La Suprema Corte (Cass.civ. sez. II ord. 23 agosto 2017, n. 20287 Rel. Scarpa) ribadisce un orientamento consolidato in tema di coperture piane del fabbricato, con una motivazione che – seppur in sintesi – traccia con grande efficacia i contorni della materia.
Il fatto e la vicenda processuale: “La Corte d’Appello di Napoli ha riformato la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 21/11/2006 ed ha accolto in parte la domanda, proposta da C.O. , C.R. e C.G. con citazione del 28/04/1997, ordinando a G.M. di rimuovere i manufatti (veranda e relativi paletti di sostegno, muretto portante una stufa, cancello di accesso) realizzati sul lastrico di copertura dei locali terranei di proprietà C. , adibiti ad esercizio commerciale e siti in (omissis) .
In citazione, come si legge nella sentenza impugnata, gli attori avevano allegato che l’area di copertura dei locali terranei di loro proprietà fosse costituita in parte da lastrico impraticabile e per la residua parte da “terrazzo in uso esclusivo del sig. G.M. “.
Ha affermato la Corte d’Appello che in tal modo gli attori C. avessero riconosciuto al G. solo l’”uso di fatto” della parte adibita a terrazza, e non anche “il titolo giuridico a possedere”.
Il Ctu, si legge ancora nella sentenza impugnata, aveva verificato come il locale terraneo di proprietà C. avesse uno sviluppo di circa 160 mq, mentre il terrazzo pertinente l’appartamento di proprietà G. , avente uno sviluppo complessivo di circa 190 mq, si sovrappone all’immobile C. per circa 110 mq, e la residua superficie di copertura del terraneo è non praticabile. Sempre il Ctu aveva accertato che l’appartamento G. ha un terrazzo che insiste in parte su fabbricato adiacente con titolarità differente e che l’accatastamento della porzione di terrazzo collegata all’appartamento era avvenuta senza titolo di provenienza.
I giudici di appello hanno così concluso che, non avendo il G. allegato e provato un titolo di acquisto della proprietà superficiaria, la porzione di lastrico sovrastante i terranei di proprietà C. fosse stata abusivamente occupata dal G. con le opere denunciate, “non potendo detta porzione di lastrico, benché di fatto in uso al G. , qualificarsi né comune ex art. 1117 c.c., né di proprietà esclusiva del convenuto”
I principi riaffermati dal giudice di legittimità: “La Corte d’Appello di Napoli, nell’ambito dell’indagine, spettante ai giudici del merito, diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non si è uniformata al tenore meramente letterale della citazione (nella quale, come visto, gli attori avevano allegato l’esistenza di un “terrazzo in uso esclusivo del sig. G.M. “), ma, per converso, avendo riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dagli istanti, ha concluso che gli attori C. riconoscessero al G. un mero “uso di fatto” della parte adibita a terrazza, vantandosi, pertanto, pieni proprietari dell’area abusivamente occupata dai convenuti.
Ciò premesso, in termini di prova, la sentenza impugnata ha penalizzato il G. per non aver egli allegato e provato un titolo di acquisto della proprietà esclusiva della terrazza sovrastante i terranei C. , negando altresì che la stessa potesse presumersi come comune agli effetti dell’art. 1117 c.c..
Nella sua decisione, la Corte d’Appello ha così malamente applicato l’art. 1117 c.c., alla stregua dell’interpretazione affermata da Cass. Sez. 2, 22/11/1996, n. 10323, che il Collegio intende qui ribadire.
Invero, l’art. 1117, n. 1, c.c. menziona tra i beni comuni i tetti ed i lastrici solari, i quali sono parti essenziali per l’esistenza del fabbricato, in quanto per la struttura e per la funzione servono da copertura all’edificio e da protezione per i piani o per le porzioni di piano sottostanti dagli agenti atmosferici, mentre tale disposizione non fa espresso riferimento alle terrazze a livello, le quali, tuttavia, pur offrendo rispetto al lastrico utilità ulteriori, quali il comodo accesso e la possibilità di trattenersi, svolgono altresì le medesime funzioni di copertura dell’edificio e di protezione dagli agenti atmosferici, e devono perciò ritenersi di proprietà comune proprio ai sensi dell’art. 1117, n. 1, c.c., rimanendo attribuite in condominio ai proprietari delle singole unità immobiliari.
Tale identità di funzione tra terrazza a livello e lastrico solare è, del, resto alla base della comune pacifica applicazione ad entrambi dell’art. 1126 c.c.
Quest’ultima norma, nel prevedere la possibilità di “uso esclusivo” del lastrico solare o della terrazza (espressione identica a quella adoperata dagli attori in citazione), non specifica la natura giuridica di tale diritto, il quale può avere carattere reale o personale, ma deve comunque risultare dal titolo; in mancanza di titolo attributivo di un siffatto uso esclusivo, ha vigore la regola generale del regime di comunione, dato che la superficie (della terrazza – lastrico solare) serve pur sempre a coprire i vani sottostanti dell’edificio condominiale, e che tale regime non è escluso dal solo fatto che dal bene uno o più comproprietari traggano utilità maggiori rispetto agli altri (così Cass. Sez. 2, 09/08/1999, n. 8532; Cass. Sez. 2, 21/05/1974, n. 1501).
È del resto ammissibile, per quanto si desume dall’art. 61 disp. att. c.c., che, pur in presenza di fabbricati che presentino elementi di congiunzione materiale, allorché vengano costituiti condomini separati per le parti aventi i connotati di autonomi edifici, uno dei titolari di porzioni esclusive si ritrovi proprietario di un immobile ricadente in entrambi i condomini (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 23/03/2017, n. 7605; Cass. Sez. 2, 01/03/1995, n. 2324; Cass. Sez. 2, 07/08/1982, n. 4439).
In definitiva, la deroga all’attribuzione legale al condominio e l’attribuzione in proprietà o uso esclusivo della terrazza a livello possono derivare solo dal titolo, mediante espressa disposizione di essi nel negozio di alienazione, ovvero mediante un atto di destinazione da parte del titolare di un diritto reale.
