brevi riflessioni in tema di obblighi formativi dell’amministratore di condominio.

Nei giorni scorsi è stato dato risalto, sulla stampa di settore e sul web, ad una sentenza del Tribunale di Padova in cui si afferma che – a mente dell’art. 71 bis disp. att.cod.civ. e del dm 140/2014 – la nomina di amministratore che non abbia adempiuto agli obblighi formativi sarebbe affetta da nullità e che tale obbligo formativo deve essere necessariamente espletato da ottobre ad ottobre di ogni anno, poichè il decreto attuativo (di una norma di attuazione…) non fa riferimento all’anno solare.

Tribunale Padova 24 marzo 2017 n. 818 afferma testualmente: “Nel decreto ministeriale n 140 del 2014, entrato in vigore il 09 ottobre 2014, si legge che l’ obbligo di formazione ha cadenza annuale e, poiché non si parla di anno solare, si deve ritenere che l’ obbligo di aggiornamento /frequentazione dei corsi vada dal 9 ottobre 2014 al 09 ottobre 2015 e di seguito per gli anni successivi; Seguendo questo meccanismo non è possibile recuperare i corsi di formazione periodica annuali essendo ogni certificato valevole per l’anno successivo.

E’ pacifico in giurisprudenza che la mancanza di frequentazione del corso rende illegittima la nomina di amministratore di Condominio nel senso che l’amministratore non potrà assumere incarichi per l’anno successivo e che la sua nomina sarebbe nulla…”

… Se da un lato può ritenersi che la nomina ad amministratore è da ritenere valida perché il Condominio convenuto ha provato la sussistenza dei requisiti dell’amministratore al momento della sua nomina, per avere frequentato il corso obbligatorio per l’anno 2014/2015 dall’altro va dichiarato che l’impugnativa da parte dell’attore con la richiesta di nullità della delibera e conseguente revoca dell’amministratore (conseguenza automatica) era legittima e giustificata proprio dal comportamento tenuto dall’ Amministratore del Condominio che non era stato in grado di fornire la prova della sussistenza dei suoi requisiti, prima della sua nomina.”

La sentenza non sembra brillare per rispondenza ai principi cardine cui devono fare capo i provvedimenti giurisdizionali, ovvero essere adeguatamente motivati.

Non sfuggirà anche al lettore meno attento che la pronuncia contiene meri postulati, privi di  alcun approfondimento critico.

Quanto alla nullità, la materia è complessa e sarà oggetto di future riflessioni su queste pagine, ma non sarà inutile notare sin d’ora  che questo Tribunale ha idee originali  sulle modalità operative della nullità: sfugge per per quali motivi i requisiti  dovrebbero esistere anteriormente alla nomina  e non al momento della stessa o, meglio ancora, della accettazione.

Sfugge, ancor più, per quale ragione –  se la nomina fosse nulla – andrebbe revocato un amministratore che mai tale sarebbe  diventato, essendo l’atto che lo ha nominato privo di alcun effetto per la pretesa nullità dello stesso.

Gioverà infine osservare che non sussiste sul punto una sola riga di motivazione sulla sussistenza stessa dei profili di nullità, evidenziati in forza di una asserita pacifica giurisprudenza di cui  il giudice si guarda bene dall’indicare gli estremi.

La riflessione più curiosa è tuttavia quella sulla decorrenza dell’obbligo di formazione da ottobre ad ottobre per tutti i secoli a venire, che rende gli amministratori un pò simili agli aironi, ai mignattai, ai piro piro boscherecci, e a tutti quei migratori che in quel periodo compiono il lungo viaggio  fra i due emisferi che la natura gli ha programmato nel DNA.

Ora, appare decisamente singolare sostenere che qualche oscuro funzionario ministeriale abbia potuto imprimere per tutti i millenni a venire analoga traccia genetica nel DNA degli amministratori di condominio  relativamente alla formazione con un semplice decreto attuativo uscito – per avventura  – in ottobre.

Si noti che che l’art. 71 bis nulla dice sull’obbligo annuale, il d.m. 140/2014 all’art.  art 5 comma 2 afferma  semplicemente  Gli obblighi formativi di aggiornamento hanno una cadenza annuale”.

