Delle spese relative al servizio di portierato risponde colui che era condomino al momento di erogazione del servizio: è quanto ha stabilito Cass.civ. sez. II 25 febbraio 2022, n.6331
“Per le spese necessarie per la prestazione di un servizio dell’interesse comune, quale quello di portierato – la nascita dell’obbligazione contributiva in capo al condomino coincide con l’erogazione effettiva del servizio. Con la conseguenza che l’obbligo grava su chi sia titolare dell’immobile al momento della prestazione del portiere (nella specie, relativa alla controversia circa la partecipazione alla ripartizione delle spese a seguito della condanna del condominio al pagamento del servizio di portierato, la Corte ha disatteso l’assunto della ricorrente secondo cui l’obbligazione nei confronti dell’ex portiera sarebbe sorta al momento in cui fu pronunciata la sentenza del Giudice del lavoro, giacché tale sentenza aveva un contenuto di accertamento e condanna, non era una pronuncia costitutiva. Parimenti infondato era poi l’ulteriore assunto della ricorrente secondo cui il debito dei condomini nei confronti del condominio sarebbe sorto con la delibera condominiale, giacché quest’ultima ha soltanto ripartito una obbligazione preesistente).”
E’ quanto ha statuito il Tribunale capitolino (Trib. Roma 1 settembre 2021 n. 13948): “non può essere obbligato in via diretta verso il terzo creditore, neppure per il tramite del vincolo solidale previsto dalla suddetta disposizione, chi non era condòmino al momento in cui è insorta l’obbligazione di partecipazione alle relative spese condominiali, e, quindi, nel caso di specie, chi non era proprietario dell’immobile alla data di approvazione della delibera assembleare riguardante i lavori, avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione.”
Una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.civ. sez. VI-2 ord. 15 febbraio 2021 n. 3847 rel. Scarpa) ripercorre principi consolidati riguardo alla valenza probatoria del consuntivo approvato e non impugnato e ribadisce che le poste relative alle morosità dei singoli, relative ad esercizi precedenti, non costituiscono nuova ragione di credito, avendo mero valore ricognitivo, ma formano parte integrante del consuntivo (che deve avere continuità con gli esercizi precedenti), non violano il principio della annualità della gestione e rappresentano prova documentale dell’intero importo dovuto dal singolo, idonea ad ottenere decreto ingiuntivo ex art 63 disp.att. cod.civ.
“Quanto al primo motivo di ricorso, occorre in premessa ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569).
Il giudice, pronunciando sul merito, emetterà una sentenza favorevole o meno, a seconda che l’amministratore dimostri che la domanda sia fondata, e cioè che il credito preteso sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare.
La delibera condominiale di approvazione della spesa costituisce, così, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672). Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137 c.c., comma 2, o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. Sez. 2, 14/11/2012, n. 19938; Cass. Sez. 6 – 2, 24/03/2017, n. 7741).
Quanto al secondo motivo di ricorso, il fatto della “mancata partecipazione del signor T.P. alla Delib. (omissis) “, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è poi del tutto privo di carattere decisivo (vale a dire che, se pur fosse stato esaminato, esso non avrebbe determinato un esito diverso della controversia). La dedotta mancata presenza del condomino all’assemblea del (omissis) può essere, al più, ragione che comporta la decorrenza del termine perentorio di trenta giorni, di cui all’art. 1137 c.c., comma 2, dalla data di comunicazione della deliberazione, ma non può certamente essere oggetto di eccezione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo chiesto per conseguire il pagamento delle spese deliberate dall’assemblea (arg. da Cass. Sez. 2, 01/08/2006, n. 17486). Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, che non può essere scalfito dai precedenti invocati dal ricorrente, per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall’art. 1137 c.c., comma 2, non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimità, non essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma dell’impugnazione della delibera (Cass. Sez. 2, 31/05/1988, n. 3701; Cass. Sez. 2, 14/07/1989, n. 3291; Cass. Sez. 2, 20/04/1994, n. 3747; Cass. Sez. 2, 04/03/2011, n. 5254).
Dall’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, pertanto, per effetto della vincolatività tipica dell’atto collegiale stabilita dall’art. 1137 c.c., comma 1 (e senza che perciò possano essere altrimenti rilevanti la “partecipazione” o un “idoneo atto ricognitivo del singolo condomino”, alla stregua di quanto sostenuto in Cass. Sez. 2, 22/02/2018, n. 4306), discende l’insorgenza, e quindi anche la prova, dell’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese ordinarie per la conservazione e la manutenzione delle parti comuni dell’edificio (Cass. Sez. 2, 05/11/1992, n. 11981). Una volta, perciò, che il bilancio consuntivo sia stato approvato con la maggioranza prescritta dalla legge, l’amministratore, per ottenere il pagamento delle somme risultanti dal bilancio stesso, non è tenuto a sottoporre all’esame dei singoli condomini i documenti giustificativi, dovendo gli stessi essere controllati prima dell’approvazione del bilancio, senza che sia ammissibile la possibilità di attribuire ad alcuni condomini la facoltà postuma di contestare i conti, rimettendo così in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza (Cass. Sez. 2, 23/05/1981, n. 3402).
