interessante articolo di Francesco Schena oggi sul sole24ore, che descrive una realtà in continuo divenire e che coglie senza giri di parole uno degli aspetti del fenomeno:
“in realtà, l’attuale polverizzazione è dovuta, almeno principalmente, non ad una spontanea crescita di nuove realtà associative grazie all’impegno di giovani professionisti, bensì ad un vera e propria epidemia scissionistica. Infatti, molte sigle sono “costole” di altre, nate per dissapori e contrasti interni tra i gruppi dirigenti. Questo fenomeno denota l’incapacità di risolvere conflitti e fare gruppo, a favore di una più facile propensione a creare spaccature”
La L. 220/2012 ha risolto il problema della videosorveglianza in condominio, che aveva visto alterni dicta della giurisprudenza, introducendo l’art. 1122 ter cod.civ.
La norma prevede oggi in maniera inequivocabile la possibilità per il condominio di installare sistemi di controllo, con delibera da assumere ai sensi dell’art. 1136 II comma cod.civ. (ipotesi ovviamente diversa della installazione da parte di singoli di telecamere a servizio della propria unità, condotta sulla quale il garante aveva già dettato regole ben precise).
La Suprema Corte (Cass. civ. Sez. II 13663/2016, rel. Scarpa) ha affrontato una ipotesi che non riguarda l’installazione in condominio ma che detta principi che devono essere ben conosciuti anche dalla compagine condominiale ove intenda procedere in tal senso.
In particolare la Corte afferma che “l’informativa ai soggetti che facessero ingresso in un locale chiuso (quale un locale commerciale) deve intendersi necessaria prima che gli interessati accedano nella zona videosorvegliata, potendosi spiegare la diversa previsione di cui al punto 3.1. del Provvedimento generale del 29 aprile 2004, secondo cui l’informativa va rivolta a coloro che già “si trovano in una zona videosorvegliata” con riguardo agli spazi aperti. La tempestività dell’informativa è necessariamente strumentale alla validità del consenso espresso dell’interessato al trattamento dei dati (art. 23, comma 3, Codice della privacy), salvi i casi in cui da esso possa prescindersi (di cui al successivo art. 24), non potendo tale consenso non essere preventivo rispetto all’inizio del trattamento stesso, nella specie consistente nella raccolta delle immagini delle persone che accedono nel locale e vengono riprese dalla videocamera.”
Cass. SS.UU. 14594/2016: una importante pronuncia in tema di notificazione degli atti giudiziari, che fornirà utili elementi di valutazione al difensore sulla condotta da tenere nell’espletamento di tale attività.
La Corte affronta sia il problema della individuazione del corretto destinatario della notifica e dei casi in cui l’erronea identificazione possa essere imputata alla parte che richiede l’adempimento, sia – soprattutto – la condotta doverosa del notificante, in caso di esito infruttuoso del primo tentativo, affinchè il processo notificatori possa ritenersi efficace sin dal primo atto compiuto.
lo ha stabilito la Cassazione con sentenza 13902/2016.
Il caso riguarda un contratto d’appalto per lavori straordinari in condominio, nel quale le parti avevano stabilito una clausola penale che prevedeva il versamento di € 19,22 dalla data della domanda al saldo effettivo.
Il risultato concreto della applicazione secca di tale previsione contrattuale finiva per comportare un esborso per il condominio di oltre 33 mila euro, decisamente sproporzionato rispetto alla prestazione pattuita e assolutamente squilibrato rispetto ai concreti interessi delle parti e alla funzione stessa della clausola.
La suprema Corte ha dunque ritenuto che il Giudice – in applicazione dell’art. 1384 cod.civ. – debba e possa introdurre correttivi che consentano di bilanciare i contrapposti interessi delle parti, adeguando la prestazione alla lesione effettivamente subita dalla parte adempiente ed evitando effetti che, in concreto, travalicano il limite dell’usura. Per tali ragioni si deve considerare: “il riferimento all’interesse del creditore contenuto nella norma e considerato che la possibilità della riduzione ad una misura equa trova la sua ragion d’essere nell’interesse del debitore inadempiente, consente di identificare quel criterio nell’equo contemperamento degli interessi contrapposti, che assicuri, cioè, il posizionamento del soggetto adempiente sulla curva di indifferenza più vicina a quella su cui si sarebbe co0llocato qualora il contratto fosse stato adempiuto… D’altra parte, tenuto conto che dal nuovo e moderno sistema contrattuale, quale viene sempre più emergendo, anche dalla normativa europea, corollario di un liberismo che al contempo è anche solidaristico, emerge una maggiore attenzione per la giustizia contrattuale, cioè per un contratto che non presenti né uno squilibrio strutturale, né e soprattutto uno squilibrio tra prestazioni o di contenuto, appare ragionevole che anche la clausola penale debba essere espressione di un corretto equilibrio degli interessi contrattuali contrapposti”
Va oggi all’esame del Consiglio dei Ministri il disegno di decreto legislativo integrativo del D.lgs 102/2014.
