Accade con grande frequenza che locali pubblici (bar, ristoranti, pub, discoteche, piano bar) posti al piano terra del condominio provochino immissioni rumorose intollerabili per coloro che occupano le unità immobiliari soprastanti.
La problematica è giunta all’esame della Corte di legittimità che, con sentenza di pochi giorni fa, ha statuito in ordine ai criteri di imputazione della responsabilità (Cass.Civ. sez.III 5 febbraio 2018 n. 2668).
Il Tribunale di Vigevano, sezione distaccata di Abbiategrasso – imprimo grado – aveva ritenuto sussistenti immissioni rumorose intollerabili e aveva riconosciuto il conseguente il danno biologico lamentato dagli attori (proprietari di una unità posta sopra al bar incriminato).
La Corte di Appello di Milano era stata di diverso avviso, sia in ordine alla sussistenza del danno biologico nella misura valutata dal giudice di prime cure sia, soprattutto, in ordine alla sua imputabilità: “il giudice di secondo grado ha escluso la sussistenza di un danno biologico, non risultandone provato, in base alla documentazione in atti, l’an e non essendo stato adeguatamente motivata la decisione in ordine al quantum.
La Corte meneghina ha tuttavia riconosciuto l’esistenza di un danno ricollegabile alla salubrità ambientale – derivante da immissioni sonore protrattasi per un periodo prolungato e con modalità tali da aver indubitabilmente arrecato una alterazione ai normali ritmi di vita – liquidato in via equitativa nella misura di Euro 10.000 per la S. e di Euro 3.000 per la minore.
La Corte territoriale ha poi ritenuto che il suddetto risarcimento vada posto a carico esclusivamente della conduttrice, non potendo essere ascritta ai proprietari nessuna corresponsabilità per la propagazione delle immissioni sonore.
Infatti, secondo la Corte, “non esiste un principio di diritto, aldilà delle specifiche pattuizioni delle parti, secondo il quale il proprietario di un immobile che concede in locazione il bene sia gravato dall’obbligo di eseguire delle modifiche sullo stesso per il fatto che sia destinato ad una particolare utilizzazione o destinazione commerciale, tali da richiedere che esso sia dotato di determinate caratteristiche”.
Al fine di far sorgere l’obbligo del locatore di eseguire le adeguate modificazioni e trasformazioni, occorre che “le stesse siano state poste espressamente a suo carico dal contratto di locazione”.
Di conseguenza, la semplice indicazione del documento negoziale della destinazione dei locali non potrebbe far sorgere automaticamente tale obbligazione in capo al locatore nè la responsabilità di questi per i danni da anni da immissioni sonore.”
La tesi del giudice di appello resiste al giudizio di Cassazione. Osserva infatti il giudice di legittimità che il motivo di ricorso relativo alla responsabilità dei proprietari del locale è del tutto infondato: “La motivazione appare immune da vizi logico-giuridici, essendo coerente con l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’azione volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale cagionato dalle immissioni va proposta secondo i principi della responsabilità aquiliana e cioè nei confronti del soggetto individuato dal criterio di imputazione della responsabilità; quindi nei confronti dell’autore del fatto illecito (materiale o morale), allorchè il criterio di imputazione è sia la colpa o il dolo (art. 2043) e nei confronti del custode della cosa (nella specie l’immobile) allorchè il criterio di imputazione è risulti il rapporto di custodia ex art. 2051 c.c. (Cass. civ. Sez. 3, 28-05-2015, n. 11125; Cass. civ. Sez. 3, 1 aprile 2010, n. 8006).
In particolare, questa Corte ha osservato che la domanda risarcitoria potrebbe essere proposta nei confronti dei proprietari “solo se essi avessero concorso alla realizzazione del fatto dannoso, quale autori o coautori dello stesso, mentre il solo fatto di essere proprietari, ancorchè consapevoli, ma senza alcun apporto causale al fatto dannoso, non è idoneo, neppure in astratto, a realizzare una loro responsabilità o corresponsabilità aquiliana” (Cass. civ. Sez. 3, 28-05-2015, n. 11125).”
© massimo ginesi 20 febbraio 2018