E’ quanto afferma Trib. Milano 25 gennaio 2018 n. 843 sulla scorta dell’art. 67 disp.att. cod.civ., novellato dalla L. 220/2012.
La sentenza definisce, respingendola, l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla nuda proprietaria, sull’assunto che “l’art. 1026 c.c. prevede che le disposizioni relative all’usufrutto si applicano, in quanto compatibili, all’uso e all’abitazione, in relazione alle spese di manutenzione ordinaria che competono all’usufruttuario” ed osserva che
“A seguito dell’entrata in vigore della L. n. 220 del 2012, recante normativa di riforma del condominio, avvenuta in data 18/6/2013, il nuovo dettato dell’articolo 67 delle disposizioni di attuazione al codice civile introduce per la prima volta nel nostro ordinamento il principio della solidarietà tra il nudo proprietario e l’usufruttuario per il pagamento di tutti i contributi dovuti per spese condominiali, sia per spese straordinarie che per quelle ordinarie.”
Conclude dunque il Tribunale lombardo che per le spese maturate successivamente alla entrata in vigore della novella del 2012 ” Gli opponenti, pertanto, sono tenuti a rispondere in solido per il pagamento di tutti i contributi dovuti, senza alcuna distinzione tra spese ordinarie e straordinarie.
Ne ha alcun rilievo l’eccezione sollevata dalla sig.ra S. di non aver usufruito deldiritto di abitazione; non avendo rinunciato formalmente al suo diritto, sono dovuti i pagamenti a favore del condominio.
Deve quindi rigettarsi l’opposizione e confermarsi il decreto ingiuntivo opposto emesso dal Tribunale di Milano nei confronti dei sig.ri. B. e S., ben potendo gli stessi rivalersi in ripetizione l’uno nei confronti dell’altro.”
il 22 giugno 2017 è stata presentata proposta di legge n. 4560, con cui si intende modificare due profili introdotti dalla legge 220/2012 nella disciplina condominiale, ovvero il divieto di conferire delega all’amministratore e la responsabilità solidale dell’acquirente di unità immobiliare per le quote relative all’esercizio in corso e a quello precedente prevista dall’art. 63 disp.att. cod.civ.
L’abrogazione dell’inciso dell’art. 67 disp.att. cod.civ. è sicuramente auspicabile, atteso che il conferimento di delega all’amministratore – lungi dal rappresentare un momento di conflitto di interesse – è stato per decenni uno strumento risolutivo per una efficace celebrazione delle assemblee.
Più curioso il concetto di “condomino acquirente”, utilizzato dal latore della proposta, che vorrebbe obbligare chi acquista per i contributi maturati nei cinque anni antecedenti la vendita.
Non sfuggirà che condomino è colui che sia titolare di un diritto reale all’interno della compagine condominiale, dunque il condomino acquirente è un sorta di creatura mitologica che non può esistere.
Il testo del DDL è il seguente: “Chi subentra nei diritti di un condòmino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi già maturati fino al quinquennio antecedente al trasferimento. L’amministratore deve fornire anche al condòmino acquirente, che ne faccia richiesta, quanto previsto dall’articolo 10 punto 9 della legge 11 dicembre 2012 n° 220. Tale attestazione va allegata al contratto che determina il trasferimento del diritto di proprietà su unità immobiliari”.
La relazione accompagnatoria promette – con l’introduzione di tale modifica – una drastica diminuzione delle liti.
Restano tuttavia insolute due questioni fondamentali: l’acquirente (che non è ancora, evidentemente, condomino) potrebbe dimostrare tale sua qualità all’amministratore – onde richiedere l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti – solo tramite un contratto preliminare che già lo obbligherebbe all’acquisto, senza che l’eventuale attestazione possa a quel punto costituire motivo di risoluzione del vincolo obbligatorio.
In diversa ipotesi si consentirebbe a chiunque si affermasse promissario acquirente, di ottenere informazioni sul condominio e sui morosi, ovvero dati non divulgabili a soggetti diversi da quelli previsti dall’art. 1130 n. 9 cod.civ.
E’ evidente che il senso della modifica si avrebbe solo ove si consentisse, a colui che intende acquistare, di calibrare le obbligazioni con il venditore sulla scorta anche degli oneri condominiali insoluti e ciò prima di divenire, tecnicamente, un “promissario acquirente”, ovvero prima di stipulare alcun vincolo.