Fra le modifiche più rilevanti in previsione vi è la possibilità di derogare alle proporzioni di riparto ove sussista in tal senso apposita relazione tecnica, in attuazione delle osservazioni predisposte dalla Commissione Industria del Senato
a norma dell’art. 101 L.F. è considerata tardiva la domanda di ammissione al passivo che non sia trasmessa al curatore nel rispetto del termine di trenta giorni antecedenti alla data dell’udienza fissata per la verifica del stato passivo.
Tali istanze possono essere tuttavia inviate entro un anno dal deposito del decreto di esecutorietà dello stato passivo.
La riforma della legge fallimentare ha consentito aggiornai della procedura, maggior flessibilità nella gestione della stessa, cosicché accade che possano essere fissate più udienze di verifica dei diversi crediti e che in ciascuna di esse il Giudice provveda a rendere esecutivo lo stato passivo relativamente alle domande esaminate in quella sede.
ebbene la Cassazione (Sez. Lav., 11 luglio 2016 n. 14099) censurando la decisione del Giudice di primo grado, ha ritenuto che il termine annuale decorra non già dalla prima udienza di verifica ma dalla data di deposito del decreto di esecutorietà dell’intero stato passivo, ovvero quando il Giudice – esaminate tutte le domande – lo rende esecutivo: ciò sulla scorta dell’art. 96 L.F. che prevede che “il giudice terminato l’esame di tutte le domande forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria”.
Solo questo ultimo adempimento è idoneo a far decorrere il termine annuale di cui all’art. 101 L.F. poiché solo con il provvedimento finale “la procedura di accertamento del passivo è destinata a chiudersi e ad acquisire giuridica rilevanza” .
Lo ha affermato la Cassazione V sez. pen. con sentenza 12 luglio 2016 n. 29209.
La natura del processo penale dinanzi al giudice di pace e lo scopo deflattivo e conciliativo della prima udienza, a fronte di vicende che hanno un modesto contenuto offensivo e uno scarso disvalore sociale, impone di considerare come non più sussistente la pretesa punitiva del querelante ove costui ometta consapevolmente di comparire in udienza.
Ritiene la Corte che “è la mancata collaborazione al processo (accusatorio e che vuole dunque che la prova sia formata a dibattimento) e l’assenza della voce di chi dovrebbe dare corpo e fondamento alla pretesa punitiva che consente di dubitare della persistenza di tale volontà”
Nella sentenza viene dunque espresso il seguente principio di diritto: “Tenuto conto del principio generale del favor conciliationis, cui è improntato il sistema normativo che regola il procedimento penale dinanzi al giudice di pace, e che esso è collocabile nell’ambito del più ampio principio della ragionevole durata dei processi, la mancata comparizione del querelante – previamente e chiaramente avvisato del fatto che l’eventuale successiva assenza possa essere interpretata come volontà di non perseguire nell’istanza di punizione – integra gli estremi della remissione tacita, sempre che lo stesso querelante abbia personalmente ricevuto detto avviso, non sussistano manifestazioni di segno opposto e nulla induca a dubitare che si tratti di perdurante assenza dovuta a libera e consapevole scelta”.
Attenzione dunque che anche reati assai frequenti in ambito condominiale (nelle assemblee o nei rapporti fra condomini e amministratori, quali le minacce, la diffamazione o le lesioni) richiedono che colui che sporge la querela sia poi attivo anche nella successiva fase processuale, dovendo altrimenti ritenersi cessato il suo interesse alla punizione del colpevole.
Così afferma il T.A.R. Lazio con sentenza 24.5.2016 in cui h accelerato la condotta del Comune di Roma che aveva irrogato una sanzione di 7.500 euro al condominio.
Afferma il Giudice amministrativo: “la sanzione pecuniaria in questione è stata irrogata sul presupposto dell’avvenuta violazione dell’art. 37 del D.P.R. n. 380/2001, a seguito dell’accertamento dell’esecuzione della seguente opera edilizia: “rimozione fioriere, per una lunghezza di circa m. 25, lungo il prospetto dell’edificio su via San Lucio, posta al piano primo rispetto a tale strada”; f) che è fondato il profilo di censura relativo all’erroneità dell’avvenuta applicazione della normativa in tema di lavori effettuati in assenza di S.C.I.A. da parte dell’Amministrazione; g) che in particolare deve ritenersi corretta la qualificazione di detto intervento come manutenzione straordinaria che non riguarda parti strutturali dell’edificio ed è quindi assoggettata al regime dell’edilizia libera previa presentazione di C.I.L.A. ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. a) e comma 4 del D.P.R. n. 380/2001, con la conseguenza dell’inapplicabilità della sanzione pecuniaria nella misura irrogata dall’Amministrazione nel caso di specie; h) che il ricorso deve quindi essere accolto, con il conseguente annullamento dell’atto impugnato”
Il Comune è condannato anche alla refezione delle spese di giudizio in favore del Condominio.