A norma dell’art. 1130 bis c.c., invero, il rendiconto condominiale deve contenere “le voci di entrata e di uscita”, e quindi gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto alle relative manifestazioni finanziarie, nonché “ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio”, con indicazione nella nota sintetica esplicativa della gestione “anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti”, avendo qui riguardo al risultato economico dell’esercizio annuale. Secondo il cosiddetto “principio di cassa”, i crediti vantati dal condominio verso un singolo condomino vanno inseriti nel consuntivo relativo all’esercizio in pendenza del quale sia avvenuto il loro accertamento (arg. da Cass. Sez. 2, 04/07/2014, n. 15401).Dopo che siano stati inseriti nel rendiconto di un determinato esercizio i nominativi dei condomini morosi per il pagamento delle quote condominiali e gli importi da ciascuno dovuti, tali pregresse morosità, ove rimaste insolute, devono essere riportate altresì nei successivi anni di gestione, costituendo esse non solo un saldo contabile dello stato patrimoniale attivo, ma anche una permanente posta di debito di quei partecipanti nei confronti del condominio. Il rendiconto condominiale, in forza di un principio di continuità, deve, cioè, partire dai dati di chiusura del consuntivo dell’anno precedente, a meno che l’esattezza e la legittimità di questi ultimi non siano state negate con sentenza passata in giudicato, ciò soltanto imponendo all’amministratore di apporre al rendiconto impugnato le variazioni imposte dal giudice, e, quindi, di modificare di conseguenza i dati di partenza del bilancio successivo. Non ha senso invocare al riguardo il limite della dimensione annuale della gestione condominiale, la quale vale ad impedire, piuttosto, la validità della deliberazione condominiale che, nell’assenza di un’unanime determinazione, vincoli il patrimonio dei singoli condomini ad una previsione pluriennale di spese (Cass. Sez. 2, 21/08/1996, n. 7706). Va pertanto enunciato il seguente principio: Il rendiconto consuntivo per successivi periodi di gestione che, nel prospetto dei conti individuali per singolo condomino, riporti tutte le somme dovute al condominio, comprensive delle morosità relative alle annualità precedenti rimaste insolute (le quali costituiscono non solo un saldo contabile dello stato patrimoniale attivo, ma anche una permanente posta di debito di quel partecipante), una volta approvato dall’assemblea, può essere impugnato ai sensi dell’art. 1137 c.c., costituendo altrimenti esso stesso idoneo titolo del credito complessivo nei confronti di quel singolo partecipante, pur non dando luogo ad un nuovo fatto costitutivo del credito stesso (cfr. Cass. Sez. 2, 25/02/2014, n. 4489). Da ciò consegue l’infondatezza della tesi del ricorrente circa la carenza di efficacia probatoria del consuntivo 2013, approvato dall’assemblea (omissis) del Condominio (omissis) , per le gestioni pregresse.”
Il Tribunale apuano con provvedimento ex art 702 bis c.p.c. (Trib. Massa 29.7.2020) ha ritenuto che legittimato passivo della domanda avanzata dal terzo creditore, e volta a conoscere il nominativo dei condomini morosi, sia il condominio e non l’amministratore personalmente.
Accade con frequenza che, in occasione della vendita di una unità immobiliare posta in condominio, sorgano contrasti fra venditore ed acquirente (che non hanno disposto in sede di cessione una disciplina conversione nazionale o che, peggio, si sono taciuti l’esistenza di controversie) circa le spese dovute, sia per quel che attiene al capitale, sia per quel che riguarda eventuali spese di lite.
Una recente pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. VI-2 25/06/2020, n.12580) richiama orientamento consolidato, che distingue con riguardo alle spese straordinarie e alle spese ordinarie, imputando le prime a chi era condomino al momento della delibera che le ha disposte e le secondo al concreto atto gestionale. Le spese di lite seguono lo stesso contrario, a seconda che riguardino controversie relative a contributi dell’uno o dell’altro tipo.
i fatti: “Il sig. P.A., partecipante al condominio dello stabile di (OMISSIS), proponeva opposizione al precetto notificatogli dall’avv. A.M. per il pagamento della somma di Euro 8.270,66, quale quota millesimale di sua competenza del maggior credito di Euro 99.124,98 riconosciuto a favore del medesimo avv. A. nel decreto ingiuntivo emesso a carico del condomino a titolo di corrispettivo di attività giudiziali e stragiudiziali svolte tra il 2002 ed il 2008. A fondamento dell’opposizione il sig. P. sosteneva tra l’altro, per quanto qui ancora interessa, di non essere tenuto al pagamento pro quota del suddetto debito condominiale, per essere tale debito sorto quando egli non era ancora condomino, avendo acquistato il proprio immobile nel 2013.”
il prinpcio di diritto richiamato dalla corte: come questa Corte non ha mancato di osservare “La costruzione giurisprudenziale del principio della diretta riferibilità ai singoli condomini della responsabilità per l’adempimento delle obbligazioni contratte verso i terzi dall’amministratore del condominio per conto del condominio, tale da legittimare l’azione del creditore verso ciascun partecipante, poggia comunque sul collegamento tra il debito del condomino e la appartenenza di questo al condominio, in quanto è comunque la contitolarità delle parti comuni che ne costituisce il fondamento e l’amministratore può vincolare i singoli comunque nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli (Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148). Non può pertanto essere obbligato in via diretta verso il terzo creditore, neppure per il tramite del vincolo solidale ex art. 63 disp. att. c.c., chi non fosse condomino al momento in cui sia insorto l’obbligo di partecipazione alle relative spese condominiali, nella specie per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni, ossia alla data di approvazione della delibera assembleare inerente i lavori” (così Cass. n. 1847/2018, pag. 5).
