l’assemblea non può maggiorare le spese di ascensore per l’unità immobiliare destinata ad ufficio

E’ quanto ribadisce Cass.civ. sez. II  ord. 18.7.2023 n. 20888 rel. Scarpa, facendo applicazione di principi consolidati in materia.

Osserva la Corte che “E’ dunque nulla la delibera condominiale adottata a maggioranza degli aventi diritto (quale quella di cui al punto 3 della riunione del 5 novembre 2008 oggetto di causa), con cui l’assemblea (nella specie, “preso atto dei disagi provocati dall’ufficio” sito in una delle unità immobiliari di proprietà esclusiva) stabilisca un onere maggiorato di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica dei criteri legali (nella specie, ex art. 1124 c.c.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione (eventualmente tradotta in una delibera assembleare totalitaria, conclusa con l’intervento e con il consenso di tutti i componenti del condominio), ed anche perché il criterio di riparto in base all’uso differenziato, derivante dalla diversità strutturale della cosa, previsto dal comma 2 dell’art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali, né in particolare alle spese di funzionamento dell’ascensore, con riguardo alle quali l’applicazione dell’art. 1124 c.c. già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani.

Il comma 2 dell’art. 1123, allorché disciplina il riparto delle spese “in proporzione all’uso”, riguarda il caso in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa, inferiore o superiore al loro diritto di condominio, e non dipende, invece, dal godimento effettivo che il singolo partecipante tragga in concreto dal bene in dipendenza del soddisfacimento delle proprie esigenze abitative o professionali, correlate all’attuale destinazione impressa all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva (cfr. Cass. n. 1511 del 1997; n. 6359 del 1996; n. 5179 del 1992; n. 13160 del 1991).

12. Sempre in base ai principi enunciati da Cass. Sez. Unite 14 aprile 2021, n. 9839, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest’ultima sia dedotta mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione, ai sensi dell’art. 1137, comma 2, c.c.; ne consegue l’inammissibilità, rilevabile d’ufficio, dell’eccezione con la quale l’opponente deduca soltanto vizi comportanti l’annullabilità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione senza chiedere una pronuncia di annullamento.”

appare interessante il corollario che deriva da tale interpretazione, con riguardo ai rendiconti che risultino successivamente predisposti in forza di una criterio di imputazione in deroga alla legge e, quindi,  derivante da delibera nulla La dichiarazione di nullità della delibera dell’assemblea condominiale con cui si approva a maggioranza un criterio derogatorio al regime legale di ripartizione delle spese non genera, quindi, una nullità per propagazione dei rendiconti successivi ad essa che abbiano fatto applicazione di tale criterio. Piuttosto, una volta conseguita la dichiarazione di invalidità di un rendiconto che abbia suddiviso le spese facendo applicazione di un criterio convenzionale illegittimo, sorge in sede di predisposizione dei rendiconti per gli esercizi successivi l’onere per l’amministratore di tener conto delle ragioni di detta invalidità, ovvero di correggere i bilanci successivi a quello annullato, sottoponendo quelli rettificati nuovamente all’approvazione dell’assemblea (come può argomentarsi dall’art. 2434-bis c.c., dettato in tema di società).”

© MG 4.9.2023

la spesa per l’illuminazione e la pulizia delle scale va ripartita in forza dell’art. 1124 cod.civ., salvo diversa convenzione.

 

E’ quanto statuisce Cass.Civ. sez.VI-2 ord. 13 novembre 2018 n. 29217 rel. Scarpa nel censurare la sentenza di merito (corte d’appello di Milano) che aveva ritenuto lecito il riparto ai sensi dell’art. 1123 comma I cod.civ. della spesa:Va soltanto premesso che le clausole di un regolamento di condominio hanno natura regolamentare, organizzativa o contrattuale, sicché l’interpretazione o l’applicazione di esse fatta dal giudice del merito non può essere denunciata in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., come se si trattasse di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per tali intendendosi soltanto quelle risultanti dal sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico. L’omesso o errato esame di una disposizione del regolamento di condominio da parte del giudice di merito è, piuttosto, sindacabile in sede di legittimità soltanto per inosservanza dei canoni di ermeneutica oppure per vizi logici sub specie del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. 2, 23/01/2007, n. 1406; Cass. Sez. 2, 14/07/2000, n. 9355; Cass. Sez. 2, 31/07/2009, n. 17893).

Ora, una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c., va ritenuta nulla per impossibilità dell’oggetto, giacché tale statuizione, incidendo sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata dalla legge o per contratto, eccede le attribuzioni dell’assemblea e pertanto richiede, per la propria approvazione, l’accordo unanime di tutti i condomini, quale espressione della loro autonomia negoziale (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233; Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651).

Si ha riguardo, nella specie, alla ripartizione delle spese di pulizia e di illuminazione delle scale.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale più recente, la ripartizione della spesa per la pulizia delle scale va effettuata in base al criterio proporzionale dell’altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano cui esse servono, in applicazioneanalogica, in parte qua, dell’art. 1124 c.c., il quale è espressione del principio generale posto dall’art. 1123, comma2, c.c., e trova la propria ratio nella considerazione di fatto che i proprietari dei piani alti logorano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani bassi (Cass. Sez. 2, 12/01/2007, n. 432) .

Ai fini di tale ripartizione, rimane ininfluente la destinazione in atto delle singole unità immobiliari.

Analogamente tale interpretazione risolve la questione della ripartizione delle spese per l’illuminazione delle scale. Anche tali spese attengono, invero, ad un servizio del quale i condomini godono (o al quale danno causa) in misura maggiore o minore a seconda dell’altezza di piano, visto che il proprietario dell’ultimo piano utilizza l’illuminazione di tutta la tromba delle scale, mentre il proprietario del primo piano utilizza solo l’illuminazione della prima rampa: non potendosi riconoscere all’assemblea un potere discrezionale nella suddivisione dei contributi, la soluzione adottata in giurisprudenza è quella dell’applicazione analogica dell’art. 1124 c.c., utilizzando per intero l’indice dell’altezza di piano.

Dal fondamento delle spese di pulizia e di illuminazione delle scale discende, in difetto di diversa convenzione, l’obbligo di contribuzione gravante pure sui condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché anche tali condomini fruiscono delle scale (arg. da Cass. Sez. 2, 20/4/2017, n. 9986; Cass. Sez. 2, 10/07/2007, n. 15444; Cass. Sez. 2, 06/06/1977, n. 2328).

Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello di ripartizione delle spese di pulizia e di illuminazione delle scale può essere derogato mediante convenzione modificatrice della disciplina codicistica contenuta o nel regolamento condominiale “di natura contrattuale”, o in una deliberazione dell’assemblea approvata all’unanimità da tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 24/02/2017, n. 4844; Cass. Sez. 2, 04/08/2016, n. 16321; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641; Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126).

È in ogni caso necessario, perché sia giustificata l’applicazione di un criterio di ripartizione delle spese diverso da quello legale, commisurato alla quota di proprietà di ciascun condomino, che la deroga convenzionale sia prevista espressamente (Cass. Sez. 2, 29/01/2000, n. 1033).

