procedimento per convalida di sfratto e il mancato esperimento della mediazione obbligatoria

I procedimenti sommari, quali il ricorso per decreto ingiuntivo e la convalida di sfratto, sono esclusi dall’obbligo di preventiva mediazione stabilito dall’art. 5 comma I bis del d.lgs 28/2010 per alcune materie.

Lo prevede la stessa norma, al comma IV:” I commi 1-bis e 2 non si applicano:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile”.

Terminata la fase sommaria, tuttavia, la condizione di procedibilità – per le materie ove questa è obbligatoria – torna ad essere un vincolo imprescindibile.

I problemi applicativi in tema di opposizione a decreto ingiuntivo  sono assai complessi e fonte di vivace dibattito.

Problematiche assai simili si pongono in tema di giudizio conseguente alla opposizione alla convalida di sfratto, con particolare riguardo alle conseguenze che comporta il mancato avveramento della condizione di procedibilità.

Il tema è affrontato da sentenza del Tribunale di Massa del 28 novembre 2017: il caso è peculiare poiché l’intimante, a seguito della opposizione, della conversione del rito e dell’assegnazione del termine per introdurre la mediazione, non da più alcuna indicazione al proprio difensore, che deposita istanza ma si ritrova da solo alla comparizione dinanzi al mediatore.

Come risulta dal verbale di mediazione, prodotto in giudizio, la parte intimante che ha instaurato il procedimento di mediazione, non si è presentata al primo incontro, al quale era presente unicamente il difensore, che ha peraltro manifestato l’assenza di qualunque mandato specifico a partecipare a detto incombente.

Tale circostanza appare già di per sè idonea a ritenere non espletato il procedimento poiché al procuratore non era stato conferito alcuno specifico potere, anche a non voler aderire alla ormai predominante giurisprudenza che ritiene indispensabile la partecipazione personale della parte (fra le tante Trib. Pavia 20.1.2017).

La circostanza che il difensore presente all’incontro non avesse né potere né indicazioni per gestire il procedimento e agisse in totale dissociazione dalla parte lascia intendere che il locatore abbia manifestato totale disinteresse alla sua apertura, resa di fatto impossibile dalla sua assenza prima ancora che da quella del convenuto, sì che la condizione si dovrà ritenere non avverata, esattamente come se l’istanza non fosse stata proposta.”

Quanto alle conseguenze del mancato esperimento, il Tribunale osserva che “sussistono posizioni assai plastiche in giurisprudenza, che oscillano da valutazioni drastiche in cui si accollano al locatore sia l’onere della mediazione che le conseguenze del suo mancato esperimento, con dichiarazione di improcedibilità e condanna alle spese in caso di mancato avveramento della condizione (Trib. Mantova 15.1.2015) sino a per pervenire a letture invece in totale favore della parte attrice, nelle quali – ritenuta improcedibile la domanda, si considerano comunque consolidati gli effetti del provvedimento provvosirio reso ex art. 665 c.p.c e sostanzialmente vittoriosa l’intimante a cui devono essere riconosciute le spese (Tribunale Bologna 17.11.2015 n. 21324) sino a posizioni intermedie che, pur a fronte del consolidarsi degli effetti del provvedimento interinale, ritengono sussistenti idonee ragioni per provvedere a totale compensazione delle spese ( Trib. Rimini 24 maggio 2016).

La pronuncia del Tribunale felsineo appare a questo giudice maggiormente condivisibile sotto il profilo delle argomentazioni sistematiche, in analogia con quanto già statuito – anche dalla corte di legittimità, in materia contigua quale l’opposizione a decreto ingiuntivo (Cassazione civile, sez. III, 03/12/2015, n. 24629 ) laddove riconosce ‘la la distribuzione dell’onere di attivazione della mediazione obbligatoria in capo ad entrambe le parti, seppure con diversi effetti stante la indiscutibile esistenza del provvedimento giurisdizionale consistente nella ordinanza di rilascio (tipico esempio di condanna con riserva, nella fattispecie con riserva delle eccezioni dell’intimato – opponente); l’improcedibilità del giudizio a cognizione piena originato dall’opposizione dell’intimato, stante la mancata instaurazione del procedimento di mediazione obbligatoria; il travolgimento (per improcedibilità) delle domande delle parti che siano ulteriori rispetto a quella proposta dal locatore intimante sfociata nell’ordinanza di rilascio; la preservazione dell’efficacia dell’ordinanza non impugnabile di rilascio, idonea a dispiegare i propri effetti al di fuori del processo, in quanto non travolta dalla declaratoria di improcedibilità; e ciò in quanto il provvedimento anticipatorio di condanna al rilascio è sottoposto alla condizione risolutiva consistente nella pronuncia di successiva sentenza di merito negativa (mentre la declaratoria di improcedibilità opera in rito)’.

