuova formulazione della norma è spesso usata in maniera strumentale dai condomini e che taluni tendono a  trasformarla  con frequenza in una sorta di spada di Damocle che pende sulla testa dell’amministratore, attraverso la quale ottenere soddisfazione alle proprie richieste.

Una   recente pronuncia del Tribunale di Avellino contribuisce a contenere la portata della norma entro criteri di razionalità e adeguatezza, chiarendo che l’amministratore non ha obblighi di procurarsi consensi  volti alla modifica delle tabelle millesimali e che – soprattutto – il mancato invio di copia dei documenti giustificativi di spesa (di cui ogni condomino o titolare di diritto reale e personale di godimento può prendere visione ed estrarre copia a proprie spese ai sensi dell’art. 1130 bis cod.civ. ) non costituisce irregolarità tipica ai sensi dell’art. 1129 cod.civ. e neanche condotta grave in forza della quale il Giudice possa comunque procedere a revoca, ove la richiesta sia connotata da intenti sostanzialmente pretestuosi ed emulativi.

© massimo ginesi giugno 2016

 

installazione dispositivi di contabilizzazione, il parere del M.I.S.E.

Il Ministero dello Sviluppo economico si è pronunciato in data 13 maggio sulle caratteristiche che deve possedere colui che è chiamato ad installare i dispositivi di contabilizzazione che, dal 1.1.2017 diverranno obbligatori in forza del D.Lgs 102/2014.

Il chiarimento è stato sollecitato da CNA a fronte di una interpretazione della norma da parte del CSN Anaci che finiva per essere penalizzante per molti artigiani: il ministero ha chiarito che “l’attività di installazione dei contabilizzatori e delle connesse valvole termostatiche (…) deve configurarsi rientrante nell’attività di installazione dell’impianto di riscaldamento. Pertanto l’attività di installazione dei suddetti apparecchi resta appannaggio esclusivo delle sole imprese abilitate all’esercizio dell’attività di cui alla lettera c), comma 2, articolo 1” del Dm 37/2008, e cioè attività che riguardano “impianti di riscaldamento, di climatizzazione, di condizionamento e di refrigerazione di qualsiasi natura o specie, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e delle condense, e di ventilazione ed aerazione dei locali”.

qui  la nota ufficiale di CNA e qui  la norma di riferimento.

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mediazione, niente procedibilità se le parti non compaiono?

si sta affacciando nei Tribunali un lettura rigida delle norme in tema di mediazione: se le parti  non compaiono personalmente all’incontro fissato dal mediatore il Giudice potrebbe ritenere non perfezionata la condizione di procedibilità e rinviare i contendenti nuovamente davanti all’organismo di mediazione.

Così ha recentemente deciso il Tribunale di Modena con ordinanza 2 maggio 2016: “la condizione di procedibilità in discorso si considera avverata, anzitutto, laddove si sia svolto un primo incontro (seppur conclusosi senza accordo); ovvero, in altre parole, che le parti si siano fisicamente incontrate alla presenza del mediatore (e con l’assistenza dei rispettivi avvocati).”

Aggiunge ancora il Tribunale emiliano :”stando sempre al tenore letterale del disposto normativo, all’incontro col mediatore devono partecipare le parti personalmente (per quanto sempre assistite dall’avvocato). Trasparente è la previsione dettata dal comma 1° dell’art. 8 che, lessicalmente, scinde la presenza della parte (personalmente) da quella del difensore per la partecipazione agli incontri di mediazione. Entrambi devono congiuntamente partecipare al primo incontro ed a quelli successivi (“ le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato”). Non avrebbe d’altro canto senso logico prevedere l’attività informativa che il mediatore è tenuto ad esplicare in sede di primo incontro se non in un’ottica informativa a beneficio della parte personalmente comparsa. Posto che il difensore, in quanto mediatore di diritto e titolare degli obblighi informativi ex art. 4, comma 3, nei confronti del cliente, non abbisogna di informazione su funzione e modalità di svolgimento della mediazione”

il provvedimento  merita lettura per gli ampi richiami giurisprudenziali (seppur di solo merito) e per il panorama operativo che traccia.

Ciò dovrà indurre i difensori a prestare attenzione alla comparizione personale delle parti e, in ambito condominiale, gli amministratori ad attivarsi con solerzia, nei limiti e secondo il disposto  dell’art. 71 quater disp.att. cod.civ.

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le Sezioni Unite sulle distanze fra edifici e il criterio della prevenzione

L’art. 873 cod.civ. prevede una disciplina della distanza fra costruzioni che consente a chi costruisce per primo di obbligare coloro che edificheranno in epoche successive a scegliere se costruire in aderenza oppure rispettare la distanza prevista dalla norma (o quella diversa stabilita dai regolamenti locali, avendo la norma codicistica carattere sussidiario).

