L’art. 1124 cod.civ. prevede che le spese per scale ed ascensori siano ripartite per metà in funzione della quota millesimale di ciascuna unità e per metà in funzione dell’altezza dal suolo.
La riforma del 2012 ha recepito nel tessuto normativo l’indicazione giurisprudenziale che estendeva la norma al riparto delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori ed ha specificato, con riguardo all’altezza dal suolo, che metà della spesa dovrà essere imputata “esclusivamente” in funzione di quel parametro.
Ci si è chiesti se, in presenza di più unità poste allo stesso piano, queste rispondano per la metà suddivisa in funzione dell’altezza in misura paritaria oppure se, ferma l’identità di piano, la quota relativa dovesse tener conto anche della diversa estensione millesimale.
Nel primo caso 4 unità poste al terzo piano avrebbero risposto per metà della spesa in misura uguale, nel secondo la spesa – fermo il coefficiente di piano – sarebbe stata comunque ripartita in funzione del diverso valore millesimali delle quattro unità.
E’ il tema affrontato da un recente sentenza del Tribunale apuano (Trib. Massa 12 ottobre 2018 n. 712) che pronuncia in via definitiva su una complessa vicenda che ha visto l’accertamento della proprietà comune di una scala:“… i due punti controversi attengono unicamente alla imputazione delle spese ai fondi terranei (e dunque alla attribuzione di un valore nella relativa tabella per il riparto degli oneri relativi alle scale) e le modalità di calcolo del coefficiente di altezza con riguardo al 50% che l’art. 1124 c.c. prevede sia calcolato secondo tale parametro.
Con riguardo ai fondi terranei posti nel condominio C., va osservato che tale complesso edilizio appare formato – come già rilevato nella sentenza che ha accertato la proprietà comune delle scale a tutti i condomini – da diversi corpi di fabbrica, serviti da diverse copertura che tuttavia, per la loro natura e ubicazione, non appaiono riconducibili ad ipotesi di parzialità ex art 1123 comma III c.c., come ha ampiamente documentato il CTU, che pure ha tenuto conto nella valutazione delle specifiche caratteristiche di ubicazione di ogni immobile.
Ne deriva che la scala per cui è causa va ritenuto comune anche ai fondi terranei poiché, aldilà della sua specifica idoneità ad accedere al tetto, rappresenta comunque un elemento strutturale ed indispensabile per accedere all’edificio multipiano, le cui strutture (non solo di copertura) rimangono comunque beni comuni a tutti ex art 1117 c.c.
Per tali ragioni le relative spese andranno imputate anche ai fondi, secondo un orientamento della giurisprudenza che appare ormai consolidato (ex multis Cass. 12 settembre 2018 n. 22157, Cass. 20 aprile 2017 n. 9986, Cass. 10 luglio 2007 n. 15444); appare peraltro evidente che tali unità contribuiranno unicamente per la metà relativa al valore millesimale (App. Napoli 1.6.2017 n. 2404), essendo pari a zero il coefficiente di altezza, secondo principi già espressi nella relazione al codice del 1942 e come è chiaramente espresso dall’art. 1124 comma II c.c.
Più complessa appare la problematica relativa all’applicazione del parametro altezza previsto dall’art. 1124 c.c., posto che talune delle parti in causa – ovviamente in funzione del vantaggio che alle stesse ne deriva – sostengono che fra più unità poste allo stesso piano debba comunque valutarsi anche la loro diversa consistenza ed altre ritengono invece che il parametro dell’altezza – in base al quale va ripartito il 50% delle spese – vada considerato puro, ovvero calcolando il solo dato della elevazione dal suolo, indipendentemente dalla diversa caratura millesimale delle unità ivi poste.
Tale ultima soluzione appare più rispondente alla ratio della norma, che considera già la diversa consistenza delle unità immobiliari imputando metà delle spese secondo i valori generali previsti dall’art. 1123 c.c.
Quanto all’altra metà delle spese, l’art. 1124 c.c. – così come modificato dalla novella del 2012 – prevede siano calcolate “esclusivamente” in base all’altezza dal suolo.
L’introduzione dell’avverbio esclusivamente pare collocarsi in un’ottica di continuità e ulteriore conferma rispetto a quanto già era contenuto nella relazione del Guardasigilli al codice civile del 1942 ove si affermava “”per quanto riguarda le scale ho abbandonato il sistema del codice del 1865 che poneva le relative spese a carico dei proprietari di quei piani a cui serviva ciascun tratto di scala, in ragione del valore dei piani stessi… Ho ripartito invece le spese per la manutenzione e ricostruzione tra i proprietari dei diversi piani, a cui le scale servono, per metà in ragione dei singoli piani e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo. E’ giusto che i proprietari degli ultimi piani contribuiscano in misura maggiore, perché è da presumere che con il maggior uso diano luogo a maggior consumo delle scale”
Tale criterio misto rappresenta indubbiamente una applicazione ponderata della norma generale di cui all’art. 1123 comma II c.c., con predeterminazione della quota di contribuzione parametrata alla diversa utilità tratta dal bene a seconda della posizione della unità immobiliare a cui la scala serve (Cass. 12.1.2007 n. 432)
La diversa consistenza delle unità e quindi la necessità di evitare disparità con riguardo a beni di diversa entità, valore e ampiezza è già considerata nella metà della spesa che l’art. 1124 c.c. impone di ripartire secondo i principi generali di proporzionalità previsti dall’art. 1123 comma I c.c., sì che parrebbe un’ulteriore e non consentita reiterazione di tale principio – con diluzione del parametro di piano voluto dal legislatore – tornare a distinguere, per la determinazione della quota ripartita in funzione dell’altezza, il valore delle singole unità poste a quel piano; non appare secondario, in tal senso, tenere conto della attuale indicazione della norma (“esclusivamente”), che pare ribadire e puntualizzare i principi generali sottesi alla adozione del precetto sin dal codice del 1942, tenuto conto che, per il parametro dell’altezza, deve valere unicamente il criterio del maggior uso e della maggior utilità – in senso potenziale – effettuato dai condomini dei piani alti, criteri con riferimento ai quali la estensione delle relative unità poste a ciascun livello non ha diretta ed effettiva incidenza (arg. dalle cit. cass. 22157/2018 e Cass. 432/2007).
Peraltro che il criterio dell’altezza di piano debba essere applicato in maniera pura, con riguardo a quelle utilità che si ritraggono in funzione della posizione della unità di proprietà individuale all’interno dell’edificio in condominio, è principio che pare conforme alla natura mista della norma codicistica che, da un lato, valorizza il parametro legato all’uso e alle utilità potenziali (che certamente le unità collocate ai piani alti traggono in misura maggiore) e, dall’altro, tiene comunque conto del valore millesimale delle diverse unità poiché, come si è osservato acutamente in dottrina, “il legislatore sa pure che il godimento delle scale non è bene perfettamente misurabile, e, dunque, è irrinunciabile tenere in considerazione paritariamente la quota millesimale”
© Massimo Ginesi 16 ottobre 2018