Infiltrazioni dal tetto: responsabilità per custodia del condominio e del condomino proprietario dell’appartamento sottostante.

Un caso peculiare ha condotto la Suprema Corte a delineare una concorrente responsabilità nella causazione di un danno da infiltrazione all’immobile di un condomino, che si era visto allagare appartamento a causa delle infiltrazioni provenienti dal malandato tetto condominiale e dall’appartamento sottostante il manto di copertura.

Cass.Civ.  sez. VI ord. 4 aprile 2018 n. 8393 osserva che ” Secondo il Tribunale di Frosinone, la causa principale delle infiltrazioni lamentate era da ascrivere alla vetustà del tetto di copertura del fabbricato, come tale, la responsabilità delle infiltrazioni a carico dell’immobile di C.L. , andava imputata all’intero condominio.

Ciò che, invece, appare ascrivibile all’originario convenuto, ex art. 2051 è il non avere attuato, nel corso degli anni, nemmeno la manutenzione ordinaria del proprio appartamento (senza preoccuparsi di sollecitare l’esecuzione dei lavori condominiali ed anzi disinteressandosi delle richieste dei condomini) e lasciandolo privo di infissi (come riferito dai testi) di talché l’acqua piovana attingeva direttamente il pavimento interno, evidentemente non predisposto a svolgere funzione di impermeabilizzazione.”

Impostazione che la corte di legittimità trova perfettamente rispondente ai dettami dell’art. 2051 cod.civ. : “Pertanto, se è vero che nel caso specifico il Tribunale ha accertato una responsabilità del condominio è anche vero, che ha accertato una responsabilità esclusa del B. per mancata custodia dell’appartamento di sua proprietà.

E si da conto che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia: una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale che, nel caso in esame quell’onere non è stato assolto.

Come ha avuto modo di chiarire il Tribunale: “(…) appare ascrivibile all’originario convenuto ex art. 2051 cod. civ. il non avere attuato nel corso degli anni nemmeno la manutenzione ordinaria del proprio appartamento (…) e lasciandolo privo di infissi di talché l’acqua piovana attingeva direttamente il pavimento interno evidentemente non predisposto a svolgere funzione di impermeabilizzazione (…)”. 

Va da sé, per altro, che rispetto a questa responsabilità di mancata custodia ex art. 2051 cod. civ., legittimato passivamente era il sig. B.A. .
Pertanto, nessun errore ha commesso il Tribunale e correttamente, proprio in considerazione del grado di responsabilità in ordine alle infiltrazioni a carico dell’appartamento del C. , ha posto a carico del B.A. , ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. i due terzi della spesa complessiva per il ripristino dell’appartamento attoreo. In definitiva, il ricorso va rigettato.”

l’assemblea non ha titolo a disporre degli spazi a parcheggio su area altrui.

Ancora una sentenza sulla complessa disciplina dei parcheggi previsti dalla disciplina vincolistica.

Cass.Civ. II sez. 30 marzo 2018, n. 8014 rel. Giusti affronta una ipotesi in cui il costruttore si era riservato la proprietà dell’area esterna al fabbricato: “P.A. ricorreva al Tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga, al fine di sentire dichiarare nulla la delibera in data 9 marzo 2003 del condominio (omissis) , al quale egli apparteneva essendo proprietario di un appartamento nell’edificio F e di un box nell’edificio E.
Con tale delibera veniva stabilito che i posti macchina “disegnati… sul cortile” dal costruttore – il medesimo P.A. – fossero assegnati ai condomini che non avevano acquistato un box.
Deduceva il ricorrente che, essendosi egli riservato, al momento della costituzione del condominio, la proprietà esclusiva del terreno sul quale erano situati i suddetti posti auto, l’assemblea non poteva disporre del suo diritto.
Costituendosi in giudizio, il condominio resisteva.”