Si potrebbe ipotizzare che il promissario acquirente ottenga tali dati con il consenso del condomino venditore, ma in tal caso non occorre alcuna modifica alla legge, atteso che – ovviamente – il condomino ha titolo a conoscere lo stato dei pagamenti e potrà poi divulgarlo a chi ritiene più opportuno, sotto la propria responsabilità.
Curioso anche l’obbligo di allegazione all’atto di acquisto della attestazione che otterrebbe il fantomatico “condomino acquirente”: con la sottoscrizione dell’atto e la prestazione del consenso le parti danno comunque luogo all’effetto traslativo, pur in assenza della ipotetica attestazione; in assenza di alcuna specifica conseguenza prevista dalla norma per la mancata allegazione, l’inadempimento – non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 1477 cod.civ. o 1490 cod.civ. – sembrerebbe lasciare aperta l’unica via risarcitoria (pur con qualche dubbio, visto che comunque l’acquirente si determina ad acquistare pure in sua assenza), soluzione che appare destinata ad innalzare il contenzioso più che a sopirlo.
Il titolare del diritto reale di abitazione risponde degli oneri condominiali alla stregua dell’usufruttuario, sarà dunque tenuto a corrispondere le sole spese ordinarie, competendo al proprietario quelle di natura straordinaria.
Lo ha stabilito la Cass Civ. II sez. 19 aprile 2017, n. 9920 Rel. Giusti: “Qualora un appartamento sito in condominio sia oggetto di diritto reale di abitazione, il titolare del diritto di abitazione è tenuto al pagamento delle spese di amministrazione e di manutenzione ordinaria del condominio, applicandosi, in forza dell’art. 1026 cod. civ., le disposizioni dettate in tema di usufrutto dagli artt. 1004 e 1005 cod. civ., che si riflettono anche, come confermato dall’art. 67 disp. att. cod. civ., sul pagamento degli oneri condominiali, costituenti un’obbligazione propter rem (cfr. Cass., Sez. II, 16 febbraio 2012, n. 2236; Cass., Sez. II, 28 agosto 2008, n. 21774).”
La pronuncia attiene a rapporti nati anteriormente alla L. 220/2012, poiché oggi la responsabilità fra usufruttuario e proprietario – a mente dell’art. 67 disp.att. cod.civ. – ha natura solidale e quindi il Condominio ben può agire indifferentemente contro l’uno o l’altro.
La pronuncia risulta assai interessante per gli aspetti processuali: la controversia sorge come opposizione a decreto ingiuntivo da parte del titolare del diritto di abitazione, il quale lamenta che con decreto ingiuntivo il condominio abbia richiesto anche il pagamento di spese straordinarie. Il condominio, costituendosi nella opposizione, limita la domanda alle sole spese ordinarie: La Corte ha statuito che tale condotta non costituisce domanda nuova ma solo lecito mutamento di quella già proposta in via monitoria.
“si ha mutatio libelli quando la parte immuti l’oggetto della pretesa ovvero quando introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio (Cass., Sez. V, 20 luglio 2012, n. 12621; Cass., Sez. II, 28 gennaio 2015, n. 1585). Poiché in relazione al pagamento degli oneri condominiali la qualità di debitore dipende dalla titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale sulla cosa e anche le spese dovute dall’habitator si configurano come obbligazioni propter rem (cfr. Cass., Sez. II, 27 ottobre 2006, n. 23291), costituisce mera emendatio libelli, consentita, la richiesta, precisata da parte del condominio opposto in sede di comparsa di costituzione e risposta, di un importo minore rispetto a quello ingiunto, corrispondente alle sole spese condominiali di manutenzione e di amministrazione ordinaria, con esclusione di quelle di straordinaria amministrazione, in ragione della titolarità, in capo all’obbligato, non del diritto di proprietà, come esposto nel ricorso per decreto ingiuntivo, ma del diritto reale di abitazione sulla stessa unità immobiliare, il quale rappresenta, rispetto al diritto di proprietà, una situazione derivata minore.”
