Il legislatore ha previsto che alcune liti, fra cui le controversie in materia bancaria e quelle in tema di condominio, siano sottoposte a procedimento di medizione obbligatoria, a mente dell D.lgs 28/2010 e succ. mod.
L’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità e deve essere attuato su iniziativa delle parti o su ordine del giudice, in difetto la controversia sarà dichiarata improcedibile.
La ratio dell’istituto è palesemente volta a deflazionare l’enorme carico della giustizia civile, auspicando (con risultati statistici in realtà assai poco lusinghieri) che le parti possano risolvere il contrasto su basi metagiuridiche e personali – poiché tali sono i presupposti primi della mediazione – prima di arrivare a chiedere tutela giudiziale.
Il procedimento delineato dal D.lgs 28/2010 va in realtà a toccare distretti che attengono alle origini conflittuali e personali che spesso fondano la domanda e, ove condotto da un bravo mediatore, può effettivamente condurre alla risoluzione del conflitto fra le parti e alla rinuncia alle domande che a quel conflitto erano strumentali.
A fronte di tali presupposti appare non priva di fondamento la giurisprudenza sempre più restrittiva che impone la presenza delle parti personalmente al primo incontro, poiché è evidente che la capacità di disporre del diritto e di coinvolgere i distretti emotivi – che spesso sottendono la lite – risulta enormemente affievolita ove all’incontro partecipi un delegato e non la parte.
Vi è però un altro aspetto di grande rilievo e che attiene alla mediazione in quei procedimenti a contraddittorio differito, quali il decreto ingiuntivo e la successiva eventuale opposizione.
In tal caso l’art. 5 comma 4a del D.lgs 28/2010 prevede che il procedimento di mediazione obbligatoria non si applica “nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”
Accade quindi che, nella prassi operativa, il Condominio ottenga legittimamente decreto ingiuntivo ex art. 63 disp.att. cod.civ nei confornti del condomino moroso, costui proponga opposizione, alla prima udienza si discuta della eventuale sospensione della esecuzione ex art 649 c.p.c. (fase che ha natura latamente cautelare) e poi il Giudice, emessi i provvedimenti sulla esecutorietà, rilevi che si tratta di procedimento in cui la mediazione è obbligatoria e rimetta le parti dinanzi al mediatore, affinchè si avveri la condizione di procedibilità.
Ci si è posti il dubbio su chi debba essere il soggetto onerato di introdurre il procedimento e quali siano gli effetti dell’eventuale inosservanza dell’ordine del giudice: qualora la mediazione non venga esperita si darà luogo alla improcedibilità della sola opposizione o anche alla revoca del decreto ingiuntivo?
Il problema è stato affrontato e risolto da Cassazione civile, sez. III, 03/12/2015, n. 24629, con una pronuncia che chi scrive trova condivisibile ma – indubitabilmente – unisce considerazioni di natura giuridica a riflessioni di politica giudiziaria: “La disposizione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, di non facile lettura, deve essere interpretata conformemente alla sua ratio. La norma è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale. In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per cosi dire – a rendere il processo la estrema ratio: cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse. Quindi l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo. Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell’onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l’opposto nel giudizio di opposizione. Questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l’onere. Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta. Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. E’ l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’ dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perchè è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perchè premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo. E’, dunque, l’opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c.. Soltanto quando l’opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente convenuto sostanziale, opposto – attore sostanziale. Ma nella fase precedente sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l’onere di introdurre il procedimento di mediazione; diversamente, l’opposizione sarà improcedibile.”
Non sono mancate pronunce di merito di segno opposto, alcune recenti, altre precedenti alla conclusione del giudice di legittimità.
Il Tribunale di Benevento, con pronuncia del 23 gennaio 2016, è pervenuto a soluzione diametralmente opposta, discostandosi dall’orientamento della suprema corte con argomenti ampi e che – tuttavia – non convincono: il giudice campano, criticando l’orientamento espresso da Cass. 24629/2015, afferma” Tali asserzioni sono difficilmente compatibili col testo dell’art. 5, co. 4, d. lgs. 4.3.2010, n. 28: «I commi 1-bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; [OMISSIS]».
