Assemblee di condominio, D.L. 33/2020 e DPCM 17 maggio 2020: facciamo chiarezza

Questi ultimi due mesi ci hanno abituato ad una pessima prassi normativa, che ha aggravato la già pesante situazione di un paese in cui il legislatore degli ultimi 40 anni non pare dotato di grande efficacia e sintesi (tutti ricorderanno la lievitazione dell’art. 1129 c.c., con la riforma del 2012, da 4 a 16 commi).

La legislazione del periodo covid , con un mix micidiale di decreti legge, decreti ministeriali, ordinanze e – non ultime – le faq sui siti ministeriali, ha definitivamente cancellato nella percezione comune la differenza fra fonti di legge e la loro gerarchia  (decreti legge), atti amministrativi (DM e DPCM e ordinanze), atti di indirizzo a mera valenza interna nella pubblica amministrazione (circolari), senza alcun effetto vincolante per il cittadino,  e mere informazioni irrilevanti (e spesso fuorvianti), quali le c.d. FAQ.

A ciò si aggiunga una gazzarra di articoli, commenti interpretazioni che da un lato scontano l’effetto web e social  (ognuno è libero di dire ciò che pensa, parificando agli occhi del lettore non smaliziato, lo studioso di lungo corso al giocatore di bocce) e dall’altro pagano l’effetto del lockdown, in cui molti hanno cercato di rimanere visibili e presenti (specie fra i portali informatici e associativi), spesso puntando sul mero sensazionalismo.

Quanto alle assemblee di condominio, dal 6 marzo in poi si sono succedute diverse fonti normative di rango diverso (D.L. e DPCM) che hanno vietato riunioni ed assembramenti, senza tuttavia fare mai espressa menzione delle adunanze condominiali. 

Abbiamo da sempre sostenuto  che dal punto di vista letterale e sistematico tutte quelle disposizioni si applicavano agli eventi pubblici e non alle riunioni private che, sotto il profilo giuridico, ove si svolgano in locali di metratura idonea a garantire le distanze di sicurezza (o meglio ancora all’aperto, in aree sportive o cortilizie condominiali), non potevano ritenersi ex lege vietate.

Tuttavia pur non potendo ritenersi tout court vietata la riunione dell’organo collegiale condominiale, non può non tenersi conto dei limiti ancora oggi posti alla possibilità di movimento delle persone (si pensi al condomino che abita fuori regione o che sia risultato positivo o in quarantena per contatti con positivo), che rendono di fatto impossibile la partecipazione a taluni aventi diritto, con possibile impugnativa della delibera che venisse presa in loro assenza. 

Allo stesso modo in molte realtà, specie quelle numerose, appare impossibile reperire aree in cui svolgere le riunioni nel rispetto delle norme di distanziamento sociale, sì che ad oggi – appare consigliabile per l’amministratore evitare di convocare adunanze che non siano più che urgenti o celebrabili senza difficoltà per la natura del condominio e l’entità dei partecipanti.

La delicatezza della vicenda è evidente, tanto che la oggettiva difficoltà di convocare assemblee ha indotto il legislatore ad introdurre nel decreto legge c.d. rilancio, ad oggi non ancora pubblicato in G.U., due norme che – seppur con modalità discutibili – prorogano di sei mesi l’incarico dell’amministratore e di un anno il termine per l’approvazione dei rendiconti, così come fissato dall’art. 1130 n. 10 c.c. 

Tali principi, così come la possibilità concreta – anche alla luce della legislazione vigente – di poter tenere assemblea con il collegamento da remoto per taluni condomini o a svolgere in modalità virtuale l’intera riunione, non ostando a tale fine l’indicazione del del luogo (non necessariamente oggettivo) previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ. paiono trasparire anche dall’interpretazione recente di autorevolissima dottrina. *

A fronte di tali premesse, nessuna modifica di rilievo introducono i D.L. 33/2020 e l’annunciato DPCM sula ripresa delle attività, laddove il primo prescrive , all’art. 1 “ 1. A decorrere dal 18 maggio 2020, cessano di avere  effetto  tutte le misure limitative della circolazione  all’interno  del  territorio regionale di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, e tali misure possono essere adottate o  reiterate,  ai  sensi degli stessi articoli 2 e 3, solo con riferimento a  specifiche  aree del territorio medesimo interessate da particolare aggravamento della situazione epidemiologica.” e prevede che le riunioni possano tenersi con la distanza interpersonale di un metro, poichè si tratta di norme che si riferiscono ad eventi tenuti in luogo pubblico o aperto al pubblico e non alle assemblee di condominio a cui, già in precedenza, non poteva ritenersi applicabile sic et simpliciter la disciplina emergenziale di divieto.

Rimangono invece intatti (per il momento sino al 2 giugno p.v. i limiti di circolazione regionale, con possibilità di deroga restrittiva da parte degli enti territoriali, nonchè gli obblighi e le limitazioni sanitarie per taluni soggetti) sì che restano del tutto identici gli aspetti che consigliano di non celebrare ad oggi assemblee di condominio, se non in quei casi in cui si possa effettivamente garantire la partecipazione in sicurezza dei condomini e, soprattutto, tutti gli aventi diritto possano effettivamente essere in condizioni di intervenire.

Ne deriva che la notizia che dal 18 maggio p.v. il condominio riparta a pieno regime e gli amministratori debbano precipitarsi a convocare assemblee non è solo destituita di fondamento, è semplicemente pericolosa. Certamente vi è, in prospettiva, una necessità di riprendere l’ordinaria vita amministrativa,  iniziative tuttavia da effettuare con l’osservanza di tutte le cautele e gradualità che le situazioni concrete e le disposizioni normative di volta in volta emanate consiglieranno. 