A tali principi non si è uniformata l’impugnata sentenza, avendo essa ritenuto sussistente una disciplina convenzionale idonea a ripartire sia le spese di pulizia che quelle di illuminazione delle scale per millesimi di proprietà, in deroga al criterio legale altrimenti operante di cui all’art. 1124 c.c., in base ad una clausola del regolamento di condominio (articolo 14) che, per quanto accertato in fatto dalla stessa Corte d’Appello di Milano, individua espressamente fra le spese che “saranno ripartite tra tutti i condomini proporzionalmente alle misure di tanti millesimi come l’articolo 18″… “quelle di interesse generale … come illuminazione comune”.

Il fatto che per le spese di illuminazione, specificamente indicate nel regolamento tra quelle comuni, la misura della partecipazione di ciascun condomino risulti determinata in misura a quella corrispondente alla rispettiva quota millesimale di proprietà esclusiva, non implica che tale misura si estenda alle restanti spese di manutenzione delle scale, ovvero, nella specie, a quelle di pulizia, per le quali, in assenza di una diversa convenzione, va applicato, come, visto, il criterio proporzionale dell’altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano a cui esse servono, in applicazione analogica dell’art.1124 c.c.”

 

l’assemblea non può imporre ai condomini di pulire le scale condominiali: la delibera è nulla.

Un caso curioso (ma non così infrequente), che prende le mosse da Chiavari , ove in un condominio l’assemblea ha deliberato di dismettere il servizio di pulizia scale e stabilire che ciascun condomino provvederà a turno alla pulizia e, ove non intenda farlo, dovrà pagare qualcuno che  lo faccia in sua vece.

Il Tribunale di Chiavari aveva ritenuto nulla la delibera, che invece la Corte di Appello di Genova ha ritenuto corretta; la Corte di legittimità (Cass.Civ.  sez.VI-2 ord. 13 novembre 2018 n. 29220 rel. Scarpa) ha cassato la sentenza di secondo grado, poiché una simile decisione finisce per incidere sul criterio legale di ripartizione, certamente derogabile, ma solo mediante convenzione e non con delibera maggioritaria.

Osserva la corte: “deve ribadirsi che una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c., seppur limitata alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, va ritenuta nulla per impossibilità dell’oggetto, giacché tale statuizione, incidendo sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata dalla legge o per contratto, eccede le attribuzioni dell’assemblea e pertanto richiede, per la propria approvazione, l’accordo unanime di tutti i condomini, quale espressione della loro autonomia negoziale (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233; Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651).

Si ha riguardo, nella specie, a delibere assembleari che, essendo stato revocato l’appalto affidato dal condominio a terzi per la pulizia delle scale, hanno stabilito che tale incombenza spetti a turno ai singoli partecipanti, i quali, ove non intendano sobbarcarsi personalmente l’opera, possono farsi sostituire da terzi sopportandone i costi

Secondo l’interpretazione giurisprudenziale più recente, la ripartizione della spesa per la pulizia delle scale va effettuata in base al criterio proporzionale dell’altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano a cui esse servono, in applicazione analogica, in parte qua, dell’art. 1124 c.c., il quale è espressione del principio generale posto dall’art. 1123, comma 2, c.c., e trova la propria ratio nella considerazione di fatto che i proprietari dei piani alti logorano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani bassi (Cass. Sez. 2, 12/01/2007, n. 432) .

Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello inceente alle spese di pulizia e di illuminazione delle scale può essere derogato mediante convenzione modificatrice della disciplina codicistica contenuta o nel regolamento condominiale “di natura contrattuale”, o in una deliberazione dell’assemblea approvata all’unanimità da tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 04/08/2016, n. 16321; Cass. Sez. 2, 23/12/2011, n. 28679; Cass. Sez. 2, 26/03/2010, n. 7300; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641; Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126).

È in ogni caso necessario, perché sia giustificata l’applicazione di un criterio di ripartizione delle spese diverso da quello legale, commisurato alla quota di proprietà di ciascun condomino, che la deroga convenzionale sia prevista espressamente (Cass. Sez. 2, 29/01/2000, n. 1033).

La «diversa convenzione» ex art. 1123 c.c. può, peraltro, essere adottata anche in funzione non “normativa”, e cioè non per sostituire statutariamente il titolo negoziale a quello legale o regolamentare nella relativa disciplina, bensì con riguardo al riparto di una singola spesa o di una specifica gestione.

Tuttavia, poiché pure in tal caso la convenzione viene ad incidere sulla misura degli obblighi dei singoli partecipanti al condominio, essa non può essere rimessa all’espressione della regola collegiale sintetizzata dal principio di maggioranza, ma deve comunque fondarsi su una deliberazione unanime, non limitata ai presenti all’assemblea (Cass. Sez. 2, 23/05/1972, n. 1588).

Come già considerato, il dovere dei condomini di contribuire alle spese in proporzione al valore della rispettiva unità immobiliare o all’utilità che traggano del bene o dal servizio comune trova la sua fonte nel diritto dominicale di condominio, e perciò non può rientrare nelle attribuzioni dell’assemblea una potestà di deroga ai criteri legali di cui agli art. 1123 e ss. c.c.

A tali principi non si è uniformata l’impugnata sentenza, avendo essa incomprensibilmente ritenuto le delibere impugnate concernenti “le modalità di esecuzione delle spese di pulizia delle scale”, ovvero attinenti “all’organizzazione ed al funzionamento delle cose comuni”. Le delibere impugnate non rivelano, invece, una portata meramente organizzativa, concernente soltanto le modalità d’uso delle cose comuni, o la gestione ed il funzionamento dei servizi condominiali, materie certamente rientranti nelle competenze collegiali.

Va conclusivamente affermato che il diritto-dovere di ciascun condomino, ex art. 1118 c.c., di provvedere alla manutenzione delle cose comuni comporta certamente non solo l’obbligo di sostenere le spese, ma anche tutti gli obblighi di facere e di pati connessi alle modalità esecutive dell’attività manutentiva, rimanendo tuttavia affetta da nullità la delibera dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini espresso in apposita convenzione, si modifichino a maggioranza i criteri legali o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune (quale quello di pulizia delle scale), venendo a incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso l’imposizione, come nelle specie, di un obbligo di facere, ovvero di un comportamento personale, spettante in egual misura a ciascun partecipante e tale da esaurire il contenuto dell’obbligo di contribuzione”

© Massimo Ginesi 14 novembre 2018 

 

art. 1124 cod.civ.: fondi terranei e valutazione del parametro dell’altezza nella ripartizione della spesa per scale ed ascensori

L’art. 1124 cod.civ. prevede che le spese per scale ed ascensori siano ripartite per metà in funzione della quota millesimale di ciascuna unità e per metà in funzione dell’altezza dal suolo.

La riforma del 2012 ha recepito nel tessuto normativo l’indicazione giurisprudenziale che estendeva la norma al riparto delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori ed ha specificato, con riguardo all’altezza dal suolo, che metà della spesa dovrà essere imputata  “esclusivamente” in funzione di quel parametro.

Ci si è chiesti se, in presenza  di più unità poste allo stesso piano, queste rispondano per la metà suddivisa in funzione dell’altezza in misura paritaria oppure se, ferma l’identità di piano, la quota relativa dovesse tener conto anche della diversa estensione millesimale.

