Nella realizzazione di un edificio emerge, poco dopo la conclusione dei lavori, che il pavimento del piano terra risulta non orizzontale e con un dislivello di oltre 31 centimetri. LA CTU svolta in primo grado accerta che la responsabilità del problema è attribuibile per il 80% al progettista – che ha omesso le necessarie indagini geologiche – e per il 10% all’appaltatore, che ha male realizzato il fabbricato, e stima il danno in oltre 200.000 euro.
Nel corso del giudizio di primo grado interviene transazione fra committente e appaltatore, il Tribunale dichiara l’estinzione parziale del giudizio relativamente a tale rapporto e – stimata nel 10% la responsabilità di costui – condanna il progettista, che ha svolto anche la direzione lavori, a risarcire la residua parte, pari a circa 202.000 euro.
La Corte di appello di Venezia giungeva alle stesse conclusioni nel merito, ma rideterminava la somma dovuta in circa 140.000 euro, sottraendo all’importo risarcitorio determinato dal Tribunale le spese per la palificazione e per le indagini geognostiche. Escludeva inoltre che sussistesse solidarietà fra appaltatore e progettista, a seguito della intervenuta transazione fra il primo e il committente.
La vicenda giunge all’esame della corte di legittimità, che con una complessa e articolata pronuncia (Cass.civ. sez. II ord. 27.9.2017 n. 22672 rel. Scarpa) affronta i due interessanti temi:
a) la natura della responsabilità che lega appaltatore e progettista/direttore lavori
b) gli effetti, in un rapporto trilaterale di risarcimento con solidarietà fra i condebitori, della transazione stipulata fra uno solo degli obbligati e il creditore.
“Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore ed il progettista e direttore dei lavori (come nella specie, per i difetti della costruzione dipendenti dal cedimento del terreno dovuto alle caratteristiche geologiche del suolo, rientrando nei compiti di entrambi l’indagine sulla natura e consistenza del terreno edificatorio), i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (Cass. Sez. 2, 27/08/2012, n. 14650; cfr. altresì Cass. Sez. 2, 23/07/2013, n. 17874; Cass. Sez. 3, 31/05/2006, n. 12995; Cass. Sez. 2, 23/09/1996, n. 8395).
La responsabilità solidale dell’appaltatore e del progettista e direttore dei lavori per l’intero danno arrecato al committente, stabilita dall’art. 2055, comma 1 c.c., obbliga, peraltro, il giudice, quando sia stata a tal fine formulata apposita domanda, all’accertamento ed all’attribuzione delle rispettive quote di ripartizione della colpa, potendosi applicare il criterio sussidiario della parità delle cause, di cui all’ultimo comma dello stesso art. 2055, solo se non sia possibile provare le diverse entità degli apporti causali e residui perciò una situazione di dubbio oggettivo e reale.
Tuttavia, gli apprezzamenti qui svolti dalla Corte d’Appello di Venezia sulla sussistenza della colpa dei vari soggetti e del concorso di più fatti colposi nella determinazione dell’evento dannoso (nella specie, la sorpresa geologica e il riporto di terreno), nonché sulla valutazione dell’efficienza causale di ciascuna delle colpe concorrenti, si risolvono in un giudizio di fatto immune da errori logici e di diritto, e che perciò si sottrae al sindacato in sede di legittimità.
Sotto il profilo processuale, del resto, l’esistenza di un vincolo di solidarietà passiva ai sensi dell’art. 2055 c.c. tra appaltatore e progettista non genera un litisconsorzio necessario, avendo il creditore committente titolo per valersi per l’intero nei confronti di ogni debitore, con conseguente possibilità di scissione, anche in appello, del rapporto processuale, che può utilmente svolgersi nei confronti di uno solo dei coobbligati.
Nel caso in esame, era avvenuto che il giudice di primo grado, con la sentenza del 29/08/2009, aveva dichiarato estinto il giudizio nei rapporti tra Bon. ed il condebitore Bar., a seguito della transazione intervenuta tra di loro, mentre aveva condannato l’altro condebitore Z al risarcimento della rispettiva quota-parte attribuitagli, pari al 90% del danno complessivo, in quanto non assorbita dalla transazione.
F Zor, unico convenuto soccombente, ha poi proposto appello nei soli confronti del creditore G Bon., sicchè non è stata riproposta in appello nei confronti dell’altro convenuto nel giudizio di primo grado, C. Bar., una domanda di regresso, ai sensi dell’art. 2055, comma 2, c.c. In sostanza, il Tribunale di Vicenza, dichiarando estinto per l’intervenuta transazione il giudizio tra il Bon. ed il Bar., aveva altresì sciolto la solidarietà passiva tra il debitore liberato e l’altro debitore Z., con l’accertamento delle reciproche quote di responsabilità in misura del 10% e del 90%.
in ordine ai riflessi della transazione fra il creditore e uno dei debitori solidali, la Corte rileva che:
“la Corte d’Appello di Venezia, accertata, appunto, nella misura del 90% la responsabilità del progettista Zor., e stimata quella concorrente dell’appaltatore Bar. nella misura del 10%, ha sottratto all’importo totale dei danni liquidati in favore di G. Bon. la somma di Lire 70.000.000, in quanto cifra corrisposta a seguito di transazione pro quota dal condebitore Zor.. La conclusione cui è pervenuta la Corte di merito è perciò corretta, anche se è errata l’invocazione che essa ha fatto dell’art. 1304 c.c.
Secondo consolidato orientamento, infatti, l’art. 1304, comma 1, c.c., si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l’intero debito (accordando al condebitore solidale la facoltà di avvalersene pur non avendo partecipato alla sua stipulazione), e non la sola quota del debitore con cui è stipulata. Se la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto la sola quota del condebitore che l’ha stipulata (secondo quanto accertato in fatto nel caso in esame, atteso che nella transazione intervenuta del 17 gennaio 2000 C. Bar. dichiarava di versare l’indicato importo “a saldo e stralcio della quota parte del debito da risarcimento danni che fosse a suo carico”, con l’aggiunta che “l’ing Zor. … non potrà profittare della presente transazione”), occorre distinguere:
nel caso in cui il condebitore che ha transatto abbia versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito (come qui avvenuto, dovendo il Barban soltanto il 10% del debito totale), il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato, proprio come fatto dalla Corte di Venezia;
nel caso in cui, invece, il pagamento sia stato inferiore, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
Questa interpretazione giurisprudenziale ha anche chiarito come lo stabilire se, in concreto, la transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido ha avuto ad oggetto l’intero debito o solo la quota del debitore transigente comporti, evidentemente, un’indagine sul contenuto del contratto e sulla comune volontà che in esso i contraenti hanno inteso manifestare, da compiere ad opera del giudice di merito secondo le regole di ermeneutica fissate negli artt. 1362 e segg. c.c.
E la Corte di Venezia ha ben spiegato le ragioni per le quali la transazione del 17 gennaio 2000 riguardasse la sola quota debitoria facente capo al Bar. (accertata nei rapporti tra i coobbligati in base alle ricordate argomentazioni di fatto) e non anche l’intero debito, ed ha conseguentemente quantificato il debito residuo gravante sullo Zor. (cfr. Cass. Sez. 1, 17/11/2016, n. 23418; Cass. Sez. 1, 07/10/2015, n. 20107; Cass. Sez. U, 30/12/2011, n. 30174).”
© massimo ginesi 29 settembre 2017