Il Tribunale di Savona sez. disse. Albenga e poi la Corte di Appello di Genova  respingevano la domanda, sull’assunto che ““l’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942 comporta che il contratto di compravendita con il quale il costruttore-venditore si riservi la proprietà esclusiva di aree destinate al parcheggio, è affetto da nullità parziale, con automatica sostituzione della clausola nulla ed integrazione del contratto, ex art. 1419, secondo comma, cod. civ..
La Corte di Genova ha quindi affermato che la delibera assembleare si è limitata ad assegnare i posti auto, senza in alcun modo qualificare la natura del diritto in contestazione. Ad ogni modo – ha sottolineato la Corte distrettuale – la giurisprudenza di legittimità individua tale diritto come reale ed assoluto, avente ad oggetto l’utilizzo delle aree destinate a parcheggio.
Infine, la Corte territoriale ha escluso la retroattività del principio stabilito dall’art. 12, comma 9, della legge n. 246 del 2005, che consente di trasferire gli spazi per parcheggio in modo autonomo rispetto alle altre unità immobiliari.”

Tesi totalmente bocciata dal giudice di legittimità che cassa la sentenza, dichiarando nulla la delibera impugnata ben quindici anni fa: “Occorre premettere che nel fabbricato condominiale di nuova costruzione ed anche nelle relative aree di pertinenza, ove il godimento dello spazio per parcheggio – nella misura fissata dalla norma imperativa ed inderogabile di cui all’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dall’art.18 della legge n. 765 del 1967 – non sia assicurato in favore del singolo condomino, essendovi un titolo contrattuale che attribuisca ad altri la proprietà dello spazio stesso, si ha nullità di tale contratto, nella parte in cui sia omessa tale inderogabile destinazione, con integrazione ope legis del contratto tramite riconoscimento di un diritto reale di uso di detto spazio in favore del condomino, nella misura corrispondente ai parametri della disciplina normativa applicabile per l’epoca dell’edificazione (Cass., Sez. II, 27 dicembre 2011, n. 28950).

Questa Corte (Cass., Sez. U., 17 dicembre 1984, n. 6602) ha altresì precisato che la citata normativa, nel disporre che nelle nuove costruzioni debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi, ha istituito inderogabilmente un vincolo pertinenziale permanente di natura pubblicistica tra tali aree e il fabbricato, con riflessi anche di carattere civilistico, consistenti nella possibilità di far dichiarare la nullità parziale, ai sensi degli artt. 1418 e 1419 cod. civ., dei contratti di alienazione delle singole unità immobiliari dell’edificio, in quanto escludenti dal trasferimento il diritto di proprietà o di uso del parcheggio, salva la corresponsione all’alienante del relativo compenso, in quanto non compreso nei prezzi delle vendite.

Si tratta di distinti diritti, spettanti non alla collettività condominiale, ma separatamente a ognuno dei singoli compratori delle varie porzioni dello stabile, in base ai rispettivi titoli di acquisto (Cass., Sez. II, 11 febbraio 2009, n. 3393).

Erroneamente pertanto – in fattispecie nella quale il costruttore P. ha venduto gli appartamenti e i box siti nel fabbricato (fatto salvo un appartamento ed un box che sono rimasti di sua proprietà), riservandosi la proprietà esclusiva dell’area residuata dalla costruzione all’esterno dei muri perimetrali del fabbricato – la Corte d’appello ha ritenuto che l’assemblea condominiale, con l’impugnata delibera, avesse titolo a disciplinare il godimento di un’area non condominiale, assegnando direttamente i posti macchina insistenti sulla detta area esterna di proprietà dell’originario costruttore ai condomini che non avevano acquistato un box nel caseggiato dove si trova il loro alloggio, e ciò tra l’altro senza che, su iniziativa degli acquirenti degli immobili (in ipotesi) illegittimamente privati del diritto all’uso dell’area pertinente a parcheggio e con onere della prova a loro carico, sia stata accertata giudizialmente la nullità dei negozi da loro stipulati, nella parte in cui è stata omessa tale inderogabile destinazione, con conseguente loro integrazione ope legis.

Infatti, l’assemblea di condominio non può adottare delibere che, nel predeterminare ed assegnare le aree destinate a parcheggio delle automobili, incidano sui diritti individuali di proprietà esclusiva di uno dei condomini, dovendosi tali delibere qualificare nulle (cfr., da ultimo, Cass., Sez. II, 31 agosto 2017, n. 20612).”

© massimo ginesi 9 aprile 2018 

luci e vedute, non è sufficiente una grata a rendere l’apertura una luce.