Non è determinante considerare la terrazza a livello come pertinenza dell’appartamento da cui vi si accede, in quanto ciò supporrebbe l’autonomia ontologica della terrazza e l’esistenza del diritto reale su di essa, che consenta la sua destinazione al servizio dell’appartamento stesso, in difformità dall’attribuzione ex art. 1117 c.c., laddove, a norma dell’art. 819 c.c., la destinazione al servizio pertinenziale non pregiudica i diritti dei terzi, e quindi, non può pregiudicare i diritti dei condomini sulla cosa comune.
D’altro canto, la Corte di Napoli, una volta interpretata la domanda come un’azione di rivendica, in quanto fondata sull’affermazione della proprietà della terrazza di copertura in capo agli attori, e rivolta nei confronti di chi detenesse “di fatto” la cosa per ottenerne la restituzione, avrebbe dovuto onerare proprio gli attori di fornire la rigorosa prova piena del loro diritto esclusivo, dimostrando il loro titolo di acquisto e quello dei loro danti causa, sino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario.”
La sentenza di merito è dunque cassata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di appello.
Lo ribadisce Cass. civ. sez. VI-2 16 maggio 2017 12177 rel. Scarpa, confermando un orientamento già espresso in precedenza. Laddove il cortile condominiale funga da copertura a locali di proprietà esclusiva rimasti danneggiati da infiltrazioni, il criterio di ripetizione applicabile alle spese necessarie risulta quello di cui all’art. 1125 cod.civ.
Ove poi le infiltrazioni derivanti da detta copertura derivino da omessa manutenzione della struttura, il condominio ne risponde ai sensi dell’art. 2051 cod.civ., norma che – essendo ascrivibile all’area della responsabilità da fatto illecito – comporta solidarietà fra gli obbligati.
“Ora, questa Corte ha già precisato che, qualora si debba procedere, come nel caso di specie, alla riparazione del cortile o viale di accesso all’edificio condominiale, che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà esclusiva di un singolo condomino, ai fini della ripartizione delle relative spese non si può ricorrere ai criteri previsti dall’art. 1126 c.c., ma si deve, invece, procedere ad un’applicazione analogica dell’art. 1125 c.c., il quale costituisce ipotesi particolare del principio generale dettato dall’art. 1123, comma 2, c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10858 del 05/05/2010; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18194 del 14/09/2005).
Aggiunge la corte: ” il risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà condominiale – trattandosi, nella specie, di infiltrazioni di acqua provenienti dalla corte comune a cagione della sua mancata manutenzione – soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, comma 1, c.c., norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori “pro quota”, anche quando il danneggiato sia – come ancora nella specie – un condomino, equiparato a tali effetti ad un terzo danneggiato rispetto agli altri condomini, sicché i singoli condomini devono intendersi solidalmente responsabili rispetto ai danni derivanti dalla violazione dell’obbligo di custodia (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1674 del 29/01/2015).
Nello stesso senso, poi, Cass. Sez. U, Sentenza n. 9449 del 10/05/2016, ha sostenuto l’ “attrazione del danno da infiltrazioni nell’ambito della responsabilità civile”, con conseguente applicazione di tutte le disposizioni che disciplinano la responsabilità extracontrattuale, ivi compreso l’art. 2055 c.c.“.
L’art. 1126 cod.civ. prevede che, ove il lastrico solare sia di proprietà esclusiva, un terzo della spesa per la sua riparazione competa al proprietario e due terzi ai condomini cui il lastrico funge da copertura, quindi a coloro le cui unità immobiliari sono poste nella colonna sottostante.
A tal fine rileva unicamente la posizione delle unità poste nella proiezione verticale del lastrico, non avendo alcun rilievo la circostanza che in tale porzione siano ricomprese parti comuni. E’ dunque erronea la sentenza che ha condannato a contribuire alle spese tutti i condomini sull’assunto che il lastrico fungesse da copertura anche alle parti comuni.
Lo ha stabilito Cass. civ. Sez. VI-2 10 maggio 2017 n. 11484 rel Scarpa.
“L’art. 1126 cod.civ., obbligando a partecipare alla spesa relativa alle riparazione del lastrico solare di uso esclusivo, nella misura di due terzi, “tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve”, si riferisce evidentemente a coloro ai quali appartengono unità immobiliare di proprietà individuale comprese nella proiezione verticale del manufatto da riparare o ricostruire, alle quali, pertanto, esso funge da copertura, con esclusione dei condomini ai cui appartamenti il lastrico solare non sia sovrapposto.
Come meglio ancora spiegato da Cass. civ. sez. II n. 2821 del 16/7/1976, l’obbligo di partecipare alla riparazione dei cennati due terzi della spesa non deriva, quindi, dalla sola, generica, qualità di partecipante del condominio, ma dall’essere proprietario di un’unità immobiliare compresa nella colonna d’aria sottostante alla terrazza o al lastrico oggetto della riparazione.
Del resto è pressoché inevitabile che la terrazza a livello o il lastrico di uso esclusivo coprano altresì una o più parti che siano comuni a tutti condomini, e non solo a quelli della rispettiva ala del fabbricato, come ad esempio il suolo su cui sorge l’edificio, la facciata, le fondazioni, ma se bastasse ciò per chiamare a concorrere alle spese del bene di copertura tutti i condomini, l’articolo 1126 c.c. non avrebbe alcuna pratica applicazione.
Giacché, peraltro, l’articolo 1126 c.c. non è compreso tra le disposizioni inderogabili richiamate dall’articolo 1138 c.c., certamente il regolamento del condominio può stabilire la ripartizione delle relative spese in modo pattizio, pure ponendo le stesse a carico di tutti i condomini, ma a tal fine occorre che sia adottata una convenzione espressa di deroga al criterio legale.“
La Cassazione (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 aprile 2017, n. 9227 rel Scarpa) ribadisce un concetto già affermato un mese fa.
