Le condotte emulative dei condomini, che spesso per ripicche personali fanno un uso disinvolto delle parti comuni, possono condurre a comportamenti penalmente rilevanti.
Lo ha stabilito la Cassazione (Corte di Cassazione, sez. I Penale,20 gennaio 2017, n. 2754), che ha ritenuto non sussistente il reato ove la condotta venga posta in essere in un’area privata e non aperta al transito indeterminato di persone o alla collettività condominiale.
Uno dei requisiti che caratterizza il reato di molestia (art. 660 c.p.) è che la condotta delittuosa venga posta in essere in luogo pubblioco o aperto al pubblico.
Il Tribunale di Como aveva condannato gli imputati : “ Il fatto imputato consisteva nell’avere recato disturbo e molestia al S. per petulanza e biasimevoli motivi, mediante un accumulo di materiale ferroso e legnoso all’interno del cortile comune e a ridosso del muro della finestra dell’abitazione del predetto.
A ragione della decisione il Tribunale osservava che la prova dei comportamenti molesti tenuti dagli imputati, consistiti nell’accumulo di legna, in quantità superiore al fabbisogno di una famiglia, e di una mole di materiale vario proprio in prossimità delle finestre del S., emergeva dalle dichiarazioni di quest’ultimo e dalla documentazione fotografica acquisita agli atti che ritraeva le condizioni di estrema sporcizia e disordine a ridosso del muro dell’appartamento della parte lesa.”
Gli imputati prpongono appello alla Corte di Milano che, per ragioni meramente processuali, lo trasmette al giudice di legittimità. I ricorrenti ” Lamentano inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 660 cod. pen., deducendo che il teatro della condotta era un cortile nella loro esclusiva disponibilità, così difettando il requisito della fattispecie penale che prevede che la molestia sia arrecata in luogo pubblico o aperto al pubblico; contestano l’affermazione secondo la quale il muro del S. risultava aggredito dall’umidità e dagli insetti e che l’accumulo di legna ostruiva la visuale delle finestre aggettanti sul cortile, siccome smentita proprio dalla documentazione fotografica da essa richiamata; deducono l’insussistenza del requisito della petulanza o di altro biasimevole motivo, essendo le condotte contestate nient’altro che mal tollerate esplicazioni del pieno godimento di un bene di proprietà”
La Corte accoglie il ricorso, sul rilievo che il luogo ove sono avenuti i fatti non può essere inteso come luogo pubblico o aperto al pubblico e dunque difetta uno degli elementi tipizzanti la fattispecie penale.
E’ tuttavia assai interessante la motivazione, che fornisce – a contrario – l’indicazione che il cortile condominiale, ove aperto alla collettività dei condomini, costituisce indubitabilmente luogo aperto al pubblico.
“Questa Corte, con specifico riferimento alla contravvenzione in esame, ha fissato il principio di diritto secondo il quale “si intende aperto al pubblico il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti. Devono, pertanto, essere considerati luoghi aperti al pubblico l’androne di un palazzo e la scala comune a più abitazioni “ (Sez. 6 n. 9888 del 6 giugno 1975, T., rv. n. 131021; adde: Sez. 1 n. 28853 del 16/06/2009, L., Rv. 244301).
Giova ribadire anche l’ulteriore principio di diritto secondo il quale per integrare il requisito della pubblicità del luogo di commissione del reato è sufficiente che, indifferentemente, il soggetto attivo ovvero quello passivo si trovino – almeno uno di essi – in luogo pubblico o aperto al pubblico (Cass., Sez. 1, 24 aprile 1986, n. 11524, F., Rv. 174068: “Ai fini del reato di cui all’art. 660 c.p., il requisito della pubblicità del luogo sussiste tanto nel caso in cui l’agente si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico ed il soggetto passivo in luogo privato, tanto nell’ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato, tanto nell’ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei confronti di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico”).
Tanto premesso, e benché richiami proprio gli anzidetti principi, mostrando di conoscerli, la decisione impugnata prescinde dalla base fattuale a cui andava ancorata l’affermazione che il cortile ove si svolsero i fatti era luogo aperto al pubblico. E’ la stessa sentenza, infatti, a dare atto, nella parte motiva, che comproprietari del cortile erano soltanto i P. e le condomine M. e B., le quali hanno precisato di non vivere da anni nell’edificio ed hanno confermato l’uso esclusivo del cortile da parte degli imputati.
Se così è, e il Tribunale dà atto di tale evidenza, non contestata nemmeno dalla parte lesa che ha riconosciuto il carattere privato del cortile e il suo utilizzo pieno ed esclusivo da parte del P., padre e figlia, con i quali aveva avuto anche un contenzioso civile nell’anno 2007, deve ritenersi del tutto pacifico e fuori discussione che la condotta dei ricorrenti si è sviluppata in luogo privato e che in luogo privato si trovava il destinatario delle ritenute molestie.
Tanto esclude, all’evidenza, la rilevanza penale dei lamentati disturbi, difettando un requisito oggettivo della fattispecie.”
Giova infine osservare che l’accertata assenza di rilevanza penale dei fatti non preclude una la disamina della loro illiceità sotto il profilo civilistico da parte del Giudice a ciò deputato, poichè anche la condotta penalmente irrilevante può ben essere fonte di danno.
© massimo ginesi 7 febbraio 2017