Una interessante e recentissima pronuncia della Cassazione (Cass. civ. VI – 2 sez. 28 marzo 2017 n. 8015, rel. Scarpa) affronta un caso bizzarro: in un fabbricato in condominio sussiste regolamento di natura contrattuale in cui è previsto che le spese per la manutenzione delle scale avvenga ai sensi dell’art. 1124 cod.civ.; negli atti di acquisto dei condomini è altresì previsto che “la ripartizione delle spese condominiali verrà fatta in proporzione ai millesimi di proprietà e in conformità a quanto disposto dal regolamento di condominio”.
Nulla si dice in tema di ascensore, sicchè il Condominio ha ritenuto che ciò costituisse deroga convenzionale ai criteri di riparto ed ha attribuito le spese di ascensore in ragione dei millesimi generali ex art. 1123 I comma cod.civ.: la tesi è quantomeno singolare, eppure ha trovato avvallo sia dal Tribunale di Verona che dalla Corte di Appello di Venezia, che hanno respinto nel merito l’impugnativa di uno dei condomini.
Costui ricorre in Cassazione, rilevando anche un altro vizio della decisione di secondo grado relativo alla celebrazione della assemblea e alla partecipazione per delega dei condomini: in quel fabbricato il regolamento prevedeva che i partecipanti non potessero recare più di due deleghe, mentre nella delibera impugnata l’amministratore era portatore di tre deleghe (i fatti sono anteriori al 2012 e quindi non vedono diretta applicazione dell’art. 67 disp. att. cod.civ. oggi in vigore). I giudici di merito hanno ritenuto che, poichè il voto espresso da colui che portava deleghe in numero superiore non risultava decisivo, la doglianza era infondata (c.d. prova di resistenza).
La Suprema Corte riconosce invece fondati entrambi i motivi, con argomentazioni che è opportuno riportare per esteso.
SUL RIPARTO DELLE SPESE DI ASCENSORE: “Secondo l’orientamento del tutto consolidato di questa Corte, la regola posta dall’art. 1124 c.c. relativa alla ripartizione delle spese di manutenzione e di ricostruzione delle scale (per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo) in mancanza di criteri convenzionali, è applicabile per analogia, ricorrendo l’identica “ratio” (e poi proprio ex lege, a seguito della riformulazione dell’art. 1124 c.c. operata della legge n. 220/2012, qui non operante ratione temporis), alle spese relative alla conservazione e alla manutenzione dell’ascensore già esistente (su cui incide il logorio dell’impianto, proporzionale all’altezza dei piani). Pertanto l’impianto di ascensore è di proprietà comune – secondo la presunzione di cui all’art. 1117 n. 3 c.c., in mancanza di titolo contrario – fra tutti i condomini in proporzione al valore dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva (art. 1118 c.c.) e la ripartizione delle spese relative all’ascensore è regolata dai criteri stabiliti dall’art. 1124 c.c. e dall’art. 1123 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3264 del 17/02/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5975 del 25/03/2004; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2833 del 25/03/1999).
Anche il criterio di ripartizione delle spese condominiali stabilito dall’art. 1124 c.c., e quindi operante per la manutenzione dell’ascensore, può essere derogato, come prevede l’art. 1123 c.c., e il relativo accordo modificatore della disciplina legale di ripartizione può essere contenuto sia nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), sia in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, ovvero col consenso di tutti i condomini. La deroga ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali suppone, tuttavia, un’espressa convenzione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16321 del 04/08/2016, non massimata; Cass. Sez. 2, Sentenza n.28679 del 23/12/2011).
Proprio perche, in base all’art. 1124 c.c., le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e degli ascensori vanno assimilate e assoggettate alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra le une e le altre, la clausola del regolamento condominiale che dispone che le spese di manutenzione delle scale vadano ripartite secondo l’art. 1124 c.c. non può affatto essere intesa come convenzione contraria alla suddivisione delle spese di manutenzione degli ascensori secondo lo stesso criterio; né tanto meno vale quale deroga all’art. 1124 c.c. la clausola contenuta nell’atto di acquisto che prevede che la ripartizione delle spese condominiali avvenga secondo i millesimi e in conformità a quanto disposto dal regolamento.”
SULLE DELEGHE: “La Corte d’Appello, invocando la cosiddetta prova della resistenza, ha escluso l’invalidità della deliberazione impugnata, nella quale l’amministratore ha esercitato il diritto di voto munito di tre deleghe, in violazione dell’art. 18 del regolamento condominiale, che stabilisce che nessuno possa rappresentare in assemblea più di due condomini.
