Molto si è scritto in questo periodo in tema di condominio e di contaminazione da coronavirus, anche riguardo a fattispecie che erano ignote prima dell’insorgere dell’emergenza e che richiedono un approccio sistematico e del tutto nuovo.
Molti amministratori lamentano che, a diverse settimane dall’inizio delle restrizioni che hanno confinato nelle case i cittadini, taluni condomini finiscano per utilizzare i lastrici comuni – ovvero le coperture piane dell’edificio – per prendere qualche ora d’aria, sì che alla fine su tali superfici finiscono per assembrarsi diverse persone in misura non conforme alle indicazioni dei diversi (e non sempre univoci e chiari) precetti normativi.
Si è da più parti evidenziato, correttamente, che all’amministratore non competono compiti di polizia, neanche infra condominiale, e che il rispetto delle normative è onere di cui rispondono i singoli condomini, tuttavia è opportuno che l’amministratore provveda (rectius, abbia già provveduto) alle necessarie informative, circa le misure di distanziamento ed igiene che devono essere rispettate anche nelle parti comuni (in special modo per l’utilizzo di impianti promiscui come l’ascensore) e che abbia altresì disposto misure straordinarie e periodiche di sanificazione.
All’amministratore l’art. 1130 n. 2 c.c. attribuisce un potere/dovere specifico riguardo alle parti comuni: “disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini”
Nell’ambito di tale facoltà, dovranno essere declinate in misura diversa le iniziative che, plausibilmente, non possono arrivare a sottrarre al godimento dei singoli le parti comuni ai soli fini del rispetto delle misure di distanziamento sociale (la cui osservanza peraltro non può essere demandata all’amministratore).
Appare difficile sostenere un’interpretazione restrittiva dei DPCM 8 e 22 marzo 2020, laddove vietano la movimentazione delle persone senza motivo, affermando che tali previsioni comportino il divieto di uscire dalla propria abitazione, posto che il termine abitazione deve essere ritenuto comprensivo dei suoi accessori (fra cui rientrano gli spazi comuni ex art 1117 c.c.).
Varrà soprattutto rilevare che le diverse norme che si sono succedute (e da ultimo il DL 19/2020, unica fonte di legge che appare idonea, sotto il profilo gerarchico, ad incidere sulla libertà delle persone) prevedono divieti unicamente per le aree pubbliche o aperte al pubblico, onde vietare assembramenti mentre, per ciò che attiene le aree private (fra cui rientrano le singole abitazioni ma anche gli spazi comuni condominiali ex art 1117 c.c.) sono pochissime le disposizoni precettive:
all’art. 1 del summenzionato decreto (che ricalca le diverse altre declinate dei singoli decreti antecedenti) i luoighi privati sono menzionati unicamente alla lettera G “ g) limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni altra forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo e religioso”; in maniera più ellittica, alla lettera L “l) sospensione dei congressi, di ogni tipo di riunione o evento sociale e di ogni altra attivita’ convegnistica o congressuale, salva la possibilita’ di svolgimento a distanza” (quindi anche ove svolti in strutture private) ; alla lettera M “ m) limitazione o sospensione di eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina in luoghi pubblici o privati, ivi compresa la possibilita’ di disporre la chiusura temporanea di palestre, centri termali, sportivi, piscine, centri natatori e impianti sportivi, anche se privati, nonche’ di disciplinare le modalita’ di svolgimento degli allenamenti sportivi all’interno degli stessi luoghi”
Certamente in senso restrittivo deve invece ritenersi il divieto, previsto dall’art. 1 comma 1 lett. c dpcm 8 marzo 2020 (poi esteso a tutto il territorio dal successivo DPCM 22 marzo 2020 e ripreso dall’art. 1 Lett. e del DL 19/2020), per coloro che sono risultati positivi al covid-19, posto che anche all’interno della microcompagine sociale del condominio deve essere garantita la separazione da soggetti certamente infettivi; il problema peraltro pone non pochi problemi in ordine alla privacy (l’amministratore non potrà affiggere in bacheca, come è ovvio, il nominativo di cui fosse venuto a conoscenza) e alle misure necessarie a far rispettare tale presupposto: appare corretto non investire l’amministratore di ruoli che travalicano il mero aspetto civilistico, sì che sarà onere dei condomini rivolgersi eventualmente alle autorità pubbliche ove, per conoscenza diretta, assistano a tali violazioni in ambito condominiale, condotte che ove poste in essere da soggetto certamente positivo possono anche avere seri risvolti penali.
Resta invece da escludere che l’amministratore possa vietare tout court l’utilizzo di parti comuni, che rimangono a tutti gli effetti luoghi privati e comuni ai condomini che hanno diritto di utilizzarli secondo i criteri dettati dall’art. 1102 c.c. e con il rispetto delle norme di contenimento che si sono succedute e stratificate nelle ultime settimane.
Ciò vale, ovviamente, per quelle parti che sono legittimamente fruibili: con particolare riguardo ai lastrici, che in questi primi giorni di primavera da reclusi possono essere presi di assalto, l’amministratore dovrà invece rendere inaccessibili quelli non calpestabili o non fruibili in base alle ordinarie norme di sicurezza (ad esempio privi di parapetto o che abbiano protezioni contro la caduta non corrispondenti alle vigenti normative).
Per ciò che attiene alla disciplina di tali parti comuni (lastrici, cortili, giardini), onde consentire una corretta fruizione, ove siano di modesta superficie e non sia possibile il godimento contemporaneo di tutti i condomini senza violare le norme di distanziamento, potrebbe eventualmente essere introdotta una fruizione turnaria, commisurando il numero massimo dei condomini che di volta in volta può accedere alla estensione della superficie, misura che certamente rispetta il disposto di cui all’art. 1102 c.c. e che in giurisprudenza vede da tempo favorevole applicazione (ad esempio con riguardo ai parcheggi, Cassazione civile, sez. III, ordinanza 22/10/2018 n° 26630).
La limitazione con uso turnario, laddove permanente, deve essere disposta dall’assemblea, tuttavia appare ragionevole che – in periodo di emergenza e alla luce dei poteri di disciplina e cautelativi della cosa comune di cui all’art. 1130 c.c. – l’amministratore possa disporre tale indicazione per un periodo di tempo limitato, al fine di evitare gli assembramenti che le recenti disposizioni vietano.
Certo è che, aldilà di indicazioni di condotta e di disposizioni informative, appare difficilmente sostenibile imputare all’amministratore un dovere di vigilanza stretta su tali condotte o – peggio – un dovere di reazione che vada aldilà di richiami, posto che si tratta di norme di rilevanza pubblica cogente, al cui rispetto sono chiamati i singoli cittadini.
© massimo ginesi 6 aprile 2020