L’assemblea da remoto è stata espressamente codificata dal legislatore, solo di recente, introducendo una specifica disposizione all’art. 66 disp.att. cod.civ.
Su tale assunto il Tribunale di Bergamo (sentenza 13 gennaio 2022 n. 38) ha ritenuto che le assemblee celebrate con collegamento a distanza, anteriormente all’entrata in vigore del D.L. 14 agosto 2020 n. 104 (che ha introdotto la modifica sopra menzionata), siano annullabili.
La pronuncia contiene solo una motivazione apparente (che è in realtà un semplice assioma: siccome l’assemblea con tali modalità non era prevista dalla legge, ove così sia stata celebrata deve essere annullata): Invero, alla data del 5 giugno 2020 non era ancora entrato in vigore l’u.c. dell’art. 66 att. c.c., secondo cui “Anche ove non espressamente previsto dal regolamento condominiale, previo consenso della maggioranza dei condomini, la partecipazione all’assemblea può avvenire in modalità di videoconferenza. In tal caso, il verbale, redatto dal segretario e sottoscritto dal presidente, è trasmesso all’amministratore e a tutti i condomini con le medesime formalità previste per la convocazione”.La possibilità di svolgere le assemblee condominiali mediante piattaforme telematiche è stata introdotta soltanto con il D.L. 14 agosto 2020 n. 104, poi modificato dal D.L 7 ottobre 2020 n. 125 convertito nella L. 27 novembre 2020, n. 159.In precedenza il legislatore dell’emergenza aveva unicamente previsto la proroga del mandato dell’amministratore e lo slittamento dei termini per la presentazione dei rendiconti.L’assemblea del 5 giugno 2020 era quindi, viziata ab origine, tanto essendo sufficiente al fine di determinare l’annullabilità della relativa deliberazione.Di qui, solo per questo motivo (e con assorbimento degli altri, in virtù del principio della ragione più liquida), la fondatezza dell’impugnazione.”
Il giudice lombardo si arresta al mero dato formale, non si interroga sulla compatibilità in astratto di tale mezzo con i principi generali dell’ordinamento, né offre alcuna motivazione in ordine ai diritti pregiudicati che dovrebbero comportare annullamento della delibera.
In realtà non v’è alcun motivo per dubitare che l’assemblea in modalità virtuale (o mista) possa essere celebrata senza incorrere in vizi, laddove sia garantito il rispetto delle condizioni di partecipazione ed espressione dei singoli condomini.
Il clima di continuo, notevole e pressante allarme generato dai media (e in buon misura anche da parte della classe dirigente, con la diffusione di dati allarmanti e numeri del tutto slegati dal contesto statistico e reale al quale attengono) sta destando notevole preoccupazione fra le persone, a fronte di un indubitabile nuovo aumento della diffusione del virus.
A fronte di tale emergenza si è ritornati alla preoccupante e disastrosa modalità dei DPCM, che contengono misure in buona parte inspiegabili (e come tali difficilmente accettabili), quali la chiusura degli esercizi di ristorazione alle 18 (a fronte di un virus che evidentemente predilige le cene…), rimedio la cui razionalità pare difficilmente comprensibile in un paese che nulla detta (e dispone) su metropolitane e autobus affollati.
In perfetta linea con le bizzarre norme emanate a marzo, si assiste anche a una preoccupante tecnica normativa, che appare evidente dall’uso della raccomandazione, espressione del tutto priva di significato in un testo destinato a disciplinare la condotta umana con precetti e sanzioni, con esiti in taluni casi decisamente ridicoli, laddove si invitano le persone fisiche a non utilizzare mezzi di trasporto pubblici e privati (si immagina con grande sollievo per società e cooperative che potranno liberamente andare in metro, come acutamente osservato da taluni interpreti…)
In questo panorama di norme di rango secondario e, talvolta, neanche di norme ma di semplici indicazioni interne (come le circolari), va evidenziato che non vi è divieto di tenere assemblee di condominio, purché nel rispetto delle norme di distanziamento e di protezione individuale (mascherina).
Le assemblee sono riunioni private e non rientrano, pertanto, nella sospensione prevista per convegni, attività congressuali et similia, come ha precisato finanche il Ministero dell’interno, in una circolare diretta ai suoi dipendenti, tenuti a far rispettare i divieti.
Tuttavia a fronte di una crescente emergenza appare più che mai opportuno consigliare di non indire nuove riunioni e di rinviare di qualche mese quelle non strettamente necessarie, non tanto perché qualcuno possa poi rimproverare all’amministratore di aver contratto il covid in quella sede (prova quanto mai diabolica, riguardo al nesso causale), quanto perché il principio di cautela generale impone di evitare occasioni di incontro e diffusione e il significativo stato di allarme di questi giorni potrebbe indurre taluni condomini a proporre impugnative (magari fantasiose), adducendo una lesa facoltà di partecipazione, a fronte di una fase emergenziale in atto.
