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divieto di parcheggio in cortile, regolamento nullo e art. 1102 cod.civ.
Cass. civ. II sez. 27 dicembre 2016 n. 27043.
La Suprema Corte, sul finire dell’anno, si pronuncia su una interessante questione: il regolamento di condominio contiene una clausola che vieta il parcheggio delle auto nel cortile condominiale, uno dei condomini lo impugna per difetto relativi al quorum deliberativo, il Condominio ed i condomini, singolarmente costituiti, chiedono in via riconvenzionale di dichiarare comunque – ove il regolamento venga travolto dalla pronuncia – l’illegittimità del parcheggio per contrarietà all’art. 1102 cod.civ.
Osserva la corte che “Come chiarito dalle due sentenze di merito la declaratoria di nullità del regolamento condominiale approvato il 13.05.2002, per difetto deliberativo, non impediva il vaglio della domanda riconvenzionale, con la quale i convenuti avevano chiesto dichiararsi illegittima la pretesa dell’odierno ricorrente di posteggiare l’automobile nel cortile condominiale, in quanto in contrasto con gli articoli 1101, 1102, 1118 e 1120 codice civile. Invero, non si rinviene il lamentato difetto di interesse in capo alla controparte, la quale, caducato il regolamento, il quale poneva il divieto, astratto e generale, trova soddisfazione nell’affermazione che il cortile condominiale, a cagione suo modo di essere, non consentiva, in concreto, parcheggio, in quanto violava per articolo 1102 codice civile. Ovviamente, e specularmente, non si configura il giudicato prospettato, né la incompatibilità logica denunziata, trattandosi di aree decisorie non sovrapponibili neppure in parte.”
In sostanza, rileva la Corte, una volta venuto meno il divieto astratto e generale di parcheggio stabilito dal regolamento caducato, nulla vieta che il Giudice possa comunque valutare (e decidere, sulla scorta della domanda riconvenzionale avanzata a tal proposito) che il parcheggio, per le concrete modalità con cui viene effettuato, risulti comunque lesivo dei diritti degli altri condomini e quindi ritenerlo comunque non consentito.
“Come si è cercato di spiegare, in assenza di preclusione di sorta, davanti alla domanda dell’attore, diretta ad ottenere l’invalidazione del regolamento condominiale, il condominio e gli altri condomini, nel caso in cui quella pretesa fosse stata giudicata fondata (evenienza in concreto poi verificatasi), avevano inteso perseguire la negazione dell’uso a parcheggio, previo accertamento dell’incompatibilità dello stesso con il modo d’essere in concreto del predetto cortile. In altri termini, nel mentre il regolamento stabiliva una regola tassativa, sganciata da qualsivoglia situazione di fatto che la investisse anche di sola mera opportunità, il divieto giudiziale si fonda su ben altri presupposti”
“Per le stesse ragioni non può condividersi che con una tale pronunzia il giudice si sia illegittimamente surrogato il potere deliberativo dell’assemblea: esattamente al contrario, qui il giudice si è limitato a vietare una data utilizzazione della cosa comune in quanto incompatibile con i diritti degli altri condomini”
Quanto all’applicabilità del principe di cui all’art. 1102 cod.civ. : “... Non resta da osservare che la statuizione, i cui presupposti (implicanti accertamento di merito) non sono in questa sede censurabili, attraverso la fonte di sapere derivante dalla svolta c.t.u., ha ritenuto che l’uso a posteggio, anche di una sola autovettura, del piccolo cortile era tale da impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (articolo 1102 codice civile) in specie rendendo particolarmente disagevole l’ingresso di mezzi all’interno delle esistenti private autorimesse.