Ciò significa che: 1) non è vero che l’opponente abbia inteso «precludere la via breve per percorrere la via lunga»: l’opponente, infatti, prima della pronunzia sulle istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione, non deve esperire la mediazione: sicché non gli si può imputare di averla omessa; 2) non è vero che al creditore sia imposto «l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo»: la questione, infatti, che si pone nei casi come quello di specie, non è certo se il creditore, che abbia depositato il ricorso monitorio, debba proporre la domanda di mediazione prima che la controparte abbia sollevato l’opposizione (e, dunque, senza neppure sapere se opposizione sorgerà): il problema, invece, è di verificare quale delle parti debba esperire la mediazione medesima, ma solo una volta proposta l’opposizione ed esaurita la fase attinente alla concessione, od alla sospensione, della provvisoria esecuzione. Una volta che le argomentazioni della motivazione della sentenza in esame siano ritenute contrastanti con la disciplina della mediazione, che potrebbe essere stata fraintesa, l’intera decisione non può più essere condivisa.
Si deve, dunque, tornare al testo della legge: il più volte menzionato co. 1 bis dell’art. 5, d. lgs. 28/2010, onera della mediazione «Chi intende esercitare in giudizio un’azione»: ed è jus receptum che, nel caso del procedimento monitorio, seguito da opposizione, chi esercita l’azione, ossia l’attore, è il creditore, che insta per l’emanazione del decreto ingiuntivo (e, del resto, la pendenza della lite tra ricorrente e debitore risale, ai sensi dell’art. 643, co. 3, c.p.c., alla notificazione del ricorso e del decreto): anzi, prim’ancora, che chiede al Giudice l’attribuzione di un bene della vita. L’opponente, al contrario, subisce la domanda, ed appare anomalo e vessatorio imporgli di adempiere ad un onere, posto come condizione di procedibilità, quando, evidentemente, nessun interesse esso nutre, contrariamente al creditore opposto, all’emissione di una condanna contro di lui. Il principio affermato dalla S.C., del resto, troverebbe applicazione in ogni altro caso, nel quale la mediazione è differita ad un momento successivo all’introduzione della controversia (art. 5, comma 4, d. lgs. 4.3.2010, n. 28, lettere ‘b’ e ‘d’), ossia «nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile», e «nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile»: così dilagando in ulteriori ambiti, nei quali si propagherebbe la deroga al principio secondo cui la procedibilità della domanda è onere di chi pretende un bene della vita, e non certo di chi si limita a resistere. La conseguenza di quanto affermato, allora, è che l’improcedibilità non colpisce la domanda dell’opponente (domanda che tale non è, salve le riconvenzionali), bensì quella dell’opposto: e, pertanto, il decreto ingiuntivo dev’essere revocato.”
Sulla rilevanza della mediazione in tema di opposizione a decreto ingiuntivo si è stratificata numerosa giurisprudenza di merito; in senso contrario a quanto indicato dalla Suprema Corte nel 2015 si segnalano sentenze del Tribunale di Firenze: due in data 12 febbraio 2015 (estensore Guida), una del 24 settembre 2014 (estensore Guida) e una del 17 marzo 2014 (estensore Scionti), nonché pronunce del Tribunale di Varese (estensore Buffone; 18 maggio 2012) e del Tribunale di Verona (estensore Vaccari; 28 ottobre 2014), pronunce che fanno propria la tesi che per attore deve intendersi l’attore in senso sostanziale ossia l’opposto.
Di diverso avviso altri Tribunali, che si sono attenuti al principio poi espresso dal giudice di legittimità: Tribunale di Nola (estensore Frallicciardi), 24 febbraio 2015, Tribunale di Firenze 30 ottobre 2014 (estensore Ghelardini), Tribunale di Prato del 18 luglio 2011 (estensore Iannone), Tribunale di Siena 25 giugno 2012 (estensore Caramellino), Tribunale di Rimini 17 luglio 2014 (estensore Bernardi); in tal senso anche una recente ordinanza del Tribunale di Massa 13.4.2017.