* Scarpa “Decreto Rilancio: è davvero invalida l’assemblea virtuale di condominio?”, su “il quotidiano giuridico, WK, 15 maggio 2020 

© massimo ginesi 17 maggio 2020

aggiornamento – il DPCM reso pubblico in serata non incide su alcuna delle questioni sopra esaminate, costituendo – quanto alle misure di prevenzione e sicurezza – un modesto riassembelaggio delle norme sino ad oggi emanate, salvo l’espressa previsione di cui all’art. 2 comma 2 che prevede l’espresso obbligo di mascherina per i luoghi chiusi e aperti al pubblico in cui non sia possibile mantenere la distanza interpersonale, misura  che  appare ragionevole ritenere applicabile anche al condominio (e che peraltro già derivava da buone prassi sanitarie raccomandate da mesi).

 

decreto rilancio: le novità per l’amministratore di condominio

Prosegue la pessima prassi di annunciare in conferenza stampa provvedimenti legislativi, che vengono poi pubblicati in Gazzetta Ufficiale diversi giorni dopo.

Il 13 maggio 2020 il consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto Decreto Rilancio (con l’altra discutibile prassi di denominare i provvedimenti normativi con nomi propri), nel quale sarebbero contenute due norme di  rilievo per il mondo condominiale.

Dalle bozze reperibili in internet risulterebbe la seguente formulazione

“Art.212-ter Modifiche all’art. 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 

1. All’articolo 83 del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni: 

b) dopo il comma 21, sono aggiunti i seguenti: “21-bis. Quando il mandato dell’amministratore è scaduto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto o scade entro tre mesi dalla stessa alla data, l’incarico dell’amministratore è rinnovato per ulteriori sei mesi dalla scadenza in deroga a quanto previsto dall’articolo 1129 del codice civile, fermo il diritto dei condomini di procedere alla revoca nella prima assemblea successiva al rinnovo. 

21-ter. In deroga a quanto stabilito dall’articolo 1130, comma primo, numero 10), del codice civile, il termine per la convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale annuale con data di chiusura successiva al 31 luglio 2019 è differito di 12 mesi dalla data di chiusura dell’esercizio contabile”. 

La scarsa  tecnica legislativa che ha caratterizzato i provvedimenti dell’era covid affligge anche queste disposizioni che, da un lato, sono volte a prorogare i poteri dell’amministratore in scadenza in questo periodo (a fronte della difficoltà, laddove non se ne ritenga sussistente un vero e proprio divieto, di convocare assemblee) e, dall’altro a estendere il termine per la convocazione della assemblea per l’approvazione del rendiconto, fissato in 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio a mente dell’art. 1130 n. 10 c.c.

Giova osservare che la norma dispone di fatto una proroga, che tuttavia definisce rinnovo (che invece presuppone  il decorso di un nuovo rapporto contrattuale).  Trattandosi di proroga straordinaria disposta ex lege, è da ritenere che l’amministratore mantenga intatti tutti i poteri (e il diritto al compenso) e non solo quelli ordinari previsti in caso di protrazione del mandato ex art. 1129 comma VI c.c.

La proroga decorrerà dalla data di scadenza dell’incarico originario.

Ancor meno felice appare la formulazione della norma sull’estensione del termine per l’approvazione dei rendiconti, che prevede che l’ampliamento  di dodici mesi non decorra dalla scadenza  del termine di cui all’art. 1130 n. 10 c.c. ma dalla chiusura del rendiconto, nascendo così già assai monco rispetto a quelle chiusure che si collocano alla fine del 2019.

© massimo ginesi 15 maggio 2020 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

locazione abitativa e termine di grazia: si pronuncia la Corte Costituzionale

La Consulta (Corte Cost. 24 aprile 2020 n. 79) dichiara non fondate due questioni di costituzionalità dell’art. 55 L. 392/1978,  sollevate dal Tribunale di Modena, che riteneva incompatibile con la Carta suprema la disposizione normativa, laddove prevede che al giudice non sia consentito valutare l’entità dell’inadempimento all’esito della concessione del termine, di talchè – anche ove il conduttore abbia adempiuto quasi per intero ed abbia omesso solo una piccola quota del canone o le spese processuali liquidate – è obbligato a convalidare lo sfratto.

Ad avviso del giudice remittente si tratterebbe di disposizione che tratta in maniera identica situazioni che possono avere rilievo ed impatto sulla sfera giuridica del locatore completamente diverse, poiché sia l’inadempimento totale di quanto stabilito dal giudice che una modestissima mancanza finirebbero per provocare identica conseguenza, pregiudicando un diritto rilevante come quello all’abitazione, con violazione da un lato dell’art. 3 Cost. e dall’altro dell’art.111 Cost., sul giusto processo, che non può comportare conseguenze manifestamente sproporzionate rispetto alla reale condotta delle parti.

La Consulta, con una articolata analisi, ripercorre l’intera elaborazione giurisprudenziale sull’art. 55 L. 392/1978, ritenendo che la norma non sia in contrasto con i prinpici costituzionali.

Viene infatti evidenziato come  l’intero meccanismo del rito sommario locatizio sia già stato ritenuto dalla Corte, con precedenti pronunce, del tutto conforme al diritti costituzionali, posto che al conduttore sono  concesse  possibilità di difesa esaustive e complete, poiché proponendo opposizione può accedere ad un ordinario giudizio contenzioso ove il contraddittorio fra le parti potrà avere pieno sviluppo.

L’istituto della sanatoria giudiziale rappresenta, invece, un ulteriore vantaggio e possibilità, per il conduttore che non intenda opporsi e voglia conservare il proprio diritto personale di godimento; un opzione processuale che sfugge a censure poiché rappresenta una mera ulteriore possibilità favorevole, che appare legittima anche in assenza di graduazioni.

