avviso di convocazione dell’assemblea: dopo la riforma può essere solo formale.

Lo afferma Cass.Civ. sez.II ord. 7 maggio 2018 n. 10866, con riferimento alla prassi di immettere una copia dell’avviso nelle cassette dei condomini, ritenuta ammissibile solo con riferimento a condotte avvenute antecedentemente alla entrata in vigore della L. 220/2012.

Appare opportuno osservare che ratione temporis la fattispecie in esame va riferita alla normativa precedente alla L. n. 220 del 2012, (riforma del condominio) e cioè all’art. 1136 c.c., nella sua versione precedente alla riforma del condominio, e, comunque, ai principi espressi da questa Corte in materia.

Incidentalmente va detto che a norma dell’art. 66 disp. att. c.c., comma 3, così come modificato dalla L. n. 220 del 2012 (la così detta riforma del condominio) l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione.

Prima di questa riforma. era orientamento pacifico in dottrina ed in giurisprudenza che ” in tema di condominio degli edifici, non è previsto alcun obbligo di forma per l’avviso di convocazione dell’assemblea, sicchè la comunicazione può essere fatta anche oralmente, in base al principio della libertà delle forme, salvo che il regolamento prescriva particolari modalità di notifica del detto avviso”.

Tuttavia, con l’ulteriore specificazione che l’eventuale previsione regolamentare in ordine alla forma della convocazione dei condomini all’assemblea condominiale, trattandosi di prescrizione a contenuto organizzativo, ovvero, propriamente “regolamentare”, poteva essere modificata ed anche per “facta concludentia” cioè, per una prassi seguita dagli amministratori del condominio.

D’altra parte, come è opinione della stessa giurisprudenza di questa Corte, la prescrizione regolamentare, per così dire, organizzativa, (e, non quindi, di contenuto contrattuale, ovvero, incidente sulla proprietà dei beni comuni o esclusivi), va interpretata ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2, anche alla luce del comportamento posteriore avuto dai condomini al medesimo regolamento.

Correttamente, dunque, la Corte di Appello di Lecce ha ritenuto legittima la convocazione dei condomini mediante avviso immesso presso la cassetta postale dei singoli condomini posto che tale modalità di convocazione era la prassi seguita dagli amministratori del Condominio nonostante l’art. 14 del Regolamento condominiale prevedesse che la convocazione fosse effettuata mediante lettera raccomandata. “(…) Orbene, chiarisce la sentenza, non è stata contestata la prassi seguita dagli amministratori del condominio de quo di convocare le assemblee condominiali mediante avviso immesso presso la cassetta postale dei singoli condomini (…)”.

© massimo ginesi 11 maggio 2018

scivolata sulle scale condominiali: compete al danneggiato la prova del nesso di causalità.

Il condominio è custode dei beni comuni e risponde ai sensi dell’art. 2051 cod.civ. dei danni che derivino da tali beni; la norma prevede notoriamente un’inversione dell’onere della prova, sì che sarà il custode a dover dimostrare di aver fatto tutto quanto in proprio potere per evitare il danno (il.c.d. fortuito).

Rimane tuttavia in capo al danneggiato l’onere di provare il nesso  di causa fra il bene e il danno lamentato: in forza di tale principio la suprema corte (Cass.Civ. Sez. VI 8 maggio 2018 n. 10986) ha respinto il ricorso di un condomino che assumeva di aver subito lesioni in conseguenza di una caduta nelle scale condominiali, dovuta alla presenza di sostanza oleosa sui gradini, poichè risultava che lo stesso stesse percorrendo le medesime con entrambe le mani occupate dalle borse della spesa, adottando dunque  una condotta colposa che si inserisce quale elemento interruttivo del nesso causale fra la res e l’evento.

.

© massimo ginesi 10 maggio 2018

 

lastrico solare di proprietà esclusiva o condominiale: l’accertamento della sua natura pertinenziale rispetto ad una unità individuale.

