Il sottotetto è da sempre vano con una travagliata identità: se il titolo nulla dispone, deve ritenersi pertinenza dell’unità immobiliare posta immediatamente aldisotto, ove la sua funzione sia limitata a mero vano tecnico (tendenzialmente impraticabile) volto all’isolamento dal tetto di quell’appartamento, mentre dovrà ritenersi condominiale se – per caratteristiche e funzioni – sia destinato ad assolvere ad una utilità comune.
Si tratta di un’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che la L. 220/2012 ha pedissequamente trasformato in (inutile) dato normativo, inserendo nell’art. 1117 cod.civ. l’espressione “i sottotetti destinati per le caratteristiche funzionali all’uso comune”, inciso che obbliga comunque il giudice ad un apprezzamento di fatto sulle oggettive caratteristiche funzionali di ciascun sottotetto.
Altro caposaldo giurisprudenziale riguarda il possesso idoneo ad usucapire, quando si eserciti su beni comuni: il godimento anche esclusivo da parte del singolo ben può essere espressione delle facoltà previste dall’art. 1102 cod.civ., sicché per usucapire è necessario un atto di interversione di particolare apprezzabilità, che trasformi con chiarezza il compossesso in possesso esclusivo.
La Suprema Corte distilla tali principi, con grande precisione, in una recente sentenza (Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 2 marzo 2017, n. 5335- Relatore Scarpa) che conclude una vicenda iniziata in terra ligure, con qualche interessante e didattica riflessione anche sulla nascita del condominio.
i fatti e il processo di merito “B.S. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 1170/2012 del 21 novembre 2012 della Corte d’Appello di Genova, che aveva rigettato l’appello proposto dalla stessa B.S. avverso la sentenza n. 4189/2005 del Tribunale di Genova ed invece accolto l’appello incidentale proposto dal CONDOMINIO (omissis) , ordinando alla B. di liberare le intercapedini perimetrali del sottotetto condominiale dalle masserizie ivi collocate. La causa era iniziata con citazione del 26 gennaio 1997 proposta dalla condomina Ca.Ol. (della quale B.S. è erede costituitasi in corso di giudizio) per impugnazione della deliberazione assembleare del 18 dicembre 1996, che invitava la signora Ca. a non utilizzare dette intercapedini perimetrali a livello del suo appartamento, in quanto di proprietà comune. Avendo l’attrice proposto altresì domanda di usucapione di tali locali, venivano chiamati in giudizio anche i condomini dell’edificio D.M.G. , C.A. , CE.LU. , R.P. , A.N. , I.G. , CI.MA. e D.F.E. “
in diritto la Corte di legittimità osserva che …“La Corte d’Appello di Genova ha affermato che la proprietà condominiale dei sottotetti si ricava dal “titolo pre-costitutivo del condominio a rogito not. S. in data 19.08.53, col quale tutti i soggetti interessati alla costruzione dell’edificio acquistarono pro quota l’area edificabile in vista della futura edificazione del caseggiato. L’atto conteneva già l’identificazione e la descrizione degli appartamenti che per effetto della descrizione del caseggiato sarebbero diventati di proprietà dei singoli condomini”. Alla condomina M.A. era attribuita la proprietà dell’appartamento interno 7 (poi divenuto di proprietà Ca. ), i cui confini venivano descritti come “porzioni condominiali del sottotetto e muretto attico sui terrazzini”.
IL MOMENTO IN CUI SORGE IL CONDOMINIO: “Per unanime interpretazione giurisprudenziale, in ipotesi di edificio costruito da una sola persona, la situazione di condominio edilizio si ha per costituita nel momento stesso in cui l’originario unico proprietario ne operi il frazionamento, alienando ad un terzo la prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione. Se, invece, si tratti, come nel caso in esame, di edificio costruito da più soggetti su suolo comune, il condominio insorge al momento in cui avviene l’assegnazione in proprietà esclusiva dei singoli appartamenti. Spetta, invero, al giudice del merito stabilire, in base al contenuto della convenzione ed all’interpretazione della volontà dei contraenti, se i comproprietari pro indiviso di un suolo, i quali stabiliscano di costruirvi un fabbricato condominiale, per conseguire la proprietà esclusiva dei singoli appartamenti senza necessità di porre in essere, a costruzione ultimata, ulteriori atti traslativi o dichiarativi, abbiano stipulato un negozio di divisione di cosa futura, ovvero una reciproca concessione ad aedificandum (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 102 del 15/01/1990; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4868 del 15/07/1983). Costituitosi, in ogni caso, il condominio, per effetto dell’assegnazione delle singole porzioni, insorge altresì la presunzione legale di comunione “pro indiviso” di quelle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano, in tale momento, destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso, salvo che dal titolo non risulti, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26766 del 18/12/2014; Sez. 2, Sentenza n. 16292 del 19/11/2002).
IL SOTTOTETTO: Sono quindi oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (in tal senso, peraltro, testualmente integrato, con modifica, in parte qua, di natura interpretativa, dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220) i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune (già così, peraltro, indipendentemente dall’integrazione dell’art. 1117 c.c. nel richiamato senso, disposta dalla Riforma del 2012: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23902 del 23/11/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6143 del 30/03/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8968 del 20/06/2002; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7764 del 20/07/1999). Altrimenti, ove non sia evincibile il collegamento funzionale, ovvero il rapporto di accessorietà supposto dall’art. 1117 c.c., tra il sottotetto e la destinazione all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, giacché lo stesso sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, esso va considerato pertinenza di tale appartamento. La proprietà del sottotetto si determina, dunque, prioritariamente in base al titolo e, in mancanza, in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. La Corte d’Appello di Genova si è attenuta a tali principi e, poiché l’indagine diretta a stabilire, attraverso l’interpretazione dei titoli d’acquisto, se sia o meno applicabile la presunzione di comproprietà ex art. 1117 c.c., costituisce un apprezzamento di fatto, essa non è censurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di un fatto storico decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012 (applicabile nella specie ratione temporis).
Non può certamente rilevare, ai fini dell’interpretazione del contenuto del contratto e del suo programma obbligatorio (la quale consiste in apprezzamento tipico del giudice di merito volto a ricostruire l’intenzione delle parti), la qualificazione giuridica degli elementi dell’accordo che abbia raggiunto il consulente tecnico d’ufficio, trattandosi di accertamento che esula dai compiti delegabili all’ausiliare.
IL POSSESSO DI PARTI COMUNI E L’USUCAPIONE: “Quanto al terzo motivo di ricorso, riguardante la pretesa della ricorrente di aver usucapito le soffitte in contesa, la Corte di Genova ha negato che vi fosse prova di condotte di possesso esclusivo dei beni, a tanto non valendo la mera occupazione dei locali con vari oggetti. La censura lamenta la mancata considerazione del fatto che l’accesso ai vani per cui è causa possa avvenire soltanto attraverso l’appartamento della stessa ricorrente, sicché non v’era ragione di escludere gli altri dal possesso. La doglianza è infondata, atteso che il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei comproprietari, in ragione della peculiare ubicazione del bene e delle possibilità di accesso ad esso, non è comunque, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all’esercizio del possesso “ad usucapionem”, essendo, per converso, comunque necessaria, a fini di usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla “res” da parte dell’interessato attraverso un’attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19478 del 20/09/2007) La valutazione degli atti di possesso, agli effetti indicati, è peraltro rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, sempre al di fuori dei limiti attualmente segnati dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”
© massimo ginesi 7 marzo 2017