nomina di amministratore giudiziario e ricorso in cassazione.

una recente pronuncia  del giudice di legittimità (Cass.Civ. sez. VI 16 novembre 2017 n. 27165 rel. Scarpa) ribadisce un consolidato principio, ovvero l’inammissibilità del ricorso in cassazione contro il provvedimento che statuisca sulla nomina di amministratore giudiziario del condominio da parte del giudice di merito, per inidoneità dello stesso a divenire cosa giudicata.

Contro la decisione del Tribunale è dunque ammesso reclamo alla Corte di appello, ma la statuizione di quest’ultima non è ulteriormente ricorribile in cassazione, se non  per il capo relativo alla condanna alle spese.

La pronuncia coglie l’occasione per delineare anche gli stretti confini dell’azione in sede di volontaria giurisdizione, in cui non possono trovare ingresso tematiche riservate invece all’ordinario giudizio contenzioso.

Secondo consolidato orientamento di questa Corte, infatti, è inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la corte di appello provvede sul reclamo contro il decreto del tribunale in tema di nomina dell’amministratore di condominio, previsto dall’art. 1129, comma 1, c.c., attesa la carenza di attitudine al giudicato di quest’ultimo, non essendo diretto a risolvere un conflitto di interessi ma solo ad assicurare al condominio l’esistenza dell’organo necessario per l’espletamento delle incombenze ad esso demandate dalla legge.

La mancanza di decisorietà del decreto non viene meno neppure in ragione della dedotta violazione di norme strumentali preordinate alla sua emissione, in quanto il carattere non definitivo di esso si estende necessariamente alla definizione di ogni questione inerente al procedimento nel quale viene reso. Tale ricorso è invece ammissibile esclusivamente avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame è stata adottata, e pertanto dotata dei connotati della decisione giurisdizionale con attitudine al giudicato, indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede (Cass. Sez. 2, 06/05/2005, n. 9516; Cass. Sez. 2, 11/04/2002, n. 5194;Cass. Sez. 2, 21/02/2001, n. 2517; Cass. Sez. 2, 13/11/1996, n. 9942).”

Quanto ai limiti del giudizio, la corte osserva che “Esulano, pertanto, dall’ambito del procedimento di nomina giudiziale dell’amministratore le questioni inerenti all’eventuale esistenza di conflitti, sia all’interno del condominio, da parte di quei condomini che ritengano che l’amministratore sia stato già eletto, sia all’esterno, da parte di chi sostenga di essere stato investito validamente dell’ufficio di amministratore, in quanto tali conflitti devono risolversi nell’appropriata sede assembleare, e lo strumento di tutela è quello giurisdizionale, secondo le regole ordinarie poste dall’art. 1137 c.c.

Né possono essere oggetto del procedimento di nomina giudiziale ex art. 1129 c.c. le irregolarità gestionali che si attribuiscano all’amministratore in carica.

Sono infine prive di ogni inerenza decisoria rispetto al proprium del procedimento ex art. 1129, comma 1, c.c., le questioni preliminari circa la configurabilità di un unico condominio, o di condomini separati ed autonomi seppur aventi parti comuni, sul modello attualmente contemplato dagli artt. 1117 bis c.c. e 67, commi 3 e 4, disp. att. c.c., trattandosi all’evidenza di questioni da risolvere in un giudizio contenzioso che veda quali legittimi contraddittori i comproprietari del bene.”

© massimo ginesi 27 novembre 2017

 

CONDOMINIO E SUPERCONDOMINIO NON SI COSTITUISCONO, SEMPLICEMENTE INIZIANO AD ESISTERE

E’ principio consolidato nella giurisprudenza della cassazione che il condominio non richieda alcuna formale costituzione, venendo semplicemente a sussistere  quando in un edificio due unità immobiliari iniziano ad appartenere a due soggetti distinti.

E’ principio che vale anche per il supercondominio, come di recente  affermato dal giudice di legittimità (Cass.Civ. II sez. 15 novembre 2017  n. 27094).