Alcune sentenze hanno ritenuto che tale disciplina si applicasse solo all’ipotesi in cui il regolamento comunale imponesse anche una distanza minima dal confine, cosicché il contrasto è giunto alla Corte a sezioni unite affinché si pronunciasse sulla “applicabilità o meno del principio di prevenzione nell’ipotesi in cui le disposizioni di un regolamento edilizio locale prevedano esclusivamente una distanza tra fabbricati maggiore di quella codicistica, senza imporre altresì il rispetto di una distanza minima delle costruzioni dal confine”.

La Corte si è pronunciata con sentenza 19/05/2016, n. 10318 (il cui testo integrale  può essere letto qui   ) affermando che:

“Il principio della prevenzione si applica anche nell’ipotesi in cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore di quella ex art. 873 c.c. e tuttavia non imponga una distanza minima delle costruzioni dal confine, atteso che la portata integrativa della disposizione regolamentare si estende all’intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo della prevenzione, sicché il preveniente conserva la facoltà di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi degli artt. 874, 875 e 877 c.c.”

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esiste il diritto di parcheggio?

come è noto i diritti reali delineati dal codice civile costituiscono un numero chiuso di figure tipiche, fra le quali non è indicato il diritto di parcheggio.

La Suprema Corte ha però più volte sottolineato che tale facoltà corrisponde all’esercizio del diritto di proprietà e, ove tale potere di fatto sia esercitato per il tempo previsto dalla legge, può condurre ad usucapire il corrispondente diritto.

Allo stesso modo l’esercizio di tale possesso può ricevere tutela possessoria, ove ne sussista turbativa o spoglio. E’ tuttavia altrettanto noto che in  regime di comunione e condominio, ove il potere di fatto sulla cosa può anche essere graduato con differente intensità dai partecipanti nei limiti di cui all’art. 1102 cod.civ., l’accertamento di una situazione di possesso, la sua lesione e l’eventuale interversione  debbano essere valutati dal Giudice con particolare attenzione e rigore.

Un’analisi dettagliata di tale fattispecie  si rinviene  nella sentenza della Suprema Corte II sezione civile 20 aprile – 23 maggio 2016, n. 10624 Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa, dalla cui motivazione  si riporta uno dei principi  sopra evidenziati “Il parcheggio di autovetture su di un’area può, del resto, certamente costituire legittima manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo (Cass. 28/04/2004, n. 8137).

qui la sentenza per esteso

se il portiere picchia qualcuno il Condominio non ne risponde civilmente

La terza sezione civile della  Cassazione, con la sentenza 9 giugno 2016 n. 11816, chiarisce i limiti dell’operatività dell’art. 2049 cod.civ. all’interno del Condominio.

Se il portiere dello stabile, dipendente del condominio, prende a pugni un condomino e gli cagiona lesioni permanenti non può ritenersi sussistente la responsabilità civile del datore di lavoro, così come individuata dalla norma sopra citata che prevede che i padroni e committenti rispondano delle conseguenza dannose del fatto illecito commesso dal proprio dipendente nell’espletamento delle sue mansioni.

Ha infatti chiarito la Corte che non può ritenersi applicabile detta previsione “quando il fatto illecito sia avvenuto senza il benché minimo collegamento funzionale con l’attività lavorativa, ovvero quando la condotta abbia risposto ad esigenze meramente personali dell’agente, avulse quindi dal suo inserimento nell’organizzazione del preposto. Insomma, impedisce la configurabilità della responsabilità in esame l’assoluta estraneità della condotta del preposto alle sue mansioni e compiti…

Sferrare un pugno ad un condomino o ad un inquilino dell’edificio condominiale causandogli lesioni personali gravissime, non attenuate ed anzi aggravate dalla pregressa situazione di evidente infermità della vittima – non rientra certamente nelle mansioni o funzioni del portiere, né corrisponde al normale sviluppo di sequenze di eventi connessi all’ordinario espletamento di queste ultime.
E che l’accesso all’abitazione del T. sia avvenuto in funzione di un’attività in astratto riconducibile alle stesse (l’ispezione delle tubature, per escludere guasti a quelle comuni o limitare i danni da quelle producibili) costituisce a tutto concedere appunto una mera occasione, ma che non ha agevolato in alcun modo la violenta e brutale aggressione da parte del V.”

Il Giudice di legittimità conclude quindi esprimendo il seguente principio di diritto: “la responsabilità del preponente ai sensi dell’art. 2049 cod. civ. sorge per il solo fatto che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dal preponente, purché però il primo non abbia agito per finalità o scopi esclusivamente personali e del tutto avulsi dalle incombenze o da quelle che è legittimo attendersi da lui e così al di fuori dell’ambito dell’incarico affidatogli, venendo meno in tal caso il nesso di occasionalità necessaria tra le prime ed il fatto illecito del preposto ed il danno.”

Sembrerebbe un principio di buon senso ancor prima che di diritto, ma così evidentemente non era se in grado di appello il Condominio era stato condannato in solido con il portiere a pagare al danneggiato € 1.320.080,70.

Per chi sia interessato ad approfondire il tema della  responsabilità extracontrattuale dei padroni e committenti la sentenza può essere letta per esteso qui

© massimo ginesi giugno 2016