Se le parole hanno un senso (e per l’interprete dovrebbero averlo a mente dell’art. 12 delle preleggi al codice civile) “cadenza annuale” vuol semplicmente significare che fra un evento formativo e l’altro non deve decorrere oltre un anno e che l’adempimento obbligatorio è parametrato, come ogni altra vicenda condominiale, ad un periodo annuale.

Il che significa, in pratica, che – a far data dalla entrata in vigore del decreto – l’amministratore aveva 365 giorni di tempo per svolgere la formazione periodica e che, ottenuta la relativa attestazione, avrebbe dovuto svolgere un ulteriore corso della durata minima di quindici ore entro un anno, e così via a seguire.

La soluzione più semplice, ovvia, sensata e aderente al significato letterale del testo normativo (oltre che a criteri di buon senso ancor prima che di ordine sistematico) appare quella volta  semplicemente ad ancorare l’obbligo formativo alla durata dell’esercizio condominiale, che la legge indica inderogabilmente di durata annuale (indipendemente dalla data in cui abbia inizio).

Se così deve intendersi la norma, l’amministratore – in qualunque parte dell’anno abbia inizio il suo  mandato –  dovrà aver assolto  ai suoi obblighi formativi entro un anno dall’evento precedente cui ha partecipato.
Siccome un anno è un anno, e dentro non ce ne può stare nè più nè meno, se  sarà stato nominato  a marzo 2017 il suo mandato terminerà  al marzo  successivo, laddove abbia svolto il corso a luglio  2016 sarà dunque ancora coperto, e così via.

Pare dunque che la stagione delle migrazioni possa rimanere appannaggio dei volatili, salvo per coloro che hanno addirittura adeguato il proprio statuto a quei ritmi ancestrali.

Pare anche che i commenti entusistici sulla sentenza, resi da alcune associazioni in questi giorni, abbiano uno spessore di approfondimento e di motivazione analogo a quello della pronuncia.

massimo ginesi 8 giugno 2017

le norme sui requisiti dell’amministratore sono di ordine pubblico?

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Da molti si sostiene che la disciplina di cui all’art. 71 bis disp.att. cod.civ. , in tema di requisiti dell’amministratore, costituisca disciplina sottratta alla disponibilità delle parti poichè volta a garantire  interessi diffusi o, per alcuni , di ordine pubblico. Sarebbero infatti destinati ad assicurare  la rispondenza dell’amministratore a determinati parametri di affidabilità e professionalità, esigenza riconducibile alla collettività che il legislatore riterrebbe prioritaria rispetto alla autonomia privata.

La Cassazione, con una recentissima pronuncia, che per verità ha ad oggetto un caso sorto sotto la vigenza  della disciplina ante L. 220/2012, quindi quando l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. non era ancora in vigore, afferma che rientra nella libera determinazione delle parti stabilire i requisiti richiesti all’amministratore, cosicché è lecita la clausola di un regolamento condominiale di natura contrattuale che detti specifici requisiti per la figura dell’amministratore.

Cass. civ. II sez. 30 novembre 2016 n. 24432 ha deciso su un motivo di ricorso così formulato: ” si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1129-1105-1138 cod. civ., 3-41-42 Cost. e 85 Trattato istitutivo CEE, per avere la Corte di Appello ritenuto che il regolamento del condominio — nel prevedere all’art. 27, comma 4, che “l’amministratore dovrà essere un libero professionista iscritto al rispettivo albo elo associazione, ordine o collegio di appartenenza” — potesse derogare alle norme di legge che regolano la nomina dell’amministratore, vietando che tale nomina fosse conferita ad una società di persone; si lamenta anche che la Corte territoriale abbia interpretato il regolamento condominiale nel senso che vietasse la nomina ad amministratore di una società di persone e che comunque — ferma tale interpretazione — non abbia ritenuto nullo il regolamento condominiale sul punto”

Ed ha affermato Le censure sono infondate. Non sussiste alcuna violazione di legge nella previsione del regolamento condominiale che stabilisca le caratteristiche, i requisiti e i titoli che deve avere l’amministratore del condominio. Invero, in tema di condominio negli edifici, l’art. 1138 quarto comma cod. civ., pur dichiarando espressamente non derogabile dal regolamento (tra le altre) la disposizione dell’art. 1129 cod. civ., la quale attribuisce all’assemblea la nomina dell’amministratore e stabilisce la durata dell’incarico (Sez. 2, Sentenza n. 13011 del 24/05/2013, Rv. 626458), non preclude però che il regolamento condominiale possa stabilire che la scelta dell’assemblea debba cadere su soggetti (persone fisiche o persone giuridiche) che presentino determinare caratteristiche, requisiti o titoli professionali.