Nel primo caso 4 unità poste al terzo piano avrebbero risposto per metà della spesa in misura uguale, nel secondo la spesa – fermo il coefficiente di piano – sarebbe stata comunque ripartita in funzione del diverso valore millesimali delle quattro unità.

E’ il tema affrontato da un recente sentenza del Tribunale apuano  (Trib. Massa 12 ottobre 2018 n. 712) che pronuncia in via definitiva su una complessa vicenda che ha visto l’accertamento della proprietà comune di una scala:“… i due punti controversi attengono unicamente alla imputazione delle spese ai fondi terranei (e dunque alla attribuzione di un valore nella relativa tabella per il riparto degli oneri relativi alle scale) e le modalità di calcolo del coefficiente di altezza con riguardo al 50% che l’art. 1124 c.c. prevede sia calcolato secondo tale parametro.

Con riguardo ai fondi terranei posti nel condominio C., va osservato che tale complesso edilizio appare formato – come già rilevato nella sentenza che ha accertato la proprietà comune delle scale a tutti i condomini – da diversi corpi di fabbrica, serviti da diverse copertura che tuttavia, per la loro natura e ubicazione, non appaiono riconducibili ad ipotesi di parzialità ex art 1123 comma III c.c., come ha ampiamente documentato il CTU, che pure ha tenuto conto nella valutazione delle specifiche caratteristiche di ubicazione di ogni immobile.

Ne deriva che la scala per cui è causa va ritenuto comune anche ai fondi terranei poiché, aldilà della sua specifica idoneità ad accedere al tetto, rappresenta comunque un elemento strutturale ed indispensabile per accedere all’edificio multipiano, le cui strutture (non solo di copertura) rimangono comunque beni comuni a tutti ex art 1117 c.c.

Per tali ragioni le relative spese andranno imputate anche ai fondi, secondo un orientamento della giurisprudenza che appare ormai consolidato (ex multis Cass. 12 settembre 2018 n. 22157, Cass. 20 aprile 2017 n. 9986, Cass. 10 luglio 2007 n. 15444); appare peraltro evidente che tali unità contribuiranno unicamente per la metà relativa al valore millesimale (App. Napoli 1.6.2017 n. 2404), essendo pari a zero il coefficiente di altezza, secondo principi già espressi nella relazione al codice del 1942 e come è chiaramente espresso dall’art. 1124 comma II c.c.

Più complessa appare la problematica relativa all’applicazione del parametro altezza previsto dall’art. 1124 c.c., posto che talune delle parti in causa – ovviamente in funzione del vantaggio che alle stesse ne deriva – sostengono che fra più unità poste allo stesso piano debba comunque valutarsi anche la loro diversa consistenza ed altre ritengono invece che il parametro dell’altezza – in base al quale va ripartito il 50% delle spese – vada considerato puro, ovvero calcolando il solo dato della elevazione dal suolo, indipendentemente dalla diversa caratura millesimale delle unità ivi poste.

Tale ultima soluzione appare più rispondente alla ratio della norma, che considera già la diversa consistenza delle unità immobiliari imputando metà delle spese secondo i valori generali previsti dall’art. 1123 c.c.

Quanto all’altra metà delle spese, l’art. 1124 c.c. – così come modificato dalla novella del 2012 – prevede siano calcolate “esclusivamente” in base all’altezza dal suolo.

L’introduzione dell’avverbio esclusivamente pare collocarsi in un’ottica di continuità e ulteriore conferma rispetto a quanto già era contenuto nella relazione del Guardasigilli al codice civile del 1942 ove si affermava “”per quanto riguarda le scale ho abbandonato il sistema del codice del 1865 che poneva le relative spese a carico dei proprietari di quei piani a cui serviva ciascun tratto di scala, in ragione del valore dei piani stessi… Ho ripartito invece le spese per la manutenzione e ricostruzione tra i proprietari dei diversi piani, a cui le scale servono, per metà in ragione dei singoli piani e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo. E’ giusto che i proprietari degli ultimi piani contribuiscano in misura maggiore, perché è da presumere che con il maggior uso diano luogo a maggior consumo delle scale”

Tale criterio misto rappresenta indubbiamente una applicazione ponderata della norma generale di cui all’art. 1123 comma II c.c., con predeterminazione della quota di contribuzione parametrata alla diversa utilità tratta dal bene a seconda della posizione della unità immobiliare a cui la scala serve (Cass. 12.1.2007 n. 432)

La diversa consistenza delle unità e quindi la necessità di evitare disparità con riguardo a beni di diversa entità, valore e ampiezza è già considerata nella metà della spesa che l’art. 1124 c.c. impone di ripartire secondo i principi generali di proporzionalità previsti dall’art. 1123 comma I c.c., sì che parrebbe un’ulteriore e non consentita reiterazione di tale principio – con diluzione del parametro di piano voluto dal legislatore – tornare a distinguere, per la determinazione della quota ripartita in funzione dell’altezza, il valore delle singole unità poste a quel piano; non appare secondario, in tal senso, tenere conto della attuale indicazione della norma (“esclusivamente”), che pare ribadire e puntualizzare i principi generali sottesi alla adozione del precetto sin dal codice del 1942, tenuto conto che, per il parametro dell’altezza, deve valere unicamente il criterio del maggior uso e della maggior utilità – in senso potenziale – effettuato dai condomini dei piani alti, criteri con riferimento ai quali la estensione delle relative unità poste a ciascun livello non ha diretta ed effettiva incidenza (arg. dalle cit. cass. 22157/2018 e Cass. 432/2007).

Peraltro che il criterio dell’altezza di piano debba essere applicato in maniera pura, con riguardo a quelle utilità che si ritraggono in funzione della posizione della unità di proprietà individuale all’interno dell’edificio in condominio, è principio che pare conforme alla natura mista della norma codicistica che, da un lato, valorizza il parametro legato all’uso e alle utilità potenziali (che certamente le unità collocate ai piani alti traggono in misura maggiore) e, dall’altro, tiene comunque conto del valore millesimale delle diverse unità poiché, come si è osservato acutamente in dottrina, “il legislatore sa pure che il godimento delle scale non è bene perfettamente misurabile, e, dunque, è irrinunciabile tenere in considerazione paritariamente la quota millesimale”

© Massimo Ginesi 16 ottobre 2018 

 

ascensore e fondi terranei: il regime delle spese

una recente ordinanza della Corte di legittimità (Cass. civ. sez. VI-2 12 settembre 2018 n. 22157  rel. Scarpa)  richiama la disciplina della imputazione delle spese per la sostituzione dell’impianto di ascensore, con alcuni interessanti riferimenti alla valenza del regolamento condominiale sul tema.

Una condomina, proprietaria di un immobile al piano terra, si doleva che la corte d’appello di Roma non avesse tenuto in debito conto che il regolamento di condominio non prevedeva un obbligo di contribuzione dei proprietari dei fondi terranei alle spese di ascensore.

La Corte di Cassazione, con ampia motivazione, rileva che in realtà è la legge (ancor prima dell’espresso dettato letterale dell’art. 1124 cod.civ. novellato) a prevedere tale obbligo, che può essere derogato solo da una disposizione di natura contrattuale o da una delibera unanime, inesistenti nel caso di specie.