Parimenti condivisibile, appare la conclusione, in linea con la ratio deflattiva dell’istituto della mediazione, cui perviene lo stesso giudice “Se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione anche se non espressamente richiamata dagli articoli 665667 c.p.c. vuoi per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell’ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell’ordinanza di rilascio in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio; caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio).

A carico dell’intimato opponente, non operoso in mediazione, resta l’effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore.

È ora possibile concludere nel senso che l’espressione “condizione di procedibilità della domanda” di cui al decreto legislativo 28/2010 va correttamente intesa con riferimento: alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall’intimatoopponente; alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l’intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e/o dall’intimato (essenzialmente pagamento somme).

Tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall’intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una pronuncia in sede di procedimento di convalida, che sia idonea a sopravvivere nella fase a cognizione piena. Invece l’ordinanza di rilascio, non impugnabile e idonea alla stabilizzazione, non risulta intaccata dalla pronuncia di improcedibilità (anche perché essa è definita non impugnabile dall’articolo 665 c.p.c., e quindi non è neppure modificabile revocabile). Identica sorte avrebbe l’ordinanza di rilascio, in caso di declaratoria di estinzione del giudizio a cognizione piena”

Non appare invece condivisibile la tesi della sostanziale soccombenza del convenuto a fronte del provvedimento di rilascio ottenuto dal locatore ai sensi dell’art. 665 c.p.c., poiché ove l’attore intenbda giovarsi unicamente degli effetti di tale ordinanza deve arrestarsi a quella fase, mentre ove intenda coltivare le ulteriori domande – ivi comrpesa quella di condanna alle spese – diviene egli stesso parte che aveva interesse ad introdurre la mediazione onde avverare la condizione la condizione di procedibilità, di talché laddove ciò non abbia fatto ed insista nella successiva fase di merito nel coltivare domande palesemente improcedibili, mostra di abusare dello strumento processuale, contravvenendo proprio alla ratio delle norme di cui al D.lgs 28/2010 ragione che impedisce di riconoscerli alcun titolo a vedersi liquidate spese ex art 91 c.p.c.”

© massimo ginesi 30 novembre 2017

 

mediazione obbligatoria e domanda riconvenzionale, quale disciplina?

in alcune materie, fra le quali condominio e locazioni, la mediazione è condizione di procedibilità per i relativi giudizi ai sensi dell’art. 5 comma 1 bis d.lgs 28/2010 e succ. mod.

Significa che il soggetto che voglia intraprendere una causa in siffatte materie dovrà necessariamente esperire la procedura di mediazione, dovendo altrimenti la sua domanda essere dichiarata improcedibile.

Ove la causa sia introdotta senza il rispetto di tale formalità, il giudice assegna alle parti un termine (che è stato ritenuto non perentorio) per introdurre il procedimento, dichiarando le domande improcedibili ove alla mediazione non venga dato corso.

Poiché la norma estende l’obbligo a chiunque voglia esercitare in giudizio un’azione nelle materie previste dal primo comma di detto art. 5, la previsione si deve ritenere estesa anche al convenuto che, a fronte della domanda principale non si limiti a difendersi ma proponga a propria volta una domanda nei confronti dell’attore (la c.d. domanda riconvenzionale).

Ci si è chiesti come debba essere interpretata la norma sulla procedibilità in tale particolare ipotesi, atteso che l’indicazione con il termine “convenuto” del soggetto che deve eccepire l’improcedibilità, non è apparso dirimente, poiché  lo stesso attore assume la posizione sostanziale e processuale di convenuto rispetto alle domande riconvenzioni avanzate da colui che è stato citato in giudizio.

