Ancora sulla responsabilità da cosa in custodia: caduta nelle scale del condominio.

 

Una fattispecie davvero particolare affrontata dalla Cassazione (Cass. civ. sez. III 31 ottobre 2017 n. 25856) in tema di responsabilità del condominio .

Una donna scivola lungo le scale condominiali ,  a causa di un materiale sparso  da un sacchetto dell’immondizia lasciato sulle scale, riporta lesioni e fa causa  al condominio per essere risarcita, vedendo la sua domanda respinta sia in primo che in secondo grado.

Il giudice di legittimità si richiama a princpi consolidati in tema di imputabilità del fatto dannoso e di responsabilità da cosa in custodia.

Da un lato osserva che il sacchetto lasciato sulle scale da qualche condomino è fatto imprevedibile che interrempe il nesso causale con il condominio, dall’altro richiama gli ordinari princpi in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato, che deve comunque adottare l’opportuna diligenza nei fatti quotidiani della vita.

“la corte di merito ha ritenuto in fatto  e con valutazione fondata su adeguata motivazione, come tale non sindacabile in questa sede,  che la ricorrente era caduta scivolando sui residui di un sacchetto di immondizia lasciato aperto sulle scale condominiali, e che tale circostanza rappresentava un evento estraneo alla sfera di custodia dell’amministratore del condominio, eccezionale, imprevedibile e non evitabile, tale da poter configurare il caso fortuito, e quindi costituiva l’unica causa del danno, il che era sufficiente ad integrare la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c..

L’esclusione della sussistenza del nesso di causa tra la cosa in custodia e l’evento lesivo, escludono in radice, d’altra parte, la possibilità di affermare una responsabilità per colpa ai sensi dell’art. 2043 c.c. da parte dello stesso amministratore del condominio”

La corte coglie poi l’occasione per ripercorrere i criteri generali della responsabilità da custodia, aldilà dell’ambito condominiale, parametri che sono comunque utili a delineare i confini entro i quali  il condominio potrebbe essere chiamato a rispondere del danno subito dal terzo.

“a) in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (nella specie, la S. C. ha ritenuto eziologiamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneità dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada) (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017, Rv. 644282 – 01);

b) ai sensi dell’art. 2051 c. c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, Rv. 640508 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 23584 del 17/10/2013, Rv. 628725 – 01);

c) in tema di responsabilità del custode, la ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivato» (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10014 del 20/04/2017, Rv. 643830 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 6753 del 06/04/2004, Rv. 571873 – 01)”

© massimo ginesi 7 novembre 2017

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l’amministratore non può dar luogo a rimozione coattiva dell’auto dal cortile

Lo afferma, incidentalmente, una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.Civ. VI  26 ottobre 2017 n. 25527 rel. Scarpa), che tuttavia cassa la sentenza di merito per una vizio di motivazione.

 L’assemblea delibera circa l’illegittimità della sosta nelle auto nel cortile condominiale e l’amministratore, con piglio decisamente energico, fa rimuovere l’autovettura di una condomina che viene materialmente spostata e abbandonata sulla via pubblica, ove subisce danni ad opera di ignoti. Per tale ragione la condomina propone azione contro il condominio per vedersi risarcita.

Il tribunale di Latina rigettava la domanda e così  Corte di Appello di Roma che, tuttavia, riteneva che la condotta dell’amministratore fosse comunque illegittima, poiché  il condominio non può agire in tale ipotesi in  via di autotutela spostando l’auto, ma l’attore non aveva dato sufficiente prova del nesso causale fra la condotta dell’amministratore e il danno lamentato.

“la Corte d’Appello di Roma, dopo aver osservato che la delibera del 12 luglio 2005 non era stata impugnata ex art. 1137 c.c. dalla P., affermava che l’amministratore non avrebbe comunque potuto, in via di autotutela, procedere personalmente alla rimozione coattiva dell’autovettura.

Tuttavia, pur dichiarata illegittima la condotta dell’amministratore T., la Corte d’Appello ha sostenuto che non fosse stata data prova del danno patrimoniale subito dalla P., né comunque “descritti danni che possano essere casualmente e direttamente riconducibili alla condotta posta inessere dalla parte appellata”.

 

il Condomino danneggiato ricorre per cassazione, lamentando il difetto di motivazione da parte del giudice di secondo grado.