“Il costante orientamento interpretativo di questa Corte ha più volte affermato (nella vigenza della disciplina, qui operante, antecedente alla riformulazione dell’art. 1124 c.c. introdotta dalla legge n. 220 del 2012, ove espressamente si contempla l’intervento di sostituzione degli ascensori) che, a differenza dell’installazione “ex novo” di un ascensore in un edificio in condominio (le cui spese vanno suddivise secondo l’art. 1123 c.c., ossia proporzionalmente al valore della proprietà di ciascun condomino), quelle relative alla manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente vanno ripartite ai sensi dell’art. 1124 c.c. (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20713, non massimata; Cass. Sez. 2, 25/03/2004, n. 5975; Cass. Sez. 2, 17/02/2005, n. 3264).

Stante l’identità di ratio delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale ex art. 1124 c.c. e delle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente, deve dirsi che, al pari delle scale, l’impianto di ascensore, in quanto mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, riveste la qualità di parte comune (tant’è che, dopo la legge n. 220 del 2012, esso è espressamente elencato nell’art. 1117 n. 3, c.c.) anche relativamente ai condomini proprietari di negozi o locali terranei con accesso dalla strada, poiché pure tali condomini ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell’edificio, con conseguente obbligo gravante anche su detti partecipanti, in assenza di titolo contrario, di concorrere ai lavori di manutenzione straordinaria ed eventualmente di sostituzione dell’ascensore, in rapporto ed in proporzione all’utilità che possono in ipotesi trarne (arg. da Cass. Sez. 2, 20/04/2017, n. 9986; Cass. Sez. 2, 10/07/2007, n. 15444; Cass. Sez. 2, 06/06/1977, n. 2328).

Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello di ripartizione delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori può essere derogato, ma la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione deve essere contenuta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), o in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 04/08/2016, n. 16321; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641; Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126).

Deve dirsi in tal senso corretta la decisione della Corte d’Appello di Roma, la quale ha escluso che la condomina B. potesse dirsi esonerata dalla spesa intimatale in sede monitoria, non avendo rinvenuto nel regolamento del Condominio (…) alcuna esplicita disciplina convenzionale che differenziasse tra loro gli obblighi dei partecipanti di concorrere agli oneri di manutenzione e sostituzione degli ascensori, attribuendo gli stessi secondo criteri diversi da quelli scaturenti dall’applicazione degli artt. 1124, 1123, 1117 e 1118 c.c.

È perciò evidente l’errore di prospettiva della ricorrente, la quale si duole nelle sue censure dell’interpretazione delle clausole del regolamento del Condominio (…) prescelta dalla Corte d’Appello, e contesta che non sia in esse ravvisabile il fondamento del suo obbligo di partecipazione alla spesa di sostituzione dell’ascensore, laddove il fondamento di tale obbligo discende, come visto, direttamente dalla legge, e le clausole regolamentari analizzate, secondo la plausibile interpretazione privilegiata dai giudici del merito, non contengono, al contrario, alcuna convenzione espressa che deroghi alla disciplina codicistica.”

La Corte richiama anche il consolidato orientamento che ritiene rilevabile la nullità della delibera nel giudizio di opposizone a decreto ingiuntivo, a differenza della annullabilità, che deve essere fatta valere unicamente entro i termini di cui alll’art . 1137 c.c. e che può avere incidenza nel giudizio di opposizone solo ove il giudice abbia internalmente sospeso l’efficacia del deliberato oppure sia inetrvenuta sentenza di annnullamento.

È da ribadire in premessa che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione. Tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; da ultimo, Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672).

Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137, comma 2, c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. Sez. 2, 14/11/2012, n. 19938; Cass. Sez. 6 – 2, 24/03/2017, n. 7741).

Questa Corte ha però anche chiarito, con orientamento che va ribadito, come nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d’ufficio, dell’invalidità delle sottostanti delibere non opera allorché si tratti di vizi implicanti la loro nullità, trattandosi dell’applicazione di atti la cui validità rappresenta un elemento costitutivo della domanda (Cass. Sez. 2, 12/01/2016, n. 305).

Ora, una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c., va certamente ritenuta nulla, a differenza di quanto argomenta la Corte d’Appello in motivazione, occorrendo a tal fine una convenzione approvata all’unanimità, che sia espressione dell’autonomia contrattuale (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233; Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651).

La nullità di una siffatta delibera può, quindi, essere fatta valere anche nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione dei discendenti contributi condominiali, trattandosi di vizio che inficia la stessa esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa (esistenza che il giudice dell’opposizione deve comunque verificare) e che rimane sottratto al termine perentorio di impugnativa di cui all’art. 1137 c.c..”

ascensore e regolamento di condominio: le spese vanno ripartite in forza dell’art. 1124 cod.civ.

Una interessante e recentissima pronuncia della Cassazione (Cass. civ. VI – 2 sez. 28 marzo 2017 n. 8015, rel. Scarpa) affronta un caso bizzarro: in un fabbricato in condominio sussiste regolamento di natura contrattuale in cui è previsto che le spese per la manutenzione delle scale avvenga ai sensi dell’art. 1124 cod.civ.; negli atti di acquisto dei condomini è altresì previsto che “la ripartizione delle spese condominiali verrà fatta in proporzione ai millesimi di proprietà e in conformità a quanto disposto dal regolamento di condominio”.

Nulla si dice in tema di ascensore, sicchè il Condominio ha ritenuto che ciò costituisse deroga convenzionale ai criteri di riparto ed ha attribuito le spese di ascensore in ragione dei millesimi generali  ex art. 1123 I comma cod.civ.: la tesi è  quantomeno singolare, eppure  ha trovato avvallo sia dal Tribunale di Verona che dalla Corte di Appello di Venezia, che hanno respinto nel merito  l’impugnativa di uno dei condomini.

Costui ricorre in Cassazione, rilevando anche un altro vizio della decisione di secondo grado relativo alla celebrazione della assemblea e alla partecipazione per delega dei condomini: in quel fabbricato il regolamento prevedeva che i partecipanti non potessero recare più di due deleghe, mentre nella delibera impugnata l’amministratore era portatore di tre deleghe (i fatti sono anteriori al 2012 e quindi non vedono diretta applicazione dell’art. 67 disp. att. cod.civ. oggi in vigore). I giudici di merito hanno ritenuto che, poichè il voto espresso da colui che portava deleghe in numero superiore non risultava decisivo, la doglianza era infondata (c.d. prova di resistenza).

La Suprema Corte riconosce invece fondati entrambi i motivi, con argomentazioni che è opportuno riportare per esteso.

SUL RIPARTO DELLE SPESE DI ASCENSORE: “Secondo l’orientamento del tutto consolidato di questa Corte, la regola posta dall’art. 1124 c.c. relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo) in mancanza di criteri convenzionali, è applicabile per analogia, ricorrendo l’identica “ratio” (e poi proprio ex lege, a seguito della riformulazione dell’art. 1124 c.c. operata della legge n. 220/2012, qui non operante ratione temporis), alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (su cui incide il logorio dell’impianto, proporzionale all’altezza dei piani). Pertanto l’impianto di ascensore è di proprietà comune – secondo la presunzione di cui all’art. 1117 n. 3 c.c., in mancanza di titolo contrario – fra tutti i condomini in proporzione al valore dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva (art. 1118 c.c.) e la ripartizione delle spese relative all’ascensore è regolata dai criteri stabiliti dall’art. 1124 c.c. e dall’art. 1123 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3264 del 17/02/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5975 del 25/03/2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2833 del 25/03/1999).

