Una lunga e argomentata ordinanza (Cass.Civ. sez. II 6 giugno 2018 n. 14500 rel. Scarpa) che affronta il tema del bilanciamento di interessi fra fondo servente e fondo dominante, ai sensi dell’art. 1067 cod.civ. e alla luce della rilevanza sociale delle innovazioni volte all’abbattimento delle barriere architettoniche.
Un condominio installa un ascensore esterno, che restringe la servitù di passo costituita a favore del fondo dominante, rimanendo tuttavia l’ampiezza del passaggio idonea all’esercizio della servitù.
In tal caso, pur avuto riguardo alla meritevolezza della innovazione, è sufficiente l’applicazione della norma civilistica derivante dal giudizio di fatto sulla conservazione dev’utilità per il fondo dominante, espresso dal giudice di merito, circostanza che rende irrilevante ogni altra valutazione sulla opportunità della innovazione o sulla possibilità di realizzarla in luoghi e con modalità diverse.
i fatti ed il processo: “La Corte d’Appello di Torino ha accolto l’appello del Condominio S R contro la pronuncia di primo grado resa 1’11 febbraio 2010 dal Tribunale di Alessandria, sezione distaccata di Novi Ligure.
Il Tribunale era stato adito con citazione del 22 marzo 2006 da R, G, R A e S Ad, titolari di servitù di passaggio pedonale e carrabile sulla strada di proprietà del Condominio S R di Novi Ligure (come da titolo costitutivo del condominio stesso del 4 gennaio 1966), i quali lamentarono la costruzione in adiacenza alla parete dell’edificio condominiale di un ascensore esterno che aveva ridotto il passaggio in questione da m. 4,15 a m. 2,50.
La sentenza di primo grado ravvisò la violazione dell’art. 1067 e.e. a causa del restringimento del transito provocato dall’ascensore, anche interpretando la norma in esame in senso costituzionalmente orientato alla luce dell’esigenza del condominio convenuto di eliminare le barriere architettoniche. Il Tribunale argomentò come, in forza dell’espletata CTU, un’analoga opera, adeguata alla tutela dei portatori di handicap, poteva essere realizzata lungo la parete posta sul retro dell’edificio condominiale, senza scarificare il diritto reale degli attori.
La Corte d’appello, adita con gravame dal Condominio S R, ravvisata la sussistenza della servitù imposta sull’area condominiale nell’atto del 4 gennaio 1966, affermò, in riforma della sentenza di primo grado, che la collocazione dell’ascensore nell’area gravata da servitù di passaggio in favore dei signori Ad, aventi causa del comune venditore geometra C, fosse l’unica soluzione praticabile idonea ad eliminare le barriere architettoniche.
La soluzione alternativa, emersa dalla CTU e consistente nell’installare l’impianto sul retro dell’edificio condominiale, venne ritenuta inadeguata sia per l’ubicazione del sito e la realizzabilità dell’intervento (possibile presenza di condutture interrate, ostacolo all’ingresso in un box di proprietà esclusiva di terzi), sia per le difficoltà di raggiungimento dell’ascensore da persone in condizioni di inabilità fisica (accesso dalla via pubblica e dal cortile interno servendosi di percorso più lungo e ricoperto da ghiaia, oppure tramite l’atrio comune ed il “locale biciclette”). Inoltre, ritennero i giudici di secondo grado, l’installazione dell’ascensore nel lato del cortile interno avrebbe avuto costi molto elevati, avrebbe compromesso la facciata del fabbricato ed avrebbe creato nuovi ingressi dall’esterno nei balconi di proprietà esclusiva, i quali avrebbero dovuto essere allungati con la creazione di ballatoi e muniti di cancelletti o di porte per motivi di sicurezza.
La sentenza impugnata, in definitiva, escluse la violazione dell’art. 1067 e.e., in quanto il restringimento del passaggio oggetto di servitù da m. 4, 15 a m. 2,50 di larghezza consente comunque il passaggio di autoveicoli di tale ultima dimensione ed impedisce unicamente la manovra di inversione di marcia.”
i principi espressi dal giudice di legittimità: “Tutti i motivi si incentrano sull’ambito di applicazione dell’art. 1067, comma 2, cod.civ. , a norma del quale il proprietario del fondo servente (nella specie, il Condominio SR) non può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l’esercizio della servitù o a renderlo più incomodo (e ciò con riguardo al passaggio sulla porzione censita al mappale 489, foglio 27, Comune di Novi Ligure, di proprietà Condominio S R, servitù costituita con atto del 4 gennaio 1966 in favore dell’attuale proprietà Ad).
L’art. 1067, comma 2, cod.civ. esclude perciò la facoltà del proprietario del fondo servente di eseguire opere che, incidendo sull’andatura e sull’estensione della servitù, riducano la possibilità per il proprietario del fondo dominante di trarre dalla stessa servitù la più ampia utilitas assicurata dal titolo.
Conseguentemente, per interpretazione consolidata di questa Corte, in tema di servitù di passaggio, non comporta diminuzione dell’esercizio della servitù l’esecuzione di opere, ovvero la modifica dello stato dei luoghi che, pur riducendo la larghezza dello spazio di fatto disponibile a tal fine, la conservino, tuttavia, in quelle dimensioni che non comportino una riduzione o una maggiore scomodità dell’esercizio delle servitù (cfr. Cass. Sez. 2, 03/11/1998, n. 10990; Cass. Sez. 2, 19/04/1993, n. 4585).