In sostanza, il meccanismo processuale configurato per le locazioni ad uso abitativo dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, consentendo al conduttore in difficoltà di accedere alla speciale sanatoria in sede giudiziale entro il termine di grazia concesso dal giudice alla prima udienza, è di per sé frutto di un bilanciamento discrezionale degli interessi da parte del legislatore, allo scopo di accordare una particolare tutela al conduttore ove venga in rilievo il diritto all’abitazione, che questa Corte, anche recentemente, ha definito «bene di primaria importanza» (sentenza n. 44 del 2020); conduttore che, in mancanza di questo speciale istituto, sarebbe irrimediabilmente esposto vuoi alla convalida dell’intimazione di sfratto nel procedimento monitorio, vuoi alla risoluzione contrattuale nel rito ordinario.
È legittimo che il legislatore, in presenza di una finalità meritevole di tutela, preveda una disciplina speciale in bonam partem per il conduttore, senza che possa considerarsi irragionevole la mancata estensione di tale regime, già di carattere eccezionale, a ipotesi ulteriori come quelle indicate dalle ordinanze di rimessione…

“Il legislatore ha incluso le spese processuali nell’importo complessivo perché operi, in favore del conduttore, la speciale sanatoria in sede giudiziale del quinto comma dell’art. 55, nel contesto di un bilanciamento complessivo delle posizioni delle parti e in considerazione del “sacrificio” richiesto al locatore che non ottiene, alla prima udienza, la convalida dell’intimazione di sfratto, pur persistendo in quel momento la morosità e mancando l’opposizione dell’intimato.”

La sentenza merita lettura per intero, quantomeno per l’ampio inquadramento sistematico della disciplina locatizia.

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© massimo ginesi 6 maggio 2020

Foto di Harry Strauss da Pixabay

le Sezioni Unite sulle antenne telefoniche installate sul lastrico condominiale.

La Suprema Corte (Cass.civ. sez. un. 30 aprile 2020 8434)   si pronuncia in ordine alla concessione a terzi della copertura dell’edificio per l’installazione di ripetitori telefonici, fornendo una soluzione in linea con gli ordinari canoni ermeneutici che la giurisprudenza  ha da tempo elaborato.

Ove il condominio intenda cedere alla compagnia telefonica  il diritto di superficie, si tratta di atto dispositivo di diritto reale, che richiede l’unanimità dei consensi degli aventi titolo, mentre ove si tratti di semplice concessione in godimento (secondo lo schema del comodato, della locazione o di altro diritto personale di godimento atipico), sarà sufficiente delibera assembleare, salvo che si tratti di concessione di durata ultranovennale.

La Corte osserva anche che non può applicarsi la disciplina delle innovazioni di cui all’art. 1120 c.c., pur costituendo l’installazione un intervento innovativo, poiché è iniziativa che non è attuata dal condominio  nel proprio interesse ma da un terzo, cui è stato concesso tale diritto:  ne consegue che  l’elemento qualificante diventa la natura di tale concessione e non già quella dell’intervento effettuato.

La Corte poi si sofferma lungamente sulla natura della installazione di ripetitori quale costruzione, sulla natura del contratto – anche atipico – con cui si perviene alla cessione dell’area, sì che – per l’ampiezza delle argomentazioni e dei riferimenti – merita integrale lettura.

Enuncia infine tre principi di diritto, che appaiono del tutto in linea con la giurisprudenza pregressa:

“I) Il programma negoziale con cui il proprietario di un lastrico solare intenda cedere ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore, o altro impianto tecnologico, con il diritto per il cessionario di mantenere la disponibilità ed il godimento dell’impianto, ed asportare il medesimo alla fine del rapporto, può astrattamente essere perseguito sia attraverso un contratto ad effetti reali, sia attraverso un contratto ad effetti personali. La riconduzione del contratto concretamente dedotto in giudizio all’una o all’altra delle suddette categorie rappresenta una questione di interpretazione contrattuale, che rientra nei poteri del giudice di merito.

II) Lo schema negoziale a cui riferire il contratto con il quale le parti abbiano inteso attribuire al loro accordo effetti reali è quello del contratto costitutivo di un diritto di superficie, il quale attribuisce all’acquirente la proprietà superficiaria dell’impianto installato sul lastrico solare, può essere costituito per un tempo determinato e può prevedere una deroga convenzionale alla regola che all’estinzione del diritto per scadenza del termine il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione. Il contratto con cui un condominio costituisca in favore di altri un diritto di superficie, anche temporaneo, sul lastrico solare del fabbricato condominiale, finalizzato alla installazione di un ripetitore, o altro impianto tecnologico, richiede l’approvazione di tutti i condomini.

III) Lo schema negoziale a cui riferire il contratto con il quale le parti abbiano inteso attribuire al loro accordo effetti obbligatori è quello del contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale, con rinuncia del concedente agli effetti dell’accessione. Con tale contratto il proprietario di un’area concede ad altri il diritto personale di edificare sulla stessa, di godere e disporre dell’opera edificata per l’intera durata del rapporto e di asportare tale opera al termine del rapporto. Detto contratto costituisce, al pari del diritto reale di superficie, titolo idoneo ad impedire l’accessione ai sensi dell’articolo 934, primo comma, c.c. Esso è soggetto alla disciplina dettata, oltre che dai patti negoziali, dalle norme generali contenute nel titolo II del libro IV del codice civile (art. 1323 c.c.), nonché, per quanto non previsto dal titolo, dalle norme sulla locazione, tra cui quelle dettate dagli artt. 1599 c.c. e 2643 n. 8 c.c. II contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale stipulato da un condominio per consentire ad altri la installazione di un ripetitore, o altro impianto tecnologico, sul lastrico solare del fabbricato condominiale richiede l’approvazione di tutti i condomini solo se la relativa durata sia convenuta per più di nove anni.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 8434/20

© massimo ginesi 5 maggio 2020

Foto di Khusen Rustamov da Pixabay

ipotesi di modifiche normative emergenziali in materia condominiale, un rimedio peggiore del virus

Nel gran calderone delle norme, di ogni ordine, grado e tipo – quasi tutte accomunate da una preoccupante inadeguatezza tecnica e pratica –  che in questi ormai due mesi hanno flagellato il popolo italiano bene oltre e più del virus, si apprende che – in sede di conversione dei decreti legge promulgati nell’emergenza – si cerca di inserire norme ad hoc in materia condominiale.