Anche il criterio di ripartizione delle spese condominiali stabilito dall’art. 1124 c.c., e quindi operante per la manutenzione dell’ascensore, può essere derogato, come prevede l’art. 1123 c.c., e il relativo accordo modificatore della disciplina legale di ripartizione può essere contenuto sia nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), sia in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini. La deroga ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali suppone, tuttavia, un’espressa convenzione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16321 del 04/08/2016, non massimata; Cass. Sez. 2, Sentenza n.28679 del 23/12/2011).

Proprio perche, in base all’art. 1124 c.c., le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e degli ascensori vanno assimilate e assoggettate alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra le une e le altre, la clausola del regolamento condominiale che dispone che le spese di manutenzione delle scale vadano ripartite secondo l’art. 1124 c.c. non può affatto essere intesa come convenzione contraria alla suddivisione delle spese di manutenzione degli ascensori secondo lo stesso criterio; né tanto meno vale quale deroga all’art. 1124 c.c. la clausola contenuta nell’atto di acquisto che prevede che la ripartizione delle spese condominiali avvenga secondo i millesimi e in conformità a quanto disposto dal regolamento.”

SULLE DELEGHE: “La Corte d’Appello, invocando la cosiddetta prova della resistenza, ha escluso l’invalidità della deliberazione impugnata, nella quale l’amministratore ha esercitato il diritto di voto munito di tre deleghe, in violazione dell’art. 18 del regolamento condominiale, che stabilisce che nessuno possa rappresentare in assemblea più di due condomini.

Secondo, però, l’orientamento di questa Corte, la clausola del regolamento di condominio volta a limitare il potere dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, riducendolo, come nella specie, a non più di due deleghe, regola l’esercizio del diritto di ciascun condomino di intervenire in questa a mezzo di delegati (art. 67, comma 1, disp. att. c.c., anch’esso modificato dalla legge n. 220/2012 con riformulazione qui non applicabile ratione temporis), inderogabile (secondo quanto si evince dal successivo art. 72) giacchè posto a presidio della superiore esigenza di garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell’interesse comune dei partecipanti alla comunione, considerati nel loro complesso e singolarmente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5315 del 29/05/1998).

Sicchè la partecipazione all’assemblea condominiale di un rappresentante fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento di condominio, comportando un vizio nel procedimento di formazione della relativa delibera, dà luogo ad un’ipotesi di annullabilità della stessa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7402 del 12/12/1986), senza che possa rilevare il carattere determinante del voto espresso dal delegato per il raggiungimento della maggioranza occorrente per l’approvazione della deliberazione stessa.”

© massimo ginesi 4 aprile 2017

 

 

scale in supercondominio: di chi sono e a che titolo? quanti problemi…

Accade con frequenza che un immobile posto in un edificio complesso,  ascrivibile alla fattispecie del c.d. supercondominio (oggi espressamente disciplinata dall’art. 1117 bis. cod.civ. )  e munito di più ingressi  distinti da autonomi numeri civici,  sia servito dalle scale che si dipartono  sia dall’uno che dall’altro androne.

Le une servono un’ala dell’edificio e le altre la restante parte, tuttavia una specifica unità immobiliare si giova – per la sua conformazione – di entrambe e, poiché nel suo titolo di acquisto si specifica che su una delle scale ha “diritto di passo”, il titolare ritiene di essere esonerato dalle spese della scala su cui ritiene di transitare solo a titolo di servitù di passo.

Nel fabbricato, proprio per la sua complessità (e litigiosità), da tempo non si riescono ad approvare le tabelle millesimali e così le diverse spese – ivi comprese quelle per i lavori straordinari a detta scala – vengono ripartite, salvo conguaglio, in forza di una tabella provvisoria e  mai approvata, che tuttavia attribuisce anche a quel condomino i millesimi scale su entrambi i manufatti.

Costui impugna le delibere, assumendone l’illiceità e chiedendo al Tribunale – oltre alla cassazione dei deliberati –  che venga accertata che la proprietà della scala incriminata è da riconoscere solo  in capo ai condomini del numero civico X , che in suo favore sussiste su tale scala unicamente di una servitù di passo, con conseguente esonero dalle spese e – in via subordinata – che vengano adottate in via giudiziale  le tabelle millesimali che il condominio, nonostante diversi tentativi, non è mai riuscito ad approvare.

Il Tribunale di Massa, con sentenza parziale 5 dicembre 2016, si pronuncia sulle diverse domande, evidenziando diversi profili che possono risultare di interesse applicativo generale.

Il giudice di merito osserva che: “La domanda di parte attrice risulta fondata unicamente in ordine alla richiesta di determinazione dei millesimi in via definitiva e solo in tal senso dovrà e potrà essere accolta.
Risultano invece infondate le domande dell’attrice relative all’accertamento sulla proprietà altrui della scala cui accede alla propria unità dalla via R. A. 13, sull’assunto che ella sarebbe proprietaria unicamente della scala a proprio esclusivo servizio che affaccia sul civico 7 sempre della via R.A., godendo sull’altro manufatto unicamente di servitù di passo nonché  quelle conseguenti e relative alla impugnazione della delibera 18.7.2009. “

a) la titolarità delle scale,  bene tendenzialmente comune. 

Il Tribunale si sofferma preliminarmente sulla natura delle scale quale bene necessariamente comune, salvo diversa qualificazione del titolo o in base alla funzione eventualmente limitata   ad alcuni condomini  cui siano destinate, laddove la funzione principale e comune di mobilità e accesso all’interno del complesso edilizio sia assolta da altro manufatto.