Per quelle già convocate e di necessaria celebrazione, va valutata l’opportunità di celebrazione da remoto (totale o parziale) ormai certamente introdotta ex lege dalle (controverse) modifiche apportate all’art. 66 disp.att. cod.civ. dal D.L. 104/2020, convertito dalla legge 126/2020: a tal proposito appare del tutto privo di efficacia pratica l’inciso di cui al comma VI della norma, circa il necessario consenso di tutti i partecipanti al condominio; il legislatore del 2020 non se la cava meglio del normatore da DPCM, poiché ha confezionato una modifica priva di senso pratico e di efficacia, come è stato evidenziato anche da autorevole dottrina (Scarpa, l’assemblea e il rebus della video conferenza, su NT+-il sole24ore, 21.10.202): laddove il legislatore ha inteso affermare che l’assemblea da remoto possa essere prevista dal regolamento, ha implicitamente dato atto della liceità di tale mezzo e della possibilità di ricorrevi per semplice previsione assembleare ex artt. 1136 comma II/1138 c.c..
Non sarebbe peraltro possibile, a mente di quanto disposto dall’art. 1138 comma IV c.c. e della costante giurisprudenza sul punto, derogare neanche all’unanimità, ai principi cui tale norma fa richiamo, di talchè la celebrazione da remoto si deve ritenere lecita in forza della prima parte della norma (la cui formulazione letterale non lascia adito a dubbi), e rimane del tutto incomprensibile il richiamo alla unanimità dei condomini prevista nel successivo inciso.
Laddove si celebri ancora assemblea in presenzapotrebbe apparire utile , in linea con un vezzo assai di moda anche fra gli atti amministrativi, una forte raccomandazione ai condomini di ricorrere – per quanto possibile – all’istituto della delega, sì da ridurre il numero degli effettivi intervenuti: suasion che deve essere particolarmente lieve, sempre per non incorrere in imperativi che possano essere percepiti come una imposizione, con conseguente compressione della facoltà di partecipazione, stimolando la litigiosità di taluni condomini.
E’ quanto afferma la Suprema Corte ( Cass.civ. sez. II ord. 5 ottobre 2020 n. 21271), ribadendo un orientamento consolidato in tema di diritto di informazione dei condomini e di obblighi dell’amministratore.
LA pronuncia è interessante, specie alla luce della ponderosità che oggi può assumere il rendiconto predisposto secondo el indicazioni di cui all’art. 1130 bis c.p.c.
“Questa Corte ha costantemente affermato che l’obbligo di preventiva informazione dei condomini in ordine al contenuto degli argomenti posti all’ordine del giorno dell’assemblea risponde alla finalità di far conoscere ai convocati, sia pure in termini non analitici e minuziosi, l’oggetto essenziale dei temi da esaminare, in modo da consentire una partecipazione consapevole alla discussione e alla relativa Delib.zione (Cass. 21966/2017; Cass. 15587/2018).
Non è quindi configurabile un obbligo, per l’amministratore condominiale, di allegare all’avviso di convocazione anche i documenti giustificativi o i bilanci da approvare, non venendo affatto pregiudicato il diritto alla preventiva informazione sui temi in discussione, fermo restando che ad ognuno dei condomini è riconosciuta la facoltà di richiedere, anticipatamente e senza interferire sull’attività condominiale, le copie dei documenti oggetto di (eventuale) approvazione (Cass. 19210/2011; Cass. 19799/2014).
Ove tale richiesta non sia stata avanzata, il singolo condomino non può invocare l’illegittimità della successiva Delib. di approvazione per l’omessa allegazione dei documenti contabili all’avviso di convocazione dell’assemblea, ma può impugnarla per motivi che attengano esclusivamente alla modalità di approvazione o al contenuto delle decisioni assunte (Cass. 25693/2018).”
Una recente pronuncia del Tribunale capitolino (Trib. Roma Sez.V 4 maggio 2020 n. 6847) appare interessante per l’amministratore che si trovi a gestire mutamenti nella compagine condominiale: il Giudice romano afferma che l’amministratore è tenuto a convocare i soggetti che risultano dai registri di anagrafe tenuti debitamente aggiornati, senza necessità di compiere ogni volta particolari ricerche immobiliari ed essendo onere dei condomini interessati comunicare eventuali mutamenti di titolarità.