Non vi è dubbio che sussista  emergenza nel mondo condominiale, sia per il sostanziale impedimento normativo a celebrare facilmente  assemblee e ad approvare i relativi bilanci e nominare l’amministratore, sia per la concreta impossibilità di richiedere decreti ingiuntivi e dar corso alle relative azioni esecutive a fronte di una paralisi di fatto dei Tribunali (a cui si accompagna a fronte dell’indiscriminato e protratto lockdown, una sempre più significativa crisi di liquidità in capo ai condomini onerati).

Certo è che se i rimedi che questo legislatore si appresta a varare sono quelli che traspaiono dagli ordini del giorno divulgati non v’è di che stare sereni.

Evidenziamo, a prima lettura, le perplessità immediate, salvo un miglior approfondimento e con l’auspicio che della stesura di un eventuale art. 72 quinquies disp.att. cod.civ. si occupi qualcuno che mostri di avere dimestichezza con la norma giuridica e con il condominio.

Viene peraltro da chiedersi perché questi brillanti propositori intendano introdurre  una norma di attuazione del codice civile per far fronte ad una situazione emergenziale e transitoria, che ben potrebbe essere gestita da norma speciale, il cui vigore cesserebbe con il venir meno della c.d. epidemia

Questo è il testo presentato alla seduta pubblica n. 330 del 23 aprile 2020 – alla Camera dei Deputati 

“Dopo l’articolo 72-quater, aggiungere il seguente:

Art. 72-quinquies.  (Disposizioni in materia condominiale)

1 – Per prevenire la diffusione del COVID-19 a tutela dei condomini e di chi lavora all’interno del condominio, è fatto obbligo all’amministratore in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di effettuare ogni due settimane fino a cessata emergenza, la sanificazione delle parti comuni e di lavoro del condominio con prodotti specifici.

Si imputa all’amministratore, in un momento di difficoltà economica complessiva e di impossibilità concreta di riscuotere le quote (al momento, anche di agire in giudizio a tale scopo) l’obbligo  di procedere ad una attività costosa, per la quale potrebbe non avere la relativa provvista né essere in grado di procurarsela tempestivamente (quanto peraltro previsto al punto 5 relativamente alla riscossione è ancor più inquietante)

2- L’attività di amministratore immobiliare e condominiale, codice ATECO 68.32.00, può svolgersi nel rispetto di tutte le misure di sicurezza previste per la prevenzione della diffusione del COVID-19. La protezione civile e le Autorità competenti sono tenute ad informare l’amministratore di eventuali casi di positività al COVID-19 all’interno del condominio o all’obbligo di quarantena. In tal caso la sanificazione di cui al comma precedente deve essere effettuata settimanalmente.

L’amministratore è un libero professionista non ordinistico, ex L. 4/2013, art 72 bis disp.att. cod.civ. e DM 140/2014. Quindi la sua attività non era comunque sospesa da alcuna disposizione precedente.

La comunicazione dell’esistenza di positivi all’amministratore, in barba a qualunque disposizione sulla privacy, lo obbliga  ad una sanificazione settimanale, cosicché da quel momento tutti gli altri condomini sapranno che vi è un positivo nel fabbricato, con buona pace dell’allarme e dell’ordine sociale. Fermo restando che ad oggi,  purtroppo (grazie anche ad un bombardamento mediatico dissennato), si attribuisce al significato positivo una accezione drammatica, quando può essere semplicemente soggetto che risulta aver contratto il virus senza alcun sintomo e nei cui confronti l’unica precauzione utile (evidenziata da tutti gli studiosi)  è l’isolamento, non la macelleria sociale.   Resta poi rafforzato il dubbio circa le risorse patrimoniali  per la sanificazione settimanale che l’amministratore dovrà reperire.

3 – Al fine di consentire all’amministratore di riscuotere le quote condominiali per il normale pagamento dei fornitori e delle utenze condominiali, al comma 7 dell’articolo 1129 del codice civile è apportata la seguente modifica relativa alle modalità di pagamento delle rate condominiali: dopo l’ultimo capoverso è inserito il seguente: «È fatto divieto all’amministratore di riscuotere le quote condominiali presso il proprio studio o presso il condominio», sempre al comma 7 sostituire: «far tramite» con «riscuotere e pagare» e «su uno specifico conto corrente» con: «esclusivamente tramite uno specifico conto corrente».

Così formulata la norma parrebbe consentire all’amministratore di ricevere contanti e assegni ai giardini pubblici, piuttosto che nella piazza comunale. Anche l’introduzione dell’avverbio “esclusivamente” vale semplicemente a significare  che l’amministratore per le proprie operazioni dovrà utilizzare esclusivamente il conto corrente. Non sarebbe stato sufficiente puntualizzare che, sino al termine dell’emergenza covid,  i pagamenti delle quote condominiali potranno avvenire unicamente mediante versamento da parte dei condomini sul conto corrente condominiale mediante bonifico o altra modalità telematica?