Secondo, però, l’orientamento di questa Corte, la clausola del regolamento di condominio volta a limitare il potere dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, riducendolo, come nella specie, a non più di due deleghe, regola l’esercizio del diritto di ciascun condomino di intervenire in questa a mezzo di delegati (art. 67, comma 1, disp. att. c.c., anch’esso modificato dalla legge n. 220/2012 con riformulazione qui non applicabile ratione temporis), inderogabile (secondo quanto si evince dal successivo art. 72) giacchè posto a presidio della superiore esigenza di garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell’interesse comune dei partecipanti alla comunione, considerati nel loro complesso e singolarmente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5315 del 29/05/1998).
Sicchè la partecipazione all’assemblea condominiale di un rappresentante fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento di condominio, comportando un vizio nel procedimento di formazione della relativa delibera, dà luogo ad un’ipotesi di annullabilità della stessa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7402 del 12/12/1986), senza che possa rilevare il carattere determinante del voto espresso dal delegato per il raggiungimento della maggioranza occorrente per l’approvazione della deliberazione stessa.”
Il Tribunale di Napoli (4 sez. civile 1 marzo 2017) affronta un caso peculiare in materia di supercondominio: alcuni condomini si dolgono che l’amministratore in carica non sia stato ritualmente nominato e chiedono al Giudice la nomina di nuovo amministratore, rappresentando anche che l’attuale avrebbe commesso gravi irregolarità.
Il ricorso non brilla per coerenza, rigore formale e sistematicità, ed il conseguente provvedimento sembra essere afflitto dagli stessi vizi, pur apparendo sostanzialmente condivisibile nella sostanza e fornendo comunque utili elementi di riflessione su una materia che la legge 220/2012 ha reso più insondabile della stele di Rosetta.
Il giudice partenopeo, chiamato a decidere in sede di volontaria giurisdizione, afferma: ” ante riforma del condominio, attuata con legge 220 del 2012 in vigore da giugno 2013, il parco “S.” era gestito da un amministratore e da un Consiglio della Comunione.
La riforma ha previsto invece che ciascun Condominio debba (nel caso ora in esame) “…designare il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore” – art. 67 att. c. c. –
Ciò non è avvenuto perché i Condominii “D.” e “T.” non hanno nominato i loro rappresentanti; frattanto quel Consiglio è decaduto e l’amministratore è scaduto, ma è rimasto in prorogatio.
Questa proroga è divenuta non più compatibile col sistema ma non c’è quell’assemblea dei rappresentanti che dovrebbe provvedere alla conferma dell’amministratore oppure ad una nuova nomina, cosicché i ricorrenti hanno chiesto che sia il Tribunale a provvedere, adombrando pure delle gravi irregolarità del suddetto amministratore.”
Il Tribunale, incidentalmente e assai sommariamente, senza alcuna motivazione, rileva che il regime della prorogatio sarebbe oggi incompatibile con le previsioni della riforma, tesi che appare non del tutto scontata, posto che l’art. 1129 VII cod.civ. pare applicabile solo alle ipotesi in cui sia stato nominato un successore e – secondo autorevole dottrina (Corona) – parrebbe non incidere sull’istituto della proroga delineato negli anni dalla giurisprudenza (per un interessante approfondimento: matteo peroni, “in difesa della prorogatio”, con ampio riscontro dottrinale e giurisprudenziale).
I motivi in forza dei quali il ricorso è respinto appaiono comunque condivisibili nel merito, pur a fronte di un argomentare che appare assai schematico e didascalico : il Tribunale sostanzialmente rileva l’inopportuna scelta del mezzo processuale a fronte di rimedi tipici sia per la nomina dei rappresentanti mancanti ex art. 67 disp.att. cod.civ. che per l’eventuale valutazione di condotte irregolari (che comporterebbero revoca), rilevando altresì che solo a fronte dell’inerzia dell’assemblea – che nel caso di specie non si riscontra.. perchè manca la stessa assemblea dei rappresentanti – il Tribunale può intervenire in via succedanea, né può valutare irregolare la condotta dell’amministratore che non abbia reso il conto ad una assemblea inesistente per difetto dei rappresentanti: “ se l’assemblea non vi provveda, la nomina di un amministratore è fatta dall’autorità giudiziaria (art. 1129 comma 2° cod. civ.) – Fintanto che l’assemblea non decida sul punto, il Tribunale non può intervenire a nominarlo lui; il suo intervento é solo succedaneo e surrogatorio perchè l’assemblea dei condomini è sovrana e può in ogni momento sostituire l’amministratore nominato dal Tribunale con altri di suo gradimento.
