CONDOMINIO: UTILIZZO DELLE PARTI COMUNI E MISURE DI PREVENZIONE COVID-19

Molto si è scritto in questo periodo in tema di condominio e di contaminazione da coronavirus, anche riguardo a fattispecie che erano ignote prima dell’insorgere dell’emergenza e che richiedono un approccio sistematico e del tutto nuovo.

Molti amministratori lamentano che, a diverse settimane dall’inizio delle restrizioni che hanno confinato nelle case i cittadini, taluni condomini finiscano per utilizzare i lastrici comuni – ovvero le coperture piane dell’edificio – per prendere qualche ora d’aria, sì che alla fine su tali superfici finiscono per assembrarsi diverse persone in misura non conforme alle indicazioni dei diversi (e non sempre univoci e chiari) precetti normativi.

Si è da più parti evidenziato, correttamente, che all’amministratore non competono compiti di polizia, neanche infra condominiale, e che il rispetto delle normative è onere di cui rispondono i singoli condomini, tuttavia è opportuno che l’amministratore provveda (rectius, abbia già provveduto) alle necessarie informative, circa le misure di distanziamento ed igiene che devono essere rispettate anche nelle parti comuni (in special modo per l’utilizzo di impianti promiscui come l’ascensore) e che abbia altresì disposto misure straordinarie e periodiche di sanificazione.

All’amministratore l’art. 1130 n. 2 c.c. attribuisce un potere/dovere specifico riguardo alle parti comuni: “disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini”

Nell’ambito di tale facoltà, dovranno essere declinate in misura diversa le iniziative che, plausibilmente, non possono arrivare a sottrarre al godimento dei singoli le parti comuni ai soli fini del rispetto delle misure di distanziamento sociale (la cui osservanza peraltro non può essere demandata all’amministratore).

Appare difficile sostenere un’interpretazione restrittiva dei DPCM 8 e 22 marzo 2020, laddove vietano la movimentazione delle persone senza motivo, affermando che tali previsioni comportino il divieto di uscire dalla propria abitazione, posto che il termine abitazione deve  essere ritenuto comprensivo dei suoi accessori (fra cui rientrano gli spazi comuni ex art 1117 c.c.).

Varrà soprattutto rilevare che le diverse norme che si sono succedute (e da ultimo il DL 19/2020, unica fonte di legge che appare  idonea, sotto il profilo gerarchico, ad incidere sulla libertà delle persone) prevedono divieti unicamente per le aree pubbliche o aperte al pubblico, onde vietare assembramenti mentre,  per ciò che attiene le aree private (fra cui rientrano le singole abitazioni ma anche gli spazi comuni condominiali ex art 1117 c.c.) sono pochissime le disposizoni precettive:
all’art. 1 del summenzionato decreto (che ricalca le diverse altre declinate dei singoli decreti antecedenti) i luoighi privati sono menzionati unicamente alla lettera G “ g) limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni altra forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo e religioso”; in maniera più ellittica, alla lettera L “l) sospensione dei congressi, di ogni tipo di riunione o evento sociale e di ogni altra attivita’ convegnistica o congressuale, salva la possibilita’ di svolgimento a distanza” (quindi anche ove svolti in strutture private) ; alla lettera M “ m) limitazione o sospensione di eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina in luoghi pubblici o privati, ivi compresa la possibilita’ di disporre la chiusura temporanea di palestre, centri termali, sportivi, piscine, centri natatori e impianti sportivi, anche se privati, nonche’ di disciplinare le modalita’ di svolgimento degli allenamenti sportivi all’interno degli stessi luoghi”

Certamente in senso restrittivo deve invece ritenersi il divieto, previsto dall’art. 1 comma 1 lett. c dpcm 8 marzo 2020 (poi esteso a tutto il territorio dal successivo DPCM 22 marzo 2020 e ripreso dall’art. 1 Lett. e del DL 19/2020), per coloro che sono risultati positivi al covid-19, posto che anche all’interno della microcompagine sociale del condominio deve essere garantita la separazione da soggetti certamente infettivi; il problema peraltro pone non pochi problemi in ordine alla privacy (l’amministratore non potrà affiggere in bacheca, come è ovvio, il nominativo di cui fosse venuto a conoscenza) e alle misure necessarie a far rispettare tale presupposto: appare corretto non investire l’amministratore di ruoli che travalicano il mero aspetto civilistico, sì che sarà onere dei condomini rivolgersi eventualmente alle autorità pubbliche ove, per conoscenza diretta, assistano a tali violazioni in ambito condominiale, condotte che ove poste in essere da soggetto certamente positivo possono anche avere seri risvolti penali.

Resta invece da escludere che l’amministratore possa vietare tout court l’utilizzo di parti comuni, che rimangono a tutti gli effetti luoghi privati e comuni ai condomini che hanno diritto di utilizzarli secondo i criteri dettati dall’art. 1102 c.c. e con il rispetto delle norme di contenimento che si sono succedute e stratificate nelle ultime settimane.

Ciò vale, ovviamente, per quelle parti che sono legittimamente fruibili: con particolare riguardo ai lastrici, che in questi primi giorni di primavera da reclusi possono essere presi di assalto, l’amministratore dovrà invece rendere inaccessibili quelli non calpestabili o non fruibili in base alle ordinarie norme di sicurezza (ad esempio privi di parapetto o che abbiano protezioni contro la caduta non corrispondenti alle vigenti normative).

Per ciò che attiene alla disciplina di tali parti comuni (lastrici, cortili, giardini), onde consentire una corretta fruizione, ove siano di modesta superficie e non sia possibile il godimento contemporaneo di tutti i condomini senza violare le norme di distanziamento, potrebbe eventualmente essere introdotta una fruizione turnaria, commisurando il numero massimo dei condomini che di volta in volta può accedere alla estensione della superficie, misura che certamente rispetta il disposto di cui all’art. 1102 c.c. e che in giurisprudenza vede da tempo favorevole applicazione (ad esempio con riguardo ai parcheggi, Cassazione civile, sez. III, ordinanza 22/10/2018 n° 26630).

La limitazione con uso turnario, laddove permanente, deve essere disposta dall’assemblea, tuttavia appare ragionevole che – in periodo di emergenza e alla luce dei poteri di disciplina e cautelativi della cosa comune di cui all’art. 1130 c.c. – l’amministratore possa disporre tale indicazione per un periodo di tempo limitato, al fine di evitare gli assembramenti che le recenti disposizioni vietano.

Certo è che, aldilà di indicazioni di condotta e di disposizioni informative, appare difficilmente sostenibile imputare all’amministratore un dovere di vigilanza stretta su tali condotte o – peggio – un dovere di reazione che vada aldilà di richiami, posto che si tratta di norme di rilevanza pubblica cogente, al cui rispetto sono chiamati i singoli cittadini.