è stato più volte sostenuto, in giurisprudenza, che, nell’ipotesi di subingresso nella titolarità di una porzione particolare di edificio condominiale, affinché il nuovo proprietario si legittimi, di fronte al condominio, quale avente diritto a partecipare alle assemblee, occorre almeno, pur nel silenzio della legge al riguardo, una qualche iniziativa, esclusiva dell’avente causa o concorrente con quella del dante causa, che, in forma adeguata, renda noto al condominio detto mutamento di titolarità.
È ben vero, tuttavia, che (secondo il perspicuo chiarimento fornito da Cass., 30 aprile 2015, n. 8824): «come è stato affermato in più occasioni da questa Corte (sent. n. 7849 del 2001, n. 2616 del 2005, in coerenza con il principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5032 del 2002), alle assemblee condominiali devono essere convocati solo i condòmini, cioè i veri proprietari e non coloro che si comportano come tali senza esserlo.Nei rapporti tra il condominio e i singoli partecipanti allo stesso, infatti, mancano le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona fede; e terzi, rispetto al condominio non possono essere ritenuti i condomini.
D’altra parte, e in generale, la tutela dell’apparenza del diritto non può essere invocata da parte del soggetto (nel nostro caso dal Condominio) che abbia trascurato di accertare l’effettiva realtà sui pubblici registri, contro ogni regola di prudenza. Del resto, il regime giuridico di pubblicità rappresenta un limite invalicabile all’operatività del principio dell’apparenza: pubblicità e apparenza sono, infatti, istituti che si completano l’un l’altro, rispondendo alle medesime finalità di tutela dei terzi di buona fede; ma, proprio per ciò, stesso alternativi. La tutela dell’apparenza non può tradursi in un indebito vantaggio per chi abbia colpevolmente trascurato di accertarsi della realtà delle cose, pur avendone la concreta possibilità». Orbene, quantunque non si possano, certamente, intendere i menzionati precedenti nel senso di affermare l’esistenza (fin quando non vi sia un’adeguata comunicazione dell’avvenuto mutamento di titolarità) di una legittimazione sostitutiva giustificata dall’apparenza (tale, cioè, che l’“ex” proprietario, da un lato, possa, a buon diritto, continuare a reclamare per sé lo status di condomino – con le annesse prerogative in ordine alla convocazione e alla partecipazione alle assemblee –; dall’altro, possa continuare a essere perseguito, anche giudizialmente, dall’amministratore per il pagamento dei contributi condominiali), nondimeno il “nuovo”, che (e fin tanto che) abbia omesso di assolvere l’onere di segnalare il proprio subingresso nella posizione dominicale, non può pretendere il riconoscimento della sua qualità dal Condominio e, soprattutto, dolersi di non essere stato invitato a partecipare all’assemblea ordinaria, impugnandone – soltanto se e quando gliene venga data formalmente “notizia” – le deliberazioni in merito alle spese condominiali (cfr. Cass., 29 maggio 1998, n. 5307).
L’attore ex art. 1137 cod. civ., infatti, ha pur sempre l’onere di dimostrare il vizio di cosostituzione: nel senso, però, non già di non aver materialmente ricevuto la comunicazione cui aveva senz’altro diritto (perché sarebbe, semmai, il condominio a dover provare di avergliela inviata – cfr., e pluribus, Cass. ord., 14 settembre 2017, n. 21311; Cass., 21 ottobre 2014, n. 22685 – e di averla recapitata al suo indirizzo – cfr. Cass., 25 marzo 2019, n. 8275 –), ma di essere egli effettivamente tra coloro che (a norma dell’art. 1136, 6° comma, cod. civ.) deve constare siano stati regolarmente invitati alla riunione, poiché il compito istituzionale dell’amministratore, da un lato, può considerarsi assolto e il procedimento di convocazione dell’assemblea, dall’altro, può considerarsi corretto, allorché l’invito alla partecipazione sia stato rivolto a tutti coloro (non già che siano stati individuati – in vista di ogni assemblea – con una puntuale ed esaustiva consultazione dei registri immobiliari, ma) che risultano nel registro anagrafico dei condòmini, adeguatamente tenuto e regolarmente aggiornato secondo le variazioni, di volta in volta, comunicate da chi ne abbia il titolo e l’onere ovvero, comunque, acquisite, con l’uso della normale diligenza, da chi lo gestisce e ne ha la custodia.
