E’ quanto statuisce la Suprema Corte in una recentissima pronuncia (Cass.civ. sez. II ord. 24 novembre 2020 n. 26703 rel. Scarpa), ove è stato ravvisato un indebito utilizzo del bene comune da parte di un condomino che aveva aperto varchi sul cortile comune e sulla pubblica via per accedere alle proprie autorimesse.
Osserva la Corte che “La Corte d’Appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito e sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la condomina N.Y. avesse aperto sul muro perimetrale condominiale due porte carrabili, una verso il cortile comune ed una verso la pubblica via, porte che per le loro dimensioni comportavano una notevole alterazione della funzione di contenimento del muro, e che peraltro cagionavano una riduzione della possibilità di uso del cortile comune a scopo di parcheggio, per la necessità di lasciare uno spazio di manovra alle autovetture che dovessero accedere al garage privato.
Il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto, in tema di uso della cosa comune, in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).
La nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo (dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione), implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.
Il proprietario di vani terranei di un edificio in condominio può, perciò, aprire porte di comunicazione tra tali vani e il contiguo cortile comune, ovvero per accedere ai primi dalla via pubblica, pur se uno o più dei detti vani siano già serviti da autonomo ingresso dalla stessa via, rientrando ciò nella facoltà di ciascun condomino di utilizzare la cosa comune per il miglior godimento della stessa anche apportandovi opportune modificazioni, sempre che non ne risulti alterata la destinazione e ne sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. Sez. 2, 18/02/1998, n. 1708; Cass. 14/12/1994, n. 10704; Cass. Sez. 2, 17/07/1962, n. 1899).
L’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c. al condomino, che si assuma abbia alterato, nell’uso della cosa comune, la destinazione della stessa (come avvenuto nel caso di specie, quanto al ritenuto pregiudizio arrecato al diritto dei condomini ad utilizzare il cortile quale area di parcheggio, come alla funzione di contenimento del muro comune), ricollegandosi all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, è comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità. Del resto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che è quello che lamenta la ricorrente, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.”
La Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II ord. 21 maggio 2020 n. 9383) richiama una costante giurisprudenza in tema di titolarità del sottotetto, osservando come -al fine di stabilirne la riconducibilità ai beni comuni ex art 1117 c.c. – valga, in prima istanza, il titolo e, ove quello non disponga sul punto, l’effettiva destinazione al soddisfacimento di esigenze comuni.
La pronuncia non brilla per argomenti e valenza espositiva, tuttavia appare interessante laddove sottolinea un aspetto assai frequente nella morfologia del fabbricato in condominio, ovvero l’esistenza di un unico accesso posto nel vano scale dal quale accedere ai volumi sommitali.
La Corte osserva che la condominialità del bene non può essere desunta dalla sola circostanza che l’accesso a tale vano avvenga da una botola posta nel vano scale:” la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune; il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo (Sez. 2, n. 17249 del 12/08/2011, Rv. 619027);
con l’ulteriore precisazione che per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicchè, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., comma 1; viceversa, allorchè il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento (Sez. 2, n. 6143 del 30/03/2016, Rv. 639396); – dalla laconica e ingiustificatamente apodittica motivazione, comunque erronea in punto di asserzione in diritto, non si comprende quali accertamenti abbiano convinto il Giudice a reputare che quella frazione di sottotetto (invero assai piccola, 15 mq.) fosse destinata all’uso comune, nel senso sopra specificato; – non supplisce il difetto di sussunzione il mero riferimento a non meglio specificate foto, nè l’affermata presenza di una botola d’accesso nel vano scala e di un cavo televisivo; – il fatto che il sottotetto svolga funzioni isolanti per tutto l’edificio non dimostra affatto lo specifico uso condominiale, ma, anzi, al contrario, conferma che esso riveste prevalente funzione di coibentazione dei singoli appartamenti posti all’ultimo piano; – manca, in definitiva, ogni compiuto accertamento in fatto sulla base del quale potersi affermare che le originarie caratteristiche strutturali dell’edificio fossero tali da doversi concludere per la destinazione dell’intiero sottotetto (quindi, anche della frazione sovrastante l’appartamento del ricorrente) a servizi comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c., comma 1, n. 2, non potendosi affermare raggiunta una tale prova attraverso il nudo riferimento all’esistenza di una botola d’accesso dal vano scala e di un cavo televisivo; considerato che, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, perchè il Giudice del rinvio riesamini la vicenda alla luce del principio di diritto sopra riportato, nonchè dell’ulteriore specificazione seguente: “lo spurio richiamo a una botola d’accesso dal vano scala e a un cavo televisivo, non dimostra che il sottotetto, “per le (sue) caratteristiche strutturali e funzionali” sia destinato all’uso comune, senza previamente aver verificato la consistenza strutturale originaria del sottotetto e, nel caso di accertata originaria destinazione all’uso comune, se essa concerna l’intiera superficie dello stesso e, comunque, se la stessa sia tale da assumere carattere di oggettiva prevalenza sulla tipica funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano”;
in questi tempi virali si legge un pò di tutto sul web, poiché pare che il timore di contagio abbia ormai dato via libera al bar virtuale, lucidamente preconizzato da Umberto Eco agli albori di internet.