E’ principio fermo in giurisprudenza, ribadito da Cass.Civ. II sez. 4 aprile 2018 n. 8222, che caratteristica essenziale della luce – rispetto alla veduta – sia quella di impedire la inspectio e la prospectio sul fondo del vicino, circostanza che non attiene alle sole dimensioni o al fatto che il varco sia munito di inferiata quanto piuttosto alla materiale impossibilità di poter avere una “visione mobile globale” sul fondo altrui.

Nel caso di specie è emerso che l’ampiezza dell’apertura, la sua altezza dal piano di calpestio e la grata che vi era apposta, peraltro verso l’esterno e con un distacco di 8 centimetri dal piano di facciata, consentivano di avere una totale visione e percezione dell’altrui proprietà, così che il varco doveva comunque ritenersi  una veduta pur non consentendo, materialmente, l’affaccio.

© massimo ginesi 6 aprile 2018

la nomina giudiziale dell’amministratore può sussistere anche nei fabbricati composti da non più di 8 condomini.

E’ quanto ha stabilito il Tribunale della Spezia con provvedimento camerale del 30 marzo 2018.

La vicenda riguarda un condominio composto di soli quattro condomini, che ha provveduto alla revoca dell’amministratore senza contestualmente nominare altro soggetto, impegnandosi nella stessa delibera di revoca a convocare a breve altra riunione per provvedere alla nomina di nuovo soggetto.

L’ amministratore uscente ha più volte sollecitato tale adempimento, anche al fine di essere sgravato dagli oneri previsti dall’art. 1128 comma VIII cod.civ.

Nella totale inerzia del condominio, l’amministratore uscente decideva di ricorrere al Tribunale per chiedere la nomina di un amministratore ai sensi dell’art. 1129 I comma cod.civ. oppure – ove il Tribunale avesse ritenuto tale incombente non ammissibile – l’individuazione di un soggetto a cui poter passare le consegne ai sensi dell’art. 1129 VI comma cod.civ., atteso che oltre ad essere tenuto agli  obblighi della ordinaria gestione,  continuavano a pervenirgli  anche i solleciti dei fornitori insoddisfatti.

In particola l’amministratore uscente ha osservato che “la dottrina e la giurisprudenza unanimi identificano il Condominio quale ente collettivo a rappresentanza necessaria, (seppur spaziando dalla teoria dell’ente di gestione al soggetto giuridico autonomo).
Il necessario rappresentante di quella collettività è oggi individuato dalla legge (art. 1129 VI comma cod.civ. ) nell’amministratore – ove la compagine sia composta da più di otto elementi – oppure da un soggetto che – in contesti numericamente più contenuti – ne svolga le funzioni, con effetti di necessaria pubblicità anche verso i terzi (art. 1129 VI comma cod.civ. ).
Ne deriva che un soggetto che rappresenti il Condominio e che – in caso di cessazione o dimissioni dell’amministratore – ne subentri nelle funzioni deve necessariamente essere individuato, dal Condominio o – nella sua inerzia – dall’Autorità Giudiziaria.
In tal senso il ricorso è stato proposto, evidenziando la necessità che in caso di inerzia del Condominio nella nomina di un successore, l’amministratore non sia obbligato a permanere nello svolgimento di alcune funzioni sine die.
Che l’amministratore sia oggi soggetto pienamente legittimato al ricorso iure proprio, al fine di far cessare la propria situazione di permanenza nelle funzioni una volta cessato dall’incarico, è circostanza espressamente affermata dall’art. 1129 I comma cod.civ.
Sul punto autorevole dottrina (Celeste – Scarpa – Il Condominio negli edifici – Giuffrè 2017 pagg. 586 e ss) afferma: “ Quanto al procedimento di nomina giudiziale la riforma innovativamente ha contemplato la legittimazione, oltre che dei condomini, altresì dell’amministratore uscente dimissionario (che pure non abbia la qualità di condomino) a proporre ricorso al tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, affinché provveda alla nomina di un nuovo amministratore. La nuova formulazione sembra riferirsi esclusivamente all’amministratore che abbia dato le dimissioni allorché il condominio non abbia provveduto la sua sostituzione, nonostante che l’assemblea sia stata sollecitata in tal senso, può tuttavia desumersi che identica legittimazione ad agire per la nomina giudiziale del successore possa ora riconoscersi all’amministratore uscente altresì nell’ipotesi in cui l’assemblea non lo abbia confermato”

I condomini si sono difesi,  richiamando Trib. Milano 16 novembre 2015, che ha ritenuto non ammissibile il ricorso per la nomina dell’amministratore in fabbricati  composti da non più di otto condomini e, nelle more, hanno nominato nuovo amministratore.