Il collegio condivide, siccome recentemente chiarito (sezione due numero 7467 del 14.04.2015) che la nozione di pari uso della cosa comune, gli effetti dell’articolo 1102 codice civile, non va intesa nei termini di assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l’identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell’oggetto della comunione. Tuttavia, nel caso al vaglio, la pretesa di utilizzare l’angusto cortile per posteggiare la propria autovettura, non solo impedirebbe l’uso paritario da parte degli altri condomini, ma renderebbe oltre modo difficoltosa l’utilizzazione dei garage di loro esclusiva proprietà, così immutando la destinazione del cortile. Peraltro il criterio dell’uso promiscuo della cosa comune, desumibile dall’articolo 1102 codice civile, richiede che ciascun partecipante abbia diritto di utilizzare la cosa comune come può (nel caso passandovi o stazionandovi a piedi o con l’ausilio di mezzi diversi e meno ingombrante di un’automobile) e non in qualunque modo voglia, atteso il duplice limite derivante dal rispetto della destinazione della cosa e della pari facoltà di godimento degli altri comunisti.”
Spiace infine rilevare come, sempre più spesso, i giudici siano costretti a censurare non già le ragioni di diritto ma il materiale confezionamento degli atti, come si legge in apertura di motivazioni, non certo un inno di lode per l’avvocatura: “La corte non può fare a meno di rilevare la mancanza di rigore formale e logico nell’esposizione delle doglianze, inquinata da ripetizioni, accorpamenti e promiscuità, tali da porre ai limiti dell’ammissibilità il ricorso.”
© massimo ginesi 2 gennaio 2017
BUON ANNO NUOVO!
2017
art. 659 cod.pen.: il disturbo alle persone in condominio
La Suprema Corte detta i limiti del reato di disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone in ambito condominiale (Cass. pen. III sez. 29 dicembre 2016 n. 55096).
In primo luogo la corte chiarisce che la fattispecie penale è tuttora vigente: “ Il reato previsto dall’articolo 659 codice penale non risulta depenalizzato; non rientra tra le ipotesi di depenalizzazione del d. lgs. n.7 e n. 8 del 2016. La previsione della depenalizzazione nella legge numero 67 del 2014 all’articolo 2 non è sufficiente per ritenere depenalizzato il reato. Il reato previsto dall’articolo 659 codice penale, disturbo dell’occupazione di riposo delle persone, non può ritenersi abrogato per effetto diretto della legge 28 aprile 2014, numero 67, posto che tale atto normativo ha conferito al Governo una delega, implicante la necessità del suo esercizio per la depenalizzazione di tale fattispecie”
Il giudice di legittimità delinea poi i limiti del reato all’interno di un fabbricato plurifamiliare: “Trattandosi di condominio la configurabilità del reato è realizzata solo se il disturbo non sia limitato gli appartamenti sovrastanti e sottostanti a quello del disturbatore: “perché sussista la contravvenzione di cui all’articolo 659 codice penale relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante sottostante la fonte di propagazione ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio… Integra la contravvenzione di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone l’organizzazione di feste e cerimonie all’interno di uno scantinato di edificio condominiale che si protraggano per ore, con schiamazzi, rumori e abuso di strumenti sonori idonei a diffondersi all’interno e all’esterno dello stabile, con pregiudizio della tranquillità di un numero indeterminato di persone”
Decisamente verificata l’ipotesi nel caso all’esame della corte: “Nel nostro caso l’intensità dei rumori, che ha costretto intere famiglie uscire dalla casa per trovare un po’ di pace, e la lettera esposto la curia, con richiesta di intervenire quale proprietario dell’appartamento, inducono a ritenere, come adeguatamente motivato la sentenza impugnata, che il disturbo sia venuto nei confronti di un numero indeterminato di persone, o comunque era potenzialmente idonea di infastidire tutto lo stabile ed anche oltre”
© massimo ginesi 31 dicembre 2016
more solito: contabilizzazione, la proroga dell’ultimo minuto…
il c.d. decreto milleproroghe ha rinviato al 30 giugno 2017 il termine per adeguarsi alla normativa in tema di contabilizzazione, intervenendo sulle scadenze già previste nel d.lgs 102/2014.