Nel caso particolare, poi, del decesso del condomino, poiché, fra l’altro, non sarebbero sufficienti (per l’individuazione dei chiamati e – men che meno – degli eredi) neanche la notizia dell’apertura della successione o l’esame della relativa denunzia (che non implica accettazione della delazione ex lege o ex testamento) né si può ritenere sussistente, in capo all’amministratore, un dovere di provocare la nomina di un curatore dell’eredità giacente, è onere di chi sia subentrato, mortis causa, nella qualità di condomino in luogo del defunto (con la conseguente assunzione dei diritti e obblighi correlativi) darne idonea comunicazione, in mancanza della quale, pertanto, egli non può denunziare il vizio di costituzione dell’assemblea condominiale, così come convocata dall’amministratore sulla base dei dati in suo possesso (costui, anzi – secondo Cass., 22 marzo 2007, n. 6926 –, pur essendo «a conoscenza del decesso di un condomino, fino a quando gli eredi non gli manifesteranno la loro qualità, non avendo utili elementi di riferimento e non essendo obbligato a fare alcuna particolare ricerca, non sarà tenuto a inviare alcun avviso» ovvero – così la più risalente Cass., 29 luglio 1978, n. 3798 – invierà «l’avviso all’ultimo domicilio» noto, dove si possa verosimilmente trovare qualcuno – successore oppure no – in grado di portare l’avviso a conoscenza degli interessati, «sincerandosi, quindi, della [avvenuta] ricezione dell’avviso» medesimo «da parte di persona addetta a quel domicilio», senza che poi rilevi che la persona consegnataria lo recapiti effettivamente agli eredi)
La pronuncia affronta anche il tema della irrilevanza dei vizi di annullabilità della delibera, non tempestivamente impugnata nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, tema contiguo a quello più controverso della rilevabilità d’ufficio della nullità della delibera in quella sede e del possibile contrasto di giudicati fra relativo al giudizio di opposizione a decreto e di impugnazione della delibera, questioni rimesse alla valutazione delle Sezioni Unite nello scorso autunno.
L’ampia rassegna giurisprudenziale, richiamata dal Tribunale romano sul primo aspetto, può rendere interessante la lettura dell’intero provvedimento.
Cass. civ. sez. II 25 marzo 2018 n. 8275 afferma che è onere dell’amministratore provare di aver inviato tempestivamente la convocazione ed incomba invece al condomino, che intenda contestare l’irrituale convocazione, allegare di averla ricevuta tardivamente senza sua colpa.
La pronuncia non appare di felicissima stesura e potrebbe apparire contraddittoria laddove, da un lato, ritiene onere del condominio fornire prova dell’effettivo pervenimento dell’avviso presso il destinatario e, dall’altro, che l’amministratore sia tenuto a dimostrare solo di averlo inviato.
In realtà l’intero testo della motivazione riafferma l’onere del mittente di dar prova di aver fatto pervenire il plico tempestivamente presso il destinatario (distinguendo l’ipotesi dell’invio della convocazione da quello del verbale); è solo l’infelice parte finale che sembra limitare gli oneri probatori di colui che convoca, anche se in realtà la lettura dell’intera sentenza rende chiaro che rimane onere del condominio dar prova di aver fatto pervenire la convocazione nella sfera giuridica del destinatario tempestivamente e rimane invece onere di costui dimostrare di non averne avuto conoscenza, per fatto a lui non imputabile.
E’ dunque opportuno che l’interprete accorto non si abbandoni alla facile lusinga che sia sufficiente dimostrare la spedizione nei termini, poichè neanche l’odierna pronuncia legittima simile lettura.
“Per costante orientamento di questa corte (ex multis, Cass. 26 settembre 2013 n. 22047), la invocata disposizione dell’art. 66 disp. att. c.c., viene interpretata nel senso che essa esprime il principio secondo cui ogni condomino ha il diritto di intervenire all’assemblea del condominio e deve, quindi, essere messo in condizione di poterlo fare.
Viene, inoltre, affermata la necessità che l’avviso di convocazione sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel termine, ivi stabilito, di almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza, avendo riguardo quale dies ad quem alla riunione dell’assemblea in prima convocazione. Con la conseguenza che la mancata conoscenza di tale data, da parte dell’avente diritto, entro il termine previsto dalla legge, costituisce motivo di invalidità delle delibere assembleari, ai sensi dell’art. 1137 c.c., come confermato dal nuovo testo dell’art. 66 disp. att. c.c., comma 3, introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, a nulla rilevando, ai fini della tempestività dell’avviso, né la data di svolgimento dell’assemblea in seconda convocazione, né che la data della prima convocazione fosse stata eventualmente già fissata dai condomini prima dell’invio degli avvisi.