A fronte di un quadro “normativo” semplicemente folle, che negli ultimi mesi ha visto stratificarsi DPCM, decreti legge convertiti con modifiche, decreti ministeriali, ordinanze, circolari e chi più ne ha più ne metta, non è facile districarsi fra le condotte lecite e quelle che invece incombono ex lege a determinati soggetti.
Certamente l’amministratore di condominio, cui è demandata una posizione di garanzia nei limiti di cui all’art. 1130 c.c., si trova ad affrontare un periodo non semplice
Fra le sortite più gustose viste sul web appare questo avviso, con il quale una delle tante associazioni di settore sembra invitare a trasmettere l’avviso ai propri amministrati, ai quali si ricorda il divieto di ingresso nel condominio per coloro che abbiano la febbre oppure manifestino sintomi influenzali.
All’amministratore che invita i propri condomini al rispetto delle norme di prudenza sconsiglieremmo di enfatizzare il messaggio ricordando loro che – non essendo coscritti su qualche tradotta diretta al Carso – tutto il resto dovrebbe apparire una sorta di attività ricreativa piacevole. Non tutti potrebbero gradire richiami così forti (e incongrui) e, alla prossima nomina, qualche condominio un pò più progressista potrebbe guardarsi intorno…
Nel merito sarebbe curioso comprendere come questi solerti tutori della salute pubblica intendano attuare il consiglio: forse chiedendo una autocertificazione al malcapitato sulla propria temperatura, i propri contatti, i propri viaggi (atto che questo signore non è affatto tenuto a rilasciare ad un privato), oppure mettendo una guardia armata al posto del portiere che sottoponga l’ospite al termoscanner (escluderemmo prelievi coattivi con termometri tradizionali…) e poi gli sbarri il passo, ma – soprattutto – quali poteri avrebbero l’amministratore, il portiere o un condomino di impedire fisicamente l’accesso di chicchessia al condominio (che sia condomino o privato che si rechi da un condomino)?
Forse è entrata in vigore qualche legge speciale che istituisce il podestà di condominio e che ci è sfuggita?
a noi pareva di ricordare che il DPCM 10 aprile 2020, che dispone proroga delle misure di contenimento e distanziamento sino al 3 maggio p.v., all’art. 1 preveda
b) ai soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e
febbre (maggiore di 37,5° C) e' fortemente raccomandato di rimanere
presso il proprio domicilio e limitare al massimo i contatti sociali,
contattando il proprio medico curante;
c) e' fatto divieto assoluto di mobilita' dalla propria
abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della
quarantena ovvero risultati positivi al virus;
Anche a non voler rilevare che “fortemente raccomandato” è termine che già solo sotto il profilo sintattico e grammaticale differisce da “è fatto obbligo”, si tratta, in ogni caso, di misure che non consentono di inibire l’accesso ad alcuno ma, semmai, di attivarsi presso la pubblica autorità per segnalare la violazione.
Costoro hanno poi ritenuto di trasformare la raccomandazione in divieto di accesso, da far rispettare da parte di soggetti sforniti di qualunque qualifica pubblica, che dovrebbero impedire l’ingresso al condominio di qualcuno febbricitante (perché magari ha un ascesso a un dente…), iniziativa del tutto arbitraria nei conforti di un condomino che magari in quel fabbricato possiede un domicilio ove, per semplici ragioni logistiche, intende trascorrere qualche tempo in questo complesso periodo.
La Cassazione ( Cass.civ. sez. II ord. 20 febbraio 2020 n. 4445) ribadisce un principio ormai ferreo, che la riforma del 2012 (la pronuncia si riferisce a caso che, ratione temporis, non vedeva ancora l’applicazione della L. 220/2012) ha vieppiù riaffermato anche in sede normativa agli artt. 1129, 1130 e 1130 bis c.c.