La Corte d’appello, nell’affermare la natura giuridica di supercondominio del Condominio(OMISSIS) si pone in coerenza con la giurisprudenza di questa Corte, che ha più volte affermato che “al pari del condominio negli edifici, regolato dall’art. 1117 c.c. e segg., anche il c.d. supercondominio, viene in essere ipso iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi” (così Cass. 17332/2011).

Il ricorrente rimprovera alla Corte d’appello di aver completamente prescisso dal regolamento condominiale, ma così non è avendo la Corte osservato che il regolamento già contemplava la nomina di singoli amministratori per i singoli edifici, ritenendo poi – sulla base di elementi di fatto non censurabili di fronte a questa Corte – che il complesso sia costituito da una “pluralità di (OMISSIS) che utilizzano alcuni servizi in comune con ciò ricalcando puntualmente il paradigma del supercondominio secondo l’accezione fattuale e giuridica” delineata da questa Corte.”

© massimo ginesi 23 novembre 2017

il condomino proprietario di due unità in edifici attigui non può collegarle.

E’ principio  consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il soggetto proprietario di due unità immobiliari – poste in distinti edifici condominiali – non possa porle in collegamento per determinazione unilaterale, anche ove gli edifici siano attigui, poiché tale attività comporta la costituzione di una servitù a carico delle parti comuni, che richiede necessariamente il consenso di tutti i condomini.

Il tema è ripreso da una recente pronuncia (Cass.Civ. sez. VI ord. 16 novembre 27164 rel. Scarpa), che applica il principio anche ad una ipotesi apparentemente innocua, ovvero la semplice eliminazione di un setto divisorio fra due balconi appartenenti allo stesso proprietario e che tuttavia sono posti in due edifici distinti.

La pronuncia si rivela interessante anche per la connotazione degli obblighi che incombono ex art. 1122 cod.civ. al singolo che intenda effettuare modifiche, seppur con riguardo alla formulazione della norma ante 2012 (la legge 22072012 ha reso ancor più stringenti gli oneri di comunicazione per il condomino che introduca modifiche nella propria unità, quando queste abbiano incidenza anche sulle pareti comuni).

il caso – “Il Tribunale di Ragusa ha rigettato la domanda di R.G., volta alla ricostruzione di un muretto e di una ringhiera di separazione dei balconi di due unità immobiliari, entrambe di proprietà di P. G. ma comprese in due distinti, seppur contigui, edifici condominiali (quello di via S. C. e quello di via M. S. 51), che il convenuto aveva posto in comunicazione rimuovendo gli indicati manufatti. Riformando la decisione del Giudice di pace, il Tribunale ha osservato che i balconi aggettanti non costituiscono parti comuni dei fabbricati condominiali, ma rientrano nelle rispettive proprietà esclusive, e sono perciò modificabili senza che possa sussistere violazione dell’art. 1102 c.c.”

i principi di diritto – il giudice di legittimità osserva che “E’ corretto evidenziare in premessa come, mentre l’art 1102 c.c. riguarda esclusivamente le opere compiute dal condomino sulla cosa comune, l’art. 1122 c.c. (nella formulazione qui applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 220/2012) disciplina l’ipotesi in cui l’opera sia effettuata dal condomino sulla cosa propria (nella specie, i balconi aggettanti, costituenti un prolungamento dei due appartamenti di P. G.).

Anche peraltro la facoltà di eseguire opere sulle parti di proprietà esclusiva incontra, proprio nell’art. 1122 c.c., il limite consistente nel danno alle parti comuni dell’edificio, danno che comprende ogni diminuzione di valore riferito alla funzione della cosa, considerata nella sua unità (cfr. Cass. Sez. 2, 25/01/1995, n. 870; Cass. Sez. 2, 26/03/1963, n. 745).