Viene criticata dalla ricorrente anche la mancata motivazione sull’esistenza del nesso causale tra la condotta illecita dell’amministratore Telese, che aveva rimosso ed abbandonato l’auto sulla strada pubblica, ed il danneggiamento subito dalla stessa ed accertato il giorno successivo, danneggiamento che non si sarebbe verificato se il veicolo fosse rimasto all’interno dell’area privata condominiale”.

Motivo che fa centro: il giudice di legittimità,  sottolineando l’illiceità della condotta dell’amministratore, cassa con rinvio ad altra sezione della stessa Corte  di appello poiché la motivazione deve ritenersi solo apparente ” perché la Corte di merito ha così pretermesso del tutto l’indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, rendendo impossibile ogni controllo in questa sede sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, quanto al diniego della sussistenza di un nesso di causalità, materiale e giuridica, che leghi storicamente l’accertata condotta illecita del T. e i danni che si pretendono conseguenti a questa nella prospettiva dell’azionata obbligazione risarcitoria aquiliana (ferma la valutazione del giudice del merito in ordine all’eventuale eccessività delle spese occorrenti per la riparazione della vettura rispetto ai valori di mercato); dovendosi tuttavia a tal fine indicare le ragioni per cui la serie causale oggetto di lite appaia del tutto inverosimile, alla stregua dell’art. 1223 c.c., richiamato dall’art. 2056 c.c. (cfr. Cass. Sez. 3, 31/05/2005, n. 11609).

© massimo ginesi 27 ottobre 2017 

diligenza dell’amministratore: una sentenza anacronistica…

Accade con frequenza che, dati i tempi della giustizia italiana, alcune pronunce di legittimità che affermano principi peculiari riguardino situazioni che, sotto il profilo normativo, non sono più attuali.

E’ ovviamente compito dell’interprete qualificare correttamente la fattispecie e rendersi conto della effettiva portata e residua attualità della sentenza, in forza del principio tempus  regit actum, di tal chè ciò che i giudici di legittimità hanno affermato  per una causa sorta quindici anni fa potrebbe essere principio di diritto non più attuale.

In materia condominiale tale fenomeno è reso ancor più evidente dall’entrata in vigore della L. 220/2012, che radicalmente mutato la disciplina di alcuni istituti, primo fra tutti la figura dell’amministratore di condominio.

Appare allora singolare leggere – nel web e su diverse  pubblicazioni – autori che, a fronte di Cass.Civ.  sez. VI Civile 20 ottobre, n. 24920, affermano che l’amministratore è tenuto ad osservare la diligenza del buon padre di famiglia e non ha l’obbligo ma solo la facoltà di richiedere decreto ingiuntivo.

La sentenza afferma effettivamente tali principi:”l’amministratore ha, nei riguardi dei partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria, in mancanza di un ente giuridico con una rappresentanza organica, talché i poteri di lui sono quelli di un comune mandatario, conferitigli, come stabilito dall’art. 1131 c.c., sia dal regolamento di condominio sia dalla assemblea condominiale (Cass. 9 aprile 2014, n. 8339; Cass. 4 luglio 2011, n. 14589). Nell’esercizio delle funzioni assume le veste del mandatario e pertanto è gravato dall’obbligo di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia a norma dell’art. 1710 c.c.. 

Nel caso di specie la Corte d’appello ha accertato, con apprezzamento in fatto, che l’amministratore nel periodo 2005/2006 aveva più volte sollecitato, anche per iscritto, i condomini morosi al versamento delle quote condominiali, avendo egli la facoltà e non l’obbligo di ricorrere all’emissione di un decreto ingiuntivo nei riguardi dei condomini morosi.
La deduzione appare corretta perché l’art. 63 disp. att. cc. non prevede un obbligo, ma solo una facoltà di agire in via monitoria contro i condomini morosi (“può ottenere decreto di ingiunzione…”) e pertanto non merita censura la decisione impugnata laddove ha escluso la violazione dell’obbligo di diligenza da parte dell’A. per essersi comunque attivato nella raccolta dei fondi, avendo comunque messo in mora gli inadempienti (e l’indagine circa l’osservanza o meno da parte del mandatario degli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia che lo stesso è tenuto ad osservare ex articoli 1708 e 1710 c.c. – anche in relazione agli atti preparatori, strumentali e successivi all’esecuzione del mandato – è affidata al giudice del merito, con riferimento al caso concreto ed alla stregua degli elementi forniti dalle parti, il cui risultato, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, è insindacabile in sede di legittimità: v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 13513 del 16/09/2002 in motivazione).”