4- Nel caso il mandato dell’amministratore fosse scaduto o in scadenza alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per consentire il prosieguo dell’attività ordinaria e straordinaria necessaria al buon funzionamento del condominio, in deroga all’articolo 1129, commi 8 e 10, del codice civile, questi si intende rinnovato con pieni poteri fino a quando non sarà esplicitamente revocato dall’assemblea e avrà diritto ai compensi approvati all’atto della nomina.

Con tale formulazione si crea l’amministratore perpetuo a compenso fisso. Si pone indubitabilmente il problema della nomina per coloro che vedano terminare il mandato in periodo emergenziale, ma a tal fine è sufficiente stabilire una proprogatio semestrale o trimestrale o sino al termine dell’emergenza. Appare curioso anche il riferimento ai “pieni poteri” (espressione quanto mai infelice), posto che quelli dell’amministratore sono delineati dall’art. 1130 c.c. e attengono all’ordinaria amministrazione, pacificamente riconosciuta anche in regime di proprogatio, mentre quelli di gestione straordinaria competono ex art 1135 c.c. alla assemblea.

5 – In deroga al primo comma, numero 10), dell’articolo 1130, del codice civile, la redazione e la convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto consuntivo con data di chiusura successiva al 31 luglio 2019 è posticipata a dodici mesi dalla data di chiusura dell’esercizio contabile.

Sarebbe decisamente curioso comprendere cosa si intenda con “la redazione dell’assemblea”

6- Per eventuali necessità urgenti e indifferibili l’amministratore è tenuto ad esercitare i poteri conferitigli al momento dell’accettazione del mandato e dall’articolo 1130 e successivi del codice civile, emanando anche regolamenti idonei a garantire le necessarie norme di sicurezza dell’edificio e per consentire un adeguato proseguimento dell’attività condominiale, continuando a disciplinare l’uso delle cose comuni. Può emettere quote condominiali corrispondenti alle rate della gestione ordinaria e riscaldamento relative all’ultimo preventivo di spesa approvato, oltre eventuali e ulteriori impegni di spesa ordinari e straordinari, ivi compresi gli oneri per la sanificazione di cui al comma 1, che possono essere riscosse a norma dell’articolo 63 delle disposizioni di attuazione al codice civile. Il rendiconto delle spese straordinarie sarà reso disponibile nella prima assemblea utile.

Posto che l’amministratore da sempre esercita i poteri (rectius, facoltà) conferite dall’art. 1130 c.c., fra i quali certamente v’è quella di disciplinare l’uso delle cose comuni, non si comprende il senso della disposizione, se non il riferimento ad oscuri regolamenti (qualche direttiva scritta?) per proseguire l’attività condominiale.

geniale la previsione di emissione  – a cura dell’amministratore – di  quote condominiali relative all’ultimo preventivo di spesa approvato oltre ad ulteriori impegni di spesa ordinari e straordinari, sui quali può ottenere decreto ingiuntivo ex art 63 disp.att. cod.civ. (se tale significato può essere attribuito all’espressione “possono essere riscosse”…). In pratica un amministratore potrebbe decidere spese milionarie per il condominio, in via del tutto unilaterale, ed ottenere sulla sola scorta delle rate da lui predisposte un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, pur in difetto di uno dei presupposti essenziali di quel provvedimento monitorio, ossia il vaglio assembleare sul consuntivo o preventivo di spesa.

  1. Nel caso all’interno del condominio non si possano garantire idonee misure sanitarie per prevenire il contagio del COVID-19, anche nel rispetto del Testo Unico n. 81 del 2008, l’attività di portierato, di sorveglianza e di giardinaggio da parte di dipendenti del condominio viene sospesa fino a cessata emergenza.

8. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Va osservato che da parte di altri firmatari esiste anche ordine del giorno relativo alla possibilità di celebrare assemblee in teleconferenza, ma di quello avremo modo di effettuare più attente valutazione, all’esito delle numerose iniziative di studio che paiono in itinere.

© massimo ginesi 24 aprile 2020 

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l’amministratore che trattiene somme versate dai condomini e’ responsanbile di appropriazione indebita

Una recentissima sentenza di legittimità (Cass. pen.  sez. II  21 aprile 2020 n. 12618) dichiara inammissibile il ricorso di un amministratore condannato nei gradi di merito e, nell’occasione, delinea il quadro della responsabilità del mandatario  che si appropri di somme dei condomini, anche se ciò avvenga in ragione di presunte ragioni di credito (che peraltro, anche ove dimostrate, darebbero luogo ad esercizio arbitrario delle proprie ragioni).

Ne deriva un corollario che dovrebbe essere patrimonio culturale di ogni amministratore: mai, per alcuna ragione, prelevare somme dal conto condominiale ad uso personale, neanche laddove si vantino dei crediti che – semmai – andranno sottoposti alla verifica assembleare per il loro riconoscimento oppure azionati in via giudiziale, ove il condominio li contesti.

La condotta come emerge dalla sentenza di primo grado ” il Tribunale aveva ritenuto integrata la condotta appropriativa contestata all’imputato, “essendo stata raggiunta prova ragionevolmente certa del fatto che l’imputato si sia appropriato del denaro depositato sui conti correnti intestati ai condomini del quale aveva il possesso in qualità di mandatario e quale unico delegato ad operare sui predetti conti correnti.

Tali somme erano gravate da un vincolo di destinazione, posto che l’imputato aveva l’obbligo di incassare i canoni con l’accordo di restituirli ogni tre mesi ai proprietari, dopo aver detratto a titolo di compensi professionali la percentuale del 3% annuo del monte locazioni e le spese documentate necessarie alla gestione.