Il ricorso di R.G. assume fondatamente che il Tribunale non ha preso in considerazione la sua specifica deduzione, riproposta nella comparsa di costituzione in appello, secondo cui l’aver reso i due edifici comunicanti, mediante la rimozione delle separazioni esistenti sui balconi di proprietà di P. G., ha comportato la illegittima costituzione di una servitù a favore dell’appartamento di via M S., se non a carico di quello di via S. C. (operando il principio nemini res sua servit), tuttavia a danno della proprietà condominiale di quest’ultimo fabbricato.

La sentenza del Tribunale di Ragusa non ha infatti valutato che anche un’opera su parte di proprietà esclusiva, che consenta ad un condomino la comunicazione tra il proprio appartamento ed altra unità immobiliare attigua, sempre di sua proprietà, ma ricompresa in un diverso edificio condominiale, può determinare la creazione di una servitù a carico di fondazioni, suolo, solai e strutture dell’edificio (per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio), dando luogo ad un rapporto di pertinenzialità tra i beni comuni ex art. 1117 c.c. di ciascuno dei due condomìni messi in collegamento e un’unità immobiliare non partecipante in origine ad essi (arg. da Cass. Sez. 2, 14/12/2016, n. 25775 del; Cass. Sez. 2, 05/03/2015, n. 4501; Cass. Sez. 2, 14/06/2013, n. 15024 ; Cass. Sez. 2, 06/02/2009, n. 3035; Cass. Sez. 2, 26/09/2008, n. 24243; Cass. Sez. 2, 19/04/2006, n. 9036; Cass. Sez. 2, 07/03/1992, n. 2773 )”.

© massimo ginesi 22 novembre 2017

presidente e segretario dell’assemblea di condominio: si pronuncia la cassazione.

La mancata sottoscrizione del verbale da parte del presidente e del segretario della assemblea non può mai comportare l’invalidità della delibera assunta, neanche quando tali figure sono  previste obbligatoriamente dal regolamento.

Lo afferma Cass.Civ.  sez. VI ord. 16 novembre 2017 n. 27163 rel. Scarpa che sottolinea come si tratti di figure che – in ambito condominiale – non sono previste  espressamente da  alcuna norma di legge e che, anche ove sussistano irregolarità relative alla loro  nomina o al loro  operato, le stesse non possono mai comportare nullità della delibera assunta nella riunione ove hanno svolto funzioni.

“Nella disciplina del condominio antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 220/2012 (ratione temporis applicabile per giudicare la validità dell’impugnata deliberazione assembleare risalente al 9 febbraio 2006), non esisteva alcuna prescrizione legale che imponesse la nomina del presidente dell’assemblea, facendo a tale figura riferimento soltanto l’art. 67, comma 2, disp. att. c.c.; né tale obbligo poteva desumersi per implicito dall’obbligo di redazione del processo verbale delle deliberazioni (ora “delle riunioni”) dell’assemblea stabilito dall’art. 1136, comma 7, c.c. Tanto meno sussiste, prima come dopo la Riforma del 2012, una disposizione di legge che prescriva (a differenza di quanto il Codice civile fa all’art. 2375 per le deliberazioni dell’assemblea delle società per azioni) che le delibere dell’assemblea dei condomini debbano constare da verbale sottoscritto dal presidente e dal segretario.

E’ la natura di organo collegiale dell’assemblea condominiale che lascia presumere che essa agisca sotto la direzione del presidente, il quale ne accerta la regolare costituzione, apre e regola la discussione sugli argomenti indicati nell’ordine del giorno, indice la votazione e ne dichiara il risultato, conferendo all’assemblea concretezza di espressione comunicativa (arg. da Cass. Sez. 2, 13/11/2009, n. 24132).

In epoca risalente, questa stessa Corte aveva così affermato che, proprio perché la nomina del presidente e del segretario dell’assemblea dei condomini non è prevista da alcuna norma (come anche la redazione per iscritto del verbale che non incida su diritti reali immobiliari), le eventuali irregolarità formali relative alla nomina del Presidente e del segretario dell’assemblea dei condomini non comportano l’invalidità delle delibere dell’assemblea (Cass. Sez. 2, 16/07/1980, n. 4615; Cass. Sez. 2, 27/06/1987, 5709).