Quanto all’assunto sviluppato nella memoria depositata dal ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., alla cui stregua la decisione della Corte d’appello sarebbe conforme all’orientamento espresso da questa Corte nella sentenza n. 24654/10, è sufficiente rilevare che esso si fonda su una lettura errata tale ultima sentenza.
Nella sentenza n. 24654/10, infatti, si instaura una distinzione tra:
a) spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi nell’interesse comune;
b) spese attinenti a lavori che comportino una innovazione o che, seppure diretti alla migliore utilizzazione delle cose comuni od imposti da una nuova normativa, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente alla manutenzione ordinaria dell’edificio.
Tale distinzione concerne l’individuazione del momento in cui nasce l’obbligazione condominiale, che, per le spese di cui sub a), coincide con il compimento effettivo dell’attività gestionale mentre, per le spese di cui sub b), coincide con la data di approvazione della delibera condominiale (avente valore costitutivo) che dispone l’esecuzione degli interventi.
Ma, in entrambi i casi, il soggetto su cui grava il debito è colui che partecipa al condominio nel momento di insorgenza dell’obbligazione, quale che sia tale momento (cfr. sent. n. 24654/10, pag. 6, p. 1.2: “In generale il condomino è tenuto a contribuire nella spesa la cui necessità maturi e risulti quando egli è proprietario di un piano o di una porzione di piano facente parte del condominio: e siccome l’obbligo nasce occasione rei e propter rem, chi è parte della collettività condominiale in quel momento deve contribuire”.
Una pronuncia recente del Tribunale sabaudo (Trib. Torino sez. III, 09/09/2019 n.3980) riprende pacifici principi di legittimità in tema di nascita del condominio, chiarisce opportunamente il margine di azione degli amministratori dei singoli fabbricati che lo compongono e la legittimazione processuale dei singoli ‘supercondomini’, introduce alcune interessanti riflessioni sula costituzione del fondo morosità, pur adottando argomentazioni sul punto che dettano più di una perplessità sotto il profilo del corretto inquadramento sistematico dell’obbligazione condominiale, laddove si fa riferimento ad una solidarietà passiva tout court di tutti i partecipanti.
sulla nascita del condominio e legittimazione ad agire – “Come più volte ribadito dalla Suprema Corte, “Il cd. supercondominio viene in essere “ipso iure et facto”, ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato, pertanto, alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all’edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l’assemblea di tutti i proprietari e l’amministratore del cd. Supercondominio” Cass. 28.1.2019 n. 2279; conf. ex multis 15.11.2017 n.27094).
A ciò consegue che “Nell’ipotesi di supercondominio, ciascun condomino, proprietario di alcuna delle unità immobiliari ubicate nei diversi edifici che lo compongono, è legittimato ad agire per la tutela delle parti comuni degli stessi ed a partecipare alla relativa assemblea, con la conseguenza che le disposizioni dell’art. 1136 cod. civ., in tema di formazione e calcolo delle maggioranze, si applicano considerando gli elementi reale e personale del medesimo supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le porzioni comprese nel complesso e da tutti i rispettivi titolari” (Cass. 21.2.2013 n. 4340).
Nel regolamento del Supercondominio prodotto in atti non emerge alcuna deroga a tale assetto e ne è conferma la partecipazione alle assemblea di appositi delegati rappresentanti dei proprietari dei singoli Condomìnii aventi i servizi in comune.”
sulla legittimazione dei singoli amministratori – Posto ciò, va preso atto che i singoli condòmini dei due Condomìnii attori nelle assemblee suddette hanno deliberato all’unanimità di voler impugnare la delibera assunta dal Supercondominio in data 5.7.2016 (cfr. doc. 5 e 6) dando a ciò specifico mandato all’amministratore dei loro singoli Condomìnii e pertanto non vi è dubbio alcuno sulla legittimazione e titolarità attiva nel presente procedimento di soggetti rappresentanti di tali singoli proprietari facenti parte del Supercondominio (tutti attinti negativamente dalla delibera impugnata).
Non inficia tale delibera il fatto che il punto non fosse stato inserito nell’ordine del giorno della convocazione, posto che tale convocazione era stata inviata in epoca precedente alla delibera del 5.7.2016 assunta dal Supercondominio e, avuto riguardo alla ristrettezza dei tempi per l’impugnazione, i condòmini presenti all’assemblea avevano deliberato all’unanimità la decisione di impugnarla tutti insieme per il tramite del loro amministratore di Condominio. Una simile delibera, quand’anche in ipotesi annullabile da eventuali condòmini assenti, non è mai stata impugnata, così che è ormai divenuta definitiva.
In ordine alla legittimazione passiva, di contro, è pacifico che unico soggetto passivamente legittimato a costituirsi è quello la cui delibera viene impugnata e quindi nel caso in esame il solo Supercondominio a mezzo del proprio amministratore, fermo restando il diritto ad intervenire dei singoli condòmini o dei Condomìnii previa apposita delibera autorizzativa (cfr. Cass. 17.7.2006 n. 16228 ove testualmente: “Ai sensi dell’art.1131, secondo comma, cod. civ., l’amministratore del condominio è passivamente legittimato a stare in giudizio nella controversia promossa dal singolo condomino per l’annullamento di una delibera assembleare di attribuzione dei posti auto su uno spazio comune, senza necessità che, al relativo giudizio, partecipino i condomini, i quali hanno soltanto la facoltà di intervenire”).