 

Ove il titolo non disponga espressamente circa la proprità di un lastrico solare, il giudice di merito, onde accertarne la natura condominiale verificare se – viceversa – sia attribuibile ad un condomino in via esclsuiva, deve compiere un accertamento di fatto volto a verificre se tale bene possa essere identificato come pertinenza dell’immobile di proprità del condomino che ne rivendica la titolarità.

E’ quanto afferma Cass.civ. sez. VI ord. 2 maggio 2018 n. 10411, sottolineando come la pertinenza debba configurarsi quale bene accessorio, destinato ad arrecare utilità al bene principale e non al suo propritario: osserva la corte che il giudice di secondo grado

 

operazione ermeneutica che appare perfettamente in liena con la consolidata giurisprudenza di legittimità:

© massimo ginesi 3 maggio 2018

art. 1117 cod.civ. e beni comuni: nel silenzio del titolo vale la funzione.

La Suprema Corte (Cass.Civ. sez. II 24 aprile 2018 n. 10073) ribadisce un prinpcio consolidato in tema di beni condominiali: ove il titolo non  disponga espressamente in ordine alla proprietà comune o individuale del bene, il Giudice dovrà valutare la funzione cui detti beni sono destinati ad assolvere, ritenendoli individuali (o comunque comuni solo ad una parte di condomini ai sensi dell’art. 1123 comma 3 cod.civ.) ove non siano destinati a recare utilità a tutta la collettività condominiale.

l’accertamento relativo alla sussistenza del legame di essenziale indissolubilità e/o di accessorietà tra il bene di proprietà singola e gli altri beni, è demandato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se non affetto da vizi logici e giuridici della motivazione; allo stesso giudice è demandata anche l’interpretazione dei titoli allegati per escludere il diritto di condominio (Cass. 21.12.2007, n. 27145; Cass. 16.2.2004, n. 2943).

La verifica di detta relazione di accessorietà è indispensabile e preliminare per ritenere operante la presunzione dell’art. 1117 c.c., nel senso che ove quell’accessorietà manchi in concreto, detti beni non possono presumersi – già solo per questo fatto – comuni a tutti i condomini senza che occorra verificare la sussistenza di un titolo contrario alla suddetta presunzione, e, a tal fine, fare riferimento all’atto costitutivo del condominio (Cass. 16.1.2018, n. 884; Cass. 2.3.2007, n. 4973; Cass. 25.1.2007, n. 1625).

Quando il bene, anche se rientrante nell’elencazione di cui all’art. 1117 c.c., per obiettive caratteristiche strutturali e funzionali, serva in modo esclusivo al godimento di una parte dell’edificio in condominio, la quale formi oggetto di un autonomo diritto di proprietà, viene meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini, giacché la destinazione particolare vince la presunzione legale di comunione, alla stessa stregua di un titolo contrario (Cass. 29.12.1987, n. 9644; Cass. 25.2.1975, n. 758).

Questa Corte ha anche precisato che per escludere la presunzione di proprietà comune, di cui all’art. 1117 cod. civ., non è necessario che il contrario risulti in modo espresso dal titolo, essendo sufficiente che da questo emergano elementi univoci che siano in contrasto con la reale esistenza di un diritto di comunione, dovendo la citata presunzione fondarsi sempre su elementi obiettivi che rivelino l’attitudine funzionale dei bene al servizio o al godimento collettivo, con la conseguenza che, quando il bene, per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serva in modo esclusivo all’uso o al godimento di una sola parte dell’immobile, la quale formi oggetto di un autonomo diritto di proprietà, ovvero risulti comunque essere stato a suo tempo destinato dall’originario proprietario dell’intero immobile ad un uso esclusivo, in guisa da rilevare – in base ad elementi obiettivamente rilevabili, secondo l’incensurabile apprezzamento dei giudici di merito – che si tratta di un bene avente una propria autonomia e indipendenza, non legato da una destinazione di servizio rispetto all’edificio condominiale, viene meno il presupposto per l’operatività dell’art. 1117 c.c. (cfr., in motivazione, Cass. 23.9.2011, n. 19490; Cass. 28.4.2004, n. 8119; Cass. 27.12.2004, n. 24015).