È poi emerso e confermato dall’imputato – che al momento della revoca del mandato, il M. abbia omesso di corrispondere (e quindi si sia appropriato) anche i canoni di locazione versati per il trimestre giugno – ottobre 2013, senza che il motivo posto alla base della condotta criminosa – pagamento per un presunto e non documentato diritto di credito- possa incidere sulla rilevanza penale della stessa.

L’esame degli estratti dei conti correnti ha, inoltre evidenziato il compimento di prelievi e bonifici sprovvisti di giustificativo compiuti, per stessa ammissione dell’imputato, da lui medesimo. Dalle dichiarazioni rese dallo stesso imputato, confermate anche dalla vicenda speculare del condominio “(OMISSIS) “, è emerso il seguente modus operandi: il M. , amministratore di diversi stabili oltre a quelli di proprietà delle parti civili, era solito utilizzare il denaro presente sui conti correnti intestati ai diversi condomini come fosse cosa propria sia per coprire ammanchi di altri conti corrente sia per fini personali: tale condotta esorbita sicuramente i limiti consentiti al M. in qualità di mandatario ed integra la condotta appropriativa tipizzata all’art. 646 c.p.“.

i rilievi della corte di legittimità: “D’altro canto, questa Corte (Sez. 2, sentenza n. 293 del 04/12/2013, dep. 2014, Rv. 257317) ha già chiarito che il reato di appropriazione indebita non viene meno quanto l’imputato invochi di aver trattenuto le somme in contestazione a compensazione di propri preesistenti crediti, ove si tratti di crediti non certi, non liquidi e non esigibili.

I fatti accertati non integrano il reato di cui all’art. 392 c.p.: è, infatti, tradizionale l’insegnamento per il quale non ricorre il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nel caso in cui il soggetto che si sia appropriato di denaro o beni a preteso soddisfacimento di un credito abbia piena signoria sui predetti denaro o beni e piena coscienza e volontà di farli propri, sussistendo in questo caso l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 646 c.p., non potendo parlarsi di buona fede rispetto ad una azione esecutiva privatamente esercitata, e non ricorrendo conseguentemente alcuno dei casi che potrebbero giustificare l’esclusione del dolo (Sez. 2, sentenza n. 10282 del 29/04/1975, Rv. 131104).”

per la dettagliata analisi della condotta, può essere interessante leggere la sentenza per esteso

Cass. pen.12618:2020

© massimo ginesi 23 aprile 2020

 

Massimario della Cassazione: il covid-19 sospende anche il termine di efficacia del precetto

Il Massimario della Suprema Corte ha elaborato una interessante relazione che affronta, con spirito critico, quella che lo stesso ufficio definisce “l’alluvionale legislazione urgente degli ultimi due mesi “

Quanto al termine di efficacia del precetto, dubbio che sfiorava tutti i difensori che nelle immediatezze della sospensione avevano magari faticosamente notificato atti di precetto ai debitori ed hanno poi visto limitare l’attività degli Unep ai soli atti urgenti, la Suprema Corte lo ritiene sospeso: “La sospensione dei termini opera poi per tutti gli atti processuali, compresi quelli necessari per avviare un giudizio di cognizione o esecutivo27 (atto di citazione o ricorso, ovvero atto di precetto), come per quelli di impugnazione (appello o ricorso per cassazione). 

Viene così espressamente confermato l’orientamento della S.C. a tenore del quale la nozione di “termine processuale”, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, essendo espressione di un principio immanente nel nostro ordinamento, non può ritenersi limitata all’ambito del compimento degli atti successivi all’introduzione del processo, dovendo invece estendersi anche ai termini entro i quali lo stesso deve essere instaurato, purché la proposizione della domanda costituisca l’unico rimedio per la tutela del diritto che si assume leso”

Lo studio è interessante e merita integrale lettura

Relazione-Corte-Cassazione

© massimo ginesi 20 aprile 2020  

Corte europea: il condominio italiano può giovarsi della tutela del consumatore

La Corte di Giustizia Europea ha stabilito, con sentenza del 2 aprile 2020  che l’applicazione al condominio della tutela dei consumatori non osta con il diritto dell’unione, pur non essendo il  condominio soggetto giuridico che – astrattamente – rientrerebbe in tale previsione.

Il giudice Europeo osserva che “Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che la Corte suprema di cassazione ha sviluppato un orientamento giurisprudenziale volto a tutelare maggiormente il consumatore estendendo l’ambito di applicazione della tutela prevista dalla direttiva 93/13 a un soggetto giuridico, quale il condominio nel diritto italiano, che non è una persona fisica, conformemente al diritto nazionale.

Orbene, un tale orientamento giurisprudenziale s’inscrive nell’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla summenzionata direttiva (v., in tal senso, sentenza del 7 agosto 2018, Banco Santander e Escobedo Cortés, C‑96/16 e C‑94/17, EU:C:2018:643, punto 69).

Ne consegue che, anche se una persona giuridica, quale il condominio nel diritto italiano, non rientra nella nozione di «consumatore» ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, gli Stati membri possono applicare disposizioni di tale direttiva a settori che esulano dall’ambito di applicazione della stessa (v., per analogia, sentenza del 12 luglio 2012, SC Volksbank România, C‑602/10, EU:C:2012:443, punto 40), a condizione che una siffatta interpretazione da parte dei giudici nazionali garantisca un livello di tutela più elevato per i consumatori e non pregiudichi le disposizioni dei trattati.

Alla luce di quanto precede, alla questione sollevata occorre rispondere che l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva.”

