il committente è responsabile dei danni a terzi in solido con l’impresa.

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La cassazione, con una recente sentenza (Cass. Civ. III sez. 10 novembre 2016 n. 22884) ha affrontato il problema relativo alla responsabilità del committente – in caso di danni cagionati a terzi durante l’esecuzione di lavori edili – ove non provveda alla nomina del Direttore Lavori.

La vicenda origina in Liguria e riguarda danni subiti da un appartamento durante le opere di ristrutturazione della unità immobiliare sovrastante.

La corte d’appello di Genova aveva rilevato che, ove il committente decida di non nominare un direttore dei lavori per le opere ove ciò è consentito, e l’impresa assuma in proprio la responsabilità della esecuzione dei lavori svolti, rimane comunque sussistente un profilo di responsabilità del committente.

In particolare la corte territoriale aveva rilevato che il committente ha “Affidato all’appaltatore l’esecuzione di interventi di natura strutturale senza disporre di un progetto e senza nemmeno affidare ad un professionista abilitato la direzione dei lavori, che pertanto sono stati eseguiti dall’impresa appaltatrice sotto la direzione e responsabilità diretta concorrente degli stessi committenti”.

Il giudice di legittimità ha ritenuto che il giudizio di fatto espresso dal giudice di merito fosse adeguatamente motivato e non fosse più suscettibile di esame in cassazione ed ha rigettato il ricorso.

Pur non statuendo direttamente in punto di diritto, rimane interessante la valutazione complessiva che emerge dalla vicenda processuale: il committente mantiene un autonomo grado di responsabilità anche quando si affida completamente alla impresa per l’esecuzione concreta delle opere.

© massimo ginesi 11 novembre 2016

il diritto di parcheggio si prescrive per mancato uso ventennale

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Lo afferma la Suprema corte in una recentissima ordinanza  (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 maggio – 7 novembre 2016, n. 22561 – Presidente Petitti – Relatore D’Ascola) chiarendo che: “Oggetto della controversia è il diritto reale d’uso sull’area di parcheggio condominiale pertinente alle unità immobiliari acquistate dai ricorrenti (e da altri attori che non hanno coltivato il giudizio nei gradi di impugnazione) nell’edificio”

Osserva la Corte che “il decorso della prescrizione coinciderebbe con il primo atto di trasferimento e non ricomincerebbe a decorrere ad ogni nuovo passaggio, poiché l’acquirente subentra nei diritti acquistati dal precedente proprietario.”

E che pertantoil non uso comincia in occasione del primo atto di vendita dell’immobile dal costruttore ad un acquirente dell’unità abitativa, che avrebbe diritto ad ottenere l’area di parcheggio e che omette di far valere tale diritto. Questi non può trasmettere ai suoi aventi causa un diritto maggiore di quello acquistato”

© massimo ginesi 9 novembre 2016

LA CANNA FUMARIA INSERITA NEL MURO CONDOMINIALE E’ TUTELABILE IN VIA POSSESSORIA

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Lo ha affermato la Suprema Corte in una recentissima sentenza  (Cass. Civ. II sez. 31 ottobre 2016 n. 22016).

Ove una unità immobiliare goda di un manufatto inserito nel muro condominiale, destinato a smaltire i propri fumi, qualora  il vicino provveda a interromperlo e renderlo inutilizzabile può essere chiesta con successo tutela possessoria.

Le vicende relative alle canne fumarie e alle loro diramazioni sono frequenti in condominio poiché spesso, durante lavori di ristrutturazione delle unità, si finisce per intercettarle o danneggiare (emblematico il caso, finito dinanzi al Tribunale di La Spezia, di una canna fumaria ostruita dall’inserimento di una cassaforte a muro al piano soprastante, con invasione di fumi all’interno della unità immobiliare che alla stessa canna aveva collegato un caminetto).

La sentenza merita lettura per le interessanti riflessioni in tema di possesso di un bene peculiare e che non è  immediatamente visibile e percepibile.

© massimo ginesi 2 novembre 2016 

sfratto per morosità: la mancata comparizione del locatore.