“In caso di frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento, dall’originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina una situazione di condominio per la quale vige la presunzione legale di comunione “pro indiviso” di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso: ciò sempre che il contrario non risulti dal titolo, che ben può essere costituito, come nella specie, da un testamento, ove questo, cioè, dimostri una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16292 del 19/11/2002; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2328 del 27/06/1969).
Il lastrico solare, ai sensi dell’art. 1117 c.c., è oggetto di proprietà comune dei diversi proprietari dei piani o porzioni di piano dell’edificio, ove, appunto, non risulti il contrario, in modo chiaro ed univoco, dal titolo.
La Corte d’Appello ha escluso la presunzione di proprietà comune del lastrico solare ex art. 1117 c.c., ritenendo che l’attribuzione fatta dal testatore M.P. all’erede M.I. dell’”area sovrastante il primo piano dove io abito” fosse comprensiva del lastrico solare sovrastante l’appartamento sito al secondo piano, attribuito alla stessa, ed ha perciò supposto che dal titolo che segnava la nascita del condominio emergesse un elemento testuale che negava l’esistenza di un diritto di comunione sul lastrico.
È noto, del resto, che lo spazio sovrastante il suolo o una costruzione non costituisce un bene giuridico suscettibile di autonomo diritto di proprietà, ma configura la mera proiezione verso l’alto delle suddette entità immobiliari e, formalmente, la possibilità di svolgimento delle facoltà inerenti al diritto dominicale sulle medesime (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25965 del 23/12/2015, non massimata). La qualificazione operata dalla Corte di merito ha ravvisato nell’espressione della volontà testamentaria l’intenzione di assegnare a M.I. anche la proprietà autonoma dell’area solare di calpestio.
E l’indagine diretta a stabilire, attraverso l’interpretazione dei titoli d’acquisto, se sia o meno applicabile, ad un determinato bene, la presunzione di comproprietà di cui all’art. 1117 c.c., costituisce un apprezzamento di fatto spettante alle prerogative esclusive del giudice di merito, rimanendo incensurabile in sede di legittimità se non per eventuali vizi di motivazione della sentenza (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 40 del 07/01/1978; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3084 del 03/09/1976).”
Lo afferma, in una recentissima ordinanza, la Suprema Corte (Cass.Civ. II sez. 2 marzo 2017 n. 5337 rel. Scarpa), che affronta il peculiare caso di un condominio che trae origine da disposizioni testamentarie.
“La Corte d’Appello di Bari, premessa la presunzione di comunione del lastrico solare ai sensi dell’art. 1117 c.c., ha tuttavia ritenuto titolo contrario ad essa, nel senso di desumere che il lastrico solare fosse stato ricompreso dal testatore nella quota del piano elevato attribuito a A, C e B B., la previsione testamentaria del diritto riconosciuto a F., V e V di usufruire della scala soltanto per andare sul terrazzo “a prendere il sole d’estate ed a sciorinare i panni”. Tale previsione, a giudizio della Corte di Bari, sarebbe stata del tutto superflua se il loro genitore G N. B. avesse considerato il lastrico come bene comune a tutti i coeredi.
Il ricorrente F. B. ha sostenuto la violazione degli artt. 1117 c.c. e 1362 c.c. perché, nella specie, mancava un’attribuzione chiara ed univoca della proprietà esclusiva del lastrico solare alle figlie del de cuius, e perchè la Corte d’appello avrebbe confuso tra proprietà ed uso esclusivo del terrazzo.
Anche questo motivo va rigettato.
E’ indubbio che il lastrico solare, ai sensi dell’art. 1117 c.c., è oggetto di proprietà comune dei diversi proprietari dei piani o porzioni di piano dell’edificio, ove non risulti il contrario, in modo chiaro ed univoco, dal titolo.
Il titolo idoneo a far insorgere la situazione di condominio ed a contenere le eventuali deroghe alla presunzione ex art. 1117 c.c. può essere evidentemente costituito anche da un testamento, allorchè il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento, dall’originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina mediante istituzioni ereditarie o attribuzioni in legato aventi ad oggetto le suddette parti del fabbricato.
Al fine di escludere la presunzione di proprietà comune di cui all’art. 1117 c.c., allorchè, in particolare, il titolo sia costituito da un testamento, è comunque sufficiente che da questo emergano elementi tali da farlo considerare in contrasto con l’esistenza di un diritto di comunione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2328 del 27/06/1969), preferendosi, alla luce del favor testamenti, qualora di una clausola di esso siano ammissibili più interpretazioni, comunque quella che consenta alla volontà del testatore di avere pratica e concreta attuazione.
Avendo la Corte d’Appello interpretato il testamento di G. N. B. come espressivo di elementi univoci in contrasto con l’esistenza di un diritto di condominio del terrazzo a livello, al fine di attribuire un effetto concreto alla clausola di esso che riservava ai figli maschi soltanto il diritto di accedere al terrazzo per prendere il sole e sciorinare i panni, essa si è attenuta ai ricordati principi di diritto, risolvendosi, quanto al resto, l’interpretazione del titolo negoziale di cui all’art. 1117 c.c. in un apprezzamento di fatto che è prerogativa del giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto per omesso esame di fatto decisivo e controverso ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”
Una recente sentenza (Corte di Cassazione, sez. II Civile 7 febbraio 2017, n. 3239) riprende i principi dettati da Cass. SS.UU 10/05/2016 n. 9449 e, correttamente, rileva che se il danno agli immobili sottostanti sia imputabile ad una condotta ascrivibile unicamente al proprietario o usuario esclusivo del lastrico, costui ne risponderà integralmente, per i noti principi in tema di imputabilità e causalità, che precludono ogni riferimento al criterio dettato dall’art. 1126 cod.civ.