Si è detto di condividere la pronuncia della Suprema Corte del 2015 e di non ritenere convincenti le tesi dei giudici di merito che hanno espresso argomenti e decisioni contrarie: le ragioni che inducono a tale lettura sono essenzialmente di ordine sistematico e prescindono da considerazioni deflative e di politica giudiziaria.
L’impianto processuale previsto dagli artt. 633 c.p.c. e seguenti prevede che il creditore, in determinate condizioni e a fronte della produzione di documentazione espressamente indicata dalle norme, possa ottenere decreto ingiuntivo.
L’art. 63 disp.att. cod.civ., in materia condominiale, prevede che tale provvedimento sia ottenuto dal condominio in forma provvisoriamente esecutiva, su istanza dell’amministratore, dietro la presentazione dei riparti ritualmente approvati.
Il decreto è ottenuto in assenza di contraddittorio e costituisce provvedimento di condanna anticipata in sé perfetto, suscettibile di divenire definitivo in assenza di opposizione, che l’ingiunto può proporre entro quaranta giorni dalla notifica. Si ritiene che il modello italiano sia ispirato al c.d procedimento monitorio documentale, sicché “il provvedimento emesso dal giudice, diversamente rispetto al modello del procedimento monitorio puro, è risolutivamente condizionato alla proposizione di una eventuale opposizione e, dunque, può avere fin da subito efficacia esecutiva, e il giudizio che viene ad instaurarsi a seguito dell’opposizione risulta assimilabile ad una impugnazione”.
Dunque, ove l’ingiunto non si attivi, la condanna emessa in sede monitoria acquista definitività (art. 647 c.p.c.), al pari di qualunque titolo giudiziale e solo l’iniziativa dell’ingiunto (convenuto sostanziale) è idonea ad introdurre un ordinario giudizio di merito a cognizione piena, che condurrà alla emanazione di una sentenza in contraddittorio fra le parti, avente ad oggetto l’intero merito della controversia.
Ne deriva che, poiché il legislatore ha ritenuto il decreto suscettibile di divenire cosa giudicata in assenza di attività dell’ingiunto, abbia poco senso rifarsi alle posizioni di attore e convenuto sostanziale contrapposte a quelle di attore e convenuto processuale, atteso che l’unica parte che ha interesse ad introdurre l’opposizione – al fine di contestare la pretesa azionata in via monitoria e sottoporre al giudice il merito della vicenda – risulta l’opponente e che la sua inerzia conduce , ex lege, alla definitività del decreto.
Ne consegue in via del tutto logica, ad avviso di chi scrive, che onerato della mediazione – in quanto soggetto interessato alla proposizione e prosecuzione del giudizio di merito – non possa essere che l’opponente, atteso che il legislatore ha fornito il provvedimento emesso in via monitoria di una ossatura iniziale autoportante, idonea ad esser scalfita solo dalle iniziative dell’ingiunto e suscettibile di sopravvivere in via autonoma anche alle vicende estintive della causa di opposizione.
Non si comprende dunque per quali ragioni, a fronte di tale quadro sistematico, l’improcedibilità della opposizione per mancata proposizione della mediazione da parte dell’unico soggetto che ha interesse a coltivare la causa in via ordinaria, debba condurre alla revoca del decreto.
Un tale orientamento, tra l’altro, fornirebbe all’opponente dotato di un certo grado di disinvoltura l’opportunità di proporre opposizioni del tutto garibaldine – in materie in cui la mediazione è condizione obbligatoria di procedibilità, qual’è il condominio – lasciando poi al creditore l’onere di coltivare la procedibilità della opposizione, pena la revoca del decreto: una vera e propria contraddizione in termini.
© massimo ginesi 27 aprile 2017