Si tratta tuttavia di pronuncia che giudica l’operato di un amministratore che aveva avuto la prima sentenza di merito  nel 2009 e che, quindi, chiaramente agiva sotto la vigenza di norme affatto diverse.

Oggi gli arti. 1129 e 1130 cod.civ. prevedono obblighi ben precisi in ordine alle modalità obbligatorie di attivazione per la richiesta di decreto ingiuntivo (sulla cui richiesta solo l’assemblea può decidere proroghe ex art 11291 comma IX cod.civ. ) e l’art. 71 bis disp.att. cod.civ., (unitamente al dm 140/2014) prevede una figura di amministratore ancorata a parametri di professionalità, dati che difficilmente consentono – dal 18 giugno 2013 – di ritenere l’amministratore un mero mandatario e non un professionista tenuto a rispondere secondo le regole dell’arte, così come commentare  oggi che la richiesta di decreto ingiuntivo costituisca una facoltà e non un obbligo rappresenta mera disinformazione.

© massimo ginesi 24 ottobre 2017 

l’amministratore risponde di omicidio colposo per l’incidente all’appaltatore.

Durante l’esecuzione di lavori in condominio un soggetto cade da circa dieci metri e muore. L’amministratore viene condannata per omicidio colposo dai giudici di appello e ricorre in cassazione, articolando diversi motivi, fra tutti quelli del difetto dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità fra la sua condotta e l’evento.

Cass. pen. Iv sez. 21 settembre 2017 n. 43452 respinge il ricorso con una motivazione che lascia ben poco margine alla posizione dell’amministratore che, per il solo fatto di essere il committente, risponde  del fatto rivestendo in tali ipotesi una posizione di garanzia, anche  se non si è ingerito nella esecuzione dei lavori.

Il fatto e l’imputazione

gli elementi di responsabilità

l’assunto difensivo principale dell’amministratore ruota intorno al fatto che non avrebbe commissionato lui i lavori

I giudici di legittimità rilevano che la corte di appello ha in effetti verificato che fu l’amministratore a conferire l’incarico al soggetto deceduto di effettuare i lavori sulla terrazza in quota, “non verificò in alcun modo la formazione, le competenze e l’idoneità tecnico professionale dell’operaio e che non adottò, nonostante si trattasse di lavori sostanzialmente in quota, alcuna precauzione”

A fronte di tali elementi la conclusione in diritto è senza scampo:

© massimo ginesi 22 settembre 2017 

il condominio non risponde delle obbligazioni contratte dall’amministratore oltre i suoi poteri.

Lo afferma la Cassazione (Cass.civ. sez. II  ord. 17 agosto 2017 n. 20137 rel. Scarpa) che ribadisce altro rilevante principio correlato: il terzo che abbia trattato con l’amministratore, per vicende che esulano dai poteri previsti dall’art. 1130 cod.civ. e sulle quali la legge riserva la decisione alla assemblea, non ha diritto alla tutela dell’affidamento.

I fatti traggono origine dall’incarico conferito dall’amministratore ad un avvocato per la redazione del contratto di appalto relativo a lavori straordinari, materia riservata ex art. 1135 cod.civ. alla delibera dell’organo collegiale.

Il professionista ha richiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti del condominio, revocato dal giudice di merito a seguito della opposizione del condominio che lamentava l’attività ultra vires dell’amministratore.

Osserva la Corte di legittimità che “È pacifico che occorra l’autorizzazione dell’assemblea (o, comunque, approvazione mediante sua successiva ratifica), ai sensi dell’articolo 1135, comma I, numero 4 cod. civ., e con la maggioranza prescritta dall’articolo 1136, comma IV, cod. civ, per l’approvazione di un appalto relativo a lavori straordinari dell’edificio condominiale (si vedano indicativamente Cass.civ. sez. II  21.2.2017 n. 4430, Cass.civ. sez. II 25.5.2016 n. 10865).

La delibera assembleare in ordine alla manutenzione  straordinaria deve determinare l’oggetto del contratto di appalto da stipulare con l’impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi ed il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando tutti i particolari dell’opera , ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa. 

Non rientra fra i compiti dell’amministratore di condominio neppure il conferimento ad un professionista legale dell’incarico di assistenza nella redazione del contratto di appalto per la manutenzione straordinaria dell’edificio, dovendosi intendere tale facoltà riservata all’assemblea dei condomini, organo cui è demandato dall’art. 1135, comma 1, n. 4, cod.civ. il potere di disporre le spese necessarie ad assumere obbligazioni in materia.