La pronuncia legittima le numerose interpretazioni dei giudici italiani, di merito e legittimità (Cass. 22 maggio 2015, n. 10679; conformi, tra le altre, Cass. 12 gennaio 2005, n. 452 e Cass. 24 luglio 2001, n. 10086), che avevano ritenuto applicabile al condominio il c.d. codice del consumo, e tacita talune voci dissonanti in dottrina, che tali erano talvolta in maniera acritica e inutilmente capziosa.

© massimo ginesi 15 aprile 2020

 

Foto di Albrecht Fietz da Pixabay

Il presente del Coronavirus e gli avvocati fantasma. Cosa accade (e cosa accadrà) per i magistrati?

Belle e condivisibili riflessioni di Gianluca Denora sul portale DIRITTO E GIUSTIZIA, su un paese ormai ingessato più dall’emergenza sociale e burocratica che da quella sanitaria.
E’ auspicabile che chi ci governa e gli operatori del pianeta giustizia, siano essi difensori o magistrati, si interroghino al più resto sulla ripresa dell’attività, rifuggendo situazioni di immobilismo.
L’idea di non precipitare dalla sospensione virale a quella feriale dovrebbe rappresentare un elementare principio minimo di efficienza  in questo contesto.
Del resto eri sera la virologa Capua, in una nota trasmissione televisiva e andando palesemente contro il mainstream della comunicazione terroristica, con molta semplicità, ha rappresentato che vi sono notizie scientifiche certe sul fatto che il virus circoli in Italia da dicembre, che è plausibile che un numero significativo della popolazione lo abbia già preso in forma lieve o asintomatica; costoro, che non sono più nè virali nè contagiabili, ben possono riprendere a lavorare e a vivere, mentre il resto della popolazione potrebbe tranquillamente convivere con una malattia gestibile da una sanità appena efficiente e con la consapevolezza che in questa, come in altre malattie, esistono una minoranza di forme gravi per le quali si può anche morire. fa parte della vita.

Stress test: è un’espressione di moda, ma non la scelgo per questo; trovo che possa introdurre l’esigenza di indicazioni e risposte utili (anche) ad affrontare il funzionamento della giustizia (e in particolar modo della magistratura) nell’emergenza attuale, e in quella che verrà (alla ripresa). Se è vero che, oggi, tutti abbiamo il diritto di chiedere giustizia, non è meno vero che pochi hanno il potere di rispondere e quasi nessuno ha la possibilità di darla. In concreto, nell’attuale scenario gli avvocati stanno da una parte, i giudici dall’altra, e la separatezza è marcata più che mai, in disparte fatui corporativismi.
Dalla parte degli avvocati, si percepiscono esigenze da prima pagina (non solo sulla stampa specializzata), il che non meraviglia affatto: da un lato, gli avvocati sono i collettori di istanze che pervadono l’intera società; dall’altro, un esercito di oltre duecentomila combattenti (noi avvocati) fa baccano anche sulle brande. Non è un’ipotesi di scuola né uno scenario virtuale; è vera la narrazione di un’impossibilità di ricevere i clienti, di incontrare i colleghi per l’extra moenia delle controversie, di gestire scadenze processuali inghiottite dal buco nero del chissà domani.
Oggi, 14 aprile 2020, gli studi legali riaprono (lo dice il DPCM 10 aprile 2020, nell’allegato 3, sub 69 “attività legali”) ma saranno studi fantasma, nei quali la presenza sarà di fatto interdetta ad altre persone. Per i clienti, infatti, vale la regola generale dell’art. 1 (Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale), comma 1: «a) sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigente lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e, in ogni caso, è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute e resta anche vietato ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale comprese le seconde case utilizzate per vacanza». Come si diceva in apice, virtuosismi linguistici: la stessa eccezione al divieto di spostamenti è qui ripetuta due volte, con le stesse parole, semmai dovessimo distrarci.
In concreto, la regola è «avvocati in studio, rigorosamente soli»; una nota di folclore.
In alternativa, la regola è «avvocati in studio, con clienti a distanza di sicurezza»; ci si arriva forzando l’interpretazione della norma, per concepire studi aperti al pubblico, purché si rispettino le opportune distanze. La prospettiva è persino peggiore, atteso che genererebbe un’odiosa sperequazione tra studi piccoli e studi grandi, a danno dei primi, che non potrebbero garantire il distanziamento.
In ogni caso, vale la regola «avvocati in tribunale per le urgenze», che non è fatto nuovo.
In questi termini, presente e futuro dell’emergenza sembrano polarizzati sulla classe forense (e sugli assistiti, in special modo nel processo penale). I giudici vivono nel limbo di un presente a rallentatore, ma poi?
I magistrati lavorano per le urgenze, sicuramente più di noi avvocati; altrove a propria discrezione (scrivere i provvedimenti è astrattamente possibile in emergenza sanitaria, che non coinvolga direttamente il magistrato o suoi familiari); complessivamente, essi danno ai cittadini una risposta da moviola. Il sistema è ingessato per tutti, senza appartenenze, fermo restando che la pausa dagli adempimenti non definisce una sosta inesorabile; vale per molti, o forse per alcuni.
Per i magistrati, la quarantena ha assunto (e assume) una connotazione particolare; essi sono in una condizione di riposo forzato, ma non del tutto e non tutti. Lo scenario non è incoraggiante anche da un raffronto con contesti diversi, per esempio scuola e istruzione a vari livelli; qui si celebra un inadempimento parziale alle prestazioni contrattuali, da ambo le parti; i fruitori diventano meno fruitori (la smart school impegna meno i discenti) e i fornitori diventano meno fornitori (lo smart working affranca almeno dal problema dell’accesso ai luoghi di lavoro); a velocità ridotta, il sistema funziona.
Nel sistema giustizia, la flessione forzosa della domanda, da parte dei cittadini, e della risposta, da parte dei magistrati, è inevitabile. Cosa accadrà domani? Il profluvio di norme fast food non ha lasciati soli i magistrati; ce n’è anche per loro, istituzionalmente gravati del dovere di gestire lavoro e scadenze, riorganizzati da provvedimenti di appannaggio delle singole curie, facile presagio di contese di ogni tipo, anche strumentali e capziose. Un allarme si scorge facilmente nella ripresa: dopo poche settimane dal via (oggi previsto per il giorno 11 maggio) arriverà il c.d. periodo cuscinetto (dal 15 luglio), che di fatto aprirà il periodo della sospensione estiva, una nuova palude. Alla ripresa, l’ingorgo sarà tale da precipitare il già pessimo risultato della macchina processuale; non c’è dubbio che molte norme saranno strumenti dilatori anche quando (e se) udienze e adempimenti vari torneranno a regime.
Alterum datur: scrivere norme eccezionali per organizzare il lavoro dei magistrati nei mesi che vengono, sotto il comune denominatore della liberalizzazione delle ferie. Lo spirito è già tra le pieghe dell’ultimo DPCM (sempre nell’art. 1) in termini di turnazione interna.
I problemi organizzativi presenti e futuri sono sul tappeto, così come le soluzioni, ma non tutto allontana; l’emergenza ci fa riflettere sull’identità del giurista, sui vuoti che rendono più pieni i pieni, sulla possibilità di riconoscerci tutti nelle idealità che hanno segnato le nostre scelte professionali; la (buona) lettura giuridica è sterminata: sarebbe bello ritrovarci tutti nel rito dello Shabbat.”