Avendo quindi la Corte stabilito, con accertamento in fatto, che mancava la suddetta relazione di accessorietà funzionale, non occorreva attribuire più rilievo al contenuto dei titoli né considerare che l’atto di accatastamento compiuto dall’unico proprietario prima della costituzione del condominio non era stato richiamato nella prima vendita, potendo esso rilevare solo quale titolo contrario alla presunzione ex art. 1117 c.c., già esclusa, per le ragioni evidenziate, dalla Corte distrettuale (cfr., Cass. 7.5.2010, n. 11195; Cass. 23.2.2011, n. 2670; Cass. 23.2.1991, n. 1915).”

© massimo ginesi 27 aprile 2018

responsabilità da cosa in custodia e per rovina di edificio: imputabilità a proprietario e conduttore

Proprietario e conduttore rispondono verso i terzi l’uno per i danni derivanti dalle strutture dell’immobile e l’altro dagli accessori, sicché – stante anche la natura di norma speciale dell’art. 2053 cod.civ. rispetto all’art. 2051 cod.civ., la responsabilità di entrambi non può concorrere con riguardo ad un unico evento generatore di danno, che dovrà essere ascritto all’uno o all’altro in virtù della sua causa, salvo che nel fatto non possa riconoscersi una genesi multifattoriale.

E’ quanto afferma Cass. civ. sez. III, 27/03/2018,  n. 7526 a fronte di vicenda nata in terra piemontese: “C.P. conveniva in giudizio I.W. e la Gallesi s.r.l., rispettivamente quali conduttore e proprietaria di un immobile sito in (OMISSIS), chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni fisici e patrimoniali subiti a causa della caduta di un cancello di ferro che delimitava il piazzale interno dell’immobile e che, mentre lo stava chiudendo, essendo a scorrimento manuale, era fuoriuscito dalle proprie guide rovinandole addosso.

Il tribunale di Torino pronunciava sentenza nel contraddittorio con i resistenti convenuti e con la Sinatec s.p.a. chiamata in garanzia dalla Gallesi quale venditrice dell’immobile, e accoglieva la domanda attorea rigettando quella di manleva.

La corte di appello della stessa città, statuendo sull’appello principale interposto dalla Gallesi e su quello incidentale dell’ I., rigettava entrambi, affermando la concorrente responsabilità del proprietario ex art. 2053, cod. civ., e del conduttore ex art. 2051, cod. civ.”

Osserva la Corte di legittimità che “Secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità poichè la responsabilità ex art. 2051 c.c., implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all’evento lesivo, al proprietario dell’immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati a terzi dagli accessori e dalle altre parti dell’immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità (Cass., 27/10/2015, n. 21788). Anche in questo senso la nomofilachia parla di “specialità” della previsione di cui all’art. 2053 c.c., rispetto a quella contenuta nell’art. 2051 c.c. (Cass., 14/10/2005, n. 19975; Cass., 08/09/1998, n. 8876). E nella medesima logica si nega che rispetto allo stesso fatto causativo possano concorrere le responsabilità del proprietario e del conduttore (Cass., 09/06/2010, n. 13881, pagg. 4 e 5 della motivazione).

Può logicamente sussistere la responsabilità sia del proprietario dell’immobile che del conduttore solo quando i pregiudizi siano derivati non solo dal difetto di costruzione dell’impianto conglobato nelle strutture murarie, ma anche da una negligente utilizzazione di esso da parte del conduttore (Cass., 09/06/2016, n. 11815, in un caso di danni cagionati da un difetto dell’impianto idraulico e da un cattivo uso della connessa caldaia fatto dal conduttore). Ciò in quanto le condotte imputabili sono differenti.