La Corte d’Appello di Palermo ha desunto che l’invalidità del verbale di assemblea, giacchè non sottoscritto da parte del presidente, discendesse nel caso in esame dall’essenzialità di tale figura alla stregua dell’art. 10 del regolamento del Condominio di via B., ma non può logicamente concludersi che la disposizione regolamentare che obblighi l’assemblea a nominare un presidente comporti ex se l’automatica annullabilità del verbale comunque redatto sotto la direzione del presidente nominato e soltanto da questo non firmato.”

 

© massimo ginesi 17 novembre 2017 

minacce all’amministratore: quando hanno rilevanza penale.

L’amministratore di condominio è soggetto che svolge una funzione delicata e spesso si trova al centro di conflitti  emotivi e personali, che sfociano in diverbi e recriminazioni  verbali anche molto pesanti.

Il condomino che trascende e rivolge all’amministratore affermazioni pesanti non sempre, tuttavia, supera la soglia della illiceità penale.

Cass.pen.  sez. V 13 novembre 2017 n. 51618  ha correttamente ritenuto che non commetta reato il condomino esasperato che, criticando l’operato dell’amministratore per oggettive manchevolezze, gli auguri una malattia letale e gli rivolga l’espressione “gliela faremo pagare”, cassando dunque la sentenza di condanna del giudice di merito che lo aveva invece condannato.

Non sempre ciò che tocca le corde emotive del soggetto coinvolto integra anche gli estremi del reato, che è invece una fattispecie complessa a valenza oggettiva e soggettiva: nel caso in esame le ragioni sono assai semplici ed intuitive, ed attengono al contesto stesso in cui si sono svolti i fatti.

L’augurio di una malattia grave – seppur sgradevole ed incivile – non può, ovviamente, costituire minaccia ex art. 612 cod.pen. per la semplice ragione che il suo avverarsi prescinde totalmente dalla sfera di potere dell’agente, sì che il prospettare  a qualcuno un male ingiusto – elemento oggettivo del reato di minaccia – presuppone che il colpevole abbia la possibilità concreta di porre in essere il pregiudizio preannunziato, evenienza  che – evidentemente – per la malattia non sussiste.

Quanto all’espressione “gliela faremo pagare”, pronunciata al termine di una serie di legittime contestazioni all’operato dell’amministratore, per la sua genericità e assenza di qualunque riferimento a condotte violente, può anche semplicemente significare che l’agente intende rivolgersi all’autorità giudiziaria per un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, sì da escludere in radice la sussistenza di qualunque valenza minacciosa,   non sussistendo elementi sufficienti idonei a caratterizzare l’ingiustizia delle conseguenze minacciate.

 

per l’articolata analisi, la sentenza perita integrale lettura

minaccia_amministratore

© massimo ginesi 16 novembre 2017

mediazione demandata in appello: una pronuncia discutibile.

Posto che  i tempi della giustizia sono ormai biblici e il carico di lavoro significativo, la corte di appello può decidere di disporre la c.d. mediazione demandata, ovvero disporre che le parti compaiano per ordine del giudice dinanzi al mediatore, per provare a conciliare la controversia.

Si tratta di un istituto originariamente previsto dall’art. 5 comma II D.Lgs. 28/2010 e profondamente rivisto dal legislatore  nel 2013:  oggi il giudice non è più chiamato a proporre alle parti un semplice invito a tentare la strada della mediazione ma, quando lo ritiene  opportuno, dispone l’esperimento del procedimento di mediazione che, in tal caso, diviene condizione di procedibilità della domanda.

In tal senso ha statuito di recente la Corte di Appello di Napoli ord. 21.9.2017, ponendo a fondamento della decisione la prevedibile lunghezza del procedimento di secondo grado.

Si tratta di un uso decisamente creativo dell’istituto, nato per favorire la conciliazione di quelle liti in cui il giudice percepisce l’opportunità – per la natura degli interessi in gioco e l’atteggiamento delle parti – di una possibile soluzione pacifica,  volto a sopperire invece alle inefficienze del sistema.