Il nuovo termine è previsto per le lettere a) e b) dell’art. 9 comma 5 del D.Lgs 102/2014, ha quindi per oggetto le sole due ipotesi che seguono:
“5. Per favorire il contenimento dei consumi energetici attraverso la contabilizzazione dei consumi di ciascuna unita’ immobiliare e la suddivisione delle spese in base ai consumi effettivi delle medesime individuale (9):
a) qualora il riscaldamento, il raffreddamento o la fornitura di acqua calda ad un edificio o a un condominio siano effettuati tramite allacciamento ad una rete di teleriscaldamento o di teleraffrescamento, o tramite una fonte di riscaldamento o raffreddamento centralizzata, e’ obbligatoria, entro il 31 dicembre 2016, l’installazione, a cura degli esercenti l’attivita’ di misura, di un contatore di fornitura in corrispondenza dello scambiatore di calore di collegamento alla rete o del punto di fornitura dell’edificio o del condominio (10);
b) nei condomini e negli edifici polifunzionali riforniti da una fonte di riscaldamento o raffreddamento centralizzata o da una rete di teleriscaldamento o da un sistema di fornitura centralizzato che alimenta una pluralita’ di edifici, e’ obbligatoria l’installazione entro il 31 dicembre 2016, a cura del proprietario, di sotto-contatori per misurare l’effettivo consumo di calore o di raffreddamento o di acqua calda per ciascuna unita’ immobiliare, nella misura in cui sia tecnicamente possibile, efficiente in termini di costi e proporzionato rispetto ai risparmi energetici potenziali. L’efficienza in termini di costi puo’ essere valutata con riferimento alla metodologia indicata nella norma UNI EN 15459. Eventuali casi di impossibilita’ tecnica alla installazione dei suddetti sistemi di contabilizzazioneo di inefficienza in termini di costi e sproporzione rispetto ai risparmi energetici potenziali, devono essere riportati in apposita relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato;”
è invece rinviata al 31.12.2017 la durata degli incentivi per i progetti energetici di grandi dimensioni di cui all’art. 14 comma 11 D.lgs 102/2014.
Con buona pace di coloro che si erano diligentemente attivati per rispettare la scadenza stabilita.
© massimo ginesi 30 dicembre 2016
una nuova rubrica…
questa rubrica prende il posto di “non solo massime”, una rassegna di giurisprudenza che per molti anni ho curato, con grande piacere, su una rivista di settore.
“attenti a quei due” è stata una serie televisiva degli anni 70, con Tony Curtis e Roger Moore in forma strepitosa, che giocava su avventure, humor inglese e ironia.
La rubrica, in luogo della rassegna giurisprudenziale ormai ampiamente svolta in “news” e “approfondimenti”, diventerà una rassegna ironica e scanzonata sullo stupidario del condominio nel web (e non solo), per orientarsi fra professionisti del copia/incolla, divulgatori di scemenze seriali e spacciatori di leggende metropolitane.
cooming soon…
Le sette meraviglie della Lunigiana
la mia terra, le mie montagne i miei luoghi.
Una pregevole iniziativa editoriale cui ho avuto l’onore di partecipare con alcune fotografie.
invio convocazione e verbale a mezzo posta: la cassazione ci ripensa
La Corte di Cassazione, II sezione, con sentenza 14 dicembre 2016 n. 25791 fornisce una interpretazione decisamente più rigida rispetto ad un orientamento che sembrava ormai consolidato.
Afferma la Corte che, quando il destinatario della raccomandata è assente, non può ritenersi avverata la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod.civ. con il recapito del plico al suo domicilio, poiché l’avviso che lascia il postino, relativo al deposito presso l’ufficio postale, non contiene alcuna indicazione sui contenuti della lettera e come tale è inidoneo a rendere edotto i destinatario.
