responsabilità da cosa in custodia e fortuito: eccezionalità e imprevedibilità non coincidono.

Una monumentale pronuncia della Suprema Corte (Cass.Civ. sez. III ord. 1 febbraio 2018 n. 2482) ripercorre la disciplina e l’inquadramento dogmatico della responsabilità da cosa in custodia, sia sotto il profilo del nesso causale che deve legare evento e res custodita, sia riguardo all‘incidenza della condotta colposa del danneggiato, che può giungere ad integrare il fortuito previsto dall’art. 2051 cod.civ., come requisito idoneo ad escludere la responsabilità del custode.

L’approfondita e sistematica disamina della fattispecie, la netta differenziazione dell’azione riguardo alla generica richiesta di risarcimento da fatto illecito ex art. 2043 cod.civ. e l’ampio panorama giurisprudenziale richiamato consigliano la lettura della lunghissima ordinanza, che consta di ben 27 pagine.

Resta tuttavia da segnalare l’aspetto  peculiare dell’evento atmosferico, analizzato dalla corte con riguardo al caso specifico, che ove eccezionale ed imprevedibile, può escludere la responsabilità del custode.

La responsabilità ex art 2051 cod.civ. trova frequente applicazione anche in condominio, con riguardo ai beni comuni ex art 1117 cod.civ. di cui l’ente condominiale risponde per i danni cagionati ai condomini e a terzi in funzione di detta norma.

LA pronuncia, dunque, anche se non riguarda espressamente la realtà condominiale, si profila di grande interesse.

Con particolare riguardo all’evento atmosferico, spesso chiamato a fungere da esimente per infiltrazioni dal tetto, o dal manto di copertura in sede di rifacimento, oppure per danni cagionati da tegole e camini volati via durante eventi meteorologici avversi, la Corte sottolinea come eccezionale non significhi, di per sé anche imprevedibile.

Alla luce dei mutamenti climatici e di fenomeni ciclici (si pensi al classico caso delle bombe d’acqua che tanto danno hanno fatto in liguria negli ultimi anni), l’evento – seppur eccezionale quanto ad intensità – potrebbe non essere considerato imprevedibile e dunque non fungere da esimente. 

La Corte osserva che la valutazione andrà dunque fatta caso per caso.

A tal fine la Corte rileva ancora che  dichiarazione di calamità naturale, resa dagli enti pubblici preposti, se è idonea ad integrare l’elemento della eccezionalità, non è di per sé integrativa, sotto il profilo civilistico, del requisito della imprevedibilità.

qui sotto la sentenza per esteso

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© massimo ginesi 6 febbraio 2018

 

danno da cosa in custodia: il condominio rimasto contumace in primo grado può difendersi in appello.

Colui che rimane contumace in primo grado decade dalla facoltà di proporre eccezioni ma può avanzare in ogni stato e grado mere difese: sostenere che il marciapiede su cui il danneggiato assume di essere caduto non ha natura condominiale e che, pertanto, non sussiste responsabilità da cosa in custodia non costituisce eccezione ma rientra fra  le mere difese, che possono essere avanzate anche in sede di appello  dal condominio rimasto contumace in primo  grado. 

E’ quanto affermato da Cass.Civ. III sez. 20 dicembre 2017 n. 30545

La vicenda processuale: “R.A. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, il Condominio (omissis) chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei sofferti a causa di una caduta su di un marciapiede asseritamente di proprietà del Condominio.
Rimasto contumace il convenuto il Tribunale, svolta prova per testi ed una c.t.u., accolse la domanda e condannò il Condominio al risarcimento dei danni liquidati in Euro 14.429,63, con rivalutazione, interessi ed il carico delle spese.
2. La pronuncia è stata appellata dal Condominio soccombente e la Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 10 marzo 2016, ha rigettato il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale che il marciapiede, pur non rientrando tra le parti comuni di un edificio ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., può assumere natura condominiale in relazione alla sua destinazione e che comunque il Condominio, essendo rimasto contumace in primo grado, era decaduto dalla possibilità di eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva sostanziale e, di conseguenza, l’assenza di ogni obbligo a suo carico di manutenzione del marciapiede.”

il principio di diritto :” Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951, hanno stabilito, tra l’altro, che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.