da Diritto e Giustizia, portale Giuffrè

Foto di Joshua Woroniecki da Pixabay

D.L. 18/2020 e sospensione sfratti: che accade?

l’art. 103 comma 6 del D.L. 18/2020 ha previsto che “l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020”.

La disposizione interviene nell’ambito di un provvedimento legislativo che ha, invece, sospeso l’attività giudiziale e i  termini sostanziali e processuali sino al 15 aprile 2020, quindi con una evidente discrasia,  la cui ratio non appare percepibile.

(peraltro il 6 aprile u.s. , con un decreto di cui a tutt’oggi non vi è traccia di pubblicazione il Consiglio dei ministri ha comunicato di aver differito il suddetto termine dal 15 aprile al 11 maggio)

La formulazione letterale della norma impone di ritenere che tale bizzarra previsione si applichi unicamente all’attuazione in forma esecutiva di provvedimenti giudiziali (sfratti, sentenze, provvedimenti d’urgenza) e ne siano esclusi i provvedimenti stragiudiziali (ad esempio i verbali di mediazione).

Allo stesso modo la formulazione assolutamente generica ed onnicomprensiva comporta  che debba ritenersi applicabile ad ogni forma di locazione (abitativa e uso diverso/commerciale) nonché a qualunque provvedimento di rilascio, quale che sia la causa che l’ha determinato (finita locazione, morosità o altro).

La prima riflessione, metagiurudica, è che in questo modo il locatore che ha ottenuto provvedimento di sfratto per morosità (in data anteriore al 9 marzo 2020) non potrà metterlo in esecuzione sino al 30 giugno 2020, periodo nel quale il conduttore, già moroso, potrà rimanere nell’immobile senza versare alcunché, così che le conseguenze economiche della crisi epidemica vengono fatte ricadere sic et simpliciter sul privato.

Sotto il profilo processuale – per coloro che hanno conseguito il titolo – deve ritenersi che sia consentito notificare il precetto (atto prodromico all’esecuzione) ma non il preavviso ex art 608 c.p.c. che già costituisce attuazione dell’esecuzione per rilascio.

Quanto all’efficacia del precetto (atteso il suo termine di efficacia di novanta giorni ex art 481 c.p.c.), a fronte della causa eccezionale di sospensione va sottolineato il  dettato letterale (rectius,  universale) dell’art. 83 comma 2 D.L. 18/2020: ” Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 e’ sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso e’ differito alla fine di detto periodo.”

Appare ragionevole sostenere che  il provvedimento sospensivo di cui all’art. 83 D.L. 18/2020 possa ritenersi applicabile anche al termine di efficacia del precetto (ove quel termine si collocasse fra il 17 marzo e l’11 maggio 2020), sì che alla data del 30 giugno p.v. quel termine riprenderà a decorrere (argomentando da Cass. civ. III, 23.6.1997  n. 5577: ” Il termine di efficacia del precetto, previsto dall’art. 481, comma 1, c.p.c. rimane sospeso (non solo se contro lo stesso è proposta opposizione ma) anche qualora sopravvenga una norma – nella specie: art. 2, d.l. 24 settembre 1986 n. 579, non conv. in legge – che disponga una proroga dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili”).

La bizzarra produzione normativa di questo periodo impone di effettuare interpretazioni ad horas, poiché i differimenti e le novità sono continue: ad oggi pare preannunciato un differimento ex officio di tutte le udienze alla data dell’11 maggio p.v., di talchè deve ritenersi che non si terranno sino a quel momento udienze di convalida di sfratto;  resta tuttavia da considerare che, ove il 12 maggio 2020  riprenda l’attività giudiziale e non venga modificata la disposizione sulla sospensione della esecuzione dei provvedimenti di rilascio  di cui all’art. 103 D.L. 18/2020, anche il giudice dovrà attenersi a tale precetto nel fissare la data del rilascio a mente dell’art. 56 L. 392/1978;  comunque, ove ciò non accada, il locatore non possa mettere in esecuzione il provvedimento, prima del termine del 30 giugno 2020.

© massimo ginesi 7 aprile 2020 

 

 

Foto di enriquelopezgarre da Pixabay