Ciò ovviamente, purché la delibera impugnata non sia tale da incidere sui diritti di proprietà, da cui deriverebbe un litisconsorzio necessario di tutti i condòmini (cfr. Cass. 31.8.2017 n. 20612).
Risulta pertanto corretta la dichiarata contumacia del Supercondominio già dichiarata all’udienza del 5.10.2017 e di ciò se ne è dato atto anche nell’intestazione della presente sentenza.
Va ulteriormente precisato che i due Condomìnii Felce ed Erika devono essere qualificati come intervenuti volontari, alla stregua anche degli altri singoli condomini costituitisi in limine, con la mera differenza che, mentre i Condomìnii Felce ed Erika hanno spiegato intervento autonomo, gli altri singoli condòmini costituiti solo successivamente, hanno dichiarato di aderirvi in modo dipendente.”
obbligazioni e fondo cassa morosità: “E’ principio generale quello che pone le spese condominiali relative a quote personali di condomini morosi e divenute non più recuperabili, a carico dell’intero Condominio; questi potrà poi decidere se costituire un fondo-cassa ad hoc per evitare danni nei confronti di tutti i condòmini esposti dal vincolo di solidarietà passiva (cfr. Cass. 5.11.2001 n. 13631) o la ridistribuzione proporzionale delle stesse in capo a tutti gli altri partecipanti al condominio, con il sorgere in capo ad essi di un’azione d’ingiustificato arricchimento, stante il vantaggio economico ricevuto dai condòmini morosi (cfr. Cass. 20.5.2019 n. 13505).
Laddove, quindi, le quote rimaste impagate attengano a spese effettuate in relazione ai servizi comuni per i quali si è costituito un Supercondominio (riscaldamento e altro), è in capo ad esso nella sua interezza che ricadono le conseguenze di eventuali morosità, indipendentemente dal fatto che questi condòmini morosi appartengano all’uno o all’altro Condominio, i cui stabili sono serviti in maniera unitaria e comune dagli impianti relativi al Supercondominio. I partecipanti del Supercondominio sono, come visto, i singoli proprietari degli alloggi e partecipanti ad esso e non ogni singolo Condominio cui essi pure partecipano per altri beni e spese comuni.”
Una interessante pronuncia della corte di legittimità (Cass.civ. sez. II ord. 20 maggio 2019 n. 13505 rel. Scarpa) ripercorre la natura dell’obbligazione condominiale, rifacendosi – con attenta ed efficacissima sintesi – ad orientamenti ormai stabili ed evidenziando l’insussistenza di solidarietà e l’obbligo di imputazione delle spese ai singoli condomini, sia in virtù del disposto di cui all’art. 63 disp.att. cod.civ. sia laddove taluno abbia anticipato somme per altro condomino insolvente.
La vicenda è soggetta, ragione temporis, all’applicazione dell’art. 63 disp.att. cod.civ. ante L. 220/2012, ma le riflessioni in tema di obbligazione condominiale sono comunque attualissime e perfettamente applicabili agli scenari che vedano coinvolta la responsabilità patrimoniale dei condomini anche dopo l’entrata in vigore della novella del 2012.
i fatti “Con citazione del 12 ottobre 2001 la Tecna S.p.A. convenne davanti al Tribunale di Pisa C.S. , P.G. e il Condominio di (omissis) , deducendo di aver venduto con atto del 29 gennaio 2001 a C.S. due unità immobiliari comprese nel condominio; di aver versato a titolo di quote condominiali, prima del 29 gennaio 2001, una somma in eccesso pari a lire 70.403.854 (Euro 35.201,92) per lavori di ristrutturazione delle parti comuni del fabbricato, a causa della morosità del condomino P.G. ; di aver concordato nell’atto di vendita del 29 gennaio 2001 in favore di C.S. che “tutto quanto ancora fosse stato richiesto dal condominio per i suddetti titoli dopo la data odierna” dovesse far carico all’acquirente, fermo “il recupero di quanto sin qui anticipato dalla parte venditrice” lasciato alla competenza di quest’ultima mediante ripetizione dal condomino moroso. L’attrice Tecna S.p.A. chiese quindi la condanna dei convenuti C.S. , P.G. e Condominio (omissis) , al pagamento della indicata somma.”
i principi di diritto espressi dalla Cassazione “Trova applicazione ratione temporis, attesa l’epoca di insorgenza dell’obbligo di spesa per cui è causa, l’art. 63 disp. att. c.c., comma 2, nella formulazione antecedente alla modificazione operata dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220.
In forza di tale norma, chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente. Occorrendo individuare, ai fini dell’applicazione dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 2, quando sia insorto l’obbligo di partecipazione a spese condominiali per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni, deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione di tale intervento, avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. Sez. 6 – 2, 25/01/2018, n. 1847; Cass. Sez. 6 – 2, 22 giugno 2017, n. 15547; Cass. Sez 6 – 2, 22 marzo 2017, n. 7395; Cass. Sez. 2, 03/12/2010, n. 24654).
Tale momento rileva anche per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, sempre che gli stessi non si siano diversamente accordati, rimanendo, peraltro, inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro.