© massimo ginesi 6 aprile 2020

 

Foto di Didiwo da Pixabay

l’amministratore di condominio in tempi virali

 

Il rincorrersi scomposto di norme del più vario rango gerarchico, che dettano, raccomandano, sanzionano, invitano rappresenta un unicum (deteriore) del nostro sistema normativo, che non appare giustificato neanche della emergenza- certamente straordinaria e di vasta scala – legata alla diffusione del virus covid-19.

In particolare l’amministratore di condominio è soggetto che si trova investito di poteri e doveri di tutela, cautela e conservazione delle parti comuni (a mente dell’art. 1130 c.c.), fra le quali certamente rientrano quegli interventi urgenti volti a preservarne il funzionamento, ma anche quelli più latamente intesi a garantirne la sicurezza e la conservazione, nel cui perimetro è lecito inscrivere le iniziative volte ad attuare quelle misure di contenimento, igienizzazione e interdizione che gli stessi testi normativi in tema di diffusione del virus dispongono (si pensi alla chiusura di impianti ricreativi comuni – piscine, campi da tennis, sale riunioni – oppure alla gestione e al controllo della sanificazione delle zone e degli impianti comuni, primo fra tutti l’ascensore).

E’ lecito dunque chiedersi come debba porsi il professionista che amministri stabili in condominio di fronte al susseguirsi di disposizioni che il legislatore continua ad emanare a ciclo continuo e, in particolare, all’ultimo sconcertante (per la tecnica normativa) DPCM 22 marzo 2020, che dispone il fermo di talune attività produttive e commerciali. 

Va in primo luogo osservato che l’amministratore di condominio non esercita nè attività produttiva nè commerciale ma, specie dopo la novella del 2012 (art. 71 bis disp.att. cod.civ.) e la L.4/2013, è ascrivibile a pieno titolo alla categoria delle libere professioni non ordinistiche. 

Ne deriva che, a mente   dell’art. 1 del DPCM 22 marzo 2020, anche solo dal punto di vista dell’interpretazione letterale, l’attività dell’amministratore non sia sospesa, posto che la norma esclude espressamente dalla sospensione le attività professionali. 

LA norma infatti prevede che “ 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi  del  virus COVID-19, sull’intero territorio nazionale sono adottate le  seguenti misure: a) sono sospese  tutte  le  attivita’  produttive  industriali  e commerciali, ad eccezione di quelle indicate nell’allegato 1 e  salvo quanto di seguito  disposto.  Le  attivita’  professionali  non  sono sospese e restano ferme le previsioni di cui all’articolo 1, punto 7, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020.”

I professionisti, dunque, potranno esercitare la loro attività tenendo conto delle raccomandazioni previste del DPCM 11 marzo 2020 (rispetto delle distanze interpersonali, etc). E’ importante evidenziare che la norma parla genericamente di professioni, di talchè la discriminante di iscrizione ad albi non appare applicabile al caso di specie.

Il richiamo poi ai codici ATECO, cui la norma correla il fermo e che certamente ingenera inutile confusione, appare effettuata unicamente con riferimento alle attività produttive e commerciali, pertanto l’amministratore potrà farvi riferimento per comprendere – fra i fornitori del condominio – quali attività non siano sospese (peraltro il codice del condominio, ad abundantiam, è inserito nell’elenco allegato al decreto).

L’ultimo decreto legge (19/2020), recependo finalmente in una forma gerarchica adeguata le indicazioni restrittive di diritti fondamentali, prima contenute in meri atti amministrativi, non muta – anche in prospettiva – il quadro testè delineato, estendendo all’art. 1 lett.  g e z la possibilità di reiterare soluzioni analoghe per i prossimi mesi:  gg) previsione che le attivita’  consentite  si  svolgano  previa assunzione da parte del titolare o del gestore  di  misure  idonee  a evitare assembramenti di  persone,  con  obbligo  di  predisporre  le condizioni per garantire il  rispetto  della  distanza  di  sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a  prevenire  o  ridurre  il rischio di contagio; per i servizi di  pubblica  necessita’,  laddove non sia possibile rispettare tale distanza interpersonale, previsione di protocolli di sicurezza anti-contagio, con adozione  di  strumenti di protezione individuale;  z) limitazione o  sospensione  di  altre  attivita’  d’impresa  o professionali,  anche  ove  comportanti  l’esercizio   di   pubbliche funzioni, nonche’ di lavoro autonomo, con possibilita’ di  esclusione dei servizi di pubblica necessita’ previa assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non sia  possibile  rispettare  la distanza di sicurezza  interpersonale  predeterminata  e  adeguata  a prevenire o ridurre il rischio di contagio come principale misura  di contenimento,  con  adozione  di  adeguati  strumenti  di  protezione individuale”

Va peraltro rilevato che, aldilà dell’inquadramento normativo, l’aspetto sanzionatorio elaborato in questo periodo contro coloro che violano le disposizioni è quanto di più insensato e improduttivo si potesse predisporre: non vi è dubbio che l’ampia diffusione mediatica dei divieti e delle sanzioni avesse il primario scopo metagiuridico di allertare la popolazione e di dissuadere i riottosi dall’inosservanza delle misure di precauzione sanitaria.

Appare tuttavia scellerato che sia sia rimesso in un primo tempo alla polizia giudiziaria la contestazione (del tutto discrezionale e, spesso, arbitraria) di contravvenzioni ex art 650 c.p., con l’unico effetto di ingolfare le Procure di decine di migliaia di procedimenti destinati a sfumare nel nulla. 

Lo strumento correttivo adottato con il D.L. 19/2020, che qualifica le condotte come mere violazioni amministrative, pur nello scopo di snellire le procedure e di adottare sanzioni immediatamente percepibili sotto il profilo applicativo – aldilà dei dubbi interpretativi che già ha mosso sotto il profilo processuale e strettamente penale – appare destinato a sfumare miseramente in un prossimo futuro, a fronte delle prevedibili opposizioni ex art 6 D.Lgs 150/2011 che intaseranno le aule di giustizia.

Appare ictu oculi evidente che il contestare una condotta illecita a fronte di una norma che vieta gli spostamenti “salvoche per comprovate esigenze lavorative, di assolutaurgenzaovveroper motivi di salute” (DPCM 22 marzo 2020, per lo spostamento fra comuni) oppure che prevede di “evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonche’ all’interno dei medesimi territori, salvo che perglispostamentimotivatida comprovate esigenze lavorativeosituazionidinecessita’ovvero spostamenti per motivi di salute” (DPCM 8 marzo 2020, esteso all’intero territorio con DPCM 9 marzo 2020) o, peggio, che consente l’attività motoria “in prossimità dell’abitazione” (ordinanza Ministro della Salute 22.3.2020) significa violare il più elementare parametro precettivo della norma, ossia individuare una fattispecie tipica e oggettivamente circoscrivibile. 

Il precetto penale (“Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con…” art 575 cod.pen.) individua una condotta oggettiva ed un evento privo di connotazioni discrezionali, mentre saranno poi le norme in tema di elemento soggettivo del reato e di scriminanti a tratteggiare la rilevanza della condotta sotto il profilo penale, fino ad escluderla ove esistano cause di giustificazione.