La medesima giurisprudenza, peraltro, qualifica l’avviso di convocazione atto eminentemente privato, e del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall’applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari – quale atto unilaterale recettizio, per cui esso rinviene la propria disciplina nell’art. 1335 c.c., al medesimo applicandosi la presunzione di conoscenza in tale norma prevista (superabile da una prova contraria da fornirsi dal convocato), in base alla quale la conoscenza dell’atto è parificata alla conoscibilità, in quanto riconducibile anche solamente al pervenimento della comunicazione all’indirizzo del destinatario e non alla sua materiale apprensione o effettiva conoscenza.
Invero, la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., degli atti recettizi in forma scritta giunti all’indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell’arrivo dell’atto nel luogo indicato dalla norma.
L’onere della prova a carico del mittente riguarda, in tale contesto, solo l’avvenuto recapito all’indirizzo del destinatario, salva la prova da parte del destinatario medesimo dell’impossibilità di acquisire in concreto l’anzidetta conoscenza per un evento estraneo alla sua volontà (cfr., per una fattispecie in tema di comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea di un condominio, Cass. 29 aprile 1999 n. 4352).
Dall’anzidetto quadro normativo viene fatto derivare l’ovvio corollario per cui, se è vero che per ritenere sussistente, ex art. 1335 c.c., la presunzione di conoscenza, da parte del destinatario, della dichiarazione a questo diretta, è necessaria e sufficiente la prova che la dichiarazione stessa sia pervenuta all’indirizzo del destinatario, tale momento, ove la convocazione ad assemblea di condominio sia stata inviata mediante lettera raccomandata non consegnata per l’assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell’agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi.
Nel senso di cui innanzi si esprimono i precedenti consolidati di questa corte, che il collegio decidente condivide (v. di recente Cass. 3 novembre 2016, n. 22311, in fattispecie condominiale; v. altresì i numerosi precedenti in altre materie, soprattutto lavoristica, agraria e locatizia, anche ivi richiamati: Cass. 31 marzo 2016 n. 6256; Cass. 15 dicembre 2009 n. 26241; Cass. 5 giugno 2009 n. 13087; Cass. 24 aprile 2003 n. 6527; Cass. 27 luglio 1998 n. 7370; Cass. 1 aprile 1997 n. 2847; oltre numerose sentenze non massimate, o non massimate sul punto che rileva, tra le quali ad es. Cass. 4 agosto 2016 n. 1633).
A fronte del predetto orientamento consolidato si pone, in senso contrario il solo precedente di Cass. 14 dicembre 2016 n. 25791 che – emesso in materia condominiale ma in riferimento al diverso termine posto dall’art. 1137 c.c., per l’impugnazione delle delibere assembleari, decorrente per gli assenti dalla comunicazione – ha ritenuto: a) che l’avviso di tentata consegna da parte dell’agente postale, non contenendo l’atto cui si riferisce, non equivalga a sua comunicazione, né può quindi reputarsi che l’atto sia giunto all’indirizzo del destinatario per gli effetti dell’art. 1335 c.c.; b) che, mancando nel regolamento postale una disciplina analoga a quella della L. n. 890 del 1982, art. 8, l’interprete debba applicare il principio di effettiva conoscenza e non la presunzione di conoscibilità di cui all’art. 1335 c.c., altrimenti ponendosi il risultato interpretativo in contrasto con l’art. 24 Cost., trattandosi di una comunicazione – si ripete, del verbale delle deliberazioni dell’assemblea del condominio nei confronti degli assenti – da cui decorre il termine decadenziale per l’esercizio della impugnazione in sede processuale; c) che, quindi, debba farsi applicazione analogica delle disposizioni di cui alla L. n. 890 del 2002, art. 8, adattate tenendo conto del fatto che – non trattandosi di notifica di atto giudiziario – il servizio postale non prevede, per gli invii ordinari, la spedizione di una raccomandata con la comunicazione di avvenuto deposito ma solo il rilascio di avviso di giacenza. La considerazione della natura isolata del predetto precedente (che peraltro, dal punto di vista della percezione dei valori costituzionali sottesi, si pone in dissonanza implicita con Cass. 23 settembre 1996 n. 8399, decisione che, come detto, aveva in particolare valorizzato la possibilità per il destinatario di dare prova contraria rispetto alla presunzione ex art. 1335 c.c.) e, soprattutto, della circostanza che esso concerne fattispecie non pienamente sovrapponibile a quella in esame, induce a non ritenere sussistente il contrasto diacronico di giurisprudenza dedotto dal procuratore generale in udienza pubblica.