“…non può non rilevarsi come il complesso edilizio denominato oggi Condominio C. debba essere ascritto al genus dei fabbricati edilizi complessi, disciplinati dall’art. 1117 bis cod.civ. (così come introdotto dalla legge 220/2012) fattispecie in precedenza delineata – con esiti pressoché coincidenti – dalla prevalente giurisprudenza.
Si tratta indubbiamente di fabbricato dalle caratteristiche peculiari, con parti destinate a fornire utilità maggiore (o esclusiva) ad alcuni dei condomini, ma tale ultimo aspetto ove esistente e rilevante dovrà essere risolto nell’ambito dell’art. 1123 III comma cod.civ., senza che possa fungere da  presupposto logico e necessario per affermare l’esistenza di condominii distinti.
Risulta infatti che l’intero complesso immobiliare, per ciò intendendo l’intero involucro edilizio cui si accede dai civici 7 e 13 della via R.A., seppure articolato su più corpi di fabbrica e con coperture parzialmente autonome, non si distingua in unità edilizie funzionalmente autonome e separate dalle altre ma comporti una commistione delle strutture murarie principali, delle falde di copertura, degli ingressi e delle parti comuni che risultano, di volta in volta, destinate a fornire una utilità indistinta all’intero complesso, cui – in forza della norma sopra richiamata – devono ritenersi comuni per funzione ex art. 1117 nn. 1 e 3 cod.civ. , ove ciò già non risulti dal titolo.
La stessa unità immobiliare della attrice risulta posizionata in maniera trasversale rispetto ai due civici contraddistinti dal 7 e dal 13, sicché può accedere da entrambi gli androni e fruire delle scale posizionate in ciascuno, così come – elemento che si rivela ulteriormente qualificante – si estende, seppure parzialmente, anche sotto la copertura della porzione di edificio riconducibile al civico 13 e servita dalla scala oggetto di contesa (poco importa se con verande o portici o stanze, rilevando a tal fine unicamente il perimetro della proprietà esclusiva servita dalle parti comuni).
Tali elementi sarebbero sufficienti a considerare l’immobile un organismo edilizio complesso (c.d. supercondominio), che vede in comune – a mente del disposto di cui agli artt. 1117 e 1117 bis cod.civ. – le parti comuni necessarie alla sua stessa sussistenza.
Non vi è dubbio che, fra queste, vi siano – per costante giurisprudenza – le scale, che non solo servono di accesso alle singole unità, ma sono ritenute elemento necessariamente comune negli edifici multipiano: “Le scale e i relativi pianerottoli, negli edifici in condominio, costituiscono strutture essenziali del fabbricato e rientrano, in assenza di una diversa disposizione, fra le parti comuni, anche se sono poste a servizio solo di alcuni proprietari dello stabile.” Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2016,  n. 4664
Nel caso di specie non risultano titoli, anche alla luce di quanto si dirà in appresso, che attribuiscano le scale in proprietà specifica ad alcuni condomini, mentre esiste con ogni evidenza una destinazione funzionale delle scale oggetto di contesa ad accedere alla unità della attrice, nonchè al tetto che in parte la copre in quella porzione di fabbricato. Ad ulteriore connotazione della funzione collettiva dell’androne del civico 13 e delle scale che dallo stesso si dipartono, va osservato che diversi impianti funzionali all’unità della attrice trovano ivi allocazione.
Non potrà dunque non ritenersi comune anche a detta unità sia l’androne che le scale che hanno accesso dal civico 13 di via R.A. e che svolgono funzione comune all’interno del Condominio C. complessivamente inteso.”

b) eventuali ipotesi di titolarità parziale 

“Semmai, per quelle parti che risultino unicamente destinate a servire solo alcuni condomini, varrà l’esclusione in forza dell’art. 1123 III comma cod.civ. e della conseguente giurisprudenza che – in tal caso – ravvisa anche una proprietà limitata ai soli soggetti che se ne giovano: “Le scale danno accesso alle proprietà esclusive e per tale ragione sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, essendo necessarie all’uso comune. Le obiettive caratteristiche strutturali, per cui dette scale servono in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, ne fanno venire meno in questo caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.” Cassazione civile, sez. II, 19/04/2016,  n. 7704
In sede di redazione delle tabelle il tecnico dovrà dunque valutare se dette scale, in quanto inidonee a rendere una funzione per taluni dei condomini (anche solo potenziale per l’accesso ad una porzione di tetto che li riguarda), debbano ritenersi di proprietà solo di alcuni, così come dovrà valutare – ai fini della  caratura millesimale – l’effettiva entità della proprietà servita dalla parte comune (in ossequio ai principi stabiliti da Cass. 1451/2014).
Si tratta tuttavia di principi che attengono alla effettiva imputazione della spesa ai singoli condomini relativamente a parti comunque comuni e non già di circostanze che si rivelino idonee ad incidere sulla titolarità delle stesse.
Con la considerazione ulteriore che l’utilità deve essere valutata in senso ampio, astratto e potenziale, per quelle stesse ragioni che attribuiscono anche ai fondi che hanno accesso autonomo dalla strada le relative spese, seppure nella dimidiata misura di cui all’art. 1124 cod.civ. (Cass. n. 4419/2013; n. 15444/2007)
Non vi è dubbio, dunque, che ai fini del giudizio, la scala per cui è controversia risulti con certezza rendere una funzione nei confronti della attrice e debba pertanto essere ritenuta comune anche a costei.

C) il rilievo del titolo, proprietà o servitù?

“A superare tale qualificazione non valgono i titoli addotti dalla A., in forza dei quali l’attrice assumerebbe di essere mera titolare di una servitù di passo e di dover essere dunque esonerata dalle relative spese.
A tal proposito coglie nel segno la difesa della convenuta B., laddove ravvisa nell’atto notaio C. 1.7.1949 l’elemento costitutivo del Condominio C..
Con quella disposizione E.C.C., originaria unica proprietaria dell’intero complesso, cedeva per la prima volta ad un terzo – tal L. R. – una unità posta nel complesso immobiliare, creando così i presupposti per la nascita dell’edificio in condominio che sorge – senza necessità alcuna di atti costitutivi specifici o di regolamenti ad hoc – nel momento in cui almeno due unità immobiliari iniziano ad appartenere a soggetti diversi (Cass.Sez.II 19429/04).
In tale atto non emerge alcuna volontà della E.C.C. né di costituire servitù a favore della proprietà a lei rimasta (e che successivamente alienerà – in parte – al dante causa della odierna attrice) né tantomeno appare desumibile in alcun modo la volontà di dar luogo a più condominii separati, come afferma l’A., apparendo il richiamo al civico di accesso meramente descrittivo della unità effettivamente ceduta.
Non appare qualificante, in tal senso, neanche l’atto di vendita a C. – dante causa della odierna attrice e che acquista con atto notaio C.del 24.10.1953 – in cui il termine “diritto di passo” appare utilizzato in modo atecnico e meramente descrittivo, volto a qualificare unicamente la facoltà di accesso e uso dell’unità venduta anche dalla scala che diparte dal civico 13, che non a caso non è definita appartenete ad altro edificio ma semplicemente “secondaria”, ovvero intesa come manufatto appartenente al medesimo complesso immobiliare ma destinata, per funzione ed uso, a rendere utilità anche a quella specifica unità immobiliare compravenduta e, quindi, anche a lei comune, seppur in affiancamento ad altro accesso che si ritiene principale (rectius, personale).

D) la costituzione di servitù in condominio dopo la sua nascita

Del resto alla possibilità di costituire servitù sulle parti comuni da parte di E. C. C., una volta che il Condominio aveva iniziato ad esistere con l’atto del 1949, osta la circostanza che l’imposizione di pesi reali su beni ormai comuni non è più consentita all’originario unico proprietario in assenza del consenso degli altri condomini (ovvero, nella fattispecie, del R.).

E) riparto provvisorio e approvazione delle tabelle

Alla riconosciuta proprietà comune della scala de quo, consegue l’infondatezza della impugnativa delle delibere azionata con la domanda principale, anche alla luce dei seguenti principi:

  • è sempre consentito al condominio disporre un riparto provvisorio delle spese, su base proporzionale, al fine di procedere alle necessarie opere di manutenzione
  • le tabelle millesimali e comunque i criteri di riparto provvisori non richiedono approvazione all’unanimità, laddove si ispirino a criteri proporzionali assimilabili al disposto di cui all’art. 1123 cod.civ. (o, nella fattispecie, di cui all’art. 1124 cod.civ. ) e possono essere approvai con la maggioranza prevista dall’art. 1136 II comma cod.civ. (Cass. SS.UU 18477/2010), nel caso ampiamente raggiunta.
  • tutte le delibere sono sempre state assunte in via provvisoria, in attesa di approvazione di tabella millesimale definitiva, ivi compresa quella del 27.5.2011 (come espressamente risulta dal relativo verbale), circostanza quest’ultima che rende priva di fondamento anche l’eccezione relativa a cessazione della materia del contendere sollevata dal convenuto condominio.