Le norme attuali, viceversa, contengono in se il germe della loro inefficacia (rectius, della loro inutilità)  laddove considerano illecita una condotta “salvo che…”

Non servirà sottolineare che la comprovata esigenza di lavoro o la situazione di necessità è aspetto che potrà essere accertato solo a posteriori a seguito di un processo ed è modalità destinata a naufragare nel mare della discrezione: quante volte è lecito andare a fare la spesa?, l’andare a consegnare i dpi al portiere è comprovata esigenza di lavoro?, il recarsi in studio a prelevare moduli e bollette lo è altrettanto? andare ad affiggere in bacheca avvisi ai condomini scrimina la condotta?

L’adozione di 4 modelli di modulo di autocertificazione in pochi giorni la dice lunga sull’attitudine dei soggetti demandati alla gestione di questa emergenza…

Allora l’indicazione, più di buon senso che di diritto, che può essere data è quella di adottare una condotta il più cautelativa possibile, rendendo virtuali la più parte degli adempimenti, evitando assemblee ed incontri, avvisando i condomini, se non con avvisi in bacheca, quantomeno con informative via mail, fornendo eventuali dipendenti del condominio di tutte le informazioni e i dispositivi necessari, limitando gli spostamenti all’essenziale (muniti di opportuna autocertificazione) e  vigilando comunque sulle parti comuni.

A tal ultimo proposito si è fatto ricorso ad affermazioni forti, anche da parte di commentatori autorevoli, anche in tema di privacy, su cui tuttavia le norme attuali non hanno al momento introdotto deroghe. Si è detto che l’amministratore abbia l’obbligo di informare i condomini della presenza di soggetti positivi all’interno del condominio, perché la tutela della salute prevarrebbe sulle esigenze della privacy. 

Riteniamo che sia affermazione che non trova riscontro normativo e che vira pericolosamente verso un regime poliziesco di controllo e delazione. Certamente chi risulta positivo è destinatario di un precetto specifico che vieta di uscire dalla propria abitazione (“ c) divieto assoluto  di  mobilita’  dalla  propria  abitazione  o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena  ovvero risultati positivi al virus” art. 1 DPCM 8 marzo 2020) ma non compete all’amministratore alcun compito nè di polizia sanitaria nè delazione nè alcuna norma oggi consente di derogare ai criteri che impediscono la divulgazione di dati sensibili. 

Certo è che l’amministratore, ove sia a conoscenza di tale circostanza e verifichi che soggetti con simili caratteristiche violino il precetto (da intendersi plausibilmente come divieto di uscire dall’abitazione in senso stretto, ergo anche di recarsi nelle zone comuni, essendo la ratio quella di contenere a diffusione di agenti virali e il contagio),  potrà unicamente segnalarlo all’Autorità al pari di qualunque altro cittadino.

Gli avvisi in bacheca sulle condizioni di salute e le abitudini dei condomini rimangono (per fortuna) assolutamente vietati ed espongono a gravi conseguenze, anche penali.  

© massimo ginesi 27 marzo 2020

Foto di Felix Dilly da Pixabay

CONDOMINIO E COVID-19: problemi pratici e normativi

 

L’evolversi della situazione sanitaria in Italia, con la conseguente adozione di continue misure normative volte a contenere il contagio, pone non pochi problemi di comprensione ed azione all’amministratore di condominio, che si trova a fronteggiare dubbi del tutto nuovi.

E’ dal 2012, anno della novella introdotta con L. 220/2012, che chi si occupa di condominio si pone dubbi sulla effettiva comprensione del fenomeno condominio da parte del legislatore, ma v’è da dire che la produzione normativa di questi giorni fuga ogni dubbio sulla totale approssimazione con cui viene affrontata ogni fattispecie, non solo condominiale, con una continua produzione di atti – spesso in spregio a qualunque criterio costituzionale di legiferazione – che limitano libertà, impongono divieti, prevedono fattispecie senza considerare i risvolti applicativi, ricorrendo sempre più a atti amministrativi (quali i DPCM o le ordinanze ministeriali), che lasciano non poche perplessità al soggetto che deve applicarle.

Vi è poi questa perversa tendenza ad imporre limiti e divieti senza alcun perimetro chiaro, disciplinando ma non vietando, strada che apre la porta agli arbìtri più assurdi per coloro che poi sono chiamati a far rispettare il precetto (da cui l’assurda notizia che si siano contestate decine di migliaia di violazioni ex art 650 cod.pen. a coloro che contravvengono ai divieti, con la prossima paralisi delle procure e dei tribunali che vedranno un sovraccarico di inutili decreti penali da smaltire…)

Un precetto, infine, che prende il divieto salvo situazioni urgenti e di assoluta necessità, che prescrive indicazione per gli anziani e divieti di compiere attività motoria non in prossimità della propria abitazione dimostra con chiarezza l’assurdo di una norma che non delimita la fattispecie cui deve essere applicata: Anziani, prossimità, assoluta necessità sono criteri totalmente discrezionali e non misurabili, che neanche uno studente di giurisprudenza al primo esame si sognerebbe di richiamare.

Detto ciò, in aggiunta a quanto già osservato nei giorni passati, è opportuno delineare i principali problemi che l’amministratore si vede costretto ad affrontare oggi:

  • alcune prassi sono state delineate in collaborazione con l’ISS e rappresentano certamente indicazioni cui avere riguardo, alle quali è opportuno che l’amministratore dia adeguato risalto con appositi avvisi nelle parti comuni.  Va a tal proposito rilevato che i normali parametri di adempimento/inadempimento e responsabilità, nella specifica situazione di emergenza, dovranno trovare applicazione ragionata, sì che all’amministratore non si potrà rimproverare, ex artt. 1129 e 1130 c.c. il mancato ferreo rispetto di tali indicazioni da parte dei condomini (ovvero egli non può trasformarsi in poliziotto condominiale), poiché la sua prestazione non può travalicare i limiti di ragionevolezza e attuabilità, mentre potrebbe essergli rimproverato di non aver dato adeguate informazioni, non aver predisposto adeguati strumenti di protezione per i dipendenti, non aver reso indisponibili talune parti comuni ricreative (piscine, campi da tennis, aree di ritrovo). Sul punto, per coloro che volessero approfondire la tematica dell’inadempimento, sono apparsi sul web diversi scritti interessanti che, mutatis mutandis, possono essere applicati anche alla prestazione contrattuale in condominio (non dimenticando che l’amministratore è un mandatario, ex art. 1129 comma XV c.c.)
  • ASSEMBLEE DI CONDOMINIO : è pacifico che, ad oggi, le assemblee di condominio non debbano tenersi. Era ovviamente troppo semplice redigere una norma apposita, tuttavia il divieto può essere desunto dal coacervo di disposizoni che vietano le riunioni, gli assembramenti, gli spostamenti, etc. Anche se, ove fossero rispettati tutti i parametri di distanza e salubrità  e si trattasse di grave ed imprescindibile necessità (ad esempio necessità di deliberare interventi per la statica dell’edificio o per servizi essenziali), la riunione, alla luce delle norme vigenti e sotto il profilo strettamente giuridico, potrebbe non ritenersi espressamente vietata.
  • E’ tuttavia evidente che l’unica indicazione sensata  che può essere data all’amministratore è di astenersi da qualsiasi convocazione e celebrazione di assemblea, giovandosi dei suoi poteri di intervento autonomi – così come disciplinati dall’art. 1130 c.c. e, per casi straordinari, dall’art. 1135 comma II c.c. (che prevede che “L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea”). In tale ultima ipotesi l’ostacolo prioritario può essere di natura economica, laddove il condominio non abbia sufficienti risorse in cassa per far fronte all’imprevisto; paiono da sconsigliare (a maggior ragione per la celebrazione di assemblee ordinarie per la nomina dell’amministratore e l’approvazione dei bilanci)  forme virtuali di partecipazione (qui alcune note interessanti), laddove non siano espressamente previste dal regolamento di condominio, poiché la previsione non è ad oggi contenuta in alcuna norma e si presta a successive contestazioni non facilmente risolvibili (modalità di espressione del voto, partecipazione, discriminazione fra coloro che hanno mezzi telematici, etc).
  • Laddove sussistano problemi di liquidità, ed anche ai fini di continuare la gestione ove non si sia potuta celebrare l’assemblea di approvazione del consuntivo e del preventivo e di nomina dell’amministratore, appare prudente che quest’ultimo predisponga una modalità di esercizio straordinaria inviando comunque ai condomini i propri rendiconti e chiedendo una forma di ratifica provvisoria via mail), rimettendo a successiva assemblea gli adempimenti formali di approvazione (appare opportuno, a tal fine, avvisare i condomini che i versamenti saranno effettuati salvo conguaglio, all’esito della approvazione assembleare del rendiconto).
  • Per le stesse ragioni anche la nomina sarà differita alla prima assemblea utile, secondo gli ordinari parametri (sarà interessante verificare poi le successive interpretazioni in tema di funzioni e prorogatio, tema sul quale si può leggere un interessante intervento qui)
  • quanto alle responsabilità dell’amministratore e alla sua nomina, va osservato che  il D.L. 18/2020.   ha sospeso – in maniera assolutamente cervellotica e poco razionale, qui una completa disamina – ogni termine sostanziale e processuale (ivi compresi quelli di prescrizione e decadenza) sino al 15 aprile 2020.  Nulla è previsto circa i termini di cui all’art. 1130 n. 10 c.c., ovvero l’obbligo di convocare l’assemblea entro 180 giorni dalla chiusura del’esercizio, anche se è ragionevole ritenere che eventuali azioni successive di responsabilità, che qualche scriteriato dovesse ritenere di proporre, vedrebbero applicazione da parte della giurisprudenza di una interpretazione di buon senso, già emersa in passato, legata alla sussistenza di motivi imprescindibili che impedivano tali adempimenti.
  • RISCOSSIONE QUOTE – nessuna norma ha sospeso il versamento delle quote né la possibilità dell’amministratore di agire per il loro recupero forzoso (qui alcune riflessioni in tema di pagamenti telematici) . Va tuttavia rilevato che, di fatto, gli uffici giudiziari sono chiusi salvo che per le urgenze quindi, mentre è possibile depositare in via telematica decreti presso i tribunali (quindi per somme superiori a 5.000 euro), non lo è altrettanto presso i giudici di pace, che ad oggi non consentono modalità alternative al deposito cartaceo, in questo momento sospeso. E’ tuttavia plausibile che i decreti, anche se depositati, vedano cospicui ritardi nella firma  da parte del giudice (sono pervenuti da parte di molti Tribunali inviti a soprassedere anche ai depositi telematici) e divenga comunque poi inattuabile la loro notifica, essendo ad oggi impossibile accedere alle cancellerie per la richiesta di copie in forma esecutiva.
  • ove il condominio veda impossibilità di gestione a causa di taluni morosi, può essere disposto eventuale esercizio straordinario, secondo le indicazioni anche di recente emerse dalla Suprema Corte. E’ tuttavia ovvio che, ove la situazione di emergenza perdurasse a lungo,  l’amministratore si potrebbe trovare a fronteggiare situazioni non semplici.
  • ATTIVITA’ VIETATE  – dpcm 22 marzo 2020 – l’ultima boutade “normativa” è il decreto preannunciato in diretta Facebook alle ore 23,20 di sabato 21 marzo 2020, con la ridda di indiscrezioni filtrate per tutta la domenica, ed oggi pubblicato in gazzetta ufficiale, con cui si sospendono le attività produttive e commerciali sull’intero territorio nazionale, attività individuate mediante riferimento ad una tabella di codici ATECO (qui alcune indicazioni).  il condominio pare essere ricompreso con il codice ateco 97 (condominio con dipendenti), anche se appare del tutto improprio individuare tale realtà come attività produttiva industriale o commerciale, di talchè diventa improbabile ricondurre il condominio alla fattispecie indicata dal DPCM.
  • Alla luce di tale bizzarro modo di produrre norme, appare oggi lecito e prudenziale ritenere che debbano essere sospese tutte le attività di cantiere non indispensabili (anche alla luce del divieto di spostarsi da un comune all’altro) così come ogni altra non legata alla fornitura di servizi essenziali, pur rilevando che la solita locuzione “per comprovate esigenze lavorative” svuota di ogni significato precettivo la norma, avallando comportamenti disomogenei invece che favorire una interpretazione univoca (non sfuggirà inoltre che i codici ATECO 33/43 di cui all’allegato del DPCM consentono ogni attività di fornitura /manutenzione che possa rivelarsi necessaria in condominio).
  • quanto alla attività dei portieri, la previsione del codice ateo relativo, induce a ritenerla lecitamente proseguibile, anche se l’amministratore dovrà fornire al dipendente tutti i dispositivi di protezione individuale pervisti dalla normativa vigente in tema di contenimento del virus COVID-19 e fornire istruzioni scritte sulle modalità di svolgimento del servizio stesso e sull’utilizzo dei DPI. L’amministratore, ove lo ritenga funzionale, potrà variare temporaneamente le modalità di svolgimento del servizio, prevedendo ad esempio più passaggi giornalieri di pulizia per citofoni maniglie corrimano e portoni.

LO STUDIO DELL’AMMINISTRATORE – il nuovo DPCM 22 marzo 2020 prevede all’art. 1 che “le attività professionali non sono sospese e restano ferma le previsioni di cui all’art. 1 punto 7 DPCM 11 marzo 2020”. 