Nel caso di specie, allora, è stato accertato in fatto come la venditrice Tecna S.p.A. e il compratore C.S. , nell’atto del 29 gennaio 2001, avessero concordato (art. 8) che “tutto quanto ancora fosse stato richiesto dal condominio per i suddetti titoli dopo la data odierna” restasse a carico all’acquirente, riconoscendo il medesimo compratore il diritto della Tecna S.p.a. al “recupero di quanto sin qui anticipato” al condominio per le quote facenti carico ad altri condomini morosi.
Come questa Corte ha di recente affermato (Cass. Sez. 6 – 2, 11/08/2017, n. 20073; Cass. Sez. 2, 09/01/2017, n. 199), ove si abbia riguardo ad obbligazione per l’esecuzione dei lavori inerenti parti comuni assunta dall’amministratore del condominio, o comunque, nell’interesse del condominio, nei confronti dell’appaltatore, trova applicazione il principio dettato da Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148 (non operando qui, ratione temporis, neppure il meccanismo di garanzia ex art. 63 disp. att. c.c., comma 2, introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220), di tal che la responsabilità per il corrispettivo contrattuale preteso dall’appaltatore è retta dal criterio della parziarietà, per cui l’obbligazione assunta nell’interesse del condominio si imputa ai singoli componenti nelle proporzioni stabilite dall’art. 1123 c.c., essendo tale norma non limitata a regolare il mero aspetto interno della ripartizione delle spese.
Dovendosi negare che l’obbligo di contribuzione alle spese per la manutenzione delle parti comuni si connotasse verso l’appaltatore, terzo creditore, ovvero verso il Condominio, come rapporto unico con più debitori, ovvero come obbligazione solidale per l’intero in senso proprio e quindi ad interesse comune, alla Tecna S.p.A., che ha assunto di aver adempiuto al pagamento delle quote spettanti ad altri condomini morosi, non poteva accordarsi alcun diritto di regresso, ex art. 1299 c.c., nè per l’intera somma dovuta dal Condominio, nè nei confronti degli altri condomini, sia pur limitatamente alla quota millesimale dovuta da ciascuno di essi.
In sostanza, solo se si parte dalla premessa, ormai smentita dalla giurisprudenza, che il singolo condomino, quale condebitore solidale, possa essere escusso dal terzo creditore per l’intero debito contratto dal condominio, può poi accordarsi a quello il diritto di regresso, altrimenti ravvisandosi nel pagamento dell’intero, o di importo comunque eccedente alla propria quota di contribuzione, effettuato da un condebitore, piuttosto, un indebito soggettivo “ex latere solventis”.
Un obbligo restitutorio del condominio nei confronti dei condomini che abbiano anticipato le somme dovute da altri condomini può sorgere, piuttosto, ove lo stesso condominio abbia approvato una deliberazione assembleare istitutiva di un fondo cassa finalizzato a sopperire alle morosità di alcuni partecipanti, ed a scongiurare l’aggressione in executivis da parte del creditore in danno di parti comuni dell’edificio (cfr. Cass. Sez. 2, 05/11/2001, n. 13631).
Al condomino, che abbia versato al terzo creditore anche la parte dovuta dai restanti condomini (sempre, beninteso, nel regime antecedente alla garanzia ex art. 63disp. att. c.c., comma 2, introdotta dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220), allo scopo di ottenere da costoro il rimborso di quanto da lui corrisposto, non può nemmeno consentirsi di avvalersi della surrogazione legale in forza dell’art. 1203 c.c., n. 3, giacché essa – implicando il subentrare del condebitore adempiente nell’originario diritto del creditore soddisfatto in forza di una vicenda successoria ha luogo a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo.
Al più, il pagamento da parte della condomina Tecna S.p.A. delle quote dei lavori di riparazione delle parti comuni dovute dai restanti condomini poteva legittimare la stessa ad agire, sempre nei confronti degli altri singoli partecipanti, per ottenere l’indennizzo da ingiustificato arricchimento, stante il vantaggio economico ricevuto dagli altri condomini (cfr. Cass. Sez. U, 29/04/2009, n. 9946).
Tuttavia, per quanto accertato dalla Corte d’Appello di Firenze, con apprezzamento immune dai vizi di violazione di legge ipotizzati nei primi due motivi di ricorso, e rispetto al quale nessuna decisività spiega il fatto dedotto nel terzo motivo, era appunto avvenuto, nel caso in esame, che il Condominio (omissis) , avesse recuperato dal condomino insolvente P.G. l’importo di Euro 35.201,92 dovuto per le quote insolute, adempiendo all’obbligo restitutorio in favore del condomino solvente Tecna S.p.a. mediante imputazione contabile alla impropria “quota unitaria Tecna/C. “, sicché il rapporto obbligatorio fra le parti restava delineato alla stregua di Cass. Sez. 2, 05/11/2001, n. 13631.