“La Corte d’appello ha, bensì, correttamente richiamato il consolidato principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “in tema di comunione dei diritti reali, ciascun comproprietario ha la facoltà (di richiedere e) di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e non soltanto in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea) e senza l’onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti), purché l’esercizio di tale facoltà non risulti di ostacolo all’attività di amministrazione, non sia contrario ai principi di correttezza, e non si risolva in un onere economico per il condominio (dovendo i costi relativi alle operazioni compiute gravare esclusivamente sui condomini richiedenti)” (Cass. n. 19210 del 2011; conf. Cass. n. 8460 del 1998; Cass. n. 15159 del 2001).
Ma di tale principio, tuttavia, la Corte di merito non ha fatto altrettanto corretta applicazione, avendo trascurato la contestuale affermazione di questa Corte di legittimità, per la quale “il condomino ha senz’altro il diritto di accedere alla documentazione contabile in vista della consapevole partecipazione all’assemblea condominiale e che a tale diritto corrisponde l’onere dell’amministratore di predisporre un’organizzazione, sia pur minima, che consenta la possibilità di esercizio di tale diritto e della esistenza della quale i condomini siano informati.
Con il che, deve ritenersi che a fronte della richiesta del condomino di accedere alla documentazione contabile per gli indicati fini di partecipazione consapevole ad un’assemblea che su quei documenti debba esprimersi, l’onere della prova (che nella specie non risulta assolto) della inesigibilità della richiesta e della sua non compatibilità con le modalità previamente comunicate incombe sull’amministratore e, quindi, in sede di impugnazione della delibera assembleare, al Condominio, ove intenda resistere all’azione del condomino dissenziente” (Cass. n. 19210 del 2011, cit.; coni. Cass. n. 19800 del 2014; Cass. 19799 del 2014).”
in un supercondominio il regolamento contrattuale indica specificatamente quali debbano intendersi le porte di accesso comuni, fra cui non ne è ricompresa una che pure affaccia su parti comuni e di cui un condomino chiede di avere le chiavi, per poter accedere da quel varco ad un suo box esterno, posto nel perimetro del condominio.
I giudice di merito (Giudice di Pace e, in appello, Tribunale di Milano) hanno negato tale facoltà, ritenuta invece del tutto legittima dalla Cassazione (Cass.civ. sez. VI 12 giugno 2019 n. 15851), che ha rilevato come la circostanza che quella porta non fosse indicata nel regolamento quale accesso comune non ne fa venir meno la sua natura sostanziale di bene comune, sì che della stessa ben potrà giovarsi in maniera più intensa un condomino, secondo quanto previsto dall’art. 1102 c.c., essendo peraltro vietato unicamente collegare beni comuni a beni individuali esterni al condominio, poichè ciò darebbe luogo a costituzione di servitù, mentre è perfettamente ammissibile giovarsi di parti comuni per accedere a proprietà individuali poste nel condominio.
“La sentenza impugnata ha ritenuto desumibile la non destinazione della porta in questione all’apertura come varco verso l’esterno dall’elencazione contenuta nell’art. 10 del regolamento contrattuale degli accessi pedonali e carrabili al condominio, che non la contempla pur essendo coeva all’edificazione (cfr. pp. 4 e 5 della sentenza impugnata); secondo il tribunale la non destinazione della porta ad accesso non inciderebbe sul diritto dei condomini a far pari uso della cosa comune garantito da detta norma, trattandosi di un mero divieto contrattuale di accesso generalizzato nell’interesse comune.
La statuizione non è in linea con la giurisprudenza di questa corte (v. recentemente Cass. n. 2114 del 29/01/2018) secondo cui l’art. 1102 c.c. prescrive che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, salvo il limite della non alterazione della destinazione, chiarendosi che l’art. 1102 c.c. non pone una norma inderogabile, potendo detto limite essere reso perfino più rigoroso dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il “quorum” prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni.
Ciò posto, è evidente che, nel caso di specie, la decisione del giudice d’appello concreta l’introduzione di un siffatto divieto di uso generalizzato, peraltro attraverso una visione peculiare secondo la quale gli unici accessi a parti comuni sarebbero da ritenere quelli elencati nel regolamento. Erroneamente dunque il giudice d’appello, in base all’interpretazione del regolamento condominiale contrattuale, ha ritenuto – in ragione di una malintesa tassatività dell’elencazione degli accessi pedonali e carrabili – doversi ritenere precluso l’accesso mediante la porta in questione, pur se parte comune; esclusione che viola il diritto dei condomini all’uso delle parti comuni.