la causidicità delle parti nei processi italiani non ha spesso limiti né confini…
L’amministratore del Condominio firma la procura al difensore e appone il proprio segno grafico che risulta non leggibile, il difensore sbaglia nell’indicare correttamente le sue generalità nel corpo dell’atto (sostituisce una R con una S) e la controparte recepisce la nullità della procura.
Peraltro il condomino che eccepisce il vizio conosce perfettamente il nome del suo amministratore e lo ha reiteratamente citato nel proprio atto (!).
Afferma la Cassazione (Cassazione civile, sez. II, 14/04/2016, n. 7406) che si tratta di nullità relativa che la parte, a fronte della eccezione sollevata dall’avversario, può sanare alla prima udienza utile:
“Preliminarmente deve rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione di nullità della procura speciale del ricorrente, sollevata dall’intimata in considerazione della divergenza esistente tra il cognome dell’amministratore del condominio riportato nell’intestazione del ricorso ( M.) e quello invece rilevabile dal corpo della procura speciale ( M.), aggiungendosi da parte della P., al fine di corroborare la proposta eccezione, che la corretta individuazione delle generalità dell’amministratore non sarebbe nemmeno evincibile dalla firma in calce alla procura, trattandosi di sottoscrizione illeggibile. Rileva il Collegio che trattasi all’evidenza di un mero lapsus calami e che, come si ricava dalla stessa lettura del controricorso, le corrette generalità dell’amministratore del condominio erano ben note alla stessa attrice, atteso che nel controricorso, nel riepilogare il contenuto del materiale istruttorio raccolto nel corso del giudizio di primo grado, si fa menzione delle dichiarazioni rese da tal M.F., espressamente qualificato come amministratore del condominio convenuto. E’ evidente pertanto che non sussisteva alcun dubbio, anche in considerazione delle pregresse conoscenze acquisite dalla parte nel corso del giudizio, in ordine a quale fosse la corretta identità di colui che aveva sottoscritto la procura in qualità di amministratore del condominio. In ogni caso, appaiono applicabili alla fattispecie i principi desumibili dall’intervento delle Sezioni Unite con la sentenza del 7/3/2005 n. 4810, nella quale si è affermato che l’illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell’atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante, non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d’autografia resa dal difensore, ovvero dal testo di quell’atto, ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall’indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese. In assenza di tali condizioni, ed inoltre nei casi in cui non si menzioni alcuna funzione o carica specifica, allegandosi genericamente la qualità di legale rappresentante, si determina nullità relativa, che la controparte può opporre con la prima difesa, a norma dell’art. 157 c.p.c., facendo così carico alla parte istante d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’amore della firma illeggibile; ove difetti, sia inadeguata o sia tardiva detta integrazione, si verifica invalidità della procura cd inammissibilità dell’atto cui accede. Da tali affermazioni, e seppur con specifico riferimento al condominio, qualificabile, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, quale mero ente di gestione, appare possibile affermare la regola secondo cui ove emergano delle contraddittorie indicazioni in ordine alle esatte generalità del sottoscrittore della procura, contraddittorietà non risolvibile mediante il riscontro con la firma, per l’incomprensibilità dei segni grafici utilizzati, a fronte della specifica eccezione sollevata dalla controparte, è data la possibilità nella prima difesa di poter chiarire quale sia l’effettivo nominativo del rappresentante. Nella vicenda in esame il Condominio, nel controricorso al ricorso incidentale ha chiarito che il cognome dell’amministratore era ” M.”, provvedendo in tal modo a sanare la nullità denunziata dalla P., e risultando pertanto superfluo anche il rilascio di una nuova procura a ratifica del precedente operato del difensore del condominio.”
Il legislatore del 2016 ha ritenuto, assai inopportunamente, di attribuire la competenza esclusiva della materia condominiale al giudice di pace, o meglio a quella ibrida figura che esce dalla discutibile riforma della magistratura onoraria introdotta con la L. 57/2016.
La materia del condominio ancora una volta patisce l’ingiusta qualificazione di diritto minore, quando invece sottende l’applicazione di alcuni fra i più complessi istituti del diritto civile (diritti reali, obbligazioni, responsabilità extracontrattuale) nella peculiare realtà di un contesto plurisoggettivo.