La domanda sin dall’inizio proposta dalla Tecna S.p.a. e la congrua decisione resa dalla Corte d’Appello di Firenze non appaiono, quindi, volte a regolamentare l’obbligo di partecipazione alla spesa per l’esecuzione dei lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni nei rapporti interni tra venditore e compratore (obbligo in ordine al quale le parti del contratto di vendita avevano, peraltro, convenuto di fare riferimento alla data di richiesta di pagamento proveniente dalla gestione condominiale, se antecedente o successiva a quella dell’alienazione), quanto a preservare alla medesima Tecna S.p.a. il diritto alla ripetizione della somma indebitamente rimborsata “ex latere accipientis” dal Condominio a C.S. .”
sembra uno scioglilingua ed invece è quanto ha statuito la corte di legittimità (Cass.civ. sez. III 14 maggio 2019, n. 12715), a fronte del pignoramento eseguito da un creditore del condominio sulle quote dovute dai singoli condomini.
L’importanza del tema, consiglia lettura integrale della motivazione.
“La presente controversia ha ad oggetto la contestazione del diritto di un creditore del condominio di procedere, in base ad un titolo giudiziale, ad esecuzione forzata nei confronti dello stesso condominio, mediante pignoramento dei suoi crediti verso i condomini per contributi. Non si tratta di una controversia avente ad oggetto direttamente la riscossione dei contributi, l’erogazione delle spese di manutenzione o la gestione di una o più cose comuni, nè viene dedotta l’estinzione (successiva alla formazione del titolo) del credito fatto valere contro il condominio, ma solo una pretesa inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, secondo le modalità concretamente adottate dal creditore, onde la proposizione dell’opposizione non può ritenersi rientrare tra le ordinarie attribuzioni dell’amministratore di cui all’art. 1130 c.c..
Di conseguenza, deve negarsi la autonoma legittimazione dell’amministratore a proporla senza autorizzazione (anche eventualmente in ratifica) dell’assemblea. La suddetta autorizzazione non risulta prodotta. Inoltre, nell’epigrafe del ricorso non si fa alcun riferimento a tale autorizzazione, nè il documento risulta nell’indice di quelli allegati al ricorso stesso; non risulta in atti alcuna autorizzazione neanche in relazione ai gradi di merito dell’opposizione, nè l’amministratore del condominio ha in qualche modo replicato all’eccezione di insussistenza dell’autorizzazione assembleare, avanzata già nel controricorso. Il ricorso dell’amministratore del condominio è dunque inammissibile.
L’opposizione dell’altro ricorrente P. , condomino terzo pignorato, è stata dichiarata inammissibile dai giudici di merito, per difetto di interesse ad agire. In secondo grado il P. aveva espressamente posto, tra i motivi di gravame, la questione della sua legittimazione attiva, negata dal Tribunale, ma tale motivo di gravame è stato rigettato dalla corte di appello. Nel ricorso non vi è una specifica censura del P. in merito alla dichiarazione di inammissibilità della sua opposizione; quanto meno, la ratio decidendi alla base della relativa statuizione della corte di appello non risulta adeguatamente colta, essendosi limitati i ricorrenti a sostenere – con riguardo ai profili attinenti la soggettività e la legittimazione delle parti che non vi sarebbe alterità soggettiva tra condominio e condomini. Anche il ricorso del P. è pertanto inammissibile.
Esso non potrebbe, in ogni caso, ritenersi fondato. Come correttamente affermato dalla corte di appello, il terzo pignorato, nell’espropriazione di crediti, non ha infatti interesse e quindi non è legittimato a sollevare questioni che riguardano esclusivamente i rapporti tra creditore esecutante e debitore esecutato e, in particolare, il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata nei confronti del debitore, il quale ultimo soltanto si può avvalere dell’apposito rimedio oppositivo di cui all’art. 615 c.p.c. (cfr., ex plurimis: Cass., Sez. L, Sentenza n. 6667 del 29/04/2003, Rv. 562536 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 387 del 11/01/2007, Rv. 595611; Sez. 3, Sentenza n. 4212 del 23/02/2007, Rv. 595615 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3790 del 18/02/2014, Rv. 630151 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23631 del 28/09/2018, Rv. 650882 – 01).
Inoltre, dalla stessa esposizione del fatto contenuta nel ricorso (cfr. pag. 3, righi 9-11) emerge che la creditrice B. , nel corso della procedura esecutiva, aveva rinunciato al pignoramento del credito vantato dal condominio nei confronti del P. ; quindi in realtà quest’ultimo non poteva neanche più ritenersi rivestire in concreto la posizione di terzo pignorato e, di conseguenza, non avrebbe avuto legittimazione neanche a proporre eventuali questioni attinenti alla regolarità della procedura esecutiva nei suoi confronti, quale terzo pignorato (questioni che avrebbero comunque dovuto essere fatte valere ai sensi dell’art. 617 c.p.c. ovvero nell’ambito dell’eventuale giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, in quanto non configurabili in termini di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.). L’infondatezza nel merito degli argomenti in diritto posti a base del ricorso (anche da parte del P. ) emerge d’altra parte da quanto sarà illustrato in prosieguo, ai sensi dell’art. 363 c.p.c..
Le considerazioni sin qui svolte impongono la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. La Corte ritiene peraltro di esaminare comunque il merito dello stesso, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, in considerazione della particolare importanza della questione di diritto che con esso è posta (in particolare con il primo motivo).
Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Erronea configurazione del condominio quale soggetto dotato di personalità giuridica, sia pure attenuata, ovvero di autonoma propria soggettività giuridica. Violazione e/o falsa applicazione dei principi informatori della specifica disciplina. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1118, 1119, 1123, 1130 e 1131 c.c. (ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3”. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione del principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali e del principio di indisponibilità delle somme dovute per quote, quali principi informatori della specifica disciplina. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1118, 1119 e 1123 c.c. (ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione del regolamento delle spese di lite, di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c. Erronea implicita applicazione dell’art. 2055 c.c. (ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, c.p.c.)”.