Neppure coerente con l’interpretazione corretta dell’art. 1102 c.c. come sopra accolta è la considerazione, svolta dal tribunale, secondo cui – avendo l’Immobiliare Poasco s.r.l. edificato un complesso di box all’esterno del supercondominio, ed immettendo la porta in questione su una striscia di terreno comune interclusa, ma separata da un cancello dall’esterno, ove sono siti i box (cfr. p. 5 della sentenza impugnata) – il libero accesso alla porta realizzerebbe, attraverso il cancello, un varco all’esterno non autorizzato.
In sé infatti, in relazione all’indimostrata sussistenza di un divieto contrattuale di creazione di ulteriori accessi all’esterno, l’uso della porta e dell’ulteriore cancello al fine di entrare e uscire dal condominio non potrebbe essere in contrasto con la menzionata norma, a meno che non si alterni la destinazione del cancello o della striscia di terreno interclusa; temi, questi, su cui però il tribunale non si è soffermato.
Parimenti il tribunale non si è soffermato in merito all’eventuale ricorrere, nel caso di specie, dei presupposti per cui l’utilizzo della parte comune per dar accesso a un fabbricato contiguo (nel caso di specie, adibito a box), estraneo al condominio, sia tale da alterare la destinazione della parte comune ex art. 1102 c.c., comportandone (per la possibilità di far usucapire al proprietario del fabbricato contiguo una servitù) lo scadimento ad una condizione deteriore rispetto a quella originaria (così ad es. Cass. n. 76 del 15/01/1970, sulla base di più remoti precedenti; per le successive, ad es. Cass. n. 2960 del 09/10/1972, n. 939 del 15/03/1976, n. 939 del 15/03/1976, n. 3963 del 24/06/1980, n. 2175 del 08/04/1982, n. 5628 del 16/11/1985, n. 2973 del 27/03/1987, n. 5780 del 25/10/1988, n. 2773 del 07/03/1992, n. 360 del 13/01/1995, n. 24243 del 26/09/2008; v. anche la fattispecie particolare di Cass. n. 23608 del 06/11/2006); l’uso della parte comune per creare un accesso a favore di parte esclusiva è legittimo, ai sensi dell’art. 1102 c.c., se l’unità del condomino avvantaggiata è inserita nel condominio, fermi gli altri limiti, in quanto, pur realizzandosi un utilizzo più intenso del bene comune da parte di quel condomino, non si esclude il diritto degli altri di farne parimenti uso e non si altera la destinazione, restando esclusa la costituzione di una servitù per effetto del decorso del tempo (Cass. n. 24295 del 14/11/2014).“
La Corte ha dunque cassato la decisione di merito, con rinvio ad altra sezione del Tribunale di Milano.
Una lite sorta in quel di Savona e relativa ad una strada antistante il fabbricato condominiale, oggetto di scavi per la posa dei tubi, , approda in cassazione ed offre alla suprema Corte lo spunto per esaminare la materia del compossesso, quando dello stesso si debba riflettere in ambito condominiale.
i fatti: “Il giudizio trae fondamento dalla domanda possessoria proposta da Ge.Bo.Bi.Gi. il 26 marzo 1993 nei confronti del Condominio (…) per ottenere la sospensione delle opere iniziate dal convenuto ed il ripristino del transito con autovetture sulla strada privata di accesso al Condominio, strada che l’attore assumeva essere rimasta di sua proprietà a seguito dell’originario frazionamento dell’unico terreno in due lotti, uno destinato all’edificazione del Condominio, l’altro alla costruzione della confinante villa del signor G.B.B. . La domanda venne accolta dal Tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga, con sentenza del 24 febbraio 2007, ordinandosi al Condominio (…) la eliminazione della turbativa possessoria, consistente, in particolare, nei lavori di inserimento della tubazione di una fognatura. Sull’appello del Condominio (…), la Corte di Genova affermò: 1) che il mappale 253, identificante la strada in contesa, risultasse dai certificati catastali intestato a Ge.Bo.Bi.Gi. ; 2) che del pari dai titoli di proprietà allegati, concernenti le singole unità immobiliari comprese nell’edificio condominiale, non emergesse l’alienazione pro quota della strada; 3) che neppure il regolamento del Condominio (…), depositato da Ge.Bo.Bi.Gi. presso un notaio il 30 ottobre 1949, indicava la strada privata tra le parti comuni; 4) che i testimoni R. , A. , C. avevano dichiarato che era il G.B.B. ad occuparsi della manutenzione della strada, pur essendo le relative spese poi ripartite dal Condominio che ne faceva in concreto uso; 5) che perciò l’iniziale tracciato della fognatura condominiale non passava sotto il sedime della strada in questione, appunto non di proprietà né nel possesso del Condominio”
Cass. civ. sez.II 25 settembre 2018, n. 22642 rel. Scarpa chiarisce che “Legittimato a proporre l’azione di manutenzione ex art. 1170 c.c. è il possessore (non anche il detentore), dovendosi comunque ricollegare la presunzione di possesso ex art. 1141 c.c. ad un potere di fatto sulla cosa che si manifesti, al momento delle molestie, in attività corrispondenti all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale.