In particolare, in ordine ai caratteri distintivi della questione giuridica esaminata in detto precedente (relativa alla disciplina del termine di impugnazione ex art. 1137 c.c., della delibera di assemblea di condominio) rispetto a quella oggetto della presente controversia (relativa alla disciplina del termine dilatorio ex art. 66 disp. att. c.c., per la convocazione dell’assemblea del condominio), può essere sufficiente sottolineare che, nel primo caso, dalla comunicazione dell’atto (verbale assembleare) decorre un termine decadenziale per proporre un’azione giudiziaria mentre, nel secondo caso, dal pervenimento dello stesso (convocazione di assemblea) decorre un termine dilatorio meramente condizionante la validità della deliberazione, la quale ultima soltanto potrà essere impugnata in giudizio, previa ulteriore comunicazione di essa o partecipazione del convocato all’adunanza: sussistono, dunque, “ragionevoli differenze”, correlate alla presenza solo nella prima fattispecie di possibili pregiudizi, per effetto dell’avverarsi della decadenza, all’esercizio della tutela giurisdizionale (tema su cui, in effetti, il precedente n. 25791 del 2016 cit. si sofferma nella formulazione della ratio decidendi). Ne deriva che, al limite, detto precedente n. 25791 del 2016 introduce una cesura nella catena giurisprudenziale concernente il computo dei termini decadenziali per l’esercizio di azioni giudiziarie decorrenti dalla ricezione dell’atto (per stare ai precedenti citati, v. taluni di quelli in materia lavoristica), ma non in quella (cui pertiene la fattispecie in esame, oltre altre nei precedenti citati) in cui non decorrano – almeno in via immediata e diretta – termini della specie, bensì termini di altre tipologie (sul punto v. precedente in termini, Cass. 22 novembre 2017 n. 23396).
Va riaffermato, dunque, quale principio di diritto, che in tema di condominio, con riguardo all’avviso di convocazione di assemblea ai sensi dell’art. 66 disp. att. c.c., (nel testo ratione temporis vigente), posto che detto avviso deve qualificarsi quale atto di natura privata (del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall’applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari) e in particolare quale atto unilaterale recettizio ai sensi dell’art. 1335 c.c., al fine di ritenere fornita la prova della decorrenza del termine dilatorio di cinque giorni antecedenti l’adunanza di prima convocazione, condizionante la validità delle deliberazioni, è sufficiente e necessario che il condominio (sottoposto al relativo onere), in applicazione della presunzione dell’art. 1335 c.c., richiamato, dimostri la data di pervenimento dell’avviso all’indirizzo del destinatario, salva la possibilità per questi di provare di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
Tale momento, ove la convocazione ad assemblea di condominio sia stata inviata mediante lettera raccomandata (cui il testo dell’art. 66 disp. att. c.c., affianca, nel testo successivo alla riforma di cui alla L. 11 dicembre 2012, n. 220, altre modalità partecipative), e questa non sia stata consegnata per l’assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell’agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi (quali il momento in cui la lettera sia stata effettivamente ritirata o in cui venga a compiersi la giacenza). Precisazioni ulteriori derivano dalla considerazione dell’applicazione della disciplina della regolamentazione postale, avuta presente in precedenti pronunce e costituita ratione temporis dal decreto del ministro dello sviluppo economico 01/10/2008 (recante “approvazione delle condizioni generali per l’espletamento del servizio postale universale”), cui è succeduta la delibera 385/13/CONS del 20/06/2013 dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Il regolamento (nei due testi, che sul tema dell’art. 31, non presenta variazioni) contempla, con terminologia impropria, non vincolante sul piano civilistico, che “il mittente resta proprietario dell’invio sino al momento della consegna” e che egli, prima della consegna, ha titolo a chiedere la restituzione dell’invio o la modifica della destinazione o del destinatario. Il riferimento alla “consegna” è nel senso della preclusione alla possibilità di restituzione del plico al mittente al momento dell’emissione dell’avviso di giacenza ove la consegna sia stata comunque tentata, anche se non effettuata, in caso di assenza del destinatario, per cui una volta emesso l’avviso di giacenza, gli invii restano in giacenza (nel caso in esame, per trenta giorni) a disposizione del destinatario (e non del mittente), al quale ultimo essi vengono restituiti solo all’esito, previa richiesta e pagamento di corrispettivo, in alternativa alla distruzione.
Alla luce del quadro giurisprudenziale e normativo riprodotto si osserva che nel caso di specie l’amministratore ha provato la spedizione della convocazione tramite lettera raccomandata, e la sentenza impugnata ha evidenziato, da un lato, la sussistenza della presunzione di conoscenza, tenuto conto dell’affidabilità dello strumento di spedizione utilizzato, e, dall’altro, la mancanza di alcuna allegazione e prova specifica dedotta dalla ricorrente in ordine alla impossibilità di acquisire conoscenza dell’atto senza colpa, generica la sola negazione del ricevimento dello stesso, inidonea a superare la presunzione di conoscenza dell’atto regolarmente inviato.