Solo che nel caso in esame questa assemblea non c’è e fintanto che essa non venga costituta e convocata, e si esprima a tal riguardo, il Tribunale non può intervenire .
Non può farlo neppure a norma dell’art. 1105 c. c. in quanto lo stallo assembleare non è dovuto ad una qualche patologia operativa dell’assemblea, che non si riesca a comporre ed a far funzionare, ma soltanto alla mancata attivazione di ben due possibili procedure, ex art. 67 disp. att. (vedi), ad opera di uno solo dei condomini per ciascuno dei Condominii inadempienti oppure ad opera di uno solo dei rappresentanti già nominati.
Quindi il Tribunale è stato adito non per superare uno scoglio ma per aggirare un ostacolo superabile in un duplice modo , e questo non è consentito.
Per quanto poi attiene alla condotta dell’amministratore, è pur vero che egli debba “…redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni” (art. 1130 n. 1O e.e.) ed inoltre “…costituisce grave irregolarità l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto” (art. 1129 comma 12 n. 1)
Ma questa “assemblea” è quella dei rappresentanti dei Condominii, che non c’è, e che costituisce un “collegio perfetto”, non in grado di operare se manca un suo componente. E’ ovvio che, frattanto, l’amministratore non possa pretendere di non rendere conto a nessuno del suo operato. Pare che abbia ovviato presentando all’assemblea di ciascun fabbricato la sua quota di partecipazione alle spese (ovviamente di gestione ordinaria), rimedio tutto sommato accettabile.
Per il resto, le gravi irregolarità vanno rapportate agli obblighi nascenti dal contratto di mandato che lega l’amministratore al Condominio , cosicché la sua condotta deve essere negligente e l’inadempimento deve essere importante nel suo contesto generale, tale per cui, all’esito di un ordinario giudizio di cognizione dovrebbe comportare una pronuncia di risoluzione del contratto stesso.
Prima e fuori di tale momento processuale , e nell’interesse dei condomini tutti, il Tribunale interviene, in sede di volontaria giurisdizione, allo scopo di ricondurre subito la gestione del condominio a livelli di ordinaria e corretta operatività. Nel caso in esame non ricorrono le suddette condizioni con riguardo alle altre segnalate inadempienze”
Un ringraziamento all’amico avvocato Ghigo Giuseppe Ciaccia del foro di Napoli, difensore vittorioso dell’amministratore in carica, che mi ha segnalato il provvedimento.
L’art. 67 V comma disp.att. cod.civ., così come introdotto dalla L. 220/2012, prevede che “All’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea”.
Oggi il divieto è espressamente previsto dalla legge, anteriormente alla novella del codice la giurisprudenza aveva comunque ritenuto che la delega a partecipare alla assemblea, conferita da un condomino all’amministratore, ove avesse riguardo a delibere relative alla nomina o revoca dell’amministratore o all’approvazione del bilancio esponesse la decisione a vizio di annullabilità per conflitto di interesse.
Il Tribunale di Larino ha ritenuto di recente che anche la delega al socio accomandante della società in accomandita semplice, che svolgeva l’incarico di amministratore del fabbricato, urtasse contro il divieto della norma attuativa.
Osserva il Giudice molisano che “Fondata è l’eccezione di nullità della deliberazione impugnata, in quanto adottata in palese violazione dell’art. 67, co. 4, disp. att. c.c., che vieta espressamente il conferimento all’amministratore di condominio di “deleghe perla partecipazione a qualunque assemblea”. Nella fattispecie, dalla deliberazione in esame risultano conferite dai condomini Ci. e Le. le rispettive deleghe a partecipare in loro nome e per loro conto alla suddetta assemblea all’avv. An.Lo., la quale, come dimostrato per tabulas dalla parte attrice (visura camerale – all. n. 1 del fascicolo di parte attrice), riveste la posizione di socio accomandante della medesima amministratrice “St.Ae. S.a.s.”. Di conseguenza, parimenti fondata è anche l’ulteriore eccezione di illegittimità e di conseguente annullabilità della deliberazione in parola, stante l’evidente conflitto di interessi tra la società amministratrice ed il Condominio “To.” in relazione tanto all’approvazione del bilancio consuntivo 2013/14 e del relativo riparto delle spese, oltre che delle rate del bilancio preventivo del 2015 e del relativo riparto delle spese, quanto della conferma o della revoca della medesima società amministratrice.”