La Corte di Genova, nell’ambito dell’apprezzamento di fatto rientrante, a norma dell’art. 116 c.p.c., nelle prerogative del giudice di merito, ha ritenuto dimostrato il possesso esclusivo della strada in capo a Ge.Bo.Bi.Gi. , il quale si occupava della sua manutenzione provvedendo ad apporvi paletti e segnaletica, nonché alla pulizia, pur aggiungendo che le spese di manutenzione fossero poi sostenute dal Condominio, il che “ben si giustificava con la indubbia circostanza che, servendo detta strada anche e soprattutto per l’accesso al Palazzo (…), erano proprio i condomini a fare maggior uso di detta striscia di terreno”.
Tale asserto della sentenza impugnata giustifica allora la allegazione del Condominio ricorrente, secondo cui i condomini avrebbero sempre sopportato, in relazione al bene in contesa, gli oneri afferenti alla comproprietà e, conseguentemente, esercitato a tale titolo il loro compossesso.
Questa “indubbia circostanza che, servendo detta strada anche e soprattutto per l’accesso al Palazzo (…), erano proprio i condomini a fare maggior uso di detta striscia di terreno” si pone, cioè, irriducibilmente in contrasto con la successiva affermazione esposta in motivazione circa l’assenza di ogni possesso della strada da parte del Condominio, non essendo spiegato quale diverso titolo giustificasse il potere fattuale di detenzione della strada esercitato dai condomini, in maniera da superare la presunzione di possesso ex art. 1141 c.c..
Ove, come nella specie, sia fornita la prova del possesso di colui che sostiene di essere stato molestato, come anche del convenuto in manutenzione, l’esame dei titoli di proprietà può poi essere consentito soltanto “ad colorandam possessionem”, cioè al solo fine di individuare il diritto al cui esercizio corrisponde il possesso o di determinare meglio i contorni del possesso già altrimenti dimostrato, e non certo per ricavare la prova del possesso dal regime legale o convenzionale del diritto reale corrispondente, né per escludere l’esistenza del già accertato potere di fatto sulla cosa (Cass. Sez. 2, 22/02/2011, n. 4279; Cass. Sez. 2, 27/12/2004, n. 24026).
È ancora la stessa sentenza impugnata ad affermare che dall’esame della documentazione prodotta la strada oggetto di lite fosse “destinata a servire per l’accesso al palazzo (…)”, e pure i controricorrenti espongono che agli acquirenti degli alloggi venne appunto riconosciuto il “diritto di transito”.
Nella sentenza della Corte di Genova non è invece spiegato se le opere eseguite dal Condominio R. sulla strada eccedessero rispetto all’estensione ed alle modalità di esercizio del possesso di tale servitù di passaggio, determinando un nuovo peso imposto sul fondo servente.
Come da questa Corte sostenuto in un risalente (ma tuttora condivisibile) precedente, qualora tra le parti in causa sia pacifico che una di esse sia nel compossesso di un fondo e controverso ne sia soltanto il titolo (comproprietà ovvero servitù di passaggio), non può il giudice ritenere d’ufficio non provato il compossesso stesso (Cass. Sez. 2, 19/07/1968, n. 2601);postulando, peraltro, il compossesso di più soggetti l’esercizio da parte degli stessi di attività corrispondente ad un medesimo diritto reale, onde non sono compossessori coloro che, rispettivamente, esercitino su un certo fondo l’uno il possesso corrispondente a un diritto di servitù prediale e l’altro il possesso corrispondente al diritto di proprietà (Cass. Sez. 2, 15/03/1968, n. 835).
Con riguardo all’utilizzazione del sottosuolo di un’area esterna ad un fabbricato condominiale, effettuata dal condominio per l’installazione di un impianto destinato all’uso comune, la configurabilità di uno spoglio o di una turbativa del possesso di un terzo (denunciabile con azione di reintegrazione o manutenzione) implica, piuttosto, l’esclusione di una situazione di compossesso dell’area medesima da parte del condominio (corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà e non di un mero diritto di servitù di passaggio), desumibile anche dalla destinazione funzionale del bene al soddisfacimento di esigenze di interesse comune, oltre che, ad colorandam possessionem, dalla sua inclusione, in difetto di titolo contrario, fra le parti comuni dell’edificio, nonché l’accertamento ulteriore che l’indicata utilizzazione ecceda i limiti segnati dalle concorrenti facoltà del compossessore, traducendosi in un impedimento totale o parziale ad un analogo uso da parte di questo ultimo.