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nel procedimento di sfratto per morosità, ove il locatore intimante non compaia e il conduttore presente in udienza si costituisca al fine di opporsi allo sfratto ma non chieda espressamente la prosecuzione del giudizio nel merito al fine di ottenere un accertamento negativo del proprio inadempimento, il procedimento necessariamente deve essere dichiarato estinto ai sensi dell’art. 662 c.p.c.

Lo ha affermato la terza sezione civile della Cassazione, con sentenza 19425/2016, ribadendo un orientamento ormai consolidato: ” la mancata comparizione del locatore all’udienza fissata per la convalida fa perdere alla intimazione tutti gli effetti di carattere processuale (salvo quelli sostanziali) e, cioe’, il venir meno della possibilita’ di divenire titolo esecutivo, nonche’ l’effetto della possibile trasformazione del procedimento in un ordinario giudizio di cognizione, non potendo la citazione, contenuta nell’intimazione, conservare in tale caso il carattere di atto autonomo distinto”

@ massimo ginesi 31 ottobre 2016

 

il termine per introdurre la mediazione non è perentorio?

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Il d. lgs 28/2010 all’art. 5  ha introdotto il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità per le cause in ” materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilita’ medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita’, contratti assicurativi, bancari e finanziari,”

La norma è stata dichiarata incostituzionale con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272 e, con prassi poco commendevole, reinserita con con L. 98/2013.

La legge  prevede inoltre che ” il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, puo’ disporre l’esperimento del procedimento di mediazione”.

Il testo stabilisce infine che in tutte le ipotesi in cui il Giudice dispone procedersi a mediazione concede alle parti termine di quindici giorni per il suo inizio e che il mancato esperimento della mediazione comporta l’improcedibilità della domanda.

Sulla perentorietà di detto termine la giurisprudenza di merito ha mostrato orientamenti ondivaghi, con Tribunali che hanno ritenuto che il mancato esperimento della mediazione nel termine assegnato comportasse la dichiarazione di improcedibilità (Trib. Firenze, 9 giugno 2015, Trib. Napoli Nord, 14 marzo 2016) ed altri che hanno invece ritenuto che si tratti di termine di natura non processuale, il cui mancato rispetto non possa comportare definizione del giudizio nel rito (Trib. Firenze, 17 giugno 2015, Trib. Roma, 14 luglio 2016, Trib. Milano, 27 settembre 2016).

La Corte di Appello di Milano, nel giudizio di appello alla sentenza 156/2016 del Tribunale di Monza, ha affermato la natura meramente ordinatoria del termine concesso dal Giudice per procedere a mediazione, procedendo quindi alla istruzione della causa di opposizione a decreto ingiuntivo che il giudice di primo grado aveva invece dichiarato improcedibile. (App. Milano ordinanza 28.6.2016).

Un provvedimento  di sicuro interesse, a fronte dei sempre più ampi e faticosi paletti che il cittadino incontra nell’accesso alla tutela giurisdizionale.

© massimo ginesi 27 ottobre 2016

 

 

le limitazioni al diritto di proprietà devono essere espressamente indicate nel regolamento contrattuale

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la Cassazione ribadisce un concetto più volte espresso, applicandolo ad un caso peculiare.

La Seconda Sezione civile con sentenza 21307 del 20 ottobre 2016 ha statuito che “Le limitazioni previste espressamente  possono reputarsi  operative essendo il silenzio sintomatico più che di una volontà di porre dei limiti piuttosto della necessità di preservare integre le facoltà tipiche del diritto di proprietà”

Il caso  riguardava un condominio in Napoli nel quale il regolamento contrattuale prevedeva la possibilità di usi commerciali per i piani terranei, nulla dicendo per quelli sovrastanti: i titolari di una pizzeria posta a livello strada avevano collegato all’esercizio commerciale una unità posta al primo piano, adibendola a sala di ristorazione.

Il condomino confinante aveva chiesto, senza successo, al Tribunale di dichiarare illegittimo l’uso per contrarietà al regolamento e per le immissioni intollerabili. La Corte di Appello aveva riformato la sentenza, ritenendo l’uso contrario al regolamento e non provate le immissioni rumorose.

La Suprema Corte ha cassato la sentenza di secondo grado, con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di Appello.

La pronuncia merita lettura integrale per l’ampia disamina sui criteri interpretativi del regolamento contrattuale.

© massimo ginesi 21 ottobre 2016