Con la conseguenza che correttamente è stata ritenuta validamente raggiunta, attraverso la prova della spedizione della raccomandata contenente l’avviso di convocazione in data 25.05.2006, la presunzione di ricezione dello stesso da parte della destinataria, sulla quale gravava, pertanto, l’onere di controllare assiduamente la corrispondenza a lei diretta, per un riscontro della tempestività o meno dell’inserimento dell’avviso medesimo nel rispetto dei cinque giorni previsti dalla disposizione invocata.”
Una discutibile pronuncia della Corte d’appello di Brescia (App. Brescia 3 gennaio 2019 n. 4) sembra alleviare gli oneri dell’amministratore di condominio in tema di oneri di convocazione dell’assemblea.
Il giudice lombardo rileva che il condomino aveva richiesto che la convocazione gli fosse inviata per mail ordinaria e non potrà dunque dolersi, a posteriori, che non sia stata utilizzata la PEC: “osserva il Collegio che, se invero è corretto ritenere che unico strumento equipollente alla raccomandata indicata dalla disposizione di legge è la comunicazione PEC, posto che solo con tale modalità perviene al notificante un messaggio di accettazione e consegna dell’avviso, tuttavia nel caso in esame è stato lo stesso condomino Al. ad aver richiesto la comunicazione avverso un mezzo “informale” quale la e.mail, non avendo egli indicato un indirizzo PEC bensì l’indirizzo, mail, (omissis…). Ne consegue che l’invio della mail per come dimostrato dal Condominio appellato ha rispettato le forme indicate dal condomino.”
La stringatezza della pronuncia non consente di comprendere se la censura sia solo formale, ovvero se il condomino abbia effettivamente e tempestivamente ricevuto la comunicazione, ma si dolga della forma: in tal caso il ragionamento del giudice appare condivisibile, poiché l’atto avrebbe comunque raggiunto il destinatario e lo scopo previsto dalla legge, apparendo non dirimente la modalità di comunicazione.
E’ tuttavia opportuno che l’amministratore si attenga scrupolosamente a quanto previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ., norma peraltro inderogabile a mente dell’art. 72 disp.att. cod.civ., evitando i mezzi non previsti espressamente dal (discutibile) legislatore del 2012: è onere dell’amministratore da prova di aver correttamente convocato l’assemblea (Cass.Civ. sez.II 14 settembre 2017 n.21311), ed è dunque opportuno che egli adotti mezzi che consentano di avere incontrovertibile attestazione della avvenuta ricezione dell’avviso (ragione per cui non si comprende come possa essere stato inserito nella norma, fra i mezzi consentiti, anche il fax, il cui rapporto di trasmissione non finisce alcuna attendibilità sulla effettiva ricezione da parte del destinatario).
Lo ha stabilito il Tribunale di Grosseto con sentenza 8 marzo 2018 n. 249, aderendo ad orientamento già consolidato in sede di legittimità ( Cass.Civ. sez. II 28 luglio 1990 n. 7630).
Il Giudice toscano osserva che “Quanto alla mancata convocazione alle assemblee al mancato invio dei relativi verbali il Condominio ha dimostrato mediante la produzione in giudizio che gli stessi sono stati recapitati a S.B., marito dell’opponente. Va altresì notato sul punto che l’opponente non espone in alcun modo le ragioni per cui non sarebbe stata sufficiente la convocazione rivolta al marito. Sussistono pertanto elementi presuntivi e indiziari che inducono a ritenere che la stessa M.G. conoscesse le convocazioni ed il contenuto dei verbali delle assemblee al pari del marito. In tal senso depone non solo il fatto che non fossero semplici proprietari, ma appunto coniugi, ma anche la circostanza che talvolta, ad esempio nel caso della nota 8 dicembre 2009, i due diedero atto congiuntamente della ricezione della lettera con la quale viene loro comunicata la “prossima convocazione di Assemblea Straordinaria del Condominio di via O.” preannunciando la propria mancata partecipazione.
Deve, infatti, osservarsi che i fatti per cui è causa sono antecedenti alla modifica disposta con legge 220/2013 (in vigore dal 18 giugno 2013) al 3° comma dell’art. 66 disp. att. c.c. che ha stabilito le modalità di effettuazione della convocazione all’assemblea condominiale.”
La sentenza è interessante anche per gli altri due aspetti affrontati, l’uno relativo alla rinuncia alla solidarietà passiva, convenuta fra condominio e appaltatore, che non esclude la legittimazione dell’amminisratore ad agire nei confronti dei morosi: Vale la pena osservare preliminarmente che il vincolo di esclusione della solidarietà passiva tra i condomini pattuito tra il Condominio e la società esecutrice dei lavori, non rileva in questa sede, atteso peraltro che il Condominio ha richiesto solo il pagamento delle spese di competenza di M.G. e non di altri condomini.