D’altro canto, per verificare la natura condominiale della strada in questione, occorrerebbe piuttosto operare una valutazione dello stato effettivo dei luoghi ed un’indagine in ordine all’ubicazione dei beni, accertando se sussiste il collegamento strumentale, materiale o funzionale, ovvero la relazione di accessorio a principale ed il rapporto di pertinenza – che è il presupposto necessario del diritto di condominio – tra la strada ed il Condominio (…), tale da far insorgere l’applicabilità della presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c..
Di seguito, nel ricostruire la volontà pattizia in base ai titoli di acquisto, dovrebbe considerarsi unicamente il titolo costitutivo del Condominio (…) (e cioè il primo atto di frazionamento di una unità immobiliare dall’originario unico proprietario ad altro soggette), dovendo da esso risultare, in contrario alla presunzione di condominialità, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente la proprietà di detta strada al venditore o a terzi. Ai fini dell’accertamento della proprietà privata o condominiale ex art. 1117 c.c. della strada, non assume viceversa carattere dirimente il regolamento di condominio, non costituendo esso un titolo di proprietà (così Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012).
Conseguono l’accoglimento del ricorso e la cassazione dell’impugnata sentenza nei limiti delle censure accolte, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Genova, la quale deciderà al riguardo uniformandosi ai richiamati principi ed attenendosi ai rilievi svolti”
La Cassazione (Cass.civ. sez. II ord. 14 settembre 207 n. 21337 rel. Scarpa) ribadisce un principio più volte affermato: ove il viale di accesso al condominio svolga anche funzione di copertura dei sottostanti box, le relative spese di manutenzione andranno ripartite in forza del disposto dell’art. 1125 cod.civ.
La vicenda ha origine in un supercondominio, ove tali spese sono state invece ripartite secondo il disposto dell’art. 1126 cod.civ. ed alcuni condomini hanno impugnato la delibera, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado: il Tribunale di Frosinone e poi la corte d’appello di Roma hanno dato affermato l’applicabilità al caso di specie dell’art. 1125 cod.civ., questione che viene risproposta dal supercondominio ricorrente dinanzi al giudice di legittimità.
Nel respingere il ricorso, la cassazione osserva che: ” Come correttamente statuito dalla Corte d’Appello di Roma, qualora si debba procedere alla riparazione del cortile o viale di accesso all’edificio condominiale, che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà esclusiva di un singolo condomino, ai fini della ripartizione delle relative spese non si può ricorrere al criterio previsto dall’art. 1126 c.c. (sul presupposto dell’equiparazione del bene fuori dalla proiezione dell’immobile condominiale, ma al servizio di questo, ad una terrazza a livello), ma si deve, invece, procedere ad un’applicazione analogica dell’art. 1125 c.c., il quale accolla per intero le spese relative alla manutenzione della parte della struttura complessa identificantesi con il pavimento del piano superiore a chi, con l’uso esclusivo della stessa, determina la necessità dell’inerente manutenzione, in tal senso verificandosi un’applicazione particolare del principio generale dettato dall’art. 1123, comma 2, c.c. di tal che è fondata l’impugnativa della deliberazione assembleare dell’8 marzo 2005 proposta da P A, M A, M A e V A, avendo l’assemblea erroneamente posto le spese di rifacimento del piazzale a carico per un terzo del condominio e per due terzi degli attori, proprietari esclusivi del sottostante locale (così Cass., sez. VI- 2, 16/05/2017, n. 12177; Cass., sez. II, 19/07/2011, n. 15841; Cass., sez. II, 05/05/2010, n. 10858; Cass., sez. II, 14/09/2005, n. 18194).