Osserva la Corte: “in materia di ripartizione delle spese di manutenzione di lastrici solari e terrazze a livello che provocano danni da infiltrazioni agli immobili sottostanti, le sezioni unite hanno di recente affermato che in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l’usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria;
il concorso di tali responsabilità va di norma risolto, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c., che pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio (v. Sez. U, Sentenza n. 9449 del 10/05/2016 Rv. 639821). Il principio citato, affermato – come si è detto – in materia di riparto delle spese di riparazione per evitare danni da infiltrazioni negli appartamenti, vale logicamente anche nel caso di specie, in cui si discute pur sempre di danni da omessa manutenzione (ma anzi, forieri di ben più gravi conseguenze, rappresentate addirittura dal crollo della terrazza a livello). Ebbene, nel caso in esame, la Corte d’Appello di Catanzaro ha applicato seccamente la regola dell’art. 1126 cc ma non si è posta il preliminare problema di verificare, sulla scorta degli accertamenti peritali e delle altre risultanze processuali, l’imputabilità soggettiva del danno, e cioè di stabilire se le cause del crollo fossero ascrivibili ad un concorso di responsabilità dei due proprietari interessati oppure a fatto esclusivo del titolare del diritto di uso esclusivo della terrazza stessa che, come pure precisato dalle sezioni unite, ne è anche il custode, con tutti i doveri di cui all’art. 2051 cc. L’indagine era assolutamente decisiva perché solo in caso di risposta positiva al primo quesito si sarebbe rivelata giuridicamente corretta la conclusione di applicare la regola del riparto di cui all’art. 1126 cod.civ..”
La Cassazione torna sul regime dell’obbligazione condominiale, escludendo che possa ritenersi applicabile il principio della solidarietà.
La vicenda affonda le radici in tempi antecedenti la novella del 2012, la sentenza dunque non affronta ex professo l’incidenza dell’art. 63 disp.att. cod.civ. nella formulazione introdotta dalla riforma, tuttavia i principi espressi su materia complessa – ricca di conseguenze ed implicazioni – sono di utile orientamento nella lettura delle vicende patrimoniali all’interno della compagine condominiale.
L’illustre relatore condensa con mirabile sintesi i principi cardine della vicenda, sicché è opportuno riportare integralmente la motivazione della decisione.
Cass. sez. II Civile, 9 gennaio 2017, n. 199 Relatore Scarpa: ” Nel caso in esame, secondo quando dato per accertato dal Tribunale di Napoli, si ha riguardo ad obbligazione per l’esecuzione dei lavori di rifacimento del solaio di un lastrico solare di proprietà esclusiva assunta dall’amministratore del condominio, o comunque, nell’interesse del condominio, nei confronti dell’appaltatore. Come insegnato da Cass. Sez. U, Sentenza n. 9148 del 08/04/2008 (con principio che va integralmente confermato, non trovando qui applicazione, ratione temporis, neppure il meccanismo di garanzia ex art. 63, comma 2, disp. att. c.c., introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, la responsabilità per il corrispettivo contrattuale preteso dall’appaltatore, incombente su chi abbia l’uso esclusivo del lastrico e sui condomini della parte dell’edificio cui il lastrico serve, è retta dal criterio della parziarietà, per cui l’obbligazione assunta nell’interesse del condominio si imputa ai singoli componenti nelle proporzioni stabilite dall’art. 1126 c.c., essendo tale norma non limitata a regolare il mero aspetto interno della ripartizione delle spese.”
Dovendosi negare che l’obbligo di contribuzione alle spese di rifacimento del terrazzo di copertura si connotasse verso l’appaltatore, terzo creditore, come rapporto unico con più debitori, ovvero come obbligazione solidale per l’intero in senso proprio e quindi ad interesse comune, alla T. , quale condomina (in particolare, titolare della proprietà esclusiva del terrazzo) che aveva adempiuto nelle mani dell’appaltatore al pagamento dell’intero prezzo dei lavori, non poteva accordarsi un diritto di regresso nei confronti degli altri condomini, sia pur limitatamente alla quota millesimale dovuta da ciascuno di essi, ex art. 1299 c.c.. Il regresso, che ha per oggetto il rimborso di quanto sia stato pagato a titolo di capitale, interessi e spese, consiste in un diritto che sorge per la prima volta in capo al condebitore adempiente sulla base del c.d. aspetto interno dell’obbligazione plurisoggettiva. Né, smentito il debito solidale dei condomini, al condomino che abbia versato al terzo creditore anche la parte dovuta dai restanti condomini, allo scopo di ottenere da costoro il rimborso di quanto da lui corrisposto, può consentirsi di avvalersi della surrogazione legale in forza dell’art. 1203, n. 3, c.c., giacché essa – implicando il subentrare del condebitore adempiente nell’originario diritto del creditore soddisfatto in forza di una vicenda successoria – ha luogo a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo. Dunque, il pagamento da parte della condomina T. delle quote del corrispettivo d’appalto dei lavori di rifacimento del terrazzo a livello dovute dai restanti condomini poteva al più legittimare la stessa ad agire, come pure prospetta il Tribunale, per ottenere l’indennizzo da ingiustificato arricchimento, stante il vantaggio economico ricevuto dagli altri condomini (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 9946 del 29/04/2009). Correttamente, poi, il Tribunale ha negato l’applicabilità nel caso in esame tanto dell’art. 1110 che dell’art. 1134 c.c.. Queste due norme recano, invero, una diversa disciplina in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, disciplina che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell’altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza. Il Tribunale di Napoli ha osservato come i lavori di rifacimento del terrazzo fossero stati comunque commissionati dall’amministrazione condorniniale, e non derivassero, quindi, da iniziative di gestione prese dal singolo partecipante. D’altro canto, si ha riguardo, nella specie, a spese non inerenti una cosa comune (come postulato dagli artt. 1110 e 1134 c.c.), quanto un lastrico o terrazzo di proprietà esclusiva, sicché il dovere di contribuire ai costi di manutenzione rinviene la sua ragione, ex art. 1126 c.c., nell’utilità che i condomini sottostanti traggono dal bene.“
Spesso davanti ai Giudici di merito arrivano liti che non hanno del temerario ma dell’incredibile…
Un condomino impugna la delibera con cui il condominio ha deciso di provvedere alla straordinaria manutenzione di una terrazza a livello posta all’ultimo piano del fabbricato condominiale e che si estende sui quattro lati dell’edificio.