L’indagine sulla natura, sull’entità e perciò sulla rilevanza delle innovazioni o delle trasformazioni apportate nel fondo servente, e sul correlativo pregiudizio derivabile dalle stesse al fondo dominante, con riferimento all’art 1067, comma 2, cod.civ. , costituisce apprezzamento di fatto spettante al giudice del merito (e qui compiutamente operato dalla Corte d’Appello di Torino), apprezzamento sindacabile in sede di legittimità soltanto nell’ambito del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Ai fini del giudizio di liceità, ex art. 1067, comma 2, cod.civ. , degli atti di godimento compiuti dal proprietario del fondo servente sullo stesso, non rileva perciò in alcun senso la valutazione (propria invece, ad esempio, dell’art. 1051 e.e., in tema di imposizione del passaggio coattivo) circa la praticabilità di soluzioni alternative, più o meno convenienti, oppure più o meno comode, quanto la verifica dell’incidenza di tali atti sul contenuto essenziale dell’altrui diritto di servitù.
Tale conclusione vale da sola a privare di “decisività” (ovvero del carattere di astratta idoneità a determinare un esito diverso della controversia) la circostanza, su cui poggiano i primi due motivi di ricorso, della mancata considerazione che l’installazione di un servo scala a partire da piano terra e per tutti i piani sarebbe stata comunque in grado di superare le barriere architettoniche.
L’opera realizzata sul fondo servente, in sostanza, non viola l’art. 1067, comma 2, cod.civ., sol perché altrove realizzabile dal proprietario dello stesso con uguale comodità econvenienza.
Piuttosto, si è in passato sostenuto in giurisprudenza che, qualora il proprietario di un fondo gravato da una servitù di passaggio proceda ad opere di ristrutturazione incidenti sull’esercizio della servitù, il giudice non potrebbe ritenere giustificata la trasformazione solo in considerazione della dinamica dei rapporti e dell’evolversi delle situazioni sociali, dovendo comunque vagliare la compatibilità della trasformazione con il libero e comodo ingresso che l’art. 1067, comma 2, cod.civ. vuole garantito al titolare del diritto di passaggio (Cass. Sez. 2, 29/08/1990, n. 8945).
Ancora più risalente, ma tuttora attuale, è il precedente di questa Corte secondo cui non possono comunque ritenersi compresi nel divieto posto dall’art. 1067, comma 2, cod.civ. quegli atti che, restando contemperate le esigenze del fondo dominante con quelle del fondo servente, rappresentino l’esercizio compiuto civiliter dal proprietario delle facoltà di godimento del fondo servente stesso, facoltà che l’esistenza della servitù non può totalmente elidere (Cass. Sez. 2, 03/01/1966, n. 10).
Tra tali facoltà di godimento del fondo servente, che il diritto di passaggio su esso gravante non può obliterare, vi sono certamente, come argomentato dalla Corte d’Appello di Torino, anche (o soprattutto) quelle finalizzate a consentire una piena accessibilità alla casa di abitazione da parte di qualsiasi portatore di handicap o persona con ridotta capacità motoria.
Questa Corte ha già chiarito come la pronuncia della Corte costituzionale n. 167 del 1999 abbia imposto un mutamento di prospettiva, in forza del quale l’istituto della servitù di passaggio non è più limitato ad una visuale dominicale e produttivistica, ma è proiettato in una dimensione dei valori della persona, di cui agli art. 2 e 3 Cost., che permea di sé anche lo statuto dei beni ed i rapporti patrimoniali in generale (Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14103; si vedano anche Cass. Sez. 2, 28/01/2009, n. 2150; Cass. Sez. 2, 16/04/2008, n.10045).
La Corte d’Appello di Torino ha apprezzato in fatto, aderendo alle conclusioni del CTU, che il restringimento del passaggio destinato all’esercizio della servitù da m. 4,15 a m. 2,50, cagionato dall’ingombro dovuto alla costruzione dell’impianto di ascensore, conserva comunque il diritto reale dei proprietari del fondo dominante in dimensioni che non compromettono significativamente l’esercizio dello stesso.
Allo stesso tempo, l’impianto di ascensore realizzato dal Condominio S R appaga le esigenze di accessibilità del fabbricato, pur necessitando dell’installazione di un servoscala al piano intermedio per il collegamento con il pianerottolo di ingresso delle singole abitazioni.
Questa Corte ha altresì precisato come la meritevolezza di un intervento innovativo consistente nell’installazione di un ascensore allo scopo di eliminare le barriere architettoniche vada valutata in termini di idoneità dello stesso quantomeno ad attenuare e non necessariamente ad eliminare – le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione (Cass. Sez. 6-2, 09/03/2017, n. 6129); sicché nessuna inconciliabilità o implausibilità affligge le argomentazioni adoperate dalla Corte d’Appello nel valutare la piena funzionalità dell’impianto di ascensore in concreto allestito dal Condominio SR, pur necessitante di un servo scala per il collegamento con i pianerottoli.
Poiché, infine, la sentenza impugnata, rigettando la domanda di R, G, R A e S A, ha escluso che il Condominio S R avesse violato il divieto sancito dal capoverso dell’art 1067 cod.civ. , in quanto l’opera realizzata sul fondo servente non ha ingenerato alcuna permanente riduzione dell’esercizio della servitù di passaggio, la pronuncia resa dalla Corte d’Appello di Torino non ha comportato affatto una modifica dell’originaria servitù convenzionale costituita con atto del 4 gennaio 1966, né pertanto occorreva una apposita domanda giudiziale del Condominio, o una convenzione scritta, ex art. 1350, n. 4, e.e., le quali, invero, si impongono soltanto per i mutamenti di esercizio che implicano variazioni nel contenuto della servitù medesima”
© massimo ginesi 7 giugno 2018