All’amministratore dunque non pare ad oggi fatto divieto assoluto di recarsi al proprio studio, osservando quanto stabilito sopra ovvero:

7) In ordine alle attività produttive e alle attività pro- fessionali si raccomanda che:

a) sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che pos- sono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;

b) siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;

c) siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;

d) assumano protocolli di sicurezza anti-conta- gio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale;

e) siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali”

si tratta tuttavia di norma mal formulata e di dubbia interpretazione, posto che nell’allegato che indica i codici Ateco (che la norma riferisce solo alle attività industriali e commerciali sospese) sono ricomprese anche attività professionali, fra le quali non è indicata la n. 68, relativa agli amministratori di condominio. E’ evidente che, a mente del combinato disposto (rectius, del malcombinato) di tutte le norme percettive ad oggi emesse, la frequenza dello studio sia del tutto sconsigliata e da lasciare ad ipotesi residuali e di emergenza.

 

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alla luce della situazione in essere va in ultimo rilevato un aspetto collaterale non secondario: la legislazione, specie in periodi emergenziali, non può prescindere dai cardini del sistema costituzionale.

 © massimo ginesi 23 marzo 2020 


Foto di Cock-Robin da Pixabay

anticipazioni dell’amministratore: onere della prova e verbale di passaggio consegne

La Suprema Corte (Cass.civ. Sez. VI-2 ord. 25 febbraio 2020 n. 5062 rel. Scarpa)  ribadisce con efficace sintesi due orientamenti ormai consolidati a proposito di anticipazioni effettuate dall’amministratore e di azione promossa da costui per ottenerne il rimborso da parte del condominio.

In forza dell’ordinario riparto dell’onere della prova delineato dall’art. 2697 c.c., compete all’amministratore fornire piena dimostrazione degli esborsi sostenuti, sia riguardo all’entità che alla modalità.

Tali circostanze non potranno essere tratte in via deduttiva da eventuali disavanzi di fine gestione, sussistenti nel consuntivo approvato, poiché tali poste non dimostrano in maniera univoca che vi abbia fatto fronte l’amministratore né, a tal fine, appare dirimente quanto risulti dal verbale di passaggio di consegne fra l’amministratore uscente (che vanta il credito) e il nuovo nominato; tale atto non ha dunque valenza di ricognizione di debito neanche ove rechi menzione di tali somme e neanche ove il condominio abbia in tal sede effettuato pagamenti.

“È consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, poiché il credito dell’amministratore per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del Condominio si fonda, ex art. 1720 c.p.c., sul contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con i condomini, è l’amministratore che deve offrire la prova degli esborsi effettuati, mentre i condomini (e quindi il Condominio) – che sono tenuti, quali mandanti, a rimborsargli le anticipazioni da lui effettuate, con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte, ed a pagargli il compenso oltre al risarcimento dell’eventuale danno – devono dimostrare di avere adempiuto all’obbligo di tenere indenne l’amministratore di ogni diminuzione patrimoniale in proposito subita (Cass. Sez. 2, 26 febbraio 2019, n. 5611; Cass. Sez. 6 – 2, 17/08/2017, n. 20137; Cass. Sez. 2, 30/03/2006, n. 7498).

Era dunque l’amministratore B. a dover fornire la dimostrazione dei fatti su cui fondare la propria pretesa di recupero delle spese sostenute.

Spetta invece all’assemblea il potere di approvare, col conto consuntivo, gli incassi e le spese condominiali, ma solo una chiara e definitiva indicazione in bilancio dell’importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili può costituire idonea prova del debito dei condomini nei confronti del precedente amministratore (arg. da Cass. Sez. 2, 28/05/2012, n. 8498; Cass. Sez. 2, 14/02/2017, n. 3892).

D’altro canto, va altresì ribadito, a conferma del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello, come l’accettazione da parte del nuovo amministratore della documentazione condominiale consegnatagli dal precedente (e dunque, nella specie, il verbale di consegna sottoscritto con riguardo alla situazione patrimoniale al 31 dicembre 2010), ovvero anche un pagamento parziale, a titolo di acconto, di una maggiore somma, non costituiscono prove idonee del debito nei confronti di quest’ultimo da parte dei condomini per l’importo corrispondente al disavanzo tra le rispettive poste contabili, spettando pur sempre all’assemblea di approvare il conto consuntivo, onde confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l’opportunità delle spese affrontate d’iniziativa dell’amministratore.

La sottoscrizione del verbale di consegna della documentazione, apposta dal nuovo amministratore, non integra, pertanto, una ricognizione di debito fatta dal condominio in relazione alle anticipazioni di pagamenti ascritte al precedente amministratore e risultanti dalla situazione di cassa registrata (Cass. Sez. 2, 28/05/2012, n. 8498).

La sentenza impugnata ha comunque negato anche la sussistenza di una deliberazione assembleare di approvazione del rendiconto, che specificasse le somme a carico del condominio da corrispondere all’amministratore cessato dall’incarico. Questa Corte, del resto, ha pure già affermato che la deliberazione dell’assemblea di condominio, che procede all’approvazione del rendiconto consuntivo, pur ove evidenzi un disavanzo tra le entrate e le uscite, non consente di ritenere dimostrato, in via di prova deduttiva, che la differenza sia stata versata dall’amministratore con denaro proprio, in quanto la ricognizione di debito postula un atto di volizione da parte dell’organo collegiale in relazioni a poste passive specificamente indicate (Cass. Sez. 2, 09/05/2011, n. 10153).

Essendo il mandatario che agisce in giudizio per la corresponsione del compenso ed il recupero delle spese e degli esborsi sopportati per l’esecuzione dell’incarico a dover fornire la dimostrazione dei fatti che ne costituiscono il fondamento, e cioè dell’esecuzione del negozio gestorio e dell’esborso effettuato in occasione di esso, e non trattandosi di accertare, perciò, situazioni di fatto verificabili soltanto con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche, neppure è censurabile in sede di legittimità la mancata disposizione della consulenza tecnica d’ufficio da parte del giudice di merito, utilizzandosi altrimenti la consulenza come strumento idoneo ad esonerare la parte dall’onere della prova o a procurare esplorativamente circostanze o elementi non provati.”

massimo ginesi 20 marzo 2020

detrazioni fiscali: l’amministratore è responsabile verso i condomini ove paghi l’appaltatore con modalità che non consentano il beneficio

è quanto statuisce Cass.civ. sez. II  ord. 4 marzo 2020 n. 6086, nel rigettare il ricorso di un amministratore che è stato convenuto in giudizio da una condomina che si doleva di non aver potuto della detrazione fiscale del 36%, relativa alla esecuzione di lavori straordinari  eseguiti nel fabbricato condominiale per la negligenza con cui erano stati eseguiti i pagamenti all’appaltatore.

Il Tribunale di Avezzano, in primo grado, aveva parzialmente accolto la domanda,  riconoscendo il diritto della condomina ad esser ristorata della somma non potuta portare in detrazione dalle imposte dovute sul suo reddito personale nella misura del 36% di quanto pagato per i lavori eseguiti sull’edificio condominiale. La sentenza veniva confermata dalla Corte d’Appello dell’Aquila.