Nella fattispecie qui in scrutinio, la condotta-fatto causale accertata è unica, è quella relativa al malfunzionamento per difetto di costruzione del cancello stesso.

Ciò posto, nel momento in cui sulla sussunzione di tale condotta nella cornice dell’art. 2053 c.c., è sceso, pacificamente, il giudicato, ne deriva che la stessa condotta-fatto non può sussumersi sub art. 2051, cod. civ., ai fini dell’eventuale responsabilità del conduttore.”

© massimo ginesi 24 aprile 2018 

attenzione alla notifica al portiere del condominio!

Laddove il portiere del condominio riceva sic et simpliciter la  notifica destinata all’ente collettivo e non menzioni la sua qualifica, la notifica si intenderà perfezionata con la consegna a sue mani ai sensi dell’art. 139 II comma c .p.c. che prevede che “Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di quattordici anni o non palesemente incapace” e non ai sensi del IV comma della stessa norma, ove invece è previsto per l’ufficiale giudiziario un onere aggiuntivo: “Il portiere o il vicino deve sottoscrivere una ricevuta, e l’ufficiale giudiziario dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata”.

Il principio  è affermato da   Cass. civ. sez. lav., 16/04/2018,  n. 9315: Nell’ipotesi in cui il portiere di un condominio riceva la notifica della copia di un atto qualificandosi come “incaricato al ritiro”, senza alcun riferimento alle funzioni connesse all’incarico afferente al portierato, ricorre la presunzione legale della qualità dichiarata la quale per essere vinta necessita di rigorosa prova contraria da parte del destinatario, in difetto della quale deve applicarsi il secondo comma (e non il quarto) dell’art. 139 cod. proc. civ.”

 © massimo ginesi 23 aprile 2018

atti troppo lunghi: può costituire violazione delle regole del giusto processo.

Attenzione alla redazione di atti difensivi prolissi  e inutilmente arricchiti con la citazione di tutte le difese avversarie e le dichiarazioni dei testimoni: il predisporre difese inutilmente sovrabbondanti e ridondanti comporta violazione delle regole del giusto processo e può comportare l’applicazione di ella compensazione quale misura sanzionatoria ex art 91 c.p.c.

E’ quanto riporta una sentenza Tribunale Massa 18 aprile 2018, relativa ad un procedimento di locazione ove – a fronte di una sostanziale linearità della materia del contendere – la difesa della parte risultata vittoriosa ha depositato una memoria difensiva finale di ben 45 pagine, in cui ha riportato  in toto quanto già esposto in memoria integrativa,  buona parte delle difese avversarie per poi glossarle con argomenti a confutazione e buona parte delle dichiarazioni dei testi escussi durante l’istruttoria.

Osserva il Tribunale apuano ” la M. ha depositato una conclusionale di ben 45 pagine ove ha ripetuto innumerevoli volte concettidel tutto assimilabili e decisamente sintetizzabili in misura più opportuna)…

Le spese seguono la soccombenza e possono essere liquidate –in assenza di rilevanti questioni di fatto e diritto e stante la sostanziale omogeneità dei motivi di contendere nei procedimenti riuniti –in forma unitaria e secondo i minimi tariffari previsti dal DM 55/2014 per il relativo scaglione di valore (CAss. SS.UU.17406/2012);

stante la condotta della difesa di parte vittoriosa, che ha depositato una conclusionale di ben 45 pagine, reiterando più volte concetti già espressi e riportando ampi stralci delle difese avversarie al solo fine di confutarle, con una condotta che costituisce violazione delle regole del giusto processo ( Trib. Milano 1.10.2013, CAss. 11199/2012) vengono compensateper metà.”

