La Suprema Corte ( Cass.Civ. sez. VI 25 gennaio 2018 n. 1853 rel. Scarpa) ritorna sul tema del voto in conflitto di interesse, nel caso di specie legato alla volontà espressa da un condomino che era anche titolare della impresa designata dal condominio per l’esecuzione delle opere.
La corte chiarisce, riprendendo recenti orientamenti, che è ovviamente titolare del diritto di voto anche il condomino in conflitto e che non è sufficiente la sua mera posizione ambivalente a ritenere sussistente l’esistenza del conflitto, poiché chi impugna dovrà dimostrare che quel voto è stato determinante per la realizzazione di interessi diversi ed in contrasto con quelli condominiali, unici invece a cui l’assemblea è tenuta a dare attuazione .
LA tesi aveva già trovato positivo accoglimento in grado di appello: La Corte d’Appello di Catania ha escluso che fosse ravvisabile, in relazione all’impugnata deliberazione assembleare, un conflitto di interessi (in analogia al disposto di cui all’art. 2373 c.c.) in capo al condomino S. L., in quanto titolare dell’impresa appaltatrice dei lavori di manutenzione dell’edificio condominiale, le cui spese erano state approvate appunto con la delibera del 19 febbraio 2010. Ha sostenuto la Corte d’Appello che fosse rimasta indimostrata la circostanza che i lavori condominiali, se affidati in appalto ad altra impresa, avrebbero comportato un risparmio di spesa rispetto al corrispettivo da versare all’impresa del condomino L., sicché mancava in concreto prova dello specifico conflitto di interessi denunciato.”
Osserva il giudice di legittimità che “.Si invoca dai ricorrenti, a parametro di legittimità della sentenza della Corte d’Appello di Catania, l’art. 1394 c.c., ma nella fattispecie astratta prevista da questa norma il conflitto di interessi si manifesta al momento dell’esercizio del potere rappresentativo, e verte sul contrasto tra l’interesse personale del rappresentato e quello, pure personale, del rappresentante, laddove, nel caso previsto dall’art. 2373 c.c., sul quale si è incentrata, piuttosto, la presente controversia, il conflitto di interessi si manifesta in sede di assemblea al momento dell’esercizio del potere deliberativo, e verte sul contrasto tra l’interesse proprio del partecipante al voto collegiale e quello comune della collettività (arg. da Cass. Sez. 1, 10/10/2013, n. 23089).”
Quanto al conflitto in sede di assemblea, la Corte intende riaffermare i prinpici già di recente espressi: “Si è chiarito come, in tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del “quorum” costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio (così Cass. Sez. 228/09/2015, n. 19131; Cass. Sez. 2, 30/01/2002, n. 1201).
E’ noto come tale orientamento discenda dal presupposto dell’ammissibilità, nella disciplina delle assemblee di condominio, di una “interpretazione estensiva” (o meglio, del ricorso ad un’applicazione analogica) dell’art. 2373 c.c., norma riguardante il conflitto di interessi del socio nelle deliberazioni della società per azioni.
Nel testo dell’art. 2373 c.c., conseguente alla riformulazione operatane dal d. Igs. n. 6 del 2003, è venuta meno la disposizione che portava a distinguere, in caso di conflitto di interesse, tra quorum costitutivo dell’assemblea e quorum deliberativo della stessa, e si afferma unicamente che la deliberazione approvata con il voto determinante di soci, che abbiano un interesse in conflitto con quello della società, è impugnabile, a norma dell’art. 2377 c.c., qualora possa recarle danno.
Nella ricostruzione da ultimo offerta da Cass. Sez. 2, 28/09/2015, n. 19131 (ma si veda anche Cass. Sez. 2, 16/05/2011, n. 10754), dunque, soltanto se risulti dimostrata una sicura divergenza tra l’ “interesse istituzionale del condominio” e specifiche ragioni personali di determinati singoli partecipanti, i quali non si siano astenuti ed abbiano, perciò, concorso con il loro voto a formare la maggioranza assembleare, la deliberazione approvata sarà invalida.
L’invalidità della delibera discende, quindi, non solo dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione.
Il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell’interesscondominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio.
In ogni modo, il sindacato del giudice sulle delibere condominiali deve pur sempre limitarsi al riscontro della legittimità di esse, e non può estendersi alla valutazione del merito, ovvero dell’opportunità, ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei partecipanti (si veda, ad esempio, Cass. Sez. 2, 20/06/2012, n. 10199).
L’impugnazione ex art. 1137 c.c., grazie anche al rinvio all’art. 1109 c.c. consentito dall’art. 1139 c.c., si amplia al più all’ipotesi in cui la delibera ecceda dai poteri dell’organo assembleare, non potendosi consentire alla maggioranza del collegio, distolta dal perseguimento di interessi particolari, di ledere l’interesse collettivo.
Allorché la decisione dell’assemblea sia deviata dal suo modo di essere, perché viene formata con il voto determinante di partecipanti ispirati da finalità extracondominiali, al giudice non può quindi chiedersi comunque di controllare l’opportunità o la convenienza della soluzione adottata dal collegio, quanto, piuttosto, di stabilire che essa non costituisca il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’organo deliberante (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 21/02/2014, n. 4216; Cass. Sez. 2, 14/10/2008, n. 25128).
Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Catania ha fatto corretto uso di questi principi, motivatamente escludendo che, nell’approvare con la delibera del 19 febbraio 2010 le spese dell’appalto eseguito dall’impresa del condomino L., l’assemblea dei condomini, supportata dal voto dello stesso L., abbia perseguito apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione di interessi incompatibili con l’interesse collettivo alla buona gestione dell’amministrazione.”
© massimo ginesi 31 gennaio 2018