Ne consegue che, bilanciando gli interessi del mittente con quelli del destinatario, ad avviso della Corte – applicando un principio analogo a quello degli atti giudiziari – potrà ritenersi perfezionata la comunicazione decorsi dieci giorni di giacenza presso l’ufficio postale (oppure nel momento intermedio in cui il soggetto si reca a ritirare effettivamente il plico presso l’ufficio).
La vicenda nasce dall’invio di un verbale di assemblea, successivamente impugnato da un condomino nei trenta giorni dal ritiro della relativa raccomandata: i giudici di primo grado e di appello avevano considerato tardiva l’impugnazione, in applicazione del precedente orientamento che faceva decorrere il termine dal rilascio dell’avviso di giacenza, mentre l’odierna pronuncia ha ritenuto l’impugnativa tempestivamente promossa.
La sentenza, seppur con implicazioni pratiche di rilievo, afferma principi che paiono astrattamente condivisibili e garantisti – rispetto al precedente orientamento che indubitabilmente comprimeva molto i diritti del destinatario – e merita integrale lettura.
Rappresenta in ogni caso motivo di grande attenzione per gli amministratori, che dovranno tenere conto di questa lettura – ove non rimanga episodio isolato – soprattutto nell’invio degli avvisi di convocazione, onde non incorrere nella violazione del termine previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ.
© massimo ginesi 22 dicembre 2016
mediazione e 1137 cod.civ. : un paio di interessanti riflessioni
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 13360/2016 pubbl. il 02/12/2016, ha ribadito alcuni passaggi cruciali in tema di mediazione ed impugnazione delle delibere condominiali annullabili, ossia quelle che vedono la possibilità di ricorrere al Giudice nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 cod.civ.
Le norme sulla mediazione (art. 5 VI comma D.Lgs 28/2010 e succ. mod.) prevedono che: ” Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresi’ la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo.”
La norma deve essere intesa nel senso che, una volta proposto (e comunicato all’altra parte) il procedimento di mediazione nel termine previsto dall’art. 1137 cod.civ., la relativa causa – ove la mediazione fallisca – dovrà essere proposta nel termine di trenta giorni dal deposito del verbale di mediazione.
La mediazione dunque interrompe e non sospende il termine per l’impugnativa, che ridecorrerà per intero ai fini dell’introduzione della causa.
In tal senso si sono già pronunciati molti giudici di merito (Tribunale di Monza, 12.1.2106 n.65), salvo il Tribunale di Palermo che con sentenza 19/09/2015 n° 4951 ha invece ritenuto l’effetto della mediazione solo sospensivo.
Il Tribunale lombardo ritorna sul punto con chiara motivazione: “instaurato tempestivamente il procedimento di mediazione, il predetto termine decadenziale di trenta giorni è stato interrotto salvo a riprendere nuovamente a decorrere, ai sensi dell’art. 5, comma sesto, del decreto legislativo n. 28 del 2010, a far data dal deposito del verbale presso la segreteria dell’organismo di mediazione avvenuto il 12 febbraio 2015; posto che l’atto di citazione è stato portato alla notifica il successivo 13 marzo 2015, non vi è chi non veda come il termine di trenta giorni – che deve decorrere nuovamente per una sola volta dal 12 febbraio 2015 – sia stato rispettato dal condomino attore, il che rende tempestivo l’odierno gravame e comporta l’infondatezza della superiore eccezione”
Interessante invece il corollario cui perviene lo stesso Giudice in ordine alla decadenza per quei motivi che non siano fatti valere nella istanza di mediazione, per i quali la delibera diverrà intangibile: “La decadenza dall’impugnazione ex art. 1137 c.c. va piuttosto rilevata per i vizi scaturenti dalla violazione degli art. 1130 e 1130 bis c.c. che l’attore I.B. ha dedotto nei confronti dell’approvazione dei consuntivi per gli esercizi di gestione 2011, 2012 e 2013 stante il fatto che tali asseriti vizi non sono stati menzionati nella causa petendi prospettata in sede di mediazione obbligatoria: a fronte della specifica contestazione posta in essere dalla difesa di parte convenuta Supercondominio L.B. di P., la parte attrice nulla ha obiettato, di talché, in applicazione del principio di cui all’art. 115, primo comma, c.p.c. e in assenza di prova contraria desumibile dal vaglio del modello di presentazione della domanda di mediazione che non risulta allegato agli atti di causa, devesi pronunciare il rigetto della domanda attorea in parte qua per decadenza dal termine ad impugnare previsto dalle legge”.