Si tratta di concetto già espresso dalla Corte di legittimità, riguardo al giudizio di cassazione  “La motivazione semplificata non è preclusa dalla particolare ampiezza degli atti di parte (111 pagine è la lunghezza del ricorso principale, il controricorso e ricorso incidentale raggiungono le 64 cartelle, e la memoria illustrativa, meramente iterativa del ricorso principale, è di 36 pagine), perchè detta ampiezza – che certamente, pur non ponendo un problema di formale violazione delle prescrizioni formali dettate dall’art. 366 cod. proc. civ., non giova alla chiarezza di tali atti e concorre ad allontanare l’obiettivo di un processo celere, che esige da parte di tutti atti sintetici, redatti con stile asciutto e sobrio – non è affatto direttamente proporzionale alla complessità giuridica o all’importanza economica delle questioni veicolate, e si risolve soltanto in una inutile e disfunzionale sovrabbondanza, infarcita di continui e ripetuti assemblaggi e trascrizioni degli atti defensionali, delle sentenze dei gradi di merito, delle prove testimoniali, della consulenza tecnica e dei suoi allegati planimetrici.” ( Cass.Civ.  sez. 04/07/2012,  n. 11199) e fatto proprio anche da alcuni giudici di merito: “Non rispettano il principio del giusto processo gli atti depositati dalle parti con contenuti sovrabbondanti dove, nel merito, rispetto alle precedenti difese ed al thema decidendum, non introducano elementi di particolare differenziazione o novità” (Trib. Milano 1 ottobre 2013).

© massimo ginesi 19 aprile 2018

 

canna fumaria in facciata: non occorre autorizzazione del condominio, che neanche può opporsi sic et simpliciter

L’uso del bene  comune facciata da parte dei singoli condomini è consentito ai sensi dell’art. 1102 cod.civ., così che costoro potranno anche utilizzarlo per collocarvi una canna fumaria, purché non alterino il decoro dell’edificio,  non impediscano agli condomini di farne parimenti uso oppure non ledano i diritti soggettivi dei singoli condomini (violazione, quest’ultima,  che sono legittimati a far valere solo gli interessati).

Tale utilizzo del bene comune non è soggetto ad alcuna autorizzazione assembleare ma, ove siano rispettati i presupposti dell’art. 1102 cod.civ., avvieneiure proprio da parte del singolo; tuttavia il condomino che intende intervenire in tal modo è tenuto a comunicare all’amministratore le modalità di realizzazione, ai sensi del novellato art. 1122 cod.civ., non già per ottenere una non prevista autorizzazione, quanto per cosentire – eventualmente – al condominio di approntare le opportune contestazioni e tutele.

A tali principi, consolidati in giurisprudenza eppure non sempre chiari alle compagini condominiali, si rifà una recente sentenza del Tribunale Arezzo 7.3.2018 n.279 .  

Il Tribunale toscano osserva che: “E’ quindi evidente che negare a priori ed in via anticipatoria l’attività del condomino appare un eccesso di potere non consentito all’assemblea e che determina la nullità della specifica determinazione assunta.

… Anche la delibera riguardante l’apposizione della canna fumaria a servizio dell’immobile della G.Z. appare affetta dai medesimi motivi di nullità.

Ricordiamo infatti come la giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che l’apposizione di una canna fumaria sull’esterno delle mura condominiali rappresenti una mera esplicazione del potere del singolo proprietario di uso del bene comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., soggetto quindi solo (ove non sussistano limitazioni dettate da un regolamento contrattuale) ai limiti posti dal medesimo è infatti mero uso della cosa comune l’installazione di una canna fumaria in aderenza al muro comune (C. Cassazione 16 maggio 2000 n. 6341) tanto che la Suprema Corte ha precisato che “l’appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale individua una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa, che ciascun condomino – pertanto – può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri il decoro architettonico“.

Ebbene, sussistendo da parte del condominio come unica contestazione quella relativa al decoro architettonico, appare utile e sufficiente far riferimento alla consulenza redatta dall’arch. L., le cui conclusioni di carattere tecnico debbono considerarsi integralmente accolte e trascritte.