L’amministratore ricorre alla Suprema Corte, deducendo che non rientrava  nei limiti del mandato affidato all’amministratore condominiale anche l’esecuzione degli adempimenti previsti per poter godere della detrazione fiscale, correlata ai lavori eseguiti sullo stabile condominiale e che la Corte territoriale non aveva tenuto conto che la P. non aveva provato di aver rispettato le disposizioni circa i pagamenti effettuati per i lavori straordinari impartite in detto regolamento ministeriale, sicché nemmeno era comportamento esigibile che l’amministratore certificasse la regolarità dei pagamenti e la presenza delle condizioni di legge per poter usufruire della detrazione fiscale di causa.

Il verdetto del giudice di legittimità è netto: “L’erroneità che pervade tutti i motivi di censura va individuata nell’asserzione del ricorrente che era la condomina P. , nell’effettuare i pagamenti dei contributi dovuti al condominio per l’effettuazione dei lavori di carattere straordinario eseguiti sull’edificio comune, a dover rispettare le disposizioni, circa la tracciabilità dei pagamenti effettuati all’appaltatore, stabilite nel D.M. n. 41 del 1998.

Viceversa era ovviamente il soggetto che affida i lavori all’impresa appaltatrice – ossia il condominio a mezzo del suo amministratore – a dover osservare le disposizioni circa la tracciabilità dei pagamenti del compenso pattuito con il contratto d’appalto.
Difatti la norma ex art. 1, lett. a) del citato D.M., prescrive per il condomino, che intenda avvalersi della deduzione fiscale in relazione ai contributi dallo stesso versati all’Ente comune per l’esecuzione dei lavori di natura straordinaria sull’edificio comune, il solo onere della trasmissione all’Ufficio finanziario della Delibera condominiale di approvazione dell’esecuzione di detti lavori e del piano millesimale per individuare l’ammontare del suo contributo al Condominio.
Come rettamente sottolineato dal Collegio aquilano sulla scorta di puntuale arresto di questa Corte, sarà inoltre necessaria per poter fruire della detrazione fiscale l’attestazione dell’amministratore che il condomino abbia effettivamente versato al Condominio il suo contributo individuale alla spesa comune.
Erroneamente dunque ritiene il M. che l’amministratore dovrebbe attestare il rispetto delle formalità previste dal Regolamento ministeriale circa i pagamenti effettuati dal condomino al condominio.

Non concorre violazione delle norme sul mandato affidato all’amministratore posto che allo stesso e per legge e per Delibera assembleare era stato affidato il compito di portare ad esecuzione il deliberato compimento dei lavori straordinari sull’edificio comune,ovviamente compresi i relativi pagamenti all’appaltatore.
E di certo l’effettuazione dei pagamenti in modo tracciabile, secondo le norme ex D.M. n. 41 del 1998, appare condotta ricompresa nel mandato affidato all’amministratore, posto che il singolo condominio poteva godere del contributi, non già, in forza di situazioni soggettive potenzialmente sconosciute all’amministratore, bensì semplicemente in relazione alla tipologia dei lavori eseguiti sul bene comune amministrato.
Di conseguenza era dovere di diligenza dell’amministratore condominiale effettuare i pagamenti in modo da conservare ai singoli condomini, che intendevano usufruirne, la facoltà di godere della detrazione fiscale ex lege n. 449 del 1997, posto che trattavasi semplicemente di modalità di esecuzione di attività – pagamento del compenso all’appaltatore – comunque rientrante nella propria sfera di competenza.

© massimo ginesi 19 marzo 2020 

le assemblee condominiali ai tempi del coronavirus

“E’ la vita, più che la morte, a non avere limiti.” (l’amore ai tempi del colera – G.G. Marquez)  

Il veloce susseguirsi di provvedimenti urgenti, volti a contenere il diffondersi del contagio da Coronavirus pone non pochi interrogativi agli amministratori di condominio, soprattutto in ordine ad eventi di aggregazione quali finiscono per essere le assemblee condominiali.

Va a tal proposito osservato che in data 4.3.2020 è stato emanato un decreto del Presidente Consiglio dei Ministri , che introduce  ( sino al 3  aprile p.v.) misure che hanno vigore su tutto il territorio nazionale e, in particolare prevedeva  all’art. 1 comma 1 lett. b 

  • b) sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro di cui all’allegato 1, lettera d);

e,  all’art. 2 comma 1 lett. b

  • b) è fatta espressa raccomandazione a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, di cui all’allegato 1, lettera d);
è del tutto evidente che si tratta di ipotesi che ben rilevano anche a fini assembleari, poiché indubitabilmente si tratta di riunioni che rientrano nella previsione di cui all’art. 1 ed in cui facilmente può verificarsi l’ipotesi di cui all’art. 2.
Come sempre in questo paese il legislatore produce testi di legge da brivido, poiché la formulazione di entrambe le fattispecie  – formulando ipotesi di divieto non chiaramente determinate – lascia nelle mani dell’amministratore il cerino circa la decisione se celebrare le assemblee già convocate o convocarne altre nel periodo de quo. 
Per il periodo che va dal 4 marzo al 9 marzo 2020 la risposta alla seconda ipotesi era del tutto intuitiva: appariva  opportuno posticipare nuove convocazioni a data successiva al 3 aprile p.v., salva l’eventuale proroga o modifica delle misure interdittive. 
La soluzione al primo dubbio appariva  invece assai più complessa, poichè la norma prevede sospensione per riunioni che comportino modalità da non consentire distanze superiori ad un metro (forse nella mente di questo legislatore il segretario o il presidente dovranno munirsi di una portica e allontanare i condomini disponendoli secondo un rigoroso schema geometrico…) mentre la definizione “affollamento tale da…” comporta una valutazione discrezionale di difficile determinazione.
Risultava  allora opportuno che l’amministratore tenesse una condotta particolarmente prudenziale, sia per se stesso sotto il profilo sanitario, sia ai fini di possibili contestazioni sullo svolgimento dell’assemblea (che potrebbero portare a qualche strampalata impugnativa, ove taluno si ritenesse leso ed impedito a partecipare dalle modalità e dal luogo scelto per la celebrazione).
Poteva  dunque rispondere a buon senso rinviare le assemblee di complessi particolarmente numerosi, ove il rispetto delle modalità raccomandate nel decreto sia di fatto impossibile, adottando per le altre (ove non sia possibile o opportuno rinviarle) locali adeguati e rappresentando ai condomini l’opportunità di valorizzare la delega, dando luogo ad assembramenti ridotti. 
In entrambi i casi poteva  essere ragionevole inviare un comunicato (in cui si posticipava l’assemblea o si invitava a partecipazioni consapevoli) con le indicazioni emergenti dal decreto,  anche riguardo alle norme di condotta da osservare. 
Non essendo in quel lasso di tempo  la Liguria considerata zona rossa, non sussistevano provvedimenti interdettivi locali più severi (come invece sono stati adottati in Veneto e Lombardia, volti a contenere al minimo le occasioni di assembramento), sussistono tuttavia ordinanze locali (come quella emanata dal Sindaco di Lerici) che impongono agli amministratori comunicazioni circa gli arrivi nei condomini di soggetti provenienti da zone c.d. rosse..
Vi sono anche  autori che hanno esaminato la possibilità di svolgere l’incontro in videoconferenza, che oggi può essere anche semplicemente gestita via Skype o whatsapp o altri sistemi digitali e  che eviterebbe l’interazione personale, ipotesi che tuttavia pare di difficile attuazione – alla luce delle norme vigenti – ove non sia espressamente prevista dal regolamento contrattuale oppure non veda il consenso di tutti i condomini.
Ove poi l’amministratore decida  di celebrare comunque l’assemblea può essere opportuno dare atto in apertura di verbale che il numero di partecipanti e le caratteristiche del locale consentono di osservare le prescrizioni di cui al DPCM 4.3.2020.
Tuttavia in data 9.3.2020  il Presidente del Consiglio dei Ministri ha firmato un provvedimento (in vigore da oggi) che estende a tutta l’Italia il regime già previsto dal DPCM 8 marzo 2020 per la Lombardia e talune province venete, piemontesi  ed emiliane.
Aldilà di quel che si legge sul web e sulla stampa (pare che in questo paese lo sport preferito sia diffondere panico) il decreto non prevede divieti assoluti per coloro che non sono in quarantena, ma mobilità ridotta e solo per  motivi lavorativi, familiari e di salute da autocertificare con apposito modulo in caso di controllo (art. 1 lett a DPCM 8 marzo 2020: “ a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonche’ all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessita’ ovvero  spostamenti per motivi di salute”)
Prevede tuttavia il divieto, già contenuto del DPCM 8 marzo 2020 all’art. 1 lett G, di qualunque evento pubblico o privato: ”   g) sono sospese tutte le manifestazioni organizzate, nonche’ gli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo, religioso e fieristico, anche se svolti in luoghi chiusi ma aperti al pubblico, quali, a titolo d’esempio, grandi eventi, cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati; nei predetti luoghi e’ sospesa ogni attivita’”
 
La formulazione  non brilla per chiarezza e il precetto sembra diretto a disciplinare eventi di natura diversa dalle assemblee di condominio, tuttavia il tenore letterale della norma e lo spirito dell’intero provvedimento, volto ad evitare spostamenti e incontri, induce cautelativamente a ritenere ad oggi sospese anche le riunioni assembleari, di talchè pare opportuno predisporre rinvio di quelle già fissate.
 
Ciò sia nell’ottica di rispetto di disposizioni che si pongono a tutela della salute pubblica e devono essere interpretate nel modo più rigoroso possibile, sia per evitare possibili impugnative da parte di coloro che – a questo punto legittimamente – potrebbero considerare la celebrazione di una riunione condominiale un motivo non idoneo allo spostamento dal proprio domicilio (ai sensi dell’art. 1 lett. a DPCM 8 marzo 2020, oggi applicato a tutto il territorio  nazionale).
© massimo ginesi 10 marzo 2020

 

dpcm20200309-200309223929

 

accertamento della qualità di condomino: la legittimazione passiva è in capo ai singoli condomini

La  Suprema Corte (Cass. civ. VI.2  ord. 21 febbraio 2020 n. 4967 rel. Scarpa) richiama un principio  ormai consolidato  che affonda le proprie radici nel dictum delle Sezioni Unite  n. 25454/2013: l’azione di accertamento della condominialità di un bene (o della qualità di condomino di un soggetto) non va proposta contro l’amministratore ma vede quali legittimati passivi, in regime di litisconsorzio necessario, tutti gli altri condomini.

Come affermato dalla Corte d’Appello di Messina, la domanda di accertamento della qualità di condomino, ovvero dell’appartenenza, o meno, di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva ad un condominio edilizio, in quanto inerente all’esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., non va proposta nei confronti della persona che svolga l’incarico di amministratore del condominio medesimo (come avvenuto nella specie), imponendo, piuttosto, la partecipazione quali legittimati passivi di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario.

Invero, l’azione che ha per oggetto l’accertamento positivo o l’esclusione del diritto di condominio sulle parti comuni, esercitata dal titolare di una determinata proprietà immobiliare, rende indispensabile l’integrità del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, giacché tale accertamento o esclusione si risolve comunque in un minore o maggior diritto proporzionale di condominio in capo a coloro cui appartengono le altre unità immobiliari.

La definizione della vertenza postula, dunque, una decisione implicante una statuizione in ordine a titoli di proprietà confliggenti fra loro, suscettibile di assumere valenza solo se, ed in quanto, data nei confronti di tutti i soggetti, asseriti partecipi del preteso condominio in discussione (Cass. Sez. 6-2, 25/06/2018, n. 16679; Cass. Sez. 6-2, 17/10/2017, n. 24431; Cass. Sez. 6-2, 22/06/2017, n. 15550; Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez. 2, 01/04/1999, n. 3119).

Di recente, Cass. Sez. U, 18/04/2019, n. 10934, ha enunciato il principio che, nelle controversie condominiali che investono i diritti dei singoli condomini sulle parti comuni, ciascun condomino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale – concorrente con quello dell’amministratore – di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”. In motivazione, la sentenza n. 10934 del 2019 afferma proprio: “Le Sezioni Unite con la sentenza 25454 del 2013 relativa ad azione di un condomino volta all’accertamento della natura condominiale di un bene hanno già avuto modo di affermare, con un esame approfondito della questione, che occorre integrare il contraddittorio nei riguardi di tutti i condomini qualora il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva formulando un’apposita domanda riconvenzionale volta ad ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato che mette in discussione la comproprietà degli altri soggetti (più di recente v. Cass. n. 6649 del 15/03/2017). Altrettanto vale allorché vi sia espressa azione in tal senso contro il condominio o qualora l’amministratore condominiale introduca un’azione che esula dalle attribuzioni conferitegli dall’art. 1130 c.c., e dalla sfera di rappresentanza attribuitagli dall’art. 1131 c.c.”.

Non induce a diverse conclusioni la considerazione, svolta da dalle ricorrenti nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, secondo cui, a norma dell’art. 1131 c.c., l’amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio, in quanto, proprio per la consolidata interpretazione giurisprudenziale già richiamata, il potere rappresentativo che spetta all’amministratore di condominio si riflette nella facoltà di agire e di resistere in giudizio unicamente per la tutela dei diritti sui beni comuni, rimanendone perciò escluse le azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni stessi, e, cioè, sul relativo diritto di comproprietà, che rientra nella disponibilità esclusiva dei condomini. In tal modo, si assicura anche la regolare corrispondenza tra le attribuzioni dispositive dell’amministratore e dell’assemblea e la legittimazione a far valere nel processo le rispettive posizioni dominicali.  “

© Massimo Ginesi 25 febbraio 2020

il condomino ha sempre diritto a chiedere copia dei documenti contabili all’amministratore

La Cassazione ( Cass.civ. sez. II  ord. 20 febbraio 2020 n. 4445) ribadisce un principio ormai ferreo, che la riforma del 2012 (la pronuncia si riferisce a caso che, ratione temporis, non vedeva ancora l’applicazione della L. 220/2012) ha vieppiù riaffermato anche in sede normativa agli artt. 1129, 1130 e 1130 bis c.c.