La vicenda è decisa con sentenza del Tribunale di Massa in data 28.10.2015.
Il contenuto del procedimento: “L’attrice ha proposto impugnazione della delibera adottata dall’assemblea del Condominio convenuto in data 25.10.2014 assumendo tre profili di illiceità:
– Trattandosi di terrazza a livello (pur ostinandosi le parti a definirlo lastrico solare) di proprietà esclusiva il condominio non avrebbe potuto deliberarne il rifacimento, poiché in tal modo la decisione inciderebbe su beni di proprietà individuale e dovrebbe dunque ritenersi nulla.
– Poiché l’assemblea ha deciso di provvedere alla manutenzione del solo lato monti/strada, avrebbero dovuto votare solo i condomini che sono coperti da tale porzione
– La delibera sarebbe nulla/annullabile in quanto alla assemblea ha espresso il proprio voto la figlia della signora M.O., condomina danneggiata dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico, non munita di delega scritta”
osserva il giudice che:
“Quanto alla proprietà esclusiva della terrazza a livello, va rilevato che la diversa appartenenza del diritto inerente il suo utilizzo non vale ad escludere la sua natura di bene comune con la quale concorre, sicchè il manufatto è idoneo a fornire due distinte utilità, l’una al singolo l’altra alla collettività condominiale. Tale circostanza incide sul criterio di imputazione delle spese per il suo rifacimento, che dovrà informarsi ai principi dettatati dall’art. 1126 cod.civ., non già sulla legittimazione dell’assemblea a disporre il relativo intervento, che pertanto risulta correttamente oggetto di deliberazione dell’organo condominiale: “Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, poichè il lastrico solare dell’edificio svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all’obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo” Cass. 18164/2014. Apparirebbe peraltro assai bizzarro far ricadere sui condomini, nella misura dei due terzi, una spesa per un intervento che secondo le tesi di parte attrice dovrebbe decidere in via del tutto personale ed autonoma il solo proprietario del lastrico.”
Quanto ai soggetti legittimati a deliberare, va osservato che le foto prodotte dalla stessa parte attrice dimostrano l’esistenza di una terrazza di copertura che corre sui quattro lati dell’edificio senza alcuna soluzione di continuità, costituendo un unico piano di calpestio che svolge una unitaria funzione di copertura per le unità sottostanti. Tale circostanza comporta che l’intervento sul manto di copertura debba essere deliberato dalla intera collettività condominiale che se ne giova, atteso che non sono rinvenibili – nella fattispecie in esame – caratteristiche di autonomia funzionale e strutturale della porzione interessata che possano ricondurla ad ipotesi di parziarietà: “In materia condominiale le spese di manutenzione del tetto o del lastrico di copertura dell’edificio devono essere suddivise tra tutti i condomini secondo i millesimi di proprietà. E infatti, le spese effettuate per la conservazione delle parti comuni dello stabile condominiale e aventi lo scopo di preservarlo dagli agenti atmosferici sono assoggettate alla ripartizione in base al valore delle singole proprietà esclusive ex art.1123, comma 1, c.c., non rientrando esse tra le spese contemplate dai commi 2 e 3 della medesima norma, ovvero quelle relative a cose comuni suscettibili di essere destinate in misura diversa al servizio dei condomini o al godimento di una parte di essi. Ne deriva che la spesa per il rifacimento del tetto che è destinato a proteggere l’intero edificio e non solo gli ultimi piani dagli agenti atmosferici, coerentemente con quanto disposto dall’art. 1117 c.c., non può essere posta a carico dei soli proprietari delle unità immobiliari poste nella verticale sottostante la porzione da riparare o solo a carico dei proprietari degli immobili siti all’ultimo piano. “ Trib. Roma 18080/2013″
last but not least appare poco fondata anche la questione della delega scritta:
“Di nessun pregio appare neanche la terza censura, relativa al voto espresso della figlia della condomina O. che sarebbe statao sfornita di delega. Il dato non risulta in realtà dal verbale di assemblea, ove è genericamente indicata la presenza di O. per millesimi 67, ma la partecipazione della figlia è pacificamente ammessa dal Condominio convenuto che tuttavia contesta l’asserita assenza di delega, osservando che per dimenticanza non è stata annotata la delega esistente (e che tuttavia non è stata prodotta). In assenza di prova sulla esistenza della procura scritta, va tuttavia rilevato che la votazione in assemblea espressa da un soggetto non munito di tale documento, oggi richiesto espressamente dall’art. 67 disp.att. cod.civ., lungi dal costituire nullità del deliberato, può al più condurre alla impossibilità di computare validamente il suo voto ai fini delle maggioranze necessarie alla costituzione e alla votazione. Nel caso di specie la decisione è stata assunta in seconda convocazione con il voto favorevole di 13 condomini su 14 presenti per millesimi 684, come risulta dal relativo verbale. Essendo i condomini del fabbricato in numero di 17, l’eventuale sottrazione del voto espresso dalla O., per una testa e 67 millesimi, non è idonea a incidere sulle maggioranze per la costituzione in seconda convocazione né su quelle necessarie per dar corso a lavori di straordinaria manutenzione così come previste dall’art. 1136 III e IV comma cod.civ., entrambe ampiamente raggiunte anche senza il suo voto”
Il legislatore del 2016 ha ritenuto, assai inopportunamente, di attribuire la competenza esclusiva della materia condominiale al giudice di pace, o meglio a quella ibrida figura che esce dalla discutibile riforma della magistratura onoraria introdotta con la L. 57/2016.
La materia del condominio ancora una volta patisce l’ingiusta qualificazione di diritto minore, quando invece sottende l’applicazione di alcuni fra i più complessi istituti del diritto civile (diritti reali, obbligazioni, responsabilità extracontrattuale) nella peculiare realtà di un contesto plurisoggettivo.
Del resto l’intervento frequentissimo delle Sezioni Unite della Cassazione in questa materia altro non è che indice della sussistenza di contrasti anche al massimo livello, che sono l’indice evidente di una grande complessità dei temi di decisione.
Spesso accade, nelle corti di merito, di trovare pronunce che sembrano uscite da un’altra epoca e che lasciano spiazzati, a fronte di orientamenti giurisprudenziali di legittimità che affermano da anni principi contrari.
E’ il caso di una sentenza del Tribunale di Firenze, che esprime due valutazioni su cui l’amministratore e il difensore accorti faranno bene a non fare eccessivo affidamento.
A proposito di condomino apparente, il giudice fiorentino afferma che ove il vecchio condomino non abbia provveduto a comunicare all’amministratore l’avvenuta cessione della propria unità a terzi, ai fini dell’aggiornamento della anagrafe condominiale, l’amministratore potrà continuare a convocare legittimamente il vecchio propritario. E’ pur vero che la L. 220/2012 ha introdotto nell’art. 1130 cod.civ. l’obbligo di tale comunicazione in capo al cedente – con contestuale possibilità di autonomo accertamento da parte dell’amministratore a spese dell’inadempiente – e che l’art. 63 u.s. disp.att. cod.civ. ha previsto che in difetto il vecchio proprietario rimarrà solidalmente responsabile per le quote dovute, ma non pare di leggere nella riforma alcuna altra conseguenza diretta né tantomeno una deroga ai criteri che prevedono la partecipazione all’assemblea degli effettivi aventi diritto.
Non pare quindi che la riforma del 2012 vada ad incidere su un consolidato orientamento giurisprudenziale che sin dagli inizi degli anni 2000, a fronte del regime di pubblicità dei registri immobiliari, ha escluso la rilevanza di qualunque apparenza, sia per quel che attiene alle azioni recupero dei crediti sia per ciò che attiene alla convocazione. “Incasodiazionegiudizialedell’amministratoredelcondominioperilrecuperodellaquotadispesedicompetenzadiuna unitàimmobiliarediproprietàesclusiva,èpassivamentelegittimatoilveroproprietariodidettaunitàenonanchechipossaappariretale–comeilvenditoreilquale,purdopoiltrasferimentodellaproprietà(noncomunicatoall’amministratore),abbiacontinuatoacomportarsidaproprietario-,difettando,neirapportifracondominio,cheèunentedigestione,edisingolipartecipantiadesso,lecondizioniperl’operativitàdelprincipiodell’apparenzadeldiritto,strumentaleessenzialmenteadesigenzedituteladell’affidamentodelterzoinbuonafede,edessendo,d’altraparte,ilcollegamentodellalegittimazionepassivaallaeffettivatitolaritàdellaproprietàfunzionalealrafforzamentoealsoddisfacimentodelcreditodellagestione condominiale” Cass. SS.UU. 8 aprile 2002 n. 5035
“Intemadiconvocazionedell’assembleacondominialedeveessereconvocatosoloilveroproprietariodellaporzioneimmobiliareenonanchecoluichesisiacomportato,neirapporticoniterzi,comecondominosenzaesserlo,difettandoneirapportitrailcondominio(nellaspecie,l’amministratore)edisingolipartecipantiadesso,lecondizioniperl’operativitàdelprincipiodell’apparenzadeldiritto,strumentaleessenzialmenteall’esigenzadituteladeiterziinbuonafede”.
Cass. Sez. II 22 ottobre 2007 n. 22089
Ancor più singolari le tesi fiorentine sull’espressione del dissenso alle liti ai sensi dell’art. 1132 cod.civ.
Se appare condivisibile la valutazione che, in caso di unità di proprietà di più soggetti, tale dissenso debba essere unitariamente espresso da tutti costoro e non sia ammesso pro quota, decisamente singolare appare il richiamo unicamente alle forme di cui all’art. 1132 cod.civ., ritengo che non valga invece la sua comunicazione una assemblea: in tal senso la Cassazione si è espressa da tempo immemore “La manifestazione di dissenso di un condomino, rispetto alla promozione di lite deliberata dall’assemblea, va notificata all’amministratore senza bisogno di forme solenni comprese fra queste quelle previste dal codice di procedura civile”. Cassazione civile, sez. II, 15/06/1978, n. 2967
Giova invece segnalare l’opportuna notazione del Giudice fiorentino delle spese di coibentazione del lastrico di proprietà esclusiva a tutti i condomini in quanto si tratta di intervento che, pur eseguito su un bene di proprietà esclusiva, è diretto a produrre vantaggi per tutti i condomini.