Nel caso in esame, l’obbligazione risarcitoria del Condominio”, sia ai sensi dell’art. 2043 che dell’art. 2051 cod. civ., intanto può essere in astratto prospettabile in quanto risulti che lo stesso è titolare di un diritto di proprietà sul marciapiede dov’è avvenuto l’incidente, dovendosi altrimenti indirizzare la domanda risarcitoria nei confronti del Comune (come di regola avviene, v. la sentenza 3 agosto 2005, n. 16226).

Ne consegue che la titolarità di un diritto dominicale sul marciapiede teatro dell’incidente costituisce presupposto ineliminabile per l’accoglimento della domanda della R. , per cui la Corte d’appello non avrebbe dovuto affermare la tardività della contestazione in conseguenza della contumacia del Condominio in primo grado, non trattandosi di un’eccezione in senso stretto.”

La sentenza di appello è dunque cassata, con rinvio ad altra sezione della stessa corte.

© massimo ginesi 22 dicembre 2017

 

Ancora sulla responsabilità da cosa in custodia: caduta nelle scale del condominio.

 

Una fattispecie davvero particolare affrontata dalla Cassazione (Cass. civ. sez. III 31 ottobre 2017 n. 25856) in tema di responsabilità del condominio .

Una donna scivola lungo le scale condominiali ,  a causa di un materiale sparso  da un sacchetto dell’immondizia lasciato sulle scale, riporta lesioni e fa causa  al condominio per essere risarcita, vedendo la sua domanda respinta sia in primo che in secondo grado.

Il giudice di legittimità si richiama a princpi consolidati in tema di imputabilità del fatto dannoso e di responsabilità da cosa in custodia.

Da un lato osserva che il sacchetto lasciato sulle scale da qualche condomino è fatto imprevedibile che interrempe il nesso causale con il condominio, dall’altro richiama gli ordinari princpi in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato, che deve comunque adottare l’opportuna diligenza nei fatti quotidiani della vita.

“la corte di merito ha ritenuto in fatto  e con valutazione fondata su adeguata motivazione, come tale non sindacabile in questa sede,  che la ricorrente era caduta scivolando sui residui di un sacchetto di immondizia lasciato aperto sulle scale condominiali, e che tale circostanza rappresentava un evento estraneo alla sfera di custodia dell’amministratore del condominio, eccezionale, imprevedibile e non evitabile, tale da poter configurare il caso fortuito, e quindi costituiva l’unica causa del danno, il che era sufficiente ad integrare la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c..

L’esclusione della sussistenza del nesso di causa tra la cosa in custodia e l’evento lesivo, escludono in radice, d’altra parte, la possibilità di affermare una responsabilità per colpa ai sensi dell’art. 2043 c.c. da parte dello stesso amministratore del condominio”

La corte coglie poi l’occasione per ripercorrere i criteri generali della responsabilità da custodia, aldilà dell’ambito condominiale, parametri che sono comunque utili a delineare i confini entro i quali  il condominio potrebbe essere chiamato a rispondere del danno subito dal terzo.

“a) in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (nella specie, la S. C. ha ritenuto eziologiamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneità dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada) (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017, Rv. 644282 – 01);

b) ai sensi dell’art. 2051 c. c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, Rv. 640508 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 23584 del 17/10/2013, Rv. 628725 – 01);

c) in tema di responsabilità del custode, la ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivato» (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10014 del 20/04/2017, Rv. 643830 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 6753 del 06/04/2004, Rv. 571873 – 01)”

© massimo ginesi 7 novembre 2017

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responsabilità da cosa in custodia e caduta dall’ascensore.

Una articolata e interessante pronuncia della suprema corte (Cass.civ. sez. III  31 ottobre 2017 n. 25837) affronta il tema della responsabilità da cosa in custodia in caso di danno derivato da un evento in cui il danneggiato ha concorso, con la propria condotta alla sua causazione.

Si tratta, nella fattispecie, di un evento assai frequente, ovvero la caduta di un soggetto che, uscendo dall’ascensore, inciampa nel gradino che si forma fra cabina e pianerottolo, per una imperfetta fermata, scalino che nel caso di specie vedeva un dislivello di appena otto centimetri.

Tribunale e Corte di appello di Milano avevano respinto la domanda avanzata dal danneggiato per le lesioni subite, ritenendo che la caduta fosse ascrivibile unicamente alla condotta del danneggiato, che non aveva prestato la dovuta attenzione, integrando così il c.d. caso fortuito, che la giurisprudenza ha sempre ravvisato anche nella condotta colposa della vittima, quando è da sola idoneo a cagionare l’evento.

La Corte compie una lunga ed articolata disamina, dapprima soffermandosi sul concetto di insidia, che non necessariamente deve sussistere per integrare la responsabilità del custode, ed evidenziando poi come la condotta del danneggiato non sempre costituisca fortuito idoneo ad escludere la responsabilità da custodia, ma vada valutata nel suo concreto esplicarsi, per stabilire se concorra con la responsabilità del custode o se valga ad escluderla.

Osserva la corte che affinché la condotta della vittima sia idonea ad escludere la responsabilità del custode deve essere non solo imprudente ma anche imprevedibile, evidenziando come tali caratteristiche possano gradatamente combinarsi fra loro in una gamma che può attenuare o escludere del tutto la responsabilità ex art 2051 cod.civ. in capo al titolare del bene in custodia.

sarà compito del giudice di merito accertare la sussistenza di questi presupposti, in forza dei quali stabilire se si tratti effettivamente di fortuito idoneo ad escludere la colpa del custode.

La pronuncia di secondo grado è dunque cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte d’appello, che dovrà attenersi al  principio di diritto enunciato dalla corte.

Una sentenza interessante in diritto, che merita integrale lettura per la vastità e accuratezza delle argomentazioni e che, tuttavia, desta qualche perplessità nella sua pratica applicazione, per la complessità dell’onere probatorio che finisce per addossare alla parte che invoca il caso fortuito.

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© massimo ginesi 6 novembre 2017 

 

 

responsabilità per immissioni rumorose da bar, è responsabile chi le provoca.

La Cassazione ( Cass.civ. sez. II  4 luglio 2017 n. 16407) esamina una vicenda che – con l’arrivo dell’estate – è frequente in condominio: il pub a piano terra dell’edificio tiene musica ad alto volume sino a tarda notte e turba i sonni dei condomini.

Due di costoro promuovono azione giudiziale sia nei confronti del proprietario dei locali che verso il conduttore, che è il soggetto titolare dell’attività commerciale molesta.

Il Tribunale di Sondrio condanna proprietario e locatore a pagare a ciascuno dei condomini attori l’importo di 15.000 euro (diecimila per danno biologico e 5.000 per danno morale).

LA Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza, rigetta la domanda contro il proprietario dei fondi,  lasciando integra la sola condanna in capo al conduttore dei locali, esercente l’attività commerciale.

La Corte milanese rilevava che dalla relazione dell’Arpa risultava che le immissioni intollerabili derivassero dalla musica tenuta ad alto volume all’interno dei locali fino a tarda notte, dal vociare degli avventori fuori dal locale e che il locatore avesse saputo della situazione solo poco prima del giudizio, che avesse più volte richiamato i conduttori e che nel contratto di locazione fosse stata inserita una clausola che vietava al conduttore attività rumorose. Riduceva inoltre il risarcimento a 6.000 euro per ciascun condomino, determinati in via equitativa, sull’assunto che non vi fosse prova del danno biologico nella misura lamentata.

Occorre premettere che, secondo l’indirizzo interpretativo di questa corte, l’azione di natura reale, asperità per l’accertamento dell’illegittimità dell’immissione e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le stesse nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono è distinta e può essere cumulata con la domanda verso altro convenuto, per responsabilità aquiliana ex articolo 2043 c.c., volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionate (Cass.civ. sez. un. 27 febbraio 2013 n. 4848).

Quest’ultima domanda risarcitoria va proposta secondo i principi della responsabilità aquiliana e cioè nei confronti del soggetto individuato da criterio di imputazione della responsabilità. E, quindi nei confronti dell’autore del fatto illecito (materiale o morale), allorché il criterio di imputazione è la colpa o il dolo (art. 2043) e nei confronti del custode della cosa allorché i criterio di imputazione è il rapporto di custodia (art. 2051).