Il consulente ha precisato che “l’esecuzione del manufatto non lederebbe il decoro architettonico del condominio” ed ha individuato le modalità costruttive idonee ad evitare il più possibile di turbare le linee costruttive del condominio, costruendo l’opera in una posizione e con modalità esecutive tali che la stessa risulti solo marginalmente visibile e con accorgimenti formali atti ad integrarla nel tessuto murario esistente.

Si ribadisce poi, ai fini della condanna alle spese, che il condominio non aveva provveduto a richiedere al condomino un progetto ma si era limitato a negare sic ed simpliciter l’autorizzazione (autorizzazione peraltro non dovuta).

© massimo ginesi 18 aprile 2018

la convocazione inviata al marito si presume conosciuta anche dalla moglie

Lo ha stabilito il Tribunale di Grosseto con sentenza 8 marzo 2018 n. 249, aderendo ad orientamento già consolidato in sede di legittimità ( Cass.Civ.  sez. II 28 luglio 1990 n. 7630).

Il Giudice toscano osserva che “Quanto alla mancata convocazione alle assemblee al mancato invio dei relativi verbali il Condominio ha dimostrato mediante la produzione in giudizio che gli stessi sono stati recapitati a S.B., marito dell’opponente. Va altresì notato sul punto che l’opponente non espone in alcun modo le ragioni per cui non sarebbe stata sufficiente la convocazione rivolta al marito. Sussistono pertanto elementi presuntivi e indiziari che inducono a ritenere che la stessa M.G. conoscesse le convocazioni ed il contenuto dei verbali delle assemblee al pari del marito. In tal senso depone non solo il fatto che non fossero semplici proprietari, ma appunto coniugi, ma anche la circostanza che talvolta, ad esempio nel caso della nota 8 dicembre 2009, i due diedero atto congiuntamente della ricezione della lettera con la quale viene loro comunicata la “prossima convocazione di Assemblea Straordinaria del Condominio di via O.” preannunciando la propria mancata partecipazione.

Deve, infatti, osservarsi che i fatti per cui è causa sono antecedenti alla modifica disposta con legge 220/2013 (in vigore dal 18 giugno 2013) al 3° comma dell’art. 66 disp. att. c.c. che ha stabilito le modalità di effettuazione della convocazione all’assemblea condominiale.”

 

La sentenza è interessante anche per gli altri due aspetti affrontati, l’uno relativo alla rinuncia alla solidarietà passiva, convenuta fra condominio e appaltatore, che non esclude la legittimazione dell’amminisratore ad agire nei confronti dei morosi: Vale la pena osservare preliminarmente che il vincolo di esclusione della solidarietà passiva tra i condomini pattuito tra il Condominio e la società esecutrice dei lavori, non rileva in questa sede, atteso peraltro che il Condominio ha richiesto solo il pagamento delle spese di competenza di M.G. e non di altri condomini.

Inoltre, la stipula di un simile accordo non priva in alcun modo il Condominio, in persona del proprio amministratore pro tempore del potere/dovere di attivarsi per il recupero delle spese condominiali. È evidente come l’adesione ad una diversa opzione interpretativa finirebbe per porre a carico esclusivo della società che ha eseguito i lavori l’onere di attivarsi contro i condomini morosi. Sotto altro profilo deve altresì che già all’epoca di instaurazione del presente giudizio era ormai pacifica la natura parziaria delle obbligazioni condominiali (SS.UU. 9148/2008) la cui affermazione, peraltro, non ha mai avuto l’effetto di elidere la legittimazione del Condominio a far valere la pretesa creditoria”

Il giudice osserva infine che è ormai pacifico che si approvino a maggioranza le tabelle millesimali che non deroghino ai prinpci di cui agli art 1123 e s.s. cod.civ. : “è approdo ormai consolidato in giurisprudenza che relativamente all’approvazione delle tabelle millesimali, la deliberazione assembleare non ha natura negoziale e non è pertanto necessaria, contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente l’unanimità, essendo sufficiente la maggioranza semplice (SS.UU. n. 18477/18478 del 2010).”

  © massimo ginesi 13 aprile 2018