Con riferimento alla mediazione esperita prima del giudizio, si è ritenuto che, ove poi il convenuto si costituisca avanzando domanda riconvenzionale anche essa sia  soggetta a condizione di procedibilità, sicché il giudice dovrà rimettere le parti dinanzi ad organismo di mediazione.

Più complesso il tema della mediazione cui le parti sono rimesse dal giudice all’esito della fase sommaria di un procedimento speciale quale la convalida di sfratto, ove – emessi i provvedimenti di cui all’art. 665 c.p.c.  – il giudice disponga mutamento del rito e rimetta le parti dinanzi al mediatore.

In tal caso si è argomentato, in giurisprudenza, che entrambe le domande siano soggette a mediazione e che la condizione di procedibilità possa ritenersi avverata per entrambe solo sia demandato al mediatore l’intero oggetto della controversia e non già solo la domanda dell’attore (o del convenuto): in tale ultima ipotesi la parte che non veda investito il mediatore della propria istanza sarà tenuta a propria volta ad attivare un autonomo procedimento, eventualmente da riunire all’altro, a pena di improcedibilità della propria domanda (Trib. Roma 27.11.2014, una pronuncia che merita lettura anche per la singolarità della fattispecie, che non getta buona luce sulla categoria forense…)

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In senso analogo si è pronunciato di recente il Tribunale di Massa, con sentenza 17 luglio 2017, osservando,  con riferimento alla procedibilità della domanda riconvenzionale, che “tale condizione potrà ritenersi assolta ove una delle parti – nell’adire l’organismo di mediazione – abbia devoluto alla sua conoscenza l’intero rapporto oggetto di causa e non solo la propria domanda.
A tal proposito è sufficiente esaminare l’istanza di mediazione depositata in atti dalla attrice, ove alla seconda pagina, sotto la voce “breve descrizione della controversia” si riporta l’intera materia del contendere, ivi compresa la riconvenzionale avanzata dalla B., con ciò mostrando l’intenzione di sottoporre al mediatore tutte le domande azionate nel presente giudizio.
Ragione che induce, pertanto, a ritenere procedibile anche la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta, rilevando la sua mancata adesione non sotto il profilo della procedibilità ma unicamente sotto il profilo della responsabilità e delle conseguenze previste dall’art. 8 D.lgs. 28/2010.”

© massimo ginesi 18 luglio 2017 

la Corte europea si pronuncia sulla mediazione obbligatoria prevista dall’ordinamento italiano.

La Corte Europea è stata investita dal Tribunale di Verona della questione di legittimità del D.lgs 28/2010 laddove prevede l’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità per determinate materie, ove comporta  obbligatoriamente l’assistenza dell’avvocato e conseguenze sfavorevole nel successivo giudizio di merito connesse  alla condotta tenuta dalle parti nel procedimento di mediazione.

Il contrasto attiene alla direttiva direttiva n. 11/2013, applicabile quando una delle due parti sia un consumatore (ed il Condominio tale è considerato dalla giurisprudenza).

Osserva la Corte di Giustizia UE con sentenza 14 giugno 2017 n. 457 che ” La direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR per i consumatori), dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede il ricorso a una procedura di mediazione, nelle controversie indicate all’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie, purché un requisito siffatto non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario.

La medesima direttiva dev’essere invece interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prevede che, nell’ambito di una mediazione siffatta, i consumatori debbano essere assistiti da un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione.”

Almeno per quei procedimenti in cui una delle parti sia qualificabile come consumatore la Corte individua dunque elementi di criticità del sistema normativo italiano.

Certamente in contrasto con la norma sovranazionale appare l’obbligo del difensore così come dovrà attentamente essere valutata la circostanza che dalla condotta delle parti in mediazione non derivino conseguenze nel successivo processo: “durante l’udienza, il governo italiano ha dichiarato che l’imposizione di un’ammenda da parte del giudice in un successivo procedimento è prevista soltanto in caso di mancata partecipazione senza giustificato motivo alla procedura di mediazione, e non in caso di ritiro dalla medesima. Se così è, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, la direttiva 2013/11 non osta a una normativa nazionale che consente al consumatore di rifiutare di partecipare a una previa procedura di mediazione solamente per un giustificato motivo, purché egli possa porvi fine senza restrizioni successivamente al primo incontro col mediatore.”