La vicenda è dunque andata in decisione, seppur con rito camerale, solo relativamente  al regime delle spese, secondo i criteri della  soccombenza virtuale.

All’esito il collegio ha ritenuto che

© massimo ginesi 4 aprile 2018

il condomino rimane obbligato per l’illecito compiuto dal soggetto a cui ha promesso e consegnato il bene immobile.

Una società stipula un contratto preliminare per l’acquisto di un fondo commerciale posto in condominio e, prima dell’atto di vendita, viene immessa nella disponibilità del bene. In questo periodo realizza opere che si rivelano illecite sotto il profilo condominiale e per le quali il Condominio agisce congiuntamente nei suoi confronti e del propritario del bene, ancora condomino.

Costui eccepisce di non essere legittimato passivo, tesi respinta dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Milano e confermata da Cass. civ. Sez. II 12 marzo 2018 n. 5915

Il Giudice di legittimità osserva: “il ricorrente contesta alla Corte d’appello di non avere, come il giudice di primo grado, valutato che al momento della proposizione della domanda egli non aveva più la detenzione di fatto o di diritto dell’immobile in quanto in ottemperanza al contratto preliminare, e poi definitivo di compravendita, i locali erano stati consegnati alla società Q., il che avrebbe dovuto portare i giudici di merito a escludere ogni sua legittimazione e/o titolarità passiva.

Il motivo è infondato. Il rapporto tra M. e l’immobile, lungi dall’essere stato omesso, è infatti stato considerato dalla Corte d’appello che – appunto valutando la eccepita carenza di legittimazione passiva di M. – ha osservato (cfr. in particolare le pp. 13-15 del provvedimento) che la qualità di possessore del bene non viene meno con la stipula di un contratto preliminare di compravendita e che ciò vale anche in dipendenza dell’immissione in possesso di altri soggetti, scindendo poi il profilo del difetto di legitimatio ad causam del ricorrente dalla diversa questione della titolarità degli obblighi ripristinatori e risarcitori (e quindi non soltanto ripristinatori come afferma invece M. nel ricorso) facenti a lui capo.”

© massimo ginesi 28 marzo 2018

se il contatore dell’acqua individuale è nell’androne e allaga un fondo commerciale è responsabile il gestore del servizio

E’ quanto afferma Cass. civ. sez. III 27 marzo 2018 n. 72527 con riguardo ad una vicenda in cui la rottura del contatore della rete idrica a servizio di un’unita immobiliare di proprietà esclusiva aveva cagionato gravi danni ad un esercizio condominiale posto al piano terra.

La corte rileva che, ove il contatore non si trovi all’interno della abitazione ma in parti comuni, non possa ravvisarsi una effettiva custodia da parte dell’utente e che la responsabilità del gestore del servizio va indiviuata in forza dell’art. 2043 c.c. e non già in forza dell’art. 2051 c.c., posto che neanche a costui può applicarsi la norma sulla custodia ma deve  piuttosto ravvisarsi una sua negligenza nel non aver vigilato e predisposto  adeguate cautele.

© massimo ginesi 28 marzo 2018

 

 

titolare del diritto di abitazione e nudo propritario rispondono in solido delle spese condominiali

E’ quanto afferma Trib. Milano 25 gennaio 2018 n. 843 sulla scorta dell’art. 67 disp.att. cod.civ., novellato dalla L. 220/2012.

La sentenza definisce, respingendola, l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla nuda proprietaria, sull’assunto che l’art. 1026 c.c. prevede che le disposizioni relative all’usufrutto si applicano, in quanto compatibili, all’uso e all’abitazione, in relazione alle spese di manutenzione ordinaria che competono all’usufruttuario” ed osserva che 

A seguito dell’entrata in vigore della L. n. 220 del 2012, recante normativa di riforma del condominio, avvenuta in data 18/6/2013, il nuovo dettato dell’articolo 67 delle disposizioni di attuazione al codice civile introduce per la prima volta nel nostro ordinamento il principio della solidarietà tra il nudo proprietario e l’usufruttuario per il pagamento di tutti i contributi dovuti per spese condominiali, sia per spese straordinarie che per quelle ordinarie.”

Conclude  dunque il Tribunale lombardo che  per le spese maturate successivamente alla entrata in vigore della novella del 2012 ” Gli opponenti, pertanto, sono tenuti a rispondere in solido per il pagamento di tutti i contributi dovuti, senza alcuna distinzione tra spese ordinarie e straordinarie.

Ne ha alcun rilievo l’eccezione sollevata dalla sig.ra S. di non aver usufruito del diritto di abitazione; non avendo rinunciato formalmente al suo diritto, sono dovuti i pagamenti a favore del condominio.

Deve quindi rigettarsi l’opposizione e confermarsi il decreto ingiuntivo opposto emesso dal Tribunale di Milano nei confronti dei sig.ri. B. e S., ben potendo gli stessi rivalersi in ripetizione l’uno nei confronti dell’altro.”

La solidarietà fra nudo proprietario  e usufruttuario era già stata oggetto di pronuncia del Tribunale di Massa.

© massimo ginesi 27 marzo 2018

l’accordo con l’apppaltatore sulla rinuncia alla sussidiarietà ex art 63 disp.att. cod.civ. non limita la legittimazione ad agire del condomino

Anche ove il condominio inserisca nel contratto di appalto una clausola che imponga all’appaltatore di perseguire i soli condomini morosi, tale accordo non incide sulla legittimazione del condominio a riscuotere le quote, che rimane assolutamente integra e doverosa.

Lo afferma, in una condivisibile sentenza,  Trib. Grosseto 8 marzo 2018 n. 249:

“Vale la pena osservare preliminarmente che il vincolo di esclusione della solidarietà passiva tra i condomini pattuito tra il Condominio e la società esecutrice dei lavori, non rileva in questa sede, atteso peraltro che il Condominio ha richiesto solo il pagamento delle spese di competenza di M.G. e non di altri condomini.

Inoltre, la stipula di un simile accordo non priva in alcun modo il Condominio, in persona del proprio amministratore pro tempore del potere/dovere di attivarsi per il recupero delle spese condominiali. È evidente come l’adesione ad una diversa opzione interpretativa finirebbe per porre a carico esclusivo della società che ha eseguito i lavori l’onere di attivarsi contro i condomini morosi. Sotto altro profilo deve altresì che già all’epoca di instaurazione del presente giudizio era ormai pacifica la natura parziaria delle obbligazioni condominiali (SS.UU. 9148/2008) la cui affermazione, peraltro, non ha mai avuto l’effetto di elidere la legittimazione del Condominio a far valere la pretesa creditoria.”

Meno condivisibile appare la pronuncia laddove, plausibilmente per una imprecisione di stesura, afferma che le tabelle millesima che non hanno contenuto negoziale si approvino con la maggioranza semplice, richiamando le sezioni unite 18477/2010: “Va, inoltre, evidenziato che è approdo ormai consolidato in giurisprudenza che relativamente all’approvazione delle tabelle millesimali, la deliberazione assembleare non ha natura negoziale e non è pertanto necessaria, contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente l’unanimità, essendo sufficiente la maggioranza semplice (SS.UU. n. 18477/18478 del 2010).

La suprema Corte nel 2010finalmente chiarì che le tabelle millesima hanno natura regolamentare e -ove non deroghino ai criteri previsti dagli arti. 1123 e s.s. – si approvano con la maggioranza prevista dall’art 1138 cod.civ., ovvero quella qualificata prevista dal secondo comma dell’art. 1136 cod.civ. 

© massimo ginesi 26 marzo 2018

 

il controverso tema dei saldi passivi di esercizio: in assenza di riconoscimento dell’interessato non è sufficiente l’approvazione dell’assemblea.

Il consuntivo condominiale, laddove in sede di ripartizione determina le somme dovute da ciascuno condomino, reca usualmente anche i saldi delle gestioni precedenti che Fano capo a ciascun partecipante.

Tale voce, in assenza di espresso riconoscimento dell’interessato, non costituisce elemento che il condominio può usare a proprio favore come le altre ordinarie portate dal consuntivo, che invece costituiscono dato probatorio idoneo ad ottenere decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 63 disp.att. cod.civ.

E’ prinpcio affermato di recente da Cass.Civ. sez II.  ord. 22-02-2018, n. 4306 che ha confermato una decisione della Corte di appello di Genova

la vicenda processuale: ” La Corte distrettuale, con la decisione oggi gravata innanzi a questa Corte, in parziale riforma della sentenza inter partes in data 23 ottobre 2008 del Tribunale di Genova ed in parziale accoglimento dell’appello del Condominio stesso, condannava il P. al pagamento in favore del medesimo Condominio della somma di Euro 19.865,10.

In precedenza – va specificato, per completezza – il Tribunale del capoluogo ligure, a seguito di opposizione del P.G., aveva revocato il D.I. del 30 novembre 2004, con cui – su ricorso del Condominio – era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 23.812,07 a titolo di dovute spese condominiali arretrate.

In particolare va evidenziato che il Tribunale di prima istanza aveva accolto l’opposizione a D.I. per difetto della delibera di spesa (riapprovazione di consuntivo e non delibera ad hoc) nel mentre la Corte di Appello genovese – per effetto di nuova documentazione prodotta dal Condominio – aveva condannato, in parte, il condomino moroso.”

il principio di diritto: “Il motivo ripropone innanzi a questa Corte la problematica della questione della “rideliberazione delle spese”, in particolare con riguardo ai residui passivi, in relazione ai quali un tal genere di “rideliberazione” non sarebbe idonea a costituire prova del credito.

Viceversa il Condominio de quo contesta la soluzione di inidoneità della Corte distrettuale ritenendo che, ai sensi delle norme invocate col motivo qui in esame, vi sia comunque attribuzione di valore prescrittivo al consuntivo approvato dall’assemblea condominiale senza distinzione alcuna fra debiti dell’anno di esercizio in corso e debiti pregressi.

La questione è, nella sostanza, quella del valore probatorio attribuibile al riconoscimento, in sede di approvazione di bilancio condominiale, di debiti pregressi dei condomini: tale specifico riconoscimento è – in assenza di partecipazione e di idoneo atto ricognitivo del singolo condomino – riconoscimento/accertamento effettuato dal creditore condominio in proprio favore, quindi, come tale non utilizzabile a proprio favore dal condominio stesso.

Nella concreta fattispecie in esame, mancando ogni opportuna allegazione circa la partecipazione del P. all’assemblea di riapprovazione del bilancio con indicazione dei debito pregressi, deve ritenersi non sussistente la necessaria partecipazione ed il riconoscimento da parte del singolo condominio dei medesimi debiti.”

Non servirà osservare che il problema non si pone ove quei saldi risultino da somme ritualmente approvato negli esercizi precedenti, con l’avviso che tuttavia saranno quelle delibere a costituire prova e non quelle che procedono, successivamente, alla riapprovazione dei saldi di esercizio, di talchè – in sede di richiesta monitoria – sarà opportuno produrre tutte le delibere che si riferiscono agli esercizi in cui sono state approvate le somme richieste e ancora dovute dal condomino. .

© massimo ginesi 23 marzo 2018

negoziazione assistita obbligatoria contraria a norme europee?

Per alcune materie (individuate dal D.L. 132/2014) la negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità della relativa azione, così come la mediazione – ai sensi del dlgs 28/2010 – la i integra per le liti condominiali.

Il Tribunale di Verona  con sentenza 28 febbraio 2018 ha ritenuto il-procedimento di negoziazione assistita contrario all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea e ha direttamente disapplicato la normativa.

Osserva il giudice scaligero che

i costi del procedimento, dovuti al necessario compenso degli avvocati coinvolti, lo renderebbe di fatto imprevedibilmente oneroso e, come tale, incompatibile con la disciplina europea

la tesi non è priva di suggestione, resta tuttavia da osservare che si presta ad analoga applicazione alla mediazione obbligatoria, posto che il contenimento dei costi per tale procedimento – cui fa riferimento la sentenza – attiene unicamente al compenso del mediatore mentre i difensori delle parti, essendo l’assistenza tecnica obbligatoria per le materie in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità, finisce per far parimenti lievitare i costi della ADR.

© massimo ginesi 21 marzo 2018