“La Corte d’appello ha, bensì, correttamente richiamato il consolidato principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “in tema di comunione dei diritti reali, ciascun comproprietario ha la facoltà (di richiedere e) di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e non soltanto in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea) e senza l’onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti), purché l’esercizio di tale facoltà non risulti di ostacolo all’attività di amministrazione, non sia contrario ai principi di correttezza, e non si risolva in un onere economico per il condominio (dovendo i costi relativi alle operazioni compiute gravare esclusivamente sui condomini richiedenti)” (Cass. n. 19210 del 2011; conf. Cass. n. 8460 del 1998; Cass. n. 15159 del 2001).

Ma di tale principio, tuttavia, la Corte di merito non ha fatto altrettanto corretta applicazione, avendo trascurato la contestuale affermazione di questa Corte di legittimità, per la quale “il condomino ha senz’altro il diritto di accedere alla documentazione contabile in vista della consapevole partecipazione all’assemblea condominiale e che a tale diritto corrisponde l’onere dell’amministratore di predisporre un’organizzazione, sia pur minima, che consenta la possibilità di esercizio di tale diritto e della esistenza della quale i condomini siano informati.

Con il che, deve ritenersi che a fronte della richiesta del condomino di accedere alla documentazione contabile per gli indicati fini di partecipazione consapevole ad un’assemblea che su quei documenti debba esprimersi, l’onere della prova (che nella specie non risulta assolto) della inesigibilità della richiesta e della sua non compatibilità con le modalità previamente comunicate incombe sull’amministratore e, quindi, in sede di impugnazione della delibera assembleare, al Condominio, ove intenda resistere all’azione del condomino dissenziente” (Cass. n. 19210 del 2011, cit.; coni. Cass. n. 19800 del 2014; Cass. 19799 del 2014).”

© massimo ginesi 24 febbraio 2020

poteri di tutela del singolo condomino contro l’utilizzo improprio della cosa comune

una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.civ. sez. II  ord. 18 novembre 2019 n. 29924 rel. Scarpa) chiarisce che – anche ove il regolamento condominiale preveda il preventivo assenso dell’amministratore o dell’assemblea alla esecuzione di opere da parte dei singoli destinate ad incidere sulle parti comuni –  resta intatta la facoltà del singolo che ritenga leso il proprio diritto, a fronte di interventi che travalichino i confini di cui all’art. 1102 c.c.,  di ricorrere all’autorità giudicai onde ottenere la relativa tutela .

Allorché una clausola del regolamento di condominio, di natura convenzionale, imponga il consenso preventivo dell’amministratore o dell’assemblea per qualsiasi opera compiuta dai singoli condomini che possa modificare le parti comuni dell’edificio, pur dovendosi riconoscere all’assemblea stessa, nell’esercizio dei suoi poteri di gestione, la facoltà di ratificare o convalidare ex post le attività che siano state compiute da alcuno dei partecipanti in difetto nella necessaria preventiva autorizzazione, resta salvo l’interesse processuale di ciascun condomino ad agire in giudizio per contestare il determinato uso fatto della cosa comune ed il potere dell’assemblea di consentirlo, ove esso risulti comunque lesivo del decoro architettonico del fabbricato, non dando ciò luogo ad un sindacato dell’autorità giudiziaria sulle valutazioni del merito o sulla discrezionalità di cui dispone l’assemblea”.

© massimo ginesi 22 novembre 2019 

l’accertamento sulla titolarità di un box prevede litisconsorzio necessario fra tutti i condomini

le domande che hanno ad oggetto l’accertamento, con efficacia  di giudicato, in ordine alla titolarità esclusiva di un bene posto in condominio devono essere proposte non contro l’amministratore ma nei confronti di tutti i singoli condomini.

E’ quanto ribadisce Cass.civ. sez. II  ord. 16 ottobre 2019 n. 26208.

fatti e processoCon atto di citazione del 22/10/2002 F.A. conveniva in giudizio il (omissis) , chiedendo che venisse accertato il suo esclusivo diritto di proprietà sul locale terraneo adibito a box, facente parte del fabbricato condominiale, con conseguente condanna del Condominio al rilascio e allo sgombero dello stesso. Il convenuto, costituendosi, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, dovendo la causa essere istaurata nei confronti dei singoli condomini e, nel merito, deduceva che il bene rivendicato era di proprietà condominiale.
Il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, con sentenza n. 166/2008 rigettava l’eccezione di legittimazione e accoglieva la domanda, accertando il diritto di piena proprietà dell’attore sul bene oggetto di causa e condannando il Condominio all’immediato rilascio dello stesso.
2. Avverso la pronuncia, chiedendone l’integrale riforma, proponeva appello il (omissis) , anzitutto contestando la decisione del Tribunale di ritenere passivamente legittimato il Condominio.
Con sentenza 30 gennaio 2013, n. 332, la Corte d’appello di Napoli riteneva fondata l’eccezione, formulata dall’appellato, di difetto di legittimazione dell’amministratore del Condominio per mancanza di deliberazione autorizzativa dell’assemblea alla proposizione dell’impugnazione, non trattandosi di causa che l’amministratore poteva autonomamente proporre ex art. 1130 c.c., n. 4 e dichiarava così inammissibile l’appello.

principio di diritto ” Preliminare rispetto all’esame dell’unico motivo di ricorso – con cui si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1130, 1131 c.c. e art. 75 c.p.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di appello ritenuto necessaria, ai fini della proposizione dell’appello da parte dell’amministratore del Condominio, la previa deliberazione dell’assemblea dei condomini o, quantomeno, la ratifica successiva del suo operato, non rientrando la controversia tra quelle che l’amministratore poteva autonomamente proporre – è il rilievo della non integrità del contraddittorio.

L’azione fatta valere da F.A. è di accertamento del suo esclusivo diritto di proprietà su un immobile – azione reale che non diviene personale, come aveva sostenuto il giudice di primo grado, per il fatto che oltre all’accertamento del diritto sia stata conseguentemente chiesta la condanna del Condominio a restituire l’immobile – ed incide sul diritto di ciascun condomino, che deve pertanto essere convenuto in giudizio.

Come ha infatti precisato questa Corte, la domanda di un terzo il quale, agendo contro il condominio, si affermi proprietario esclusivo e pretenda di farlo con una domanda mirante al giudicato di accertamento e di condanna al rilascio del bene si deve svolgere in contraddittorio con tutti i condomini, “stante la condizione di comproprietari dei beni comuni e la portata delle azioni reali, che incidono sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condomino, avente reale interesse a contraddire” (così Cass. n. 3575/2018, che ha sviluppato quanto affermato da Cass., sez. un., n. 25454/2013).

Va quindi dichiarata la nullità delle pronunzie di merito e dei relativi procedimenti per mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti dei singoli condomini; pertanto, cassata per l’effetto la sentenza impugnata, la causa va rinviata al giudice di primo grado, che provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.”

© Massimo Ginesi 21 ottobre 2019