Allorché le immissioni intollerabili originano da un immobile condotto in locazione, dunque, la responsabilità ex articolo 2043 cod.civ. per i danni da essi derivanti può essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, non già per aver omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizio a carico di terzi (Cass.civ. sez. III  28/5/2015 n 11125)”

© massimo ginesi 5 luglio 2017

furto tramite ponteggio: il condominio non è responsabile ex at. 2051 cod.civ.

La Cassazione (Cassazione civile, sez. III, 20/06/2017,  n. 15176) ridimensiona la responsabilità del Condominio in caso di furto nell’appartamento di un condomino agevolato dalla esistenza di un ponteggio installato per l’esecuzione di opere nel fabbricato.

Il Condominio può essere ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 2043 cod.civ., in concorso con l’appaltatore, ma non quale custode ai sensi dell’art. 2051 cod.civ. m con ovvi riflessi di alleggerimento in ordine alla sua responsabilità, quanto meno sotto il profilo probatorio.

ai fini della sussistenza della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., sono necessari due presupposti: a) una relazione diretta tra la cosa e l’evento dannoso, intesa nel senso che la prima, per il suo intrinseco dinamismo o per l’insorgere in essa di un evento dannoso, abbia prodotto direttamente il secondo, e non sia stata invece solo lo strumento mediante il quale l’uomo abbia causato il danno con la sua azione od omissione; b) un effettivo potere fisico del soggetto sulla cosa, comportante a carico del predetto l’obbligo di vigilare la cosa medesima e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che essa produca danni a terzi (cfr. espressamente in tal senso: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 520 del 22/01/1980, Rv. 403906 – 01; nel medesimo senso; Sez. 3, Sentenza n. 3722 del 21/10/1976, Rv. 382419 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3994 del 28/08/1978, Rv. 393591 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 1682 del 15/02/2000, Rv. 533878 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11275 del 27/05/2005, Rv. 581920 – 01; cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 26901 del 19/12/2014, Rv. 633783 – 01 e, per certi aspetti, Sez. 3, Sentenza n. 2660 del 05/02/2013, Rv. 625158 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6306 del 13/03/2013, Rv. 625465 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21212 del 20/10/2015, Rv. 637445 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5910 del 11/03/2011, Rv. 617369 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8005 del 01/04/2010, Rv. 612274 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 28811 del 05/12/2008, Rv. 605943 – 01).

E’ quindi da escludere, in linea di principio, che – in caso di furto reso possibile dall’omessa adozione delle necessarie misure di sicurezza in relazione all’impalcatura di proprietà e/o installata, come nella specie, dall’appaltatore per effettuare lavori nello stabile condominiale – possa automaticamente affermarsi sussistere a carico del condominiocommittente, ai sensi dell’art. 2051 c.c., una responsabilità oggettiva o presunta, “da custodia” della struttura, della quale quest’ultimo ha semplicemente consentito l’installazione, laddove si riconosca a carico dello stesso appaltatore (proprietario e/o quanto meno diretto installatore e utilizzatore della predetta struttura) esclusivamente una responsabilità ordinaria per colpa, ai sensi dell’art. 2043 c.c..

In una siffatta ipotesi, la responsabilità del condominio committente può essere affermata esclusivamente ai sensi dell’art. 2043 c.c., in concorso con quella dell’appaltatore, per omissione degli obblighi di vigilanza sull’attività di quest’ultimo.

Ed in tale ottica costituisce questione di fatto stabilire in quali limiti ed in quali termini lo stesso condominio disponga, nella vicenda concreta, di tali poteri di vigilanza, ed eventualmente anche in che termini ed in che limiti sia comunque esigibile, secondo l’ordinaria diligenza che, nell’affidamento a terzi di lavori in appalto da svolgersi sulle parti comuni dell’edificio, esso si riservi in ogni caso siffatti poteri, a tutela dei condomini e dei terzi ai quali dai lavori stessi possano derivare eventuali pregiudizi.