© massimo ginesi 20 dicembre 2016
il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone in condominio
L’art. 659 cod.pen. prevede che : “Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro”
La Suprema Corte ( Cass. pen. III sez. 15 dicembre 2016 n. 53102) ha delineato i limiti di applicabilità della norma in ambito condominiale, sia con riferimento alla natura del disturbo che con riguardo alla responsabilità del genitore che non impedisca al figlio di arrecare quel disturbo, tenendo lo stereo troppo alto.
Quanto alla possibilità che il reato sussista in ambito condominiale, la corte afferma che non è sufficiente che il rumore interessi solo le unità contigue: “Affinché sussista la contravvenzione in oggetto relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei a recare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti medesimo edificio“
Nel caso di specie il rumore si percepiva ben oltre l’ambito condominiale: “La sentenza impugnata ha chiaramente e analiticamente riportato elementi di prova dai quali doveva ritenersi che i rumori fossero stati percepiti ben al di là addirittura dell’ambito condominiale, in particolare richiamando le deposizioni dei testi, entrambi appartenenti alla polizia municipale, secondo cui la musica ad alto volume si percepiva già ad 80 m di distanza dal condominio… Il fatto che sono due persone avessero ritenuto di denunciare il fatto non poteva evidentemente incidere sulla sussistenza del reato”
Assai interessante si rivela invece il passaggio sulla colpa attribuita al padre e sul concetto di posizione di garanzia, spesso richiamato in giurisprudenza anche per fondare la colpa per responsabilità omissiva dell’amministratore: ” aldilà dell’improprio richiamo effettuato per sostenere la responsabilità dell’imputato, agli obblighi discendenti dalla sua qualità di proprietario ed abitante dell’immobile dal quale i rumori si diffondevano, posto che il danno non è stato, nella specie, come correttamente rilevato del ricorrente, prodotto dall’immobile in sé (come richiesto dall’articolo 2051 codice civile) ma dagli apparecchi di riproduzione musicale attivati dal figlio, la sentenza ha posto in evidenza la posizione di garanzia data dall’esercizio della potestà genitoriale sul figlio minore autore, come appena detto, delle propagazioni rumorose”
A tal proposito rileva la Suprema corte che “Tale fonte di responsabilità è stata correttamente evocata dei giudici di merito. L’articolo 40 comma due codice penale prevede che “non impedire un evento che sia l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” e non può esservi dubbio che fra gli obblighi giuridici richiamati da tale norma debba ricomprendersi anche quello discendente dalla responsabilità genitoriale nei confronti dei figli minori, essendo i genitori responsabili del danno cagionato da fatto illecito dei figli minori secondo quanto previsto dall’articolo 2048 codice civile”
“Va infatti chiarito come da tale disposizione discenda un obbligo di sorveglianza che, senza escludere la concorrente responsabilità del minore ultraquattordicenne e capace di intendere di volere, non può non radicare una responsabilità anche del genitore in tutti casi in cui un tale obbligo sia rimasto inadempiuto, solo che restando salva la possibilità, espressamente consentita dal comma tre dell’articolo 2048 citato, di provare di non aver potuto impedire il fatto”
© massimo ginesi 16 dicembre 2016