Del resto l’intervento frequentissimo delle Sezioni Unite della Cassazione in questa materia altro non è che indice della sussistenza di contrasti anche al massimo livello, che sono l’indice evidente di una grande complessità dei temi di decisione.
Spesso accade, nelle corti di merito, di trovare pronunce che sembrano uscite da un’altra epoca e che lasciano spiazzati, a fronte di orientamenti giurisprudenziali di legittimità che affermano da anni principi contrari.
E’ il caso di una sentenza del Tribunale di Firenze, che esprime due valutazioni su cui l’amministratore e il difensore accorti faranno bene a non fare eccessivo affidamento.
A proposito di condomino apparente, il giudice fiorentino afferma che ove il vecchio condomino non abbia provveduto a comunicare all’amministratore l’avvenuta cessione della propria unità a terzi, ai fini dell’aggiornamento della anagrafe condominiale, l’amministratore potrà continuare a convocare legittimamente il vecchio propritario. E’ pur vero che la L. 220/2012 ha introdotto nell’art. 1130 cod.civ. l’obbligo di tale comunicazione in capo al cedente – con contestuale possibilità di autonomo accertamento da parte dell’amministratore a spese dell’inadempiente – e che l’art. 63 u.s. disp.att. cod.civ. ha previsto che in difetto il vecchio proprietario rimarrà solidalmente responsabile per le quote dovute, ma non pare di leggere nella riforma alcuna altra conseguenza diretta né tantomeno una deroga ai criteri che prevedono la partecipazione all’assemblea degli effettivi aventi diritto.
Non pare quindi che la riforma del 2012 vada ad incidere su un consolidato orientamento giurisprudenziale che sin dagli inizi degli anni 2000, a fronte del regime di pubblicità dei registri immobiliari, ha escluso la rilevanza di qualunque apparenza, sia per quel che attiene alle azioni recupero dei crediti sia per ciò che attiene alla convocazione. “Incasodiazionegiudizialedell’amministratoredelcondominioperilrecuperodellaquotadispesedicompetenzadiuna unitàimmobiliarediproprietàesclusiva,èpassivamentelegittimatoilveroproprietariodidettaunitàenonanchechipossaappariretale–comeilvenditoreilquale,purdopoiltrasferimentodellaproprietà(noncomunicatoall’amministratore),abbiacontinuatoacomportarsidaproprietario-,difettando,neirapportifracondominio,cheèunentedigestione,edisingolipartecipantiadesso,lecondizioniperl’operativitàdelprincipiodell’apparenzadeldiritto,strumentaleessenzialmenteadesigenzedituteladell’affidamentodelterzoinbuonafede,edessendo,d’altraparte,ilcollegamentodellalegittimazionepassivaallaeffettivatitolaritàdellaproprietàfunzionalealrafforzamentoealsoddisfacimentodelcreditodellagestione condominiale” Cass. SS.UU. 8 aprile 2002 n. 5035
“Intemadiconvocazionedell’assembleacondominialedeveessereconvocatosoloilveroproprietariodellaporzioneimmobiliareenonanchecoluichesisiacomportato,neirapporticoniterzi,comecondominosenzaesserlo,difettandoneirapportitrailcondominio(nellaspecie,l’amministratore)edisingolipartecipantiadesso,lecondizioniperl’operativitàdelprincipiodell’apparenzadeldiritto,strumentaleessenzialmenteall’esigenzadituteladeiterziinbuonafede”.
Cass. Sez. II 22 ottobre 2007 n. 22089
Ancor più singolari le tesi fiorentine sull’espressione del dissenso alle liti ai sensi dell’art. 1132 cod.civ.
Se appare condivisibile la valutazione che, in caso di unità di proprietà di più soggetti, tale dissenso debba essere unitariamente espresso da tutti costoro e non sia ammesso pro quota, decisamente singolare appare il richiamo unicamente alle forme di cui all’art. 1132 cod.civ., ritengo che non valga invece la sua comunicazione una assemblea: in tal senso la Cassazione si è espressa da tempo immemore “La manifestazione di dissenso di un condomino, rispetto alla promozione di lite deliberata dall’assemblea, va notificata all’amministratore senza bisogno di forme solenni comprese fra queste quelle previste dal codice di procedura civile”. Cassazione civile, sez. II, 15/06/1978, n. 2967
Giova invece segnalare l’opportuna notazione del Giudice fiorentino delle spese di coibentazione del lastrico di proprietà esclusiva a tutti i condomini in quanto si tratta di intervento che, pur eseguito su un bene di proprietà esclusiva, è diretto a produrre vantaggi per tutti i condomini.