Cass. civ. II sez. 16 febbraio 2017 n. 4183. La Corte si trova ad affrontare un caso decisamente interessante, ovvero l’individuazione del criterio di riparto delle spese da adottare per gli esborsi relativi ad una terrazza che in parte svolge funzione di copertura (terrazza a livello) ed in parte costituisce terrazza aggettante.
I rari precedenti giurisprudenziali si sono orientati sulla funzione preminente fra le due, che determinerebbe il criterio applicabile.
Putroppo però la vicenda processuale non consente una statuzione su tale principio, poichè la corte riconosce applicabile la disciplina convenzionale dettata nel regolamento.
Nel pervenire a tali concluioni è però chiamata a statuire su una eccezione di inammissibilità dell’impugnativa per non aver il condominio, a detta del ricorrente, espressamente deliberato sul punto ed avendo l’amministratore agito in via autonoma.
La corte chiarisce che “in base al disposto degli artt. 1130 e 1131 codice civile, l’amministratore del condominio è legittimato ad agire in giudizio per l’esecuzione di una deliberazione assembleare o per resistere alla impugnazione della delibera stessa da parte del condomino senza necessità di una specifica autorizzazione assembleare, trattandosi di una controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni, con la conseguenza che in tali casi egli neppure deve premunirsi di alcuna autorizzazione dell’assembela per proporre le impugnazioni nel caso di soccombenza del condominio (cass. 15.5.1998 n. 4900, CAss. 20.4.2005 n. 8286). A questa conclusione non è di ostacolo il principio, enunciato dalle Sezioni Unite (sentenza 6 agosto 2010 n. 18331) , secondo cui l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia alla assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’art. 1131 commi 2 e 3, ben può costituirsi in giudizio e impugnare sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzaizone dell’assembela, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte della assemblea stessa, per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione.
L’ambito applicativo del dictum delle Sezioni Unite – con la regola, da esse esplicitata, della necessità dell’autorizzazione assembleare, sia pure in sede di successiva ratifica – si riferisce, espressamente, a quesi giudizi che esorbitano dai poteri dell’amministratore ai sensi dell’art. 1131 commi 2 e 3 cod.civ. Ma non è questo il caso, posto che eseguire le deliberazioni dell’assemblea e difiendere le stesse dalle impugnative giudiziali del singolo condomino rientra nelle attribuzioni proprie dell’amminsitratore.
Il Collegio ricorda che esiste qualche pronuncia di segno contrario anche successiva alle Sezioni Unite del 2010, ma se ne allontana allineandosi ai principi espressi dalla adunanza plenaria .
“Il collegio è invece dell’avviso che, nella propria sfera di competenza (ordinarie o incrementate dalla assemblea), l’amministratore è munito di poteri di rappresentanza processuale ad agire e resistere senza necessità di alcuna autorizzazione. Sarebbe, infatti, veramente defatigatorio, nell’ottica di un assurdo “iperassembelarismo”, che l’amministratore fosse costretto a convocare ogni volta i condomini al fine di ottenere il nulla osta, ad esempio, per agire o resistere al monitorio sul pagamento degli oneri condominiali, o al giudizio per far osservare il regolamento, o all’impugnativa di una statuizione assembleare, oppure al fine di sperare nella ratifica riguardo ad un procedimento cautelare volto a conservare le parti comuni dello stabile (v. in termini Cass. 23.1.2014 n. 1451). “
© massimo ginesi 20 febbraio 2017