Inoltre, la stipula di un simile accordo non priva in alcun modo il Condominio, in persona del proprio amministratore pro tempore del potere/dovere di attivarsi per il recupero delle spese condominiali. È evidente come l’adesione ad una diversa opzione interpretativa finirebbe per porre a carico esclusivo della società che ha eseguito i lavori l’onere di attivarsi contro i condomini morosi. Sotto altro profilo deve altresì che già all’epoca di instaurazione del presente giudizio era ormai pacifica la natura parziaria delle obbligazioni condominiali (SS.UU. 9148/2008) la cui affermazione, peraltro, non ha mai avuto l’effetto di elidere la legittimazione del Condominio a far valere la pretesa creditoria”
Il giudice osserva infine che è ormai pacifico che si approvino a maggioranza le tabelle millesimali che non deroghino ai prinpci di cui agli art 1123 e s.s. cod.civ. : “è approdo ormai consolidato in giurisprudenza che relativamente all’approvazione delle tabelle millesimali, la deliberazione assembleare non ha natura negoziale e non è pertanto necessaria, contrariamente a quanto sostenuto dall’opponente l’unanimità, essendo sufficiente la maggioranza semplice (SS.UU. n. 18477/18478 del 2010).”
Il problema relativo al momento in cui deve ritenersi perfezionato l’avviso previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ. sembra non trovare soluzione stabile nella giurisprudenza della Suprema Corte.
Per molti anni si è ritenuto che, ove l’invio avvenisse a mezzo posta e il destinatario fosse assente, la consegna dovesse ritenersi perfezionata mediante la consegna dell’avviso di giacenza, atto idoneo a far ritenere che la convocazione fosse pervenuta nella sfera di disponibilità del destinatario; affermava Cass.civ. sez. II 21 gennaio 2014 n. 1188 “l’idoneità, ai fini della decorrenza del termine in questione, del rilascio dell’avviso di giacenza in data 4 aprile 2013 in coerenza con l’orientamento di questa S.C., secondo il quale le lettere raccomandate si presumono conosciute, nel caso di mancata consegna per assenza del destinatario e di altra persona abilitata a riceverla, dal momento del rilascio del relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale (Cass. 24 aprile 2003 n. 6527; Cass. 1 aprile 1997 n. 2847), nella specie effettuato il 4 aprile 2003”.
Di recente la Suprema Corte sembrava aver invertito la tendenza, poiché nel dicembre 2016 aveva affermato principio del tutto diverso, seppur con riguardo all’aio del verbale di assemblea agli assenti, adempimento che tuttavia tocca il tema della difesa dei diritti, afferendo alla possibilità di proporre impugnazione ex art 1137 cod.civ. nel termine di 3 giorni dalla ricezione: in tal caso era stata affermato che la comunicazione doveva intendersi perfezionata decorsi dieci giorni di giacenza.
Oggi invece Cass.civ. sez. II 6 ottobre 2017 n. 23396 ritorna a proporre la lettura tradizionale riguardo all’invio dell’avviso di convocazione:“in tema di condominio, con riguardo all’avviso di convocazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 66 disp. Att. Cod. civ. posto che detto avviso deve qualificarsi quale atto di natura privata […] al fine di ritenere fornita la prova della decorrenza del termine dilatorio di cinque giorni antecedenti l’adunanza di prima convocazione, condizionante la validità delle deliberazioni, è sufficiente e necessario che il condominio (sottoposto al relativo onere) in applicazione della presunzione dell’art. 1335 cod. civ. richiamato, dimostri la data di pervenimento dell’avviso all’indirizzo del destinatario, salva la possibilità per questi di provare di essere stato senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia”.
Il procuratore generale Alberto Celeste – raffinato studioso del diritto condominiale – aveva motivatamente richiesto l’invio alle Sezioni Unite, poiché astrattamente la pronuncia pare porsi in contrasto con la lettura resa a dicembre 2016; la Corte tuttavia ritiene che non sussista identità di ratio fra l’invio dell’avviso e quello del verbale, con una pronuncia articolata che merita lettura integrale e che – seppur condivisibile sotto il profilo di tutela del diritto di difesa – non fuga del tutto le perplessità sotto il profilo formale, posto che sia l’avviso di convocazione che il verbale di assemblea rimangono comunque atti privati, a quali il sistema normativo sulla comunicazione degli atti ricettivi dovrebbe trovare applicazione in maniera uniforme.