La pronuncia attiene a caso sorto sotto la vigenza della legge precedente e quindi non può essere letto che in quell’ottica, è tuttavia singolare che la corte si limiti ad affermare unicamente il principio della autonomia privata senza fare minima menzione della sopravvenuta normativa che si assumerebbe di ordine pubblico e, come tale, inderogabile.

Potrebbe trattarsi di estrema sintesi del giudice di legittimità, di mera svista oppure potrebbe trattarsi di indicazione interpretativa assai importante anche per la lettura delle norme sopravvenute.

© massimo ginesi 2 dicembre 2016 

L’amministratore deve essere un professionista, il suo giudice non più

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“ la lingua italiana – scriveva Flaiano – non è adatta alla protesta, alla rivolta, alla discussione dei valori e delle responsabilità, è una lingua buona per fare le domande in carta da bollo, ricordi d’infanzia, inchieste sul sesso degli angeli e buona, questo sì, per leccare. Lecca, lecca, buona lingua italiana infaticabile fai il tuo lavoro per il partito o per i buoni sentimenti “

In realtà il paradosso di Flajano era il frutto dell’amara delusione e disillusione di fronte ad un paese, non ad un linguaggio, che ha sempre omesso di considerare il bene del gruppo, preferendo quello dei pochi, ammantandolo di parole fuorvianti.

Oggi il legislatore, con quella stessa lingua, ci dice da un lato che l’amministratore deve essere un professionista serio, preparato, rigoroso, soggetto a ben precise caratteristiche di affidabilità personale e sociale (basti vedere i numerosi requisiti previsti dall’art. 71 bis disp.att. cod.civ.), che risponde a parametri di deontologia, trasparenza e correttezza verso il suo utente consumatore, secondo un modello che – seppure non strutturato in ordini o collegi – è in tutto e per tutto rapportato dalla L. 4/2013 alle caratteristiche delle professioni ordinistiche.

Last but not least, il D.M. 140/2014, come norma attuativa dell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., prevede che l’amministratore deve essere un professionista soggetto a formazione continua e, cosa ancor più singolare, sottoposto obbligatoriamente ad una valutazione annuale, cosa che forse è richiesta oggi solo ai piloti da combattimento e a poche altre professioni.

Tutto ciò, seppure con qualche auspicabile correzione e qualche rigidezza in meno, è stato salutato come il dovuto riconoscimento – trascorsi settanta anni dalla entrata in vigore del codice civile – ad una figura che occupa un ruolo tecnico, complesso, sfaccettato e che richiede competenze eterogenee e non comuni  che vanno dal diritto alla contabilità, alla fiscalità, alla sicurezza sul lavoro. L’amministratore di condominio non deve essere né un avvocato, né un ingegnere né un commercialista ma deve essere un professionista di grande preparazione che – come i medici condotti di una volta – sia in grado di percepire celermente la natura di un problema e di indirizzare il paziente dallo specialista più adatto.

Ciò richiede, indubbiamente, una seria preparazione e un costante aggiornamento, che deve abbinarsi ad una provata affidabilità, ritenuta imprescindibile in un soggetto che – nell’adempimento del proprio dovere professionale – è chiamato anche a gestire ingenti quantità di denaro dei suoi amministrati.