In tema di condominio negli edifici, allorquando l’uso del lastrico solare non sia comune a tutti i condomini, dei danni che derivino da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario o l’usuario esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), in quanto custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio, in quanto la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare (o della terrazza a livello), ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all’amministratore l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni (art. 1130, primo comma, n. 4, c.c.) e all’assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (art. 1135, primo comma, n. 4, c.c.). Il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova contraria della riferibilità del danno all’uno o all’altro, va di regola stabilito secondo il criterio di imputazione previsto dall’art. 1126 cod. civ., il quale pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 28 aprile – 10 maggio 2016, n. 9449 Presidente Rovelli – Relatore Petitti
Un contrasto giurisprudenziale sul quale, da molti mesi, si attendeva una pronuncia che lo appianasse. Sul punto le Sezioni Unite si erano già pronunciate nell’ormai lontano 1997, con sentenza n. 2672, ove si affermava: “poiché il lastrico solare dell’edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all’obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati all’appartamento sottostante per le infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due terzi, e il titolare della proprietà superficiaria o dell’uso esclusivo, in ragione delle altre utilità, nella misura del terzo residuo”. Per molti anni gli operatori del diritto e gli amministratori si erano attenuti a tale indirizzo, anche se la giurisprudenza e la dottrina degli anni successivi, aveva individuato comunque soluzioni contrastanti: “La sentenza ora richiamata non ha uniformato la giurisprudenza successiva, essendosi registrate decisioni (Cass. n. 6376 del 2006; Cass. n. 642 del 2003; Cass. n. 15131 del 2001; Cass. n. 7727 del 2000) che hanno ricondotto la vicenda in esame all’ambito di applicazione dell’art. 2051 cod. civ.. Si è, infatti, sostenuto che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, essendo obbligato ad adottare tutte la misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, risponde, in base al disposto dell’art. 2051 cod. civ., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini. Secondo questo indirizzo, dunque, la legittimazione passiva del condominio sussiste anche per quanto riguarda i danni subiti dai singoli condomini (Cass. n. 6849 del 2001; Cass. n. 643 del 2003), in quanto, a tal fine, i criteri di ripartizione delle spese necessarie (ex art. 1126 cod. civ.) non incidono sulla legittimazione del condominio nella sua interezza e del suo amministratore, comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1130 cod. civ. (Cass. n. 3676 del 2006; Cass. n. 5848 del 2007; Cass. n. 4596 del 2012).” La Seconda Sezione civile della Corte, con la ordinanza interlocutoria n. 13526 del 2014, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, sollevando diverse perplessità e in particolare: “Il Collegio ha condiviso gli orientamenti critici della dottrina e della giurisprudenza discordante e ha ritenuto condivisibile la tesi che sostiene la responsabilità ex art. 2051 cod. civ., sottolineando, in particolare, l’indebita applicazione degli artt. 1123 e 1126 cod. civ., che vengono interpretati dalla sentenza del 1997, non più come norme che disciplinano la ripartizione delle spese interne, ma come fonti da cui scaturiscono le obbligazioni propter rem. Nell’ordinanza interlocutoria vengono individuati i seguenti passaggi qualificanti dell’orientamento criticato delle S.U. del 1997: 1. l’esclusione, in via di principio, che la responsabilità per danni prodotti nell’appartamento sottostante dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico solare per difetto di manutenzione si ricolleghi al disposto dell’art. 2051 cod. civ.; 2. l’affermazione che “dall’art. 1123 e dall’art. 1126 cod. civ. discendono obbligazioni poste dalla legge a carico ed a favore dei condomini dell’edificio, da qualificare come obbligazioni propter rem di cui i partecipanti al condominio sono ad un tempo soggetti attivi e soggetti passivi”; 3. la deduzione da tali premesse che “le obbligazioni reali di conservazione riguarderebbero tutti i rapporti reali inerenti, con la conseguenza che la susseguente responsabilità per inadempimento concerne i danni arrecati ai beni costituenti il fabbricato”; 4. l’assimilazione delle “condizioni materiali di dissesto e di degrado del lastrico” come species dell’unico concetto tecnico “di difetto di manutenzione” e quale coincidente conseguenza “dell’inadempimento delle obbligazioni propter rem”; 5. la conclusione per cui la responsabilità e il risarcimento dei danni sono regolati secondo gli stessi criteri di imputazione e di ripartizione, cioè quelli prescritti dall’art. 1126 cod. civ.”
Nel provvedimento di remissione si osserva che “il fatto costitutivo dell’illecito risale alla condotta omissiva o commissiva dei condomini, che fonda una responsabilità aquiliana, la quale deve essere scrutinata secondo le rispettive colpe dei condomini e, in caso di responsabilità condominiale, secondo i criteri millesimali, senza utilizzare la normativa coniata ad altro fine”. In sostanza, afferma la sezione che ha sollevato il contrasto, se vi è stata omessa manutenzione del lastrico dal quale deriva danno, tale omessa manutenzione deve essere ricondotta all’obbligo di custodia che grava su tutti i condomini ex art. 2051 cod.civ., le conseguenze che ne derivano devono essere ascritte alla categoria del fatto illecito relativo ad una parte comune e di tale illecito dovranno rispondere tutti i condomini che ne sono responsabili per i propri millesimi, prescindendo dalla minore o maggior utilità che il bene possa arrecare nello specifico, atteso che – secondo tale giudice – la norma specifica di cui all’art. 1126 cod.civ. non è volta a disciplinare la responsabilità dei condomini ma unicamente a determinare il loro contributo alla spesa.
Le Sezioni Unite non mutano orientamento rispetto al 1997 quanto alla soluzione finale, cui tuttavia pervengono con un articolato logico del tutto differente. Allora la Corte aveva fondato la responsabilità dei condomini sullo schema delle obbligazioni propter rem ritenendo che “la responsabilità per danni prodotti all’appartamento sottostante dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico solare (lastrico condominiale o in proprietà o uso esclusivo), per difetto di manutenzione, si ricollegasse, piuttosto che al disposto dell’art. 2051 cod. civ., ed al generale principio del neminem laedere, direttamente alla titolarità del diritto reale e, perciò, dovesse considerarsi come conseguenza dell’inadempimento delle obbligazioni di conservare le parti comuni, poste a carico dei condomini (art. 1123, primo comma, cod. civ.) e del titolare della proprietà superficiaria o dell’uso esclusivo (art. 1126 cod. civ.).” Quella particolare obbligazione – secondo la pronuncia degli anni 90 – era declinata secondo le regole previste dagli artt. 1123 e 1126 cod. civ., con la conseguenza che al risarcimento dei danni cagionati all’appartamento sottostante per difetto di manutenzione dovrebbero essere tenuti gli obbligati inadempienti.