Interessanti le riflessioni sulla portata dell’art. 67 disp.att. cod.civ. “Deve rilevarsi in proposito che la ratio della norma introdotta dal legislatore con il novellato art.67, co. 4, disp. att. c.c. è ispirata non solo all’esigenza di consentire la partecipazione personale dei singoli condomini alla relativa assemblea, ma anche all’esigenza di scongiurare situazioni di conflitto di interesse come quella in discorso. Proprio in relazione a siffatte situazioni la giurisprudenza formatasi prima della novella legislativa del 2012 ha affrontato la questione della validità o meno della delega conferita all’amministratore, esprimendo l’indirizzo consolidato secondo cui quando gli argomenti sottoposti al vaglio ed alla decisione dell’assemblea dei condomini comportino un giudizio sulla persona e sull’operato dell’amministratore riguardo a materie inerenti alla gestione economica della cosa comune, come avviene nel caso delle delibere di approvazione del bilancio consuntivo e di conferma o revoca dell’amministratore, sussiste una situazione di conflitto di interessi tra amministratore e condominio, che può essere fatta valere da qualsiasi partecipante alla collettività condominiale (Cass. civ., 22.07.2002, n. 10683).”
Per non farsi mancare nulla il Condominio aveva anche omesso di indicare a verbale i soggetti votanti, così che non era dato comprendere chi avesse espresso il proprio voto: ulteriore profilo che da sempre costituisce vizio.
Il Tribunale sembra graduare nella motivazione i profili di vizio, attribuendo alla violazione dell’art. 67 disp.att. cod.civ. la più grave nullità e alle altre due violazioni la sanzione della annullabilità: “Nel caso di specie, l’approvazione del bilancio consuntivo del 2013/14 e la conferma di “St.Ae. S.a.s.” come amministratore del Condominio “To.” risultano essere state decise in difetto di qualsiasi indicazione del numero e dei nominativi dei votanti, di quelli favorevoli e contrari, dissenzienti ed astenuti, nonché delle rispettive quote millesimali rappresentate, cosicché non risulta con quale maggioranza siano stati assunti i suddetti deliberati e, stante l’illegittimità delle deleghe conferite all’avv. An.Lo. dai condomini Ci. e Le. in violazione del divieto sancito nell’art.67, co. 4, disp. att. c.c., se l’eventuale votazione espressa sui predetti punti dell’ordine del giorno dal rappresentante dei due condomini, in quanto portatore di un interesse contrastante con quello del Condominio convenuto, sia stato o meno computato al fine del raggiungimento delle maggioranze prescritte nell’art. 1136 c.c., atteso l’obbligo di astensione dalla votazione gravante sul medesimo rappresentante in conflitto di interessi. Peraltro, l’illegittimità della deliberazione in parola, derivante a priori dalla violazione del predetto divieto legislativo, neppure potrebbe escludersi sulla scorta dell’operatività ipotetica della presunzione della conformità degli interessi dei condomini deleganti con quello del delegato (Cass. civ., sez. II, 22.07.2002, n. 10683), poiché è da ritenersi che l’appartenenza di quest’ultimo nella veste di socio accomandante, alla società amministratrice del Condominio “To.” ben era e ben è conoscibile ai terzi e, quindi, ai suddetti condomini deleganti in forza della funzione di pubblicità dichiarativa assolta dalla relativa iscrizione nel registro delle imprese tenuto dalla C.C.I.A.A. di Campobasso, così come risulta dalla visura camerale prodotta dalla parte attrice”
Da sottolineare anche il rilevo processuale, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., della ingiustificata mancata partecipazione del Condominio alla mediazione.
Non del tutto congruente invece appare il dispositivo della sentenza con quanto espresso nella motivazione, atteso che, dopo aver ascritto alla nullità il vizio formale relativo alla violazione dell’art. 67 disp.att. cod.civ., il Tribunale si limita a disporre annullamento della delibera ex art. 1137 cod.civ.