La questione di diritto che viene posta con il ricorso (in particolare con il primo motivo) riguarda la possibilità, per il creditore del condominio che abbia conseguito un titolo esecutivo nei confronti del condominio stesso, di procedere all’espropriazione dei crediti del condominio nei confronti dei singoli condomini per i contributi dagli stessi dovuti. Tale questione va risolta in senso affermativo.
Secondo i principi generali (artt. 2740 e 2910 c.c.), mediante l’espropriazione forzata è possibile espropriare al debitore tutti i suoi beni, inclusi i crediti. Affinché l’espropriazione dei crediti vantati dal condominio verso i singoli condomini per contributi sia legittima, è quindi sufficiente che sia configurabile, sul piano sostanziale, un effettivo rapporto obbligatorio tra condominio e singolo condomino avente ad oggetto il pagamento dei contributi condominiali (oltre che, ovviamente, un rapporto obbligatorio tra creditore e condominio, il che però è nella specie questione ormai risolta in sede di cognizione – avendo il creditore conseguito il titolo esecutivo direttamente nei confronti del condominio – e come tale non più oggetto di possibile discussione in sede esecutiva).
Orbene, è innegabile che sia configurabile sul piano sostanziale un rapporto obbligatorio tra condominio e singolo condomi-no, con riguardo al pagamento dei contributi condominiali: una espressa disposizione normativa, l’art. 63 disp. att. c.c. (sia nella precedente che nella attuale formulazione), prevede infatti che l’amministratore possa addirittura ottenere un decreto ingiuntivo (immediatamente esecutivo), in favore del condominio e contro il singolo condomino per il pagamento dei suddetti contributi (in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea).
Tale disposizione normativa conferma espressamente, e/o quanto meno presuppone, l’esistenza di un rapporto obbligatorio tra condominio e singoli condomini avente ad oggetto i contributi dovuti in base agli stati di ripartizione approvati dall’assemblea condominiale, consentendo al condominio, rappresentato dall’amministratore, di agire in giudizio contro il condomino per il pagamento delle quote condominiali.
Essendo configurabile sul piano sostanziale un credito del condominio (rappresentato dal suo amministratore) nei confronti dei singoli condomini, laddove esista altresì un titolo esecutivo in favore di un terzo e contro lo stesso condominio (sempre rappresentato dall’amministratore), in mancanza di una norma che lo vieti espressamente, tale credito può certamente essere espropriato dal creditore del condominio, ai sensi degli artt. 2740 e 2910 c.c., e la relativa esecuzione orzata non può che svolgersi nelle forme dell’espropriazione dei crediti presso terzi di cui agli artt. 543 c.p.c. e ss..
Nè può ritenersi che tale conclusione violi il principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali (come sembra adombrato nel secondo e terzo motivo del ricorso). Il suddetto principio implica che l’esecuzione contro il singolo condomino non possa avere luogo per l’intero debito del condominio, ma solo nei limiti della sua quota di partecipazione al condominio stesso.
Laddove l’esecuzione avvenga direttamente contro il condominio, e non contro il singolo condomino, non solo l’esecutato è il condominio, debitore per l’intero (onde non entra in realtà in gioco in nessun modo il principio di parziarietà), ma l’espropriazione dei beni e diritti del condominio, cioè di beni che, proprio in quanto condominiali, appartengono pro quota a tutti i condomini, finisce addirittura per attuare, in linea di principio ed in concreto, il richiamato principio di parziarietà (almeno fino a specifica prova contraria), senza affatto violarlo. Solo a fini di completezza espositiva è, infine, opportuno far presente (con riguardo alle questioni relative alle spese processuali): a) che l’obbligazione relativa alle spese processuali liquidate in un provvedimento giudiziario non è di fonte contrattuale e quindi per essa neanche potrebbe valere l’invocato principio di parziarietà; b) che i giudici di merito, rigettate le opposizioni, hanno correttamente applicato il principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., ed ogni contestazione in proposito è inammissibile, in quanto la facoltà di disporre la compensazione delle spese in caso di soccombenza integrale, per eccezionali motivi, costituisce un potere discrezionale del giudice di merito il cui mancato esercizio non è censurabile in sede di legittimità.”
Lo afferma, in linea con orientamenti ormai consolidati di dottrina e giurisprudenza, il Tribunale di Roma con sentenza 24 aprile 2019 n. 9006, pronunciandosi sull’opposizione a precetto promossa dal singolo condomino escusso.
Il Tribunale osserva che il terzo creditore può agire contro i condomini virtuosi solo dopo la preventiva infruttuosa escussione del singolo condomino moroso. Ove poi non sussistano singoli morosi, poiché il credito è totalmente inadempiuto, il fornitore deve comunque agire per l’intero nei limiti della quota di ciascuno condomino.
“Ebbene, nel caso di specie, la parte che sarebbe risultata soccombente è l’opposta in quanto la M… non avrebbe potuto agire per l’intero nei confronti del singolo condomino.
Difatti, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del Condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote (si veda, da ultimo Cass. civ., n. 22856 del 2017).