Nella specie, i giudici di merito, sulla base dell’esame delle circostanze di fatto rilevanti e della prudente valutazione del materiale istruttorio, ed in virtù di adeguata motivazione, da una parte hanno in concreto escluso la sussistenza di un concreto potere di fatto, da parte del condominio, in relazione all’impalcatura montata dall’appaltatore, così negando in radice il presupposto del rapporto di custodia con la struttura che avrebbe agevolato il danno, e dall’altra parte hanno altresì accertato che non era stato dedotto, ancor prima che provato, un difetto di vigilanza sull’impresa da parte del condominio.”

© massimo ginesi 30 giugno 2017 

l’insidia in condominio e il dovere di custodia: non va risarcito il danneggiato che non usa l’ordinaria diligenza.

La Cassazione (Cass. Civ. VI sez. ord. 31.1.2017, n. 2556)  ritorna sull’art. 2051 cod.civ. confermando le sentenze di merito che avevano respinto le richieste di un soggetto rimasto infortunato per una caduta sula rampa di acesso ai box, dovuta alla presenza di ghiaccio.

La Corte, riprendendo un orientamento consolidato nella lettura dell’art. 2051 cod.civ., afferma: “Infatti ai sensi dell’art. 2051 c.c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito (Cass. n. 12895/2016). A maggior ragione nel caso di specie dove il sinistro subito dal ricorrente poteva essere evitato tenendo un comportamento ordinariamente cauto in considerazione nel periodo invernale delle intense nevicate e delle temperature particolarmente rigide.”

© massimo ginesi 4 aprile 2017

 

lastrico solare e danni: primi bagliori applicativi delle Sezioni Unite del 2016

Una recente sentenza (Corte di Cassazione, sez. II Civile 7 febbraio 2017, n. 3239) riprende i principi dettati da Cass. SS.UU  10/05/2016 n. 9449 e, correttamente, rileva che se  il danno agli immobili sottostanti sia imputabile ad una condotta ascrivibile unicamente al proprietario o usuario esclusivo del lastrico,   costui ne risponderà integralmente, per i noti  principi in tema di imputabilità e causalità, che precludono ogni riferimento al criterio dettato dall’art. 1126 cod.civ.

Osserva la Corte: “in materia di ripartizione delle spese di manutenzione di lastrici solari e terrazze a livello che provocano danni da infiltrazioni agli immobili sottostanti, le sezioni unite hanno di recente affermato che in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l’usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria;

il concorso di tali responsabilità va di norma risolto, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c., che pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio (v. Sez. U, Sentenza n. 9449 del 10/05/2016 Rv. 639821).
Il principio citato, affermato – come si è detto – in materia di riparto delle spese di riparazione per evitare danni da infiltrazioni negli appartamenti, vale logicamente anche nel caso di specie, in cui si discute pur sempre di danni da omessa manutenzione (ma anzi, forieri di ben più gravi conseguenze, rappresentate addirittura dal crollo della terrazza a livello).
Ebbene, nel caso in esame, la Corte d’Appello di Catanzaro ha applicato seccamente la regola dell’art. 1126 cc ma non si è posta il preliminare problema di verificare, sulla scorta degli accertamenti peritali e delle altre risultanze processuali, l’imputabilità soggettiva del danno, e cioè di stabilire se le cause del crollo fossero ascrivibili ad un concorso di responsabilità dei due proprietari interessati oppure a fatto esclusivo del titolare del diritto di uso esclusivo della terrazza stessa che, come pure precisato dalle sezioni unite, ne è anche il custode, con tutti i doveri di cui all’art. 2051 cc.
L’indagine era assolutamente decisiva perché solo in caso di risposta positiva al primo quesito si sarebbe rivelata giuridicamente corretta la conclusione di applicare la regola del riparto di cui all’art. 1126 cod.civ..”

© massimo ginesi 8 febbraio 2017 

art. 2051 cod.civ. : attenzione al muschio sul vialetto di ingresso al condominio

Una signora cade e riporta lesioni mentre percorre il vialetto di accesso al Condominio, reso viscido dal muschio che si era formato in conseguenza della esposizione all’ombra e alle irrigazioni del giardino.