F) il titolare di servitù usa le scale gratis?

Non sarà inutile rilevare che, anche ove per ipotesi si fosse voluto riconoscere l’esistenza di servitù a favore della attrice, non muterebbero le conseguenze concrete in ordine alla imputazione delle spese, circostanza comunque dirimente in ordine alla legittimità delle delibere impugnate: a mente dell’art. 1069 III comma cod.civ. ove le opere giovino anche al fondo servente costui deve partecipare alle spese (App.-Genova 5.1.2011) ed è plausibile che nel caso peculiare la modalità dei rispettivi contributi debba e possa essere modulata sul disposto dell’art. 1124 cod.civ.

G) domande di accertamento di diritti reali e litisconsorzio 

Sussisteva indubitabilmente legittimazione necessaria dei singoli condomini in ordine alla domanda di accertamento relativa a diritti reali sulle parti comuni, mentre sussiste pacificamente legittimazione autosufficiente del condominio per il giudizio relativo alla impugnativa.

H) la richiesta di adozione dei millesimi

Parimenti sussiste interesse del singolo condomino a veder adottata una tabella millesimale definitiva, volta al riparto delle spese in accordo con i principi codicistici (Trib. PAlermo, 22 marzo 2011).

il Giudizio è dunque destinato a proseguire: nella sentenza parziale il Tribunale “Dichiara che le scale di accesso del Condominio C., con accesso dal civico 13 della via R. A., costituiscono bene condominiale ex art. 1117 cod.civ. e sono comuni anche alla attrice C. A. 
respinge le domande relative alla impugnativa della delibera 18.7.2009
Dispone la remissione della causa in istruttoria e statuisce in ordine alla prosecuzione del giudizio relativo alla formazione delle tabelle millesimali come da separata ordinanza”

© massimo ginesi 2 febbraio 2017 

supercondominio e scale: servitù di passo o bene condominiale?

Una pronuncia di merito (Tribunale Massa 5 dicembre 2016) affronta una vicenda peculiare, ma non così infrequente, e tratta  diversi aspetti di sicuro interesse: l’esistenza  e la nascita del supercondominio, la possibilità di creare servitù all’interno dello stesso, la natura delle scale.

I fatti: un condomino è proprietario di immobile sito in un fabbricato complesso, composto da più corpi di fabbrica e con due diversi accessi dalla strada pubblica, e può fruire di due scale, che servono la sua unità immobiliare accedendo da ciascun numero civico.

Il Condominio delibera di effettuare lavori straordinari ad una delle due scale ed il condomino impugna la delibera sull’assunto che su detta scala abbia soltanto  una servitù di passo e non un diritto di comproprietà ex art. 1117 cod.civ.:  per tale motivo non devono essergli addebitati i relativi costi. La domanda, assai articolata in principali e subordinate,  attiene non solo alla impugnativa dei deliberati ma anche all’accertamento dei diritti sulle parti comuni e alla determinazione giudiziale delle tabelle, comportando dunque  la necessaria integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini ai sensi dell’art. 102 cod.proc.civ.

Non si tratta di corpi di fabbrica del tutto distinti, poiché le strutture murarie e i tetti di copertura sono in parte comuni e la stessa unità dell’attore si estende attraverso diversi di questi.

Osserva il giudice di merito che l’intero complesso può ricondursi alla fattispecie oggi delineata dall’art. 1117 bis cod.civ.: “E’ stata espletata CTU descrittiva e disposto accesso giudiziale, adempimenti dai quali non può non rilevarsi come il complesso edilizio denominato oggi Condominio C. debba essere ascritto al genus dei fabbricati edilizi complessi, disciplinati dall’art. 1117 bis cod.civ. (così come introdotto dalla legge 220/2012) fattispecie in precedenza delineata – con esiti pressoché coincidenti – dalla prevalente giurisprudenza.

Si tratta indubbiamente di fabbricato dalle caratteristiche peculiari, con parti destinate a fornire utilità maggiore (o esclusiva) ad alcuni dei condomini, ma tale ultimo aspetto – ove esistente e rilevante – dovrà essere risolto nell’ambito dell’art. 1123 III comma cod.civ., senza che possa  fungere quale presupposto logico e necessario per affermare l’esistenza di condominii distinti.
Risulta infatti che l’intero complesso immobiliare, per ciò intendendo l’intero involucro edilizio cui si accede dai civici 7 e 13 della via R. A., seppure articolato su più corpi di fabbrica e con coperture parzialmente autonome, non si distingua in unità edilizie funzionalmente autonome e separate dalle altre ma comporti una commistione delle strutture murarie principali, delle falde di copertura, degli ingressi e delle parti comuni che risultano, di volta in volta, destinate a fornire una utilità indistinta all’intero complesso, cui – in forza della norma sopra richiamata – devono ritenersi comuni per funzione ex art. 1117 nn. 1 e 3 cod.civ. , ove ciò già non risulti dal titolo.
La stessa unità immobiliare della attrice risulta posizionata in maniera trasversale rispetto ai due civici contraddistinti dal 7 e dal 13, sicché può accedere da entrambi gli androni e fruire delle scale posizionate in ciascuno, così come – elemento che si rivela ulteriormente qualificante – si estende, seppure parzialmente, anche sotto la copertura della porzione di edificio riconducibile al civico 13 e servita dalla scala oggetto di contesa (poco importa se con verande o portici o stanze, rilevando a tal fine unicamente il perimetro della proprietà esclusiva servita dalle parti comuni).
Tali elementi sarebbero sufficienti a considerare l’immobile un organismo edilizio complesso (c.d. supercondominio), che vede in comune – a mente del disposto di cui agli artt. 1117 e 1117 bis cod.civ. – le parti comuni necessarie alla sua stessa sussistenza.”

