Cass.Civ. sez. VI 25 gennaio 2018 n. 1848 rel. Scarpa affronta l’annosa questione dell’errore che da luogo a revisione delle tabelle millesimali.
La Suprema Corte ha sempre ritenuto che l’errore dovesse consistere in una obiettiva divergenza fra il valore reale del bene e quello attribuito in tabella (id est errore di calcolo o erronea attribuzione di superfici, volumi o caratteristiche oggettive), sì che rimane esclusa la revisione quando la discrasia riscontrata sia da ricondurre ai parametri valutativi espressi dal tecnico che ha predisposto lo strumento.
Tuttavia, qualora emerga una inequivocabile differenza fra valore reale e valore attribuito, il giudice dovrà procedere alla revisione, principio cui non si è conformato, nel caso di specie, il giudice fiorentino.
I principi valgono anche con riguardo alle tabelle c.d. convenzionali, ovvero approvate da tutti i condomini o allegate al regolamento contrattuale, poichè la convenzione attiene ai diversi valori scientemente adottati ma non certo alle discrasie derivanti da errore.
La sentenza è di netta chiarezza e merita di riportare la motivazione per intero, poiché rappresenta una summa cristallina dei principi che regolano la materia.
“La Corte d’Appello di Firenze ha deciso la questione di diritto ad essa sottoposta senza uniformarsi all’interpretazione costante di questa Corte.
Il diritto spettante anche al singolo condomino di chiedere la revisione delle tabelle millesimali, in base all’art. 69 disp. att. c.c. (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla I. n. 220 del 2012) è subordinato all’esistenza di un errore o di un’alterazione del rapporto originario tra i valori delle singole unità immobiliari.
L’errore, in particolare, determinante la revisione delle tabelle millesimali, è costituito dalla obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente previsto.
La parte che chiede la revisione delle tabelle millesimali non ha, peraltro, l’onere di provare la reale divergenza tra i valori effettivi e quelli accertati in tabella, potendo limitarsi a fornire la prova anche implicita di siffatta divergenza, dimostrando in giudizio l’esistenza di errori, obiettivamente verificabili, che comportano necessariamente una diversa valutazione dei propri immobili rispetto al resto del condominio.
Il giudice, a sua volta, sia per revisionare o modificare le tabelle millesimali di alcune unità immobiliari, sia per la prima caratura delle stesse, deve verificare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi – quali la superficie, l’altezza di piano, la luminosità, l’esposizione – incidenti sul valore effettivo di esse e, quindi, adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati (Cass. Sez. 2, 25/09/2013, n. 21950; Cass. Sez. 2, 15/06/1998, n. 5942).
Non rileva decisivamente, a tal fine, il mero dato che le tabelle non abbiano “origine deliberativa, ma convenzionale”, sottolineato dalla Corte d’Appello di Firenze.
Questa Corte ha già spiegato, e il principio va riaffermato, come, soltanto qualora i condomini, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano espressamente dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c., dando vita alla “diversa convenzione” di cui all’art. 1123, comma 1, c.c., la dichiarazione di accettazione ha valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c., la quale, come visto, attribuisce rilievo esclusivamente alla obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell’edificio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle.
Ove, invece, tramite l’approvazione della tabella, anche in forma contrattuale (mediante la sua predisposizione da parte dell’unico originario proprietario e l’accettazione degli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari, ovvero mediante l’accordo unanime di tutti i condomini), i condomini stessi intendano (come, del resto, avviene nella normalità dei casi) non già modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, bensì determinare quantitativamente siffatta portata (addivenendo, così, alla approvazione delle operazioni di calcolo documentate dalla tabella medesima), la semplice dichiarazione di approvazione non riveste natura negoziale, con la conseguenza che l’errore che, in forza dell’art. 69 disp. att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali, non coincide con l’errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 e ss. c.c., ma consiste per l’appunto, nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito (Cass. Sez. 2, 26/03/2010, n. 7300).
La Corte d’Appello di Firenze non si è attenuta ai principi richiamati, in quanto, pur avendo accertato delle divergenze tra le tabelle millesimali in uso e le stime operate dal CTU (quanto meno per la proprietà Rione, la proprietà Lamanna e la proprietà Giraldi), ha ritenuto gli stessi sopportabilmente “contenuti nei limiti della decenza estimativa”, laddove, sussistendo una qualsiasi obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente determinato, è obbligo del giudice di eliminare l’errore riscontrato. Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze, che deciderà la causa uniformandosi ai principi richiamati e tenendo conto dei rilievi svolti, e regolerà anche le spese del presente giudizio di cassazione.”
© massimo ginesi 2 febbraio 2018