Il Condominio viene ritenuto responsabile sia in primo grado che in appello, “essendo stata accertata la intrinseca pericolosità della cosa, in seguito a c.t.u. che aveva verificato la esistenza delle formazioni muschiose sull’intero viale, e non essendo emerso alcun elemento circostanziale che consentisse di attribuire neppure in parte la causazione del sinistro alla danneggiata”

LA vicenda approda alla terza sezione della Cassazione, ove il Condominio tenta di sostenere che la responsabilità doveva ritenersi esclusa dalla condotta colposa della vittima, che non avrebbe utilizzato le zone del vialetto non invase dal muschio.

Cassazione civile, sez. III, 13/12/2016, n. 25483 conferma i giudizi di merito, ribandendo ancora una volta come sia precluso in Cassazione qualunque riesame dei fatti : “Il Condominio ricorrente censura la sentenza deducendo che l’evento dannoso sarebbe stato determinato da caso fortuito, e più esattamente dalla condotta negligente della stessa danneggiata: ma in tal modo attraverso il vizio di “error juris” viene piuttosto a censurare la sentenza per vizio attinente la valutazione dei fatti come provati nel giudizio di merito, con la conseguenza che il parametro del vizio di legittimità, alla stregua del quale si chiede alla Corte di sottoporre a verifica la sentenza, è da ritenersi manifestamente errato. La incompatibilità ontologica tra i due vizi di legittimità (l’error juris implica che la fattispecie concreta sia stata correttamente ricostruita in base ad i fatti dimostrati in giudizio; l’errore di fatto si situa invece a monte dell’attività di individuazione ed applicazione della norma di diritto nella quale è sussunta la fattispecie concreta) priva, pertanto, la censura di violazione o falsa applicazione di norme di diritto del necessario supporto argomentativo richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), e determina la inammissibilità del motivo (cfr. Corte Cass. 2^ sez. 29.4.2002 n. 6224, id. 3^ Sez. 18.5.2005 n. 10385, id. 5^ Sez. 21.4.2011 n. 9185; id. 3^ sez. 7.5.2007 n. 10295).”

Quanto all’apporto colposo della vittima, la Suprema Corte osserva che: “il Condominio non deduce alcun fatto, dimostrato in giudizio, del quale la Corte d’appello abbia del tutto omesso l’esame, dovendo al proposito rilevarsi che l’assunto del ricorrente secondo cui il fenomeno muschioso che rendeva scivoloso il terreno interessava solo una parte del vialetto, non trova alcun riscontro nella motivazione della sentenza impugnata, dalla quale emerge, invece, che il vialetto era costeggiato nei due lati, rispettivamente, da un giardino e da piante in vaso, e che doveva, pertanto, presumersi che l’irrigazione del verde avesse creato lo strato di muschio notoriamente scivoloso, determinando la situazione intrinseca di pericolo della res.
Le altre considerazioni svolte dal ricorrente in ordine alla maggiore attenzione che avrebbe potuto richiedersi alla danneggiata, si risolvono in mere ipotesi ed allegazioni, prive di specifici riscontri, e comunque non evidenziano specifici “fatti storici” non considerati dal Giudice di appello, avendo questi esaminato ed escluso qualsiasi concorso di colpa della vittima, venendo pertanto a chiedere il Condominio a questa Corte una inammissibile rivalutazione nel merito dei fatti, non consentita in sede di legittimità (cfr. (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014).”

Ed ancora: “Da qui la parte ricorrente trae la conclusione che la condotta della danneggiata, la quale non avrebbe individuato, percorrendo il viale, le parti non coperte da muschio e meno rischiose, ed il fatto omissivo dei terzi (i familiari che accompagnavano in quel momento la vittima) i quali non si sarebbero attivati per informare la danneggiata della situazione pericolosa, avrebbero entrambi concorso a determinare in via esclusiva o quanto meno concorrente l’evento dannoso.
Premesso che per giurisprudenza costante nella responsabilità ex art. 2051 c.c., per cose in custodia, l’attore deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento lesivo nonchè dell’esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa, mentre il convenuto deve dimostrare l’esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25243 del 29/11/2006), cioè il caso fortuito, in presenza del quale è esclusa la responsabilità del custode, il quale in particolare è tenuto a provare, quanto al fatto del terzo, che lo stesso riveste i requisiti dell’autonomia, dell’eccezionalità, dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità essendo, quindi, idoneo a produrre l’evento, escludendo fattori causali concorrenti (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 25029 del 10/10/2008), osserva il Collegio che i fatti allegati dal Condominio risultano sprovvisti entrambi del carattere della “decisività”, in quanto non risultano caratterizzati da “imprevedibilità ed eccezionalità” e non integrano pertanto il fortuito.