Insomma negli anni dal 2012 al 2014 il legislatore ci ha detto che, finalmente, l’amministratore non era più quel quisque de populo che emergeva dal silenzio del codice del 1942 ma doveva diventare un professionista di grande competenza e attendibilità, in quanto chiamato ad operare in un settore di fra i più complessi e rilevanti nel contesto socioeconomico, ovvero la multiforme realtà degli edifici in condominio; una realtà che rappresenta un laboratorio sperimentale ove si mescolano i profili più delicati del diritto (dai diritti reali alle obbligazioni plurisoggettive, con i relativi articolati processuali) insieme a quelli tecnici degli impianti, degli edifici, della contabilità e della normativa fiscale e tributaria fino alla gestione dei gruppi; un breve sguardo alle materie di aggiornamento obbligatorio previste dall’art. 5 del DM 140/2014 fa impallidire i programmi di diversi corsi universitari: “I corsi di formazione e di aggiornamento contengono moduli didattici attinenti le materie di interesse dell’amministratore, quali:a) l’amministrazione condominiale, con particolare riguardo ai compiti ed ai poteri dell’amministratore; b) la sicurezza degli edifici, con particolare riguardo ai requisiti di staticita’ e di risparmio energetico, ai sistemi di riscaldamento e di condizionamento, agli impianti idrici, elettrici ed agli ascensori e montacarichi, alla verifica della manutenzione delle parti comuni degli edifici ed alla prevenzione incendi; c) le problematiche in tema di spazi comuni, regolamenti condominiali, ripartizione dei costi in relazione alle tabelle millesimali; d) i diritti reali, con particolare riguardo al condominio degli edifici ed alla proprieta’ edilizia; e) la normativa urbanistica, con particolare riguardo ai regolamenti edilizi, alla legislazione speciale delle zone territoriali di interesse per l’esercizio della professione ed alle disposizioni sulle barriere architettoniche; f) i contratti, in particolare quello d’appalto ed il contratto di lavoro subordinato; g) le tecniche di risoluzione dei conflitti; h) l’utilizzo degli strumenti informatici; i) la contabilita’.”

A fronte della conclamata complessità della materia, che il legislatore ha ritenuto motivo essenziale per riqualificare (opportunamente) il ruolo e la figura professionale dell’amministratore di condominio, è stata di recente approvata la Legge, 28/04/2016 n° 57, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29/04/2016, che  delega al Governo la riforma della magistratura onoraria.
Già è singolare che una legge che tocca un settore tanto delicato sia delegata all’esecutivo e non sottoposta ad un serio ed approfondito confronto parlamentare. Peraltro il disegno di legge, oltre ad intervenire in maniera assolutamente discutibile – precarizzandola definitivamente – su una figura che da vent’anni regge un bel pezzo del carico dei Tribunali facendo appello spesso solo alla propria buona volontà – unifica Giudici Onorari di Tribunale e Giudici di Pace in un unico ibrido definito Magistrato Onorario di Pace e introduce una sconcertante previsione: “Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera p), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi,:…“attribuendo alla competenza dell’ufficio del giudice di pace:a) le cause e i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio degli edifici”.

Oggi quella materia che è stata definita di tale complessità da richiedere a chi la pratica quotidianamente come attività professionale parametri stringenti e di grande livello, viene in blocco attribuita alla cognizione di un giudice che la stessa legge definisce come figura minore, transitoria e di mero complemento, destinata a rimanere in servizio un quadriennio (prorogabile una sola volta) e con obbligo di dedicarsi contemporaneamente ad altra professione che gli assicuri da vivere,  con un tetto massimo di tempo settimanale da dediciare allo svolgimento della attività giurisdizionale.

L’intera cognizione sulla materia del Condominio sarà dunque affidata in primo grado ad non professionista, un soggetto che lo stesso legislatore relega a figura minore della giurisdizione.

Tutte le controversie in tema di nomina e revoca dell’amministratore diventeranno di competenza del magistrato onorario che – non dedicandosi professionalmente, perché la legge glielo impedisce – a tale attività le guarderà come e quando potrà; stessa sorte attende le impugnative delle delibere condominiali, qualche che sia il loro valore.

Con l’ulteriore problematica che, essendo la materia cautelare sottratta al magistrato onorario, della eventuale sospensiva della efficacia delle delibere si dovrà forse andare a discutere dinanzi al Tribunale, con inutile duplicazione di fasi e costi.

Con la stessa lingua di Flaiano il legislatore ci ha detto che la materia del Condominio è materia assai tecnica e complessa, e di ciò non ne dubitiamo, essendo diversi i grandi giuristi che hanno dedicato a quel tema molte delle loro energie (da Salis a Corona), dall’altra ci sta per dire che, tuttavia, le liti che scaturiscono da quella materia così complessa è bene che le decida un giudice onorario, precario e non professionista.