Tali principi generali non sono, inoltre, stati intaccati dalla riforma ad opera della l. n. 220/2012, che, ferma restando la parziarietà dell’obbligazione del singolo condomino relativamente alle spese assunte dall’amministratore per il condominio, ha introdotto nell’art. 63 comma 2 disp. att. c.c. un meccanismo di garanzia, a tenore del quale i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti delle spese condominiali, se non dopo l’escussione dei condomini morosi.
Ebbene, nel caso di specie, il creditore non poteva agire nei confronti del singolo condomino in forza della garanzia prevista dall’art. 63 disp. att. c.c., che presuppone in ogni caso la preventiva infruttuosa escussione dei condomini morosi.
E’ vero che, nel caso di specie, come dimostrato dalla M., non vi erano condomini morosi verso cui agire, in quanto il mancato pagamento integrale della ditta non derivava dalla morosità dei condomini, ma dall’anormale gestione delle somme da parte dell’amministratore, che le destinava parzialmente a utilizzi diversi.
L’assenza di condomini morosi non è però sufficiente a legittimare l’immediata escussione di un singolo condomino per l’intero, in quanto si tratta di una garanzia che ha natura sussidiaria e pertanto il creditore avrebbe comunque dovuto agire preventivamente verso il condominio o verso i singoli condomini pro quota, secondo la regola della parziarietà.”
un’interessante pronuncia della Cassazione ( Cass.civ. sez. II sentenza 12 aprile 2019 n. 10346) ribadisce precisi limiti alla responsabilità patrimoniale dell’acquirente di unità immobiliare posta in condominio, limitata al biennio antecedente l’acquisto, così come previsto dall’art. 63 disp.att. cod.civ. e senza che tale limite, temporale e quantitativo, possa essere ampliato da alcuna disposizione convenzionale.
La Corte chiarisce anche come l’obbligazione condominiale non debba qualificarsi obliato propter rei, tesi invero addotta più è più volte dalla giurisprudenza della stessa Corte e che nell’ultimo decennio ha visto un deciso mutamento.
“Il decisum della Corte distrettuale si fonda – come già accennato in narrativa- sulla ricostruzione della portata della disposizione dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 4 (come, da ultimo modificato ex L. n. 220 del 2012).
Alla stregua di tale ricostruzione operata dal Giudice di appello, in riforma di quella svolta dal Tribunale di prime cure, si tende all’affermazione di un principio, invero innovativo, per cui il limite temporale (biennale) per il pagamento dei contributi condominiali pregressi da parte del condomino subentrate a precedente condomino moroso costituirebbe un limite inderogabile ma solo nel limite e non nel massimo.
Si ipotizza, quindi, la possibilità di deroga per affermare la possibile responsabilità del nuovo condomino anche per le morosità condominiali arretrate oltre il biennio precedente all’acquisto dell’unità immobiliare condominiale.
L’affermazione della impugnata sentenza non può essere condivisa sotto un duplice profilo.
Innanzitutto la stessa, con un’interpretazione additiva ed estensiva rispetto alla chiara volontà della norma de qua, amplia oltremodo i margini temporali retroattivi della responsabilità solidale dell’acquirente di una proprietà condominiale.
Così facendo la decisione oggi gravata innanzi a questa Corte finisce per creare, con l’artificioso ricorso ed il riferimento all’autonomia regolamentare condominiale ed alle obligationes propter rem, una estensione non prevista dalla legge del particolare tipo di responsabilità solidale del nuovo condomino.
Quest’ultimo, giova ricordare, è comunque estraneo – prima dell’acquisto – al regolamento condominiale, la cui autonomia non può mai esercitarsi contro una ben precisa inderogabilità voluta dalla citata norma di attuazione del c.c. anche all’evidente fine di non alimentare incertezze sui limiti della responsabilità de qua in concreto oltremodo ostativi alla circolazione dei beni (che è bene ancorare a certezza del diritto e non ad incertezze interpretative). In secondo luogo ed ancor più decisivamente va osservato quanto segue.
Tutto il ragionamento su cui è fondato il dictum della Corte piemontese poggia su una ricostruzione della parziale inderogabilità (solo nel minimo) del predetto limite ex art. 63 cit., in via interpretativa e sul un fondante presupposto espressamente affermato: “il regolamento condominiale di natura contrattuale può disporre a carico dell’acquirente condomino l’accollo di debiti maturati, costituenti “obligationes propter rem”, da parte del condomino dante causa in esercizio precedenti” all’acquisto. L’Assunto è, quindi, fondato sulla possibilità di configurare i predetti debiti come obligationes propter rem.
Sennonché – aspetto questo, decisivo, ma eluso dalla valutazione della Corte a quo – la predetta configurabilità dei medesimi debiti come è del tutto ed univocamente esclusa dalla giurisprudenza di questa Corte.
Giova, all’uopo, rammentare i principi – già affermati da questa Corte – per cui, “in tema di condominio negli edifici, la responsabilità solidale dell’acquirente di una porzione di proprietà esclusiva per il pagamento dei contributi dovuti al condominio dal condomino venditore è limitata al biennio precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art. 63 disp. att. c.c., (già) comma 2, e non già l’art. 1104 c.c., atteso che, ai sensi dell’art. 1139 c.c., le norme sulla comunione in generale si estendono al condominio soltanto in mancanza di apposita disciplina” (Cass. 27 febbraio 2012, n. 2979).”