Di interesse invece l’indicazione sulle modalità di partecipazione alla mediazione, che ribadisce l’orientamento giurisprudenziale che sempre più vede affermarsi la necessità di un effettivo esperimento del tentativo di conciliazione e non la mera partecipazione formale delle parti:

© massimo ginesi 14 novembre 2017

lo strano paese a doppio binario: garante privacy e anagrafe condominiale

Il legislatore del 2012 ha riformato l’art. 63 disp.att. cod.civ. prevedendo che “Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”.

Si tratta di norma opportuna sotto il profilo sostanziale, volta ad attuare certezza all’interno della compagine condominiale, sotto il profilo degli effettivo componenti, e a garantire che le somme dovute al condominio vengano garantite in caso di trasferimento, situazione che spesso da luogo a controversie che inducono i due contendenti a sottrarsi alla contribuzione.

La previsione normativa è parsa sin dall’inizio eccessivamente onerosa e formale, poiché la trasmissione di coppia autentica dell’atto notarile eccede le necessità di conoscenza dell’amministratore e comporta un aggravio economico per il venditore, oltre a comportare necessariamente tempi tecnici per la sua predisposizione, sicché si è ritenuto sin da tutto principio che i giudici avrebbe interpretato la norma cum grano salis, ritenendo idonea qualunque comunicazione che contenesse i dati necessari a rendere edotto il condominio dell’avvenuto trasferimento.

Si tratta tuttavia di norma di legge, che può essere modificata da fonte analoga, oppure interpretata da chi è chiamato ad applicarla in sede giurisdizionale.

Accade invece che il Garante della privacy sostanzialmente integri la previsione normativa con un proprio contenuto, in un’ottica sicuramente condivisibile sotto il profilo sostanziale, ma che lascia perplessi per la sua attitudine formale: sul sito del garante alcune settimane fa compare la notizia che il garante – dopo essersi consultato con il consiglio nazionale del notariato, ha ritenuto che ““Il condomino può dare notizia all’amministratore di condominio dell’avvenuto trasferimento di un diritto, come nel caso della compravendita di un’unità immobiliare, oltre che tramite la trasmissione della copia autentica dell’atto di cessione, anche mediante la c.d. dichiarazione di avvenuta stipula rilasciata dal notaio rogante, purché essa risulti provvista di tutte le indicazioni utili all’amministratore ai fini della tenuta del registro dell’anagrafe condominiale.”

L’approdo è certamente condivisibile, ma ci chiediamo da quando le norme di legge vigenti possono essere mutate sotto il profilo sostanziale da provvedimenti interpretativi di un soggetto che non ha potestà legislativa.

© massimo ginesi 9 novembre 2017

deroga alle distanze fra costruzioni: neanche il Comune può consentirla se non in casi specifici.

Una sentenza lunga e articolata (Cass.civ. sez. II  7 novembre 2017 n. 26354), che affronta un tema interessante:  l’Autorità urbanistica locale non può assentire costruzioni che deroghino alle norme di legge in materia (siano esse quelle civilistiche o quelle integrative locali richiamate) se non all’interno di piani particolareggiati di lottizzazione, che siano volti a dare un assetto e uno sviluppo unitario ad una porzione di territorio, sì che in quel contesto l’autorità locale ben può valutare che simili deroghe siano funzionali allo sviluppo armonico della edificazione dell’intero comparto.

Una sentenza articolata e complessa, che merita integrale lettura e che avrà anche uno specifico interesse per i processualisti, affrontando con ampiezza la questione della rilevabilità d’ufficio delle nullità.

deroga distanze_cassazione_II_civile_26354_2017

© massimo ginesi 8 novembre 2017 

 

Ancora sulla responsabilità da cosa in custodia: caduta nelle scale del condominio.

 

Una fattispecie davvero particolare affrontata dalla Cassazione (Cass. civ. sez. III 31 ottobre 2017 n. 25856) in tema di responsabilità del condominio .