© massimo ginesi 15 giugno 2017

il termine per introdurre la mediazione non è perentorio?

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Il d. lgs 28/2010 all’art. 5  ha introdotto il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità per le cause in ” materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilita’ medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita’, contratti assicurativi, bancari e finanziari,”

La norma è stata dichiarata incostituzionale con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272 e, con prassi poco commendevole, reinserita con con L. 98/2013.

La legge  prevede inoltre che ” il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, puo’ disporre l’esperimento del procedimento di mediazione”.

Il testo stabilisce infine che in tutte le ipotesi in cui il Giudice dispone procedersi a mediazione concede alle parti termine di quindici giorni per il suo inizio e che il mancato esperimento della mediazione comporta l’improcedibilità della domanda.

Sulla perentorietà di detto termine la giurisprudenza di merito ha mostrato orientamenti ondivaghi, con Tribunali che hanno ritenuto che il mancato esperimento della mediazione nel termine assegnato comportasse la dichiarazione di improcedibilità (Trib. Firenze, 9 giugno 2015, Trib. Napoli Nord, 14 marzo 2016) ed altri che hanno invece ritenuto che si tratti di termine di natura non processuale, il cui mancato rispetto non possa comportare definizione del giudizio nel rito (Trib. Firenze, 17 giugno 2015, Trib. Roma, 14 luglio 2016, Trib. Milano, 27 settembre 2016).

La Corte di Appello di Milano, nel giudizio di appello alla sentenza 156/2016 del Tribunale di Monza, ha affermato la natura meramente ordinatoria del termine concesso dal Giudice per procedere a mediazione, procedendo quindi alla istruzione della causa di opposizione a decreto ingiuntivo che il giudice di primo grado aveva invece dichiarato improcedibile. (App. Milano ordinanza 28.6.2016).

Un provvedimento  di sicuro interesse, a fronte dei sempre più ampi e faticosi paletti che il cittadino incontra nell’accesso alla tutela giurisdizionale.

© massimo ginesi 27 ottobre 2016

 

 

il mancato esperimento della mediazione travolge anche il decreto ingiuntivo

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Lo afferma il Tribunale di Grosseto con una sentenza recentissima (7 giugno 2016).

Il Tribunale toscano osserva che il D.lgs. 28/2010 prevede che il procedimento monitorio, anche per le materie in cui l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità, sia  svincolato dall’obbligo iniziale di integrare detta condizione.

In ambito condominiale, le esigenze di celerità e di corretta amministrazione che costituiscono la ratio dell’art. 63 disp.att. cod.civ., consentono di ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (e così l’ingiunto potrà proporre opposizione) senza alcun obbligo preventivo di mediazione, almeno sino alla fase di decisione cautelare sulla sospensione o meno della provvisoria esecutorietà.

Esaurita la fase preliminare ed emanati in sede di opposizione i provvedimenti sulla eventuale sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, la controversia assume una naturale connotazione di procedimento di merito sulla pretesa creditoria avanzata dal condominio che, pur assumendo nel giudizio di opposizione  veste formale di convenuto, rimane l’attore sostanziale del procedimento (ovvero colui che aziona la pretesa creditoria).

L’opponente potrebbe a sua volta, in quella sede, avanzare domande ulteriori che assumono natura riconvenzionale, pur avendo a sua volta veste formale di attore (in opposizione).

L’onere di proporre la mediazione, esaurite le fasi preliminari, incombe dunque all’attore sostanziale e, laddove abbia proposto domanda riconvenzionale, anche all’ingiunto che propone opposizione.

Ove nessuno dei due si attivi, afferma il Tribunale toscano, il giudice dovrà dichiarare l’improcedibilità della domanda (statuizione che chiude il procedimento, ma non incide sull’azione che può essere successivamente  proposta con nuova domanda) e tale sanzione dovrà travolgere sia il giudizio di opposizione che il provvedimento monitorio.

La tesi non è pacifica in giurisprudenza e ha visto, anche di recente, orientamenti opposti ( Tribunale Vasto )

© massimo ginesi 7 luglio 2016