La Corte trae spunto dalla vicenda per estendere il principio anche alla ipotesi di lastrico solare o terrazza a livello che funga da copertura ad un solo vano: “D’altro canto, anche nelle ipotesi in cui ad una terrazza a livello sia sottoposto un solo locale, ove le relative spese di manutenzione vengano regolate alla stregua dell’art. 1126 c.c., e non dell’art. 1125 c.c., si finisce per porre a carico dell’unico condomino “coperto” i due terzi della spesa di rifacimento, ovvero il doppio di quanto dovuto dall’utilizzatore esclusivo della terrazza, così vanificandosi la ratio dell’art. 1126 c.c.: tale norma, infatti, intende dare maggiore rilievo alla utilitas ricavabile dal bene ulteriore a quella insita nella generale funzione di copertura, sicché essa mira non soltanto a compensare il più rapido deterioramento del lastrico dovuto al diuturno calpestio sullo stesso, quanto soprattutto a non far gravare iniquamente sui soli condomini, ai quali il lastrico serve da copertura, una spesa che avvantaggia in maniera particolare chi da esso è in grado di trarre altri e diversi vantaggi. Pertanto, in caso comunque di riparazione di terrazza a livello sovrastante un’unica unità immobiliare, ovvero un unico piano, si rende plausibile un’applicazione analogica dell’art. 1125 c.c., in maniera da dare pari incidenza alle funzioni di separazione in senso orizzontale, di sostegno e di copertura svolte dalla res”
Tale ultima interpretazione pare invece prendere le distanze da alcuni precedenti della stessa Cassazione (Cass.civ. sez. II 15 luglio 2003 n. 11029, Cass.civ. sez. II 16 maggio 1963, n. 1124).
La novella del 2012 ha modificato l’art. 1129 cod.civ. introducendo, al settimo comma della norma, la previsione che “L’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell’amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica”
Che i condomini avessero diritto di visionare l’estratto conto era principio che in alcune occasioni era stato affermato dai giudici di merito (Tribunale di Salerno 30/07/2007, “ogni condomino, in quanto “cliente” deve aver diritto di ottenere direttamente dall’istituto bancario la consegna di copia degli estratti conto”. principio consolidato in giurisprudenza”)
La riforma sembrava tuttavia aver superato tali orientamenti, introducendo l’espressione “tramite l’amministratore” nell’art. 1129 cod.civ., sicché da parte di molti interpreti si è ritenuto che la facoltà di accesso del singolo possa esplicarsi solo attraverso una richiesta all’amministratore.
Alcuni mesi orsono sulla questione si è pronunciato l’Arbitro Bancario Finanziario, collegio di Roma, che con decisione 16.9.2016 n. 7960 ha chiarito che sussiste invece un preventivo obbligo del condomino di rivolgersi all’amministratore per ottenere copia dell’estratto conto ma che, in caso di inerzia di costui, non possa essere negato al singolo il diritto di accesso alla documentazione bancaria.
“Parte ricorrente, dopo aver ripetutamente richiesto invano all’amministratore di condomino la documentazione relativa agli estratti conto condominiali, ha rivolto la medesima istanza alla resistente, che, tuttavia, ha riferito di non poter evadere la richiesta della ricorrente per mancanza dei presupposti di legittimazione attiva (essendo l’amministratore l’unico legittimato a richiedere la documentazione in parola).”
La controversia ha per oggetto la pretesa della ricorrente che, in qualità di condomina, domanda di poter avere copia degli estratti conto relativi al rapporto di conto corrente che il condominio intrattiene con l’intermediario resistente.
… L’intermediario pone a base del rifiuto l’art. 1129, settimo comma, cod. civ., a norma del quale “L’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell’amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica”.
Sul punto il Collegio di Roma ha avuto modo, in più occasioni, di rilevare che “una interpretazione sistematica porta ad escludere che “per il tramite dell’amministratore” possa significare “solo attraverso l’amministratore”, posto che , in tal modo intesa, essa implicherebbe, fra l’altro, l’implicita abrogazione, per i condomini, del loro diritto di accesso, ex art. 119, IV c. TUB, alla documentazione stessa, senza considerare che tale norma, ancorché anteriore alla riforma del condominio, ha carattere speciale ed è destinata a prevalere e ad essere applicata. Ne consegue, quindi che la nuova disciplina non prescrive un obbligo, in capo al condomino, di esclusiva richiesta all’amministratore, unico legittimato a richiedere la documentazione, quanto, piuttosto, di preventiva richiesta all’amministratore stesso” (così, dec. 8817/2015. Cfr., anche, dec. 691/2015).
Nella specie, essendo stato inutilmente assolto tale obbligo di preventiva richiesta all’amministratore, il ricorso appare meritevole di accoglimento con conseguente condanna dell’intermediario al rilascio, a spese del richiedente e nei limiti di cui all’art. 119, comma 4, T.U.B., di copia della documentazione relativa al conto corrente del condominio richiesta.”