Quanto alla condominialità delle scale il Tribunale afferma che “Non vi è dubbio che , fra queste (le parti necessariamente comuni, n.d.r.), vi siano – per costante giurisprudenza – le scale, che non solo servono di accesso alle singole unità, ma sono ritenute elemento necessariamente comune negli edifici multipiano: “Le scale e i relativi pianerottoli, negli edifici in condominio, costituiscono strutture essenziali del fabbricato e rientrano, in assenza di una diversa disposizione, fra le parti comuni, anche se sono poste a servizio solo di alcuni proprietari dello stabile.” Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2016,  n. 4664
Nel caso di specie non risultano titoli, anche alla luce di quanto si dirà in appresso, che attribuiscano le scale in proprietà specifica ad alcuni condomini, mentre esiste con ogni evidenza una destinazione funzionale delle scale oggetto di contesa ad accedere alla unità della attrice, nonchè al tetto che in parte la copre in quella porzione di fabbricato. Ad ulteriore connotazione della funzione collettiva dell’androne del civico 13 e delle scale che dallo stesso si dipartono, va osservato che diversi impianti funzionali all’unità della attrice trovano ivi allocazione.
Non potrà dunque non ritenersi comune anche a detta unità sia l’androne che le scale che hanno accesso dal civico 13 di via R.A. e che svolgono funzione comune all’interno del Condominio C. complessivamente inteso.
Semmai, per quelle parti che risultino unicamente destinate a servire solo alcuni condomini, varrà l’esclusione in forza dell’art. 1123 III comma cod.civ. e della conseguente giurisprudenza che – in tal caso – ravvisa anche una proprietà limitata ai soli soggetti che se ne giovano: “Le scale danno accesso alle proprietà esclusive e per tale ragione sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, essendo necessarie all’uso comune. Le obiettive caratteristiche strutturali, per cui dette scale servono in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, ne fanno venire meno in questo caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.” Cassazione civile, sez. II, 19/04/2016,  n. 7704″

Quanto ai criteri di imputazione della spesa del bene ritenuto comune: “In sede di redazione delle tabelle il tecnico dovrà dunque valutare se dette scale, in quanto inidonee a rendere una funzione per taluni dei condomini (anche solo potenziale per l’accesso ad una porzione di tetto che li riguarda), debbano ritenersi di proprietà solo di alcuni, così come dovrà valutare – ai fini della effettiva caratura millesimale, l’effettiva entità della proprietà servita dalla parte comune (in ossequio ai principi stabiliti da Cass. 1451/2014).
Si tratta tuttavia di principi che attengono alla effettiva imputazione della spesa ai singoli condomini di parti comunque comuni e non già di circostanze che si rivelino idonee ad incidere sulla titolarità delle stesse.
Con la considerazione ulteriore che l’utilità deve essere valutata in senso ampio, astratto e potenziale, per quelle stesse ragioni che attribuiscono anche ai fondi che hanno accesso autonomo dalla strada le relative spese, seppure nella dimidiata misura di cui all’art. 1124 cod.civ. (Cass. n. 4419/2013; n. 15444/2007)”

Quanto alla asserita esistenza di servitù di passo, il Tribunale ritenuta la condominialità della scala e la relativa titolarità anche in capo alla attrice, deve necessariamente rifarsi alla nascita del condominio : “A superare tale qualificazione non valgono i titoli addotti dalla A., in forza dei quali l’attrice assumerebbe di essere mera titolare di una servitù di passo e di dover essere dunque esonerata dalle relative spese.
A tal proposito coglie nel segno la difesa della convenuta B., laddove ravvisa nell’atto notaio C. 1.7.1949 l’elemento costitutivo del Condominio C..
Con quella disposizione E.C.C., originaria unica proprietaria dell’intero complesso, cedeva per la prima volta ad un terzo – tal L. R. – una unità posta nel complesso immobiliare, creando così i presupposti per la nascita dell’edificio in condominio che sorge – senza necessità alcuna di atti costitutivi specifici o di regolamenti ad hoc – nel momento in cui almeno due unità immobiliari iniziano ad appartenere a soggetti diversi (Cass.Sez.II 19429/04).
In tale atto non emerge alcuna volontà della E.C.C. né di costituire servitù a favore della proprietà a lei rimasta (e che successivamente alienerà – in parte – al dante causa della odierna attrice) né tantomeno appare desumibile in alcun modo la volontà di dar luogo a più condomini separati, come afferma l’A., apparendo il richiamo al civico di accesso meramente descrittivo della unità effettivamente ceduta.
Non appare qualificante, in tal senso, neanche l’atto di vendita a CA. – dante causa della odierna attrice e che acquista con atto notaio C. del 24.10.1953 – in cui il termine “diritto di passo” appare utilizzato in modo atecnico e meramente descrittivo, volto a qualificare unicamente la facoltà di accesso e uso dell’unità venduta anche dalla scala che diparte dal civico 13, che non a caso non è definita appartenete ad altro edificio ma semplicemente “secondaria”, ovvero intesa come manufatto appartenente al medesimo complesso immobiliare ma destinata, per funzione ed uso, a rendere utilità anche a quella specifica unità immobiliare compravenduta e, quindi, anche a lei comune, seppur in affiancamento ad altro accesso che si ritiene principale (rectius, personale).
Del resto alla possibilità di costituire servitù sulle parti comuni da parte di E. C. C., una volta che il Condominio aveva iniziato ad esistere con l’atto del 1949, osta la circostanza che l’imposizione di pesi reali su beni ormai comuni non è più consentita all’originario unico proprietario senza del consenso degli altri condomini (ovvero, nella fattispecie, del R.).
Alla riconosciuta proprietà comune della scala de quo, consegue l’infondatezza della impugnativa delle delibere azionata con la domanda principale, anche alla luce dei seguenti principi:
– è sempre consentito al condominio disporre un riparto provvisorio delle spese, su base proporzionale, al fine di procedere alle necessarie opere di manutenzione
– le tabelle millesimali e comunque i criteri di riparto provvisori non richiedono approvazione all’unanimità, laddove si ispirino a criteri proporzionali assimilabili al disposto di cui all’art. 1123 cod.civ. (o, nella fattispecie, di cui all’art. 1124 cod.civ. ) e possono essere approvai con la maggioranza prevista dall’art. 1136 II comma cod.civ. (Cass. SS.UU 18477/2010), nel caso ampiamente raggiunta.
– tutte le delibere sono sempre state assunte in via provvisoria, in attesa di approvazione di tabella millesimale definitiva, ivi compresa quella del 27.5.2011 (come espressamente risulta dal relativo verbale), circostanza quest’ultima che rende priva di fondamento anche l’eccezione relativa a cessazione della materia del contendere sollevata dal convenuto condominio.

Non sarà inutile rilevare che, anche ove per ipotesi si fosse voluto riconoscere l’esistenza di servitù a favore della attrice, non muterebbero le conseguenze concrete in ordine alla imputazione delle spese, circostanza comunque dirimente in ordine alla legittimità delle delibere impugnate: a mente dell’art. 1069 III comma cod.civ. ove le opere giovino anche al fondo servente costui deve partecipare alle spese (App.-Genova 5.1.2011) ed è plausibile che nel caso peculiare la modalità dei rispettivi contributi debba e possa essere modulata sul disposto dell’art. 1124 cod.civ. “

Quanto agli esiti del Giudizio, il Tribunale ha deciso con sentenza parziale in ordine alla titolarità del bene disponendo in rodine al proseguo del giudizio per la determinazione giudiziale delle tabelle millesimali definitive, domanda comunque avanzata in via subordinata dalla attrice: “Sussisteva indubitabilmente legittimazione necessaria dei singoli condomini in ordine alla domanda di accertamento relativa a diritti reali sulle parti comuni, mentre sussiste pacificamente legittimazione autosufficiente del condominio per il giudizio relativo alla impugnativa.
Parimenti sussiste interesse del singolo condomino a veder adottata una tabella millesimale definitiva, volta al riparto delle spese in accordo con i principi codicistici (Trib. PAlermo, 22 marzo 2011). ”

© massimo ginesi 28 dicembre 2016