Contro tale stranissima visione si è già levata alta la voce di diverse associazioni di amministratori e anche di personalità del mondo dell’avvocatura come Maurizio de Tilla, presidente dell’Associazione Nazionale Avvocati Italiani nonché prolifico e attento studioso della materia del Condominio.

Non resta che confidare nei decreti governativi, che comunque dovranno attenersi ai parametri dettati dalla delega e quindi non potranno certo mutarne l’impianto.

alcuni fra i primi approfondimenti

altalex – r. amoroso, riforma della magistratura onoraria: più ombre che luci

altalex – g. buffone, Magistratura onoraria: tutte le novità della riforma

© massimo ginesi 26 luglio 2016 

Amministratori: quando legislatore fa rima con demagogia…

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un ordine del giorno che impegna il governo a “intraprendere ogni iniziativa utile all’individuazione dei requisiti di professionalità che deve avere l’amministratore e a darne adeguata pubblicità, obbligandolo ad allegare al verbale di nomina, già in sede assembleare, la documentazione che attesti di essere in possesso dei requisiti di cui all’articolo 71-bis delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e del decreto ministeriale n. 140 del 2014”

Ci sono già due leggi e un decreto ministeriale ( assai mal fatti) che disciplinano la materia. Basterebbe, forse, interpretarli correttamente e applicarli.

Oppure, ove si ritenga che non siano idonei, modificarli (a riprova della valenza di un legislatore che in quattro anni fa tre provvedimenti che ha già ritoccato due volte e che ancora trova inadeguati…)

Oggi il Governo si impegna a rivedere ancora la disciplina (impegno peraltro dell’organo esecutivo e non legislativo).

E tutto ciò affinché l’amministratore sia tenuto ad allegare al verbale di nomina qualche attestazione sui requisiti: ma l’art. 71 bis disp. att. cod.civ. già prevede l’obbligo di quei requisiti e anche le conseguenze della loro assenza.

E l’assemblea che decida di nominare un certo amministratore, in violazione o meno della norma, non si spaventerà certo per un obbligo di allegazione documentale.

mala tempora currunt…

© massimo ginesi 26 luglio 2016 

DM 140/2014, interrogazione parlamentare sulla formazione degli amministratori

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Le  norme sulla formazione degli amministratori di condominio (introdotte dalla L. 220/2012 che ha aggiunto alle disposizioni di attuazione l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. e integrate con  la successiva emanazione del Dm 140/2014 che ha definito i contenuti di  una norma attuativa assolutamente generica)  hanno destato più di una perplessità e molte critiche fra gli operatori del settore.

Di recente, a tal proposito, è stata posta interrogazione parlamentare al Ministro della Giustizia:

“Atto n. 4-05984

Pubblicato il 21 giugno 2016, nella seduta n. 641

BOTTICI , BERTOROTTA , PUGLIA , DONNO , MANGILI , CAPPELLETTI , GIARRUSSO , MORONESE , LEZZI , PAGLINI , SANTANGELO , MONTEVECCHI , TAVERNA – Al Ministro della giustizia. –
Premesso che:
la legge n. 220 del 2012, recante “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”, cosiddetta ” riforma del condominio”, ha previsto che gli amministratori, che non siano scelti tra gli stessi condòmini, debbano frequentare annualmente dei corsi di aggiornamento;
il decreto-legge n. 145 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, ha rimandato per la concreta applicazione della citata previsione all’adozione da parte del Ministero della giustizia di un apposito regolamento;
tale regolamento è stato adottato tramite decreto ministeriale n. 140 del 13 agosto 2014, entrato in vigore il 9 ottobre 2014;
a giudizio degli interroganti, le norme contenute nel suddetto decreto ministeriale appaiono eccessivamente generiche e rispetto ad esse il Ministero della giustizia, ad intermittenza, decide se rispondere o meno alle questioni interpretative sottoposte alla sua attenzione;
considerato che, risulta agli interroganti:
il Dicastero della giustizia avrebbe risposto ad alcuni chiarimenti richiesti da Confedilizia, mentre avrebbe declinato a mezzo Pec (posta elettronica certificata) le richieste pervenute dall’Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) affermando, a giudizio degli interroganti incredibilmente, che esso non rilascia alcun chiarimento applicativo sul tema in questione;
come avrebbe denunciato la citata associazione dei consumatori, alcuni operatori del settore della formazione professionale degli amministratori condominiali, sfruttando malamente la nota ministeriale, svolgerebbero corsi di formazione contrari ai dettami impartiti dal decreto ministeriale n. 140 del 2014, consentendo di sostenere gli esami in modalità telematica, cosa questa assolutamente vietata dal predetto regolamento, in virtù dell’art. 5 del decreto stesso;
inoltre, a giudizio degli interroganti, l’assenza di controlli e sanzioni rende difficile il rispetto delle norme, nonché la conseguente sanzione da applicare nei confronti di pratiche scorrette e comunque illegittime,
si chiede di sapere se, alla luce dei fatti esposti in premessa, il Ministro in indirizzo intenda intervenire con l’emanazione di linee guida, che chiariscano i principali aspetti problematici derivanti dall’applicazione del decreto ministeriale n. 140 del 2014 o se intenda prevedere modifiche allo stesso, al fine di emendare le lacune e le incertezze contenute e generate dal decreto stesso”.

E’ davvero  è un paese ben strano quello in cui si emana una norma di legge attuativa  che richiede un regolamento ministeriale per essere compresa che, sua volta, richiede delle linee  guida per essere interpretato…

© massimo ginesi 5 luglio 2014

amministratore di condominio e art. 71 bis disp. att. cod.civ. , ma davvero è nullità?

La figura dell’amministratore condominio ha oggi connotazioni normative del tutto nuove, sconosciute al codice del 1942.Un ruolo che allora era indefinito quanto a forma e caratteristiche è stato disegnato dalla L. 220/12 e dalla L. 4/2013, che hanno profondamente inciso sulle caratteristiche necessarie per svolgere l’incarico. L’art. 71 bis disp.att. cod.civ., introdotto dalla legge 220/2012 disciplina i requisiti per lo svolgimento dell’incarico, mentre la L. 4/2013 prevede quelli richiesti per esercitare in forma professionale l’attività.

Le due normative non brillano per coordinamento e lasciano profonde perplessità, poiché introducono parametri simili ma non del tutto coincidenti.

Senza dubbio il legislatore di questi anni ha inteso riconoscere all’amministratore una valenza sociale e una rilevanza significativa quale strumento di tutela di interessi diffusi, pretendendo da una figura destinata al compito delicatissimo e complesso di gestire una rilevante componente del patrimonio immobiliare nazionale parametri di affidabilità e professionalità che travalicano il mero rapporto privatistico che intercorre con i condomini che gli conferiscono l’incarico. Vi è così chi ha letto nella normativa in vigore la caratteristica di norma imperativa, estendendo tale natura non solo alle previsioni a sicura valenza pubblicistica che regolano lo svolgimento della professione ma anche alle disposizioni contenute nell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., così che per alcuni interpreti la mancanza dei requisiti dettati dal codice civile comporterebbe nullità della nomina per contrarietà a norme imperative e – per alcuni lettori estremi – anche nullità di tutti gli atti compiuti dall’amministratore che dovesse trovarsi a svolgere l’incarico in assenza di tali requisiti.

Taluno ha richiamato anche la c.d. nullità di protezione che deriverebbe dall’art. 36 del c.d. codice del consumo, tesi che avrebbe peraltro possibile applicazione solo ove il l’amministratore abbia dolosamente occultato l’assenza dei requisiti e non ove l’assemblea abbia deliberatamente accettato quella assenza

La lettura, non priva di suggestioni, rischia però di diventare estrema e di apparire poco legata al dato testuale; soprattutto il richiamo ad un vizio grave e radicale come la nullità introduce conseguenze assai gravi e dagli esiti imprevedibili, cosicchè è necessario attendere ad una disamina diversa e più ponderata da parte di chi pretenda di porsi dalla parte dell’amministratore, che ha di recente e finalmente trovato una normativa che – seppur assai perfettibile – finalmente ne riconosce il ruolo e la professionalità.

Appare del tutto plausibile che l’amministratore di condominio debba rispondere a parametri che travalicano il mero interesse civilistico ed assicurano alla collettività che quella figura sia rivestita da un soggetto che garantisce affidabilità professionale, patrimoniale e personale. L’intero impianto della L. 4/2013 modula la figura dell’amministratore professionista su parametri astrattamente riconducibili alle professioni ordinistiche, con controlli a natura pubblicistica su formazione, onorabilità, tutela del consumatore, aggiornamento, ovvero tutti quei parametri che paiono idonei a soddisfare interessi pubblici e diffusi che il legislatore mostra di voler tutelare. Si può discutere se il metodo scelto sia idoneo allo scopo, ma è indubitabile che la legge sulle professioni non ordinistiche sia volta a soddisfare quei parametri.