Le Sezioni Unite attuali virano di 90 gradi rispetto a tale lettura ed affermano principio del tutto diverso: “Tuttavia, la configurabilità di un siffatto rapporto obbligatorio non sembra tenere conto che il proprietario dell’appartamento danneggiato dalla cosa comune, anche se in uso esclusivo, è un terzo che subisce un danno per l’inadempimento dell’obbligo di conservazione della cosa comune (in tal senso, v., di recente, Cass. n. 1674 del 2015); il che implica la chiara natura extracontrattuale della responsabilità da porre in capo al titolare dell’uso esclusivo del lastrico e, per la natura comune del bene, dello stesso condominio. Nell’ambito di tale tipo di responsabilità, poi, deve ritenersi che le fattispecie più adeguate di imputazione del danno siano quella di cui all’art. 2051 cod. civ., per il rapporto intercorrente tra soggetto responsabile e cosa che ha dato luogo all’evento, ovvero quella di cui all’art. 2043 cod. civ., per il comportamento inerte di chi comunque fosse tenuto alla manutenzione del lastrico. In tal senso deve quindi escludersi la natura obbligatoria, sia pure nella specifica qualificazione di obbligazione propter rem, del danno cagionato dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare o dalla terrazza a livello, e deve affermarsi la riconducibilità della detta responsabilità nell’ambito dell’illecito aquiliano”
Afferma la Suprema Corte quindi che “In quest’ambito, come detto, non può essere posta in discussione la specificità del lastrico solare, quando questo sia anche solo in parte in uso esclusivo. Esso, invero, per la parte apparente, e quindi per la superficie, costituisce oggetto dell’uso esclusivo di chi abbia il relativo diritto; per altra parte, e segnatamente per la parte strutturale sottostante, costituisce cosa comune, in quanto contribuisce ad assicurare la copertura dell’edificio o di parte di esso. Risultano allora chiare le diverse posizioni del titolare dell’uso esclusivo e del condominio: il primo è tenuto agli obblighi di custodia, ex art. 2051 cod. civ., in quanto si trova in rapporto diretto con il bene potenzialmente dannoso, ove non sia sottoposto alla necessaria manutenzione; il secondo è tenuto, ex artt. 1130, primo comma, n. 4, e 1135, primo comma, n. 4, cod. civ. (nei rispettivi testi originari), a compiere gli atti conservativi e le opere di manutenzione straordinaria relativi alle parti comuni dell’edificio”
Non più dunque obbligazione propter rem ma responsabilità extracontrattuale, per il cui riparto – per la specifica natura del bene destinato a diverse funzioni – si dovrà comunque mutuare un criterio tratto dall’art. 1126 cod.civ. : “La naturale interconnessione esistente tra la superficie del lastrico e della terrazza a livello, sulla quale si esercita la custodia del titolare del diritto di uso in via esclusiva, e la struttura immediatamente sottostante, che costituisce cosa comune – sulla quale la custodia non può esercitarsi nelle medesime forme ipotizzabili per la copertura esterna e in relazione alla quale è invece operante il dovere di controllo in capo all’amministratore del condominio ai sensi del richiamato art. 1130, primo comma n. 4, cod. civ. induce tuttavia ad individuare una regola di ripartizione della responsabilità mutuata dall’art. 1126 cod. civ. … il criterio di riparto previsto per le spese di riparazione o ricostruzione dalla citata disposizione costituisce un parametro legale rappresentativo di una situazione di fatto, correlata all’uso e alla custodia della cosa nei termini in essa delineati, valevole anche ai fini della ripartizione del danno cagionato dalla cosa comune che, nella sua parte superficiale, sia in uso esclusivo ovvero sia di proprietà esclusiva, è comunque destinata a svolgere una funzione anche nell’interesse dell’intero edificio o della parte di questo ad essa sottostante” L’aver ricondotto la fattispecie alla ipotesi della responsabilità extracontrattuale, e non più ad una ipotesi di obbligazione di altra natura, comporta rilevanti conseguenze applicative che la Corte sottolinea e a cui anche l’operatore sul campo dovrà prestare adeguata attenzione: “Dalla attrazione del danno da infiltrazioni nell’ambito della responsabilità civile discendono conseguenze di sicuro rilievo. Trovano, infatti, applicazione tutte le disposizioni che disciplinano la responsabilità extracontrattuale, prime fra tutte quelle relative alla prescrizione e alla imputazione della responsabilità, dovendosi affermare che del danno provocato dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare o dalla terrazza a livello risponde il proprietario o il titolare di diritto di uso esclusivo su detti beni al momento del verificarsi del danno. Una volta esclusa la applicabilità della disciplina delle obbligazioni, deve infatti escludersi che l’acquirente di una porzione condominiale possa essere ritenuto gravato degli obblighi risarcitori sorti in conseguenza di un fatto dannoso verificatosi prima dell’acquisto, dovendo quindi dei detti danni rispondere il proprietario della unità immobiliare al momento del fatto. Trova applicazione altresì la disposizione di cui all’art. 2055 cod. civ., ben potendo il danneggiato agire nei confronti del singolo condomino, sia pure nei limiti della quota imputabile al condominio. In tal senso, del resto, si è già affermato che “il risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà condominiale soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, primo comma, cod. civ., norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota, anche quando il danneggiato sia un condomino, equiparato a tali effetti ad un terzo, sicché devono individuarsi nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili, poiché la custodia, presupposta dalla struttura della responsabilità per danni prevista dall’art. 2051 cod. civ., non può essere imputata né al condominio, quale ente di sola gestione di beni comuni, né al suo amministratore, quale mandatario dei condomini” (Cass. n. 1674 del 2015). Trova, infine, applicazione l’intera disciplina dell’art. 2051 cod. civ., anche per i limiti alla esclusione della responsabilità del soggetto che ha la custodia del bene da cui è stato provocato il danno.”
Una sentenza lunga e complessa, di grande rilievo interpretativo e di sicura incidenza pratica, di cui è apparso utile riportare ampi stralci ma che non sarà inopportuno che il soggetto che opera professionalmente nel campo del diritto condominiale legga per esteso.
Una sentenza, infine, che contribuisce a dare una ulteriore spallata alla categoria delle obbligazioni propter rem, che la migliore dottrina dell’ultimo decennio e parte della giurisprudenza – con sempre maggior vigore – ritengono avere scarsa cittadinanza nell’edificio in condominio, ove più spesso prevalgono obblighi legati a parametri che prescindono dalla mera titolarità del bene e sono correlati unicamente alla funzione o utilità che lo stesso bene rende ai condomini.