Se da un lato, infatti, non è affatto imprevedibile od eccezionale l’uso del vialetto da parte dei terzi per accedere allo stabile condominiale, i quali non possono che fare affidamento sulla sicurezza dello stesso in assenza di specifiche limitazioni di transito o segnalazioni di pericolo od altri presidi diretti a limitarne l’uso (altra e diversa questione è la oggettiva manifesta visibilità del pericolo che impone all’utente il minimo di attenzione necessaria ad evitare il danno: circostanza neppure dedotta nel motivo di ricorso e peraltro anche contestata nei precedenti gradi di merito); dall’altro difetta la prova di quale fosse la effettiva dimensione della copertura muschiosa che rendeva viscido il vialetto (del tutto generica in proposito è l’affermazione del teste, che il Condominio assume dirimente, secondo cui “tale patina….aveva coperto buona parte del vialetto”); neppure è ipotizzabile il “fatto del terzo” così come prospettato dal ricorrente, in quanto, indipendentemente dal rinvenimento del fondamento giuridico dell’obbligo di preventiva informazione circa le condizioni del vialetto posto a carico dei familiari accompagnatori, è appena il caso di osservare come la condotta omissiva viene a collocarsi al di fuori della fattispecie illecita individuata dalla norma dell’art. 2051 c.c., nella quale il fatto del terzo – sempre che imprevedibile ed eccezionale – produce invece direttamente la pericolosità della res (altrimenti inerte), ipotesi che non ricorre nella specie”.

Insomma non si può pretendere che, specie in assenza di avvisi, il terzo salti da una piastrella all’altra individuando quelle meno scivolose, mentre incombe al condominio l’onere di provare la colpa del danneggiato, che deve essere esclusiva ed in grado di provocare in maniera autonoma l’evento, spezzando in tal modo alò nesso causale con il bene oggetto di custodia.

Prova che non è stata fornita, con la conseguenza che il Condominio – quale custode della parte comune – è tenuto all’integrale risarcimento del danno.

© massimo ginesi 19 dicembre 2016 

Ascensore: insidia trabocchetto in condominio

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La definizione di insidia/trabocchetto è stata da tempo elaborata dalla giurisprudenza con riferimento alle cadute accidentali per buche o altri ostacoli che, con frequenza, giungono alla attenzione dei giudici.

La Suprema Corte ha sempre sottolineato che la norma di cui all’art. 2051 cod.civ., che prevede la responsabilità del custode del bene che cagiona il danno, fa salvo il caso fortuito e in tale concetto deve ricondursi anche il fatto del terzo o dello stesso danneggiato.

La giurisprudenza ha in più occasioni sottolineato che il soggetto che subisce danno in conseguenza di un ostacolo o di un particolare assetto dei luoghi dovrà essere risarcito solo ove il fatto non possa essere evitato con l’ordinaria diligenza, quindi abbia carattere insidioso idoneo a superare il normale atteggiarsi dell’individuo di fronte a situazioni analoghe.

La Cassazione (Cassazione civile, Sezione III, sentenza 22 giugno 2016, n. 12895) con una recente    sentenza    affronta il problema dell’insidia e della responsabilità da cosa in custodia in condominio.

L’ascensore si ferma un ventina di centimetri sotto il livello della soglia e il soggetto che si trova all’interno inciampa procurandosi lesioni.

Afferma la Corte che “ai sensi del citato art. 2051 cod. civ., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro ingrato il caso fortuito.
Nella specie, osserva la pronuncia, il dislivello di circa venti centimetri avrebbe potuto essere intrinsecamente pericoloso: tuttavia, le condizioni di illuminazione e la presenza della doppia porta, avrebbero reso superabile il pericolo – comunque ingeneratosi – se la ricorrente danneggiata avesse tenuto un comportamento ordinariamente cauto”

Insomma il nesso causale si interrompe se non si guarda dove si mettono i piedi…

© massimo ginesi giugno 2016