Tale normativa viene emanata nel gennaio 2013, a pochi mesi di distanza dalla legge 220/2012 che prescrive a sua volta parametri assai vincolanti anche per lo svolgimento dell’incarico; appare improbabile che il legislatore abbia manifestato così tanta schizofrenia – sovrapponendo normative inconciliabili – così che assimilare i due testi in una unica lettura a carattere pubblicistico potrebbe essere fuorviante: in realtà l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. prevede alcuni requisiti di onorabilità e alcuni requisiti culturali per svolgere l’incarico. L’uso del termine “svolgere” e non di quello “assumere” sembra spostare l’attenzione del legislatore sul momento di esecuzione della prestazione e non su quello genetico della stessa.

A ciò si aggiunga che la stessa norma prevede – per il solo venir meno dei requisiti soggettivi di onorabilità – il rimedio espresso della cessazione dall’incarico, mentre nulla prevede ove non sussistano quelli relativi alla formazione.

Se il rimedio della cessazione appare di lineare applicabilità ove i requisiti vengano meno durante lo svolgimento dell’incarico (condanna passata in giudicato, protesto cambiario, etc.) ci si chiede quali conseguenze comporti l’assenza di tali presupposti sin dal momento della nomina, ovvero in quei casi in cui l’assemblea intenda coscientemente nominare amministratore un soggetto che non risponde a tutti i parametri della norma.

Soccorre in tale senso autorevolissima dottrina (Bianca, Di MArzio) che afferma che la previsione contrattuale che violi norme imperative (ammesso che all’art. 71 bis disp.att. cod.civ. debba riconoscersi tale natura) non riconduce necessariamente all’applicazione rigida dell’art. 1418 cod.civ. in tema di nullità del contratto, poiché la stessa norma prevede che tale gravissimo vizio colpisca il contratto solo ove espressamente la legge lo preveda. Nello stesso solco interpretativo si pone un rilevante orientamento giurisprudenziale che ascrive alla c.d. nullità virtuale tale ipotesi: “in difetto di espressa previsione in tal senso (cd. “nullità virtuale”), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità” Cass. 2394/2015

Il tema è complesso e richiede un approfondimento che travalica i limiti di queste riflessioni, tuttavia appare assai plausibile – alla luce degli orientamenti appena rammentati – una lettura che si discosti dalla tesi della nullità e si arresti al dato testuale della cessazione dall’incarico, tenuto conto che la stessa norma non ascrive la necessaria presenza di quei requisiti al momento genetico del rapporto ma al suo svolgimento, con il prodursi degli effetti della loro mancanza nel momento dell’adempimento e sul piano dell’efficacia e della responsabilità fra contraenti, categorie che anche sotto il profilo sistematico appaiono più pertinenti alla collocazione e connotazione civilistica della norma di attuazione.

Ne consegue che, se tale lettura ha un senso, la mancanza dei requisiti in capo all’amministratore sin dall’origine, lungi da introdurre pericolassime nullità (che potrebbe far valere, in ogni momento, chiunque vi abbia interesse, anche estraneo al condominio) al più legittimerebbe il condomino dissenziente a ricorrere al giudice per veder dichiarata l’inefficacia della nomina e dunque la cessazione dall’incarico dell’amministratore nominato in violazione, con eventuale ricorso all’art. 1105 cod.civ. ove non si riesca a nominarne altro. La sola assenza dei requisiti culturali, che il legislatore mostra di considerare di minor rilievo non ancorando alla loro mancanza alcuna sanzione diretta e addirittura considerandoli superflui per il soggetto che amministri uno stabile in cui ha una proprietà, darebbe invece luogo a mera revoca ai sensi dell’art. 1129 cod.civ.

© massimo ginesi giugno 2016

nel senso di una lettura non rigoristica della norma e della assenza di automatismi legati alla mancanza dei requisiti culturali  si è di recente espresso il Tribunale di Genova