Va osservato che anteriormente alla riforma l’orientamento dell’arbitro bancario era stato, in alcune occasioni, di riconoscere libero accesso al singolo condomino (“La banca presso la quale è acceso il conto corrente intestato a un condominio è tenuta a fornire copia degli estratti conto al singolo condomino che li richieda” Arbitro bancario finanziario Milano, 19/04/2011, n. 814).
L’Arbitro Bancario è istituzione deputata alla risoluzione alternativa e stragiudiziale delle controversie in tale materia e dunque emette decisioni che non hanno attitudine a creare orientamento giurisprudenziale, i prinpici espressi paiono comunque meritevoli di conoscenza.
La delibera condominiale con cui viene legittimamente deliberata, ai sensi dell’art. 26 V comma L. 10/1991, l’installazione di sistemi di contabilizzazione ai sensi del D.lgs 102/2014 (nonchè del recente a D.lgs 141/2016) costituisce decisione che interviene su un impianto comune ed obbliga pertanto tutti i condomini alla sua osservanza, ivi compreso tutto quanto è necessario a porla in attuazione.
E’ quindi interesse attuale e concreto del condominio far si che i tecnici accedano alle singole unità, onde poter predisporre le relazioni previste dalla normativa in vigore nonché tutti gli altri adempimenti necessari e connessi all’adozione dei sistemi di contabilizzazione, da installare obbligatoriamente entro il 31.12.2016, a pena di sanzioni amministrative.
Il rifiuto del condomino a far accedere i tecnici alla propria unità è quindi del tutto illegittimo, poiché il diritto di accesso dei tecnici incaricati dal condominio trova fondamento nell’art. 843 cod.civ. e può essere azionato in via giudiziale, come è ha stabilito la Corte di Appello di Trento con sentenza 134/2016.
In caso di sversamento fognario il Condominio è soggetto legittimato a presentare richiesta di accesso agli atti della pubblica amministrazione.
Lo afferma il Tar Lazio con sentenza 3287/2016: “Al riguardo l’art. 22 della L. n. 241 del 1990 individua i soggetti interessati all’accesso ai documenti amministrativi in tutti coloro che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione tutelata e collegata al documento al quale si chiede l’accesso (comma 1); ai sensi del successivo art. 25, il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla legge (comma 1), e la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata e va rivolta all’Ente che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente (comma 2). Alla stregua della richiamata disciplina sul procedimento amministrativo, i portatori di un interesse specifico hanno diritto di accesso ai documenti amministrativi per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, intendendo per tali le situazioni giuridiche soggettive che presentino un collegamento diretto e attuale con il procedimento amministrativo cui la richiesta di accesso si riferisce.”
Afferma ancora il Giudice amministrativo che ” L’interesse all’accesso e la sua rilevanza ai fini della proposizione di un eventuale giudizio, va inteso in senso ampio, in quanto la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse”
Quanto ai destinatari dell’obbligo di ‘trasparenza’ la lettura è opportunamente ampia e ben motivata: “A ciò va aggiunto che il citato art. 22 individua i documenti amministrativi in quelli “detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale” (comma 1, lett. d) e per Doc. #: tar lazio 3287 del 16.docx 4 pubblica amministrazione “tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” (comma 1, lett.e). In conformità alla predetta norma, l’Ente destinatario dell’ esercizio del diritto di accesso va individuato nel soggetto pubblico o privato che, in relazione alla propria attività amministrativa di pubblico interesse detiene – o comunque è tenuta a detenere – i documenti amministrativi che ineriscono alle predette attività ad essa riconducibili”
Alla luce di tali principi si deve ritenere che sussista in capo al Condominio, che intenda agire in giudizio per le vicende legate allo sversamento, un interesse diretto ed attuale a conoscere gli atti della Pubblica Amministrazione e, per essa, dell’ente che materialmente gestione il servizio fognario: “osserva il Collegio che i suddetti presupposti sono presenti nel caso di specie in quanto appare evidente che il Condominio ricorrente abbia titolo ad accedere ai documenti relativi alle rilevazioni e monitoraggi effettuati dalla società che gestisce il servizio idrico integrato dell’Ambito territoriale n. 2 Lazio Centrale – Roma, come richiesti nell’istanza, in relazione alla descritta vicenda di sversamento di acque nere nell’area antistante il Condominio stesso e all’attività svolta dalla società di gestione del servizio. Sussiste un palese interesse della parte ricorrente all’ostensione dei richiesti documenti, la cui conoscenza è obiettivamente strumentale alla tutela di un interesse giudicamente rilevante del Condominio, al quale gli stessi documenti si correlano immediatamente”