Ove siano mancate la preventiva approvazione o la successiva ratifica della spesa inerente tale incarico professionale da parte dell’assemblea, a norma degli artt. 1135, comma 1, n. 4, e 1136, comma 4, cod.civ., l’iniziativa contrattuale dello stesso amministratore non è sufficiente a fondare l’obbligo di contribuzione dei singoli condomini, salvo che non ricorra il presupposto dell’urgenza nella fattispecie considerata dall’art. 1135, ult. comma, cod.civ. (arg. da Cass. Sez. 2, 02/02/2017, n. 2807).

Peraltro, il principio secondo cui l’atto compiuto, benché irregolarmente, dall’organo di una società resta valido nei confronti dei terzi che abbiano ragionevolmente fatto affidamento sull’operato e sui poteri dello stesso, non trova applicazione in materia di condominio di edifici con riguardo a prestazioni relative ad opere di manutenzione straordinaria eseguite da terzi su disposizione dell’amministratore senza previa delibera della assemblea di condominio,  atteso che i rispettivi poteri dell’amministratore e dell’assemblea sono delineati con precisione dagli artt. 1130 e 1135 cod.civ., limitando le attribuzioni dell’amministratore all’ordinaria amministrazione e riservando all’assemblea dei condomini le decisioni in materia di amministrazione straordinaria (Cass. Sez. 2, 07/05/1987, n. 4232).

Né il terzo, che abbia operato su incarico dell’amministratore, può dedurre che la prestazione da lui adempiuta rivestisse carattere di urgenza, valendo tale presupposto a fondare, in base all’art. 1135, ultimo comma, e.e., il diritto dell’amministratore a conseguire dai condomini il rimborso delle spese nell’ambito interno al rapporto di mandato. 

Infine, il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione, rimessi all’iniziativa dell’amministratore nell’esercizio delle proprie funzioni e vincolanti per tutti i condomini ex art. 1133 cod.civ., ed atti di amministrazione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, salvo quanto previsto dall’art. 1135 comma 2 cod.civ., riposa sulla normalità dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della delibera dell’assemblea condominiale (Cass.civ. sez. II  25.5.2016 n. 10865). “

© massimo ginesi 18 agosto 2017

legittimazione processuale dell’amministratore: ancora una conferma dalla Cassazione.

La Cassazione conferma un orientamento consolidato ed espresso  dalle Sezioni Unite con la nota pronuncia 18331/2010.

Un avvocato che aveva assistito il Condominio promuove decreto ingiuntivo per le propri competenze, l’amministratore – senza alcuna delibera sottostante – propone opposizione a detto decreto e l’avvocato eccepisce il difetto di jus postulanti dell’amministratore per non essere stato autorizzato dalla assemblea.

Cass.civ. sez. II  1 agosto 2017 n. 19151 chiarisce che “Secondo il più recente indirizzo di questa Corte, inaugurato dalla pronuncia delle Ss.UU. 18331/2010, non può ritenersi che l’amministratore del condominio sia titolare di una legittimazione processuale illimitata: l’amministratore può, in via generale, costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma in tale ipotesi, onde evitare una pronuncia di inammissibilità, deve ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte della assemblea stessa.

Si è peraltro precisato che giusto il disposto dell’articolo 1131 commi 2 e 3 cod.civ., autorizzazione  e ratifica sono necessarie nelle sole cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore (cass. 1451/2014), mentre esse non sono necessarie per quelle controversie che hanno ad oggetto parti o servizi condominiali e comunque riconducibili alle attribuzioni di cui all’articolo 1130 c.c. (Cass. 10865/2016).

Da ciò consegue che l’amministratore può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ed altresì impugnare la decisione di primo grado, senza necessità di autorizzazione alla ratifica dell’assemblea, nella controversia avente ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento dell’obbligazione assunta dall’amministratore, nell’esercizio delle sue funzioni, in rappresentanza dei partecipanti al condominio, ovvero dando esecuzione a delibere dell’assemblea per l’esercizio dei servizi condominiali, e dunque limiti di cui all’articolo 1130 c.c. (Cass. 16260/2016).

Orbene, nel caso di specie, il credito fatto valere in giudizio si riferiva a prestazioni professionali per l’assistenza legale svolta nell’interesse del condominio, come risulta dallo stesso contenuto del ricorso, in cui gli avvocati ingiungenti hanno evidenziato che l’attività da essi  posta in essere è consistita nell’aver  curato per conto del condominio diverse procedure giudiziarie.