Una donna scivola lungo le scale condominiali ,  a causa di un materiale sparso  da un sacchetto dell’immondizia lasciato sulle scale, riporta lesioni e fa causa  al condominio per essere risarcita, vedendo la sua domanda respinta sia in primo che in secondo grado.

Il giudice di legittimità si richiama a princpi consolidati in tema di imputabilità del fatto dannoso e di responsabilità da cosa in custodia.

Da un lato osserva che il sacchetto lasciato sulle scale da qualche condomino è fatto imprevedibile che interrempe il nesso causale con il condominio, dall’altro richiama gli ordinari princpi in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato, che deve comunque adottare l’opportuna diligenza nei fatti quotidiani della vita.

“la corte di merito ha ritenuto in fatto  e con valutazione fondata su adeguata motivazione, come tale non sindacabile in questa sede,  che la ricorrente era caduta scivolando sui residui di un sacchetto di immondizia lasciato aperto sulle scale condominiali, e che tale circostanza rappresentava un evento estraneo alla sfera di custodia dell’amministratore del condominio, eccezionale, imprevedibile e non evitabile, tale da poter configurare il caso fortuito, e quindi costituiva l’unica causa del danno, il che era sufficiente ad integrare la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c..

L’esclusione della sussistenza del nesso di causa tra la cosa in custodia e l’evento lesivo, escludono in radice, d’altra parte, la possibilità di affermare una responsabilità per colpa ai sensi dell’art. 2043 c.c. da parte dello stesso amministratore del condominio”

La corte coglie poi l’occasione per ripercorrere i criteri generali della responsabilità da custodia, aldilà dell’ambito condominiale, parametri che sono comunque utili a delineare i confini entro i quali  il condominio potrebbe essere chiamato a rispondere del danno subito dal terzo.

“a) in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (nella specie, la S. C. ha ritenuto eziologiamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneità dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada) (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017, Rv. 644282 – 01);

b) ai sensi dell’art. 2051 c. c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, Rv. 640508 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 23584 del 17/10/2013, Rv. 628725 – 01);

c) in tema di responsabilità del custode, la ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivato» (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10014 del 20/04/2017, Rv. 643830 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 6753 del 06/04/2004, Rv. 571873 – 01)”

© massimo ginesi 7 novembre 2017

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la cassazione ritorna sull’art. 1134 cod.civ. e le anticipazioni del singolo

Cass.Civ. II sez. 30 ottobre 2014 n. 25729 affronta ancora una volta il tema delle anticipazioni di spesa effettuate da un singolo condomino e il suo diritto ad ottenere rimborso dagli altri, ove l’esborso abbia riguardato interventi su parti comuni.

L’art. 1134 cod.civ. individua il presupposto di tale diritto alla refusione nell’urgenza della spesa e nella sua indifferibilità, che comporterebbe la legittimità dell’intervento del singolo in sostituzione del generale potere gestorio in capo all’amministratore e alla collettività condominiale.

La Corte, con motivazione sinteticissima, cassa una pronuncia del Tribunale di Sassari, resa in appello su pronuncia del giudice di Pace di Alghero, in cui si era ravvisata tale urgenza nella necessità di provvedere alle spese per la difficoltà a raccogliere il consenso  degli altri condomini.

L’urgenza delineata dall’art. 1134 cod.civ. deve essere legata a situazione di indifferibilità  concreta  dell’intervento, che è ancorata ad un dato fattuale significativo ed imprevedibile e non può essere ravvisata nella semplice inerzia degli altri condomini o nella difficoltà a procurarsi il loro consenso o la loro collaborazione.

Una pronuncia che conferma il costante (e condivisibile) orientamento restrittivo della giurisprudenza di legittimità sulla portata dell’art. 1134 cod.civ., che finirebbe altrimenti per diventare un grimaldello per scardinare la gestione collettiva dei beni comuni.

© massimo ginesi 31 ottobre 2017