La causa in oggetto, trovando il suo fondamento nella gestione di servizi comuni e dell’erogazione delle spese relative a tale gestione (art. 1130 commi 2 e 3), si riferisce certamente ad obbligazioni assunte per l’esercizio di servizi condominiali e dunque nei limiti di cui all’articolo 1130 c.c., onde non era necessaria l’autorizzazione, nella successiva ratifica da parte dell’assemblea condominiale.”

© massimo ginesi 3 agosto 2017 

il curioso ossimoro del “condomino acquirente”…

il 22 giugno 2017 è stata presentata proposta di legge n. 4560, con cui si intende modificare due profili introdotti dalla legge 220/2012 nella disciplina condominiale, ovvero il divieto di conferire delega all’amministratore e la responsabilità solidale dell’acquirente di unità immobiliare per le quote relative all’esercizio in corso e a quello precedente prevista dall’art. 63 disp.att. cod.civ.

L’abrogazione dell’inciso dell’art. 67 disp.att. cod.civ. è sicuramente auspicabile, atteso che il conferimento di delega all’amministratore – lungi dal rappresentare un momento di conflitto di interesse – è stato per decenni uno strumento risolutivo per una efficace celebrazione delle assemblee.

Più curioso il concetto di “condomino acquirente”, utilizzato dal latore della proposta, che vorrebbe obbligare chi acquista per i contributi maturati nei cinque anni antecedenti la vendita.

Non sfuggirà che condomino è colui che sia titolare di un diritto reale  all’interno della compagine condominiale, dunque il condomino acquirente è un sorta di creatura mitologica che non può esistere. 

Il testo del DDL è il seguente: “Chi subentra nei diritti di un condòmino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi già maturati fino al quinquennio antecedente al trasferimento. L’amministratore deve fornire anche al condòmino acquirente, che ne faccia richiesta, quanto previsto dall’articolo 10 punto 9 della legge 11 dicembre 2012 n° 220. Tale attestazione va allegata al contratto che determina il trasferimento del diritto di proprietà su unità immobiliari”.

La relazione accompagnatoria promette – con l’introduzione di tale modifica – una drastica diminuzione delle liti.

Restano tuttavia insolute due questioni  fondamentali: l’acquirente (che non è ancora, evidentemente, condomino) potrebbe dimostrare  tale sua qualità all’amministratore – onde richiedere l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti – solo tramite un contratto preliminare che già lo obbligherebbe all’acquisto, senza che l’eventuale attestazione possa a quel punto costituire motivo di risoluzione del vincolo obbligatorio.

In diversa ipotesi si consentirebbe a chiunque si affermasse promissario acquirente, di ottenere informazioni sul condominio e sui morosi, ovvero dati non divulgabili a soggetti diversi da quelli previsti dall’art. 1130 n. 9 cod.civ.

E’ evidente che il senso della modifica si avrebbe solo ove si consentisse, a colui che intende acquistare, di calibrare le obbligazioni con il venditore sulla scorta anche degli oneri condominiali insoluti e ciò prima di divenire, tecnicamente, un “promissario acquirente”, ovvero prima di stipulare alcun vincolo.

Si potrebbe ipotizzare  che il promissario acquirente  ottenga  tali dati con il consenso del condomino venditore, ma in tal caso non occorre  alcuna modifica alla legge, atteso che – ovviamente – il condomino ha titolo a conoscere lo stato dei pagamenti e potrà poi divulgarlo a chi ritiene più opportuno, sotto la propria responsabilità.

Curioso anche l’obbligo di allegazione all’atto di acquisto della attestazione che otterrebbe il fantomatico “condomino acquirente”: con la sottoscrizione dell’atto e la prestazione del consenso  le parti danno comunque luogo all’effetto traslativo, pur in assenza della ipotetica attestazione; in assenza di alcuna specifica conseguenza prevista dalla norma per la mancata allegazione, l’inadempimento  – non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 1477 cod.civ. o 1490 cod.civ. – sembrerebbe  lasciare aperta l’unica via risarcitoria (pur con qualche dubbio, visto che comunque l’acquirente si determina ad acquistare pure in sua assenza), soluzione che appare destinata ad innalzare il contenzioso più che a sopirlo.

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© massimo ginesi 25 luglio 2017 

l’art. 1130 cod.civ., il fascicolo del fabbricato, l’elefante scomparso ed altri racconti…

“in un giorno d’estate soffocante, un avvocato si mette alla ricerca del suo gatto e in un giardino abbandonato dietro casa incontra una strana ragazza. Una giovane coppia decide di fare uno spuntino notturno e assalta un McDonald’s per avere trenta Big Mac, realizzando così un segreto desiderio adolescenziale del marito. Nel racconto che da il titolo al libro, un uomo è ossessionato dalla incredibile, misteriosa scomparsa di un elefante dallo zoo del paese. E poi ancora una curiosa digressione sui canguri, un uomo che incendia granai per il gusto di vederli bruciare e le introspezioni di una giovane madre afflitta da insonnia.”

Mi è balzato alla mente  Murakami oggi, leggendo di fascicoli del fabbricato, responsabilità nuove e future per l’amministratore ed originali affermazioni di chi gli amministratori dovrebbe rappresentare.

Compare su un quotidiano tecnico nazionale la notizia che l’art. 1130 n. 6 cod.civ., laddove prevede l’istituzione del registro di anagrafe condominiale in cui è annotato, a cura dell’amministratore,  ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell’edificio, imporrebbe all’amministratore un ruolo pubblico di sicurezza e garanzia circa la staticità e sicurezza del fabbricato del quale costui risponderebbe quale professionista: “La sicurezza (statica) – prosegue Ferri – deve quindi emergere da elementi descrittivi e apprezzabili dall’amministratore nella loro oggettività direi documentale. Le fonti possono essere: 1) Il fascicolo del fabbricato, laddove esistente; 2) Le certificazioni obbligatorie di conformità di impianti comuni alla legge (caldaia centralizzata; impianti antincendio); 3) Gli aggiornamenti della situazione statica che gravano sull’amministratore per fatti/opere successive all’accettazione del mandato». Proprio quest’ultimo è un punto fondamentale per capire l’importanza della norma, sinora non molto considerata: «Ciò si pone in relazione al passaggio della documentazione, ai sensi della comma 8 dell’articolo 1130, sullo stato tecnico-amministrativo del condominio che secondo la giurisprudenza si estende idealmente alla “nascita” del condominio (Cass. 1085 del 2010)». Una ricostruzione delle vicende edilizie dell’immobile, quindi, fa parte dei doveri dell’amministratore”.

L’affermazione proviene dal sottosegretario alla giustizia che compie una sorta di lettura autentica della norma, che – ad oggi – non ha avuto visto significativi approdi   giurisprudenziali.

E’ l’autorevole e rispettabile  interpretazione di un componente del governo, che tuttavia è organo esecutivo e non giurisdizionale e che si dovrà verificare se sia in linea con quella dei giudici, che quella norma saranno chiamati ad applicare.

Non sfuggirà che la norma prevede in realtà, in capo all’amministratore, unicamente un obbligo compilativo e di verifica della sussistenza di situazioni di rischio: appare decisamente sovrabbondante, rispetto alla figura  di un mandatario  confinato all’ambito di rapporti privatistici, individuare in capo a colui che esercita un ruolo strettamente delineato dall’art. 1130 cod.civ.  funzioni, obblighi, valutazioni e  responsabilità che lo trasformano in un professionista responsabile della sicurezza e staticità del patrimonio edilizio nazionale.

Non è peraltro nuovo l’orientamento del ministero volto a dare una connotazione pubblicistica alla figura dell’amministratore,  atteso che  già aveva espresso concetti analoghi a proposito della portata e valenza delle norme in tema di formazione del professionista, con la singolare conseguenza che si finisce per attribuire ad una figura di diritto privato – la cui abilitazione professionale e formazione è rimessa a dinamiche  prive di fatto  di alcun controllo concreto dello Stato (se non sotto forma di rispetto ex ante dei criteri astratti previsti dall’art. 71 bis disp.att. cod.civ., dalla L. 4/2013 e dal DM 140/2014) – funzioni di rilievo pubblico sempre più importanti e preoccupanti.

Non vi è dubbio che l’amministratore, che deve essere un professionista rigoroso, possa essere un ottimo strumento per un monitoraggio e una corretta gestione del patrimonio edilizio esistente: tuttavia tale funzione è auspicabile che si raggiunga  attraverso un adeguato sviluppo normativo che identifichi gli strumenti indispensabili, ponendo oneri e conseguenze sui proprietari dei beni e non su coloro che – per loro conto – li amministrano.

In tal senso l’art. 1130 n. 6 cod.civ. è stato, sin dalla sua introduzione nel 2012, una norma lacunosa e di fatto incomprensibile, che non ha mutato significato con l’integrazione del 2015 (che ha limitato gli obblighi alle condizioni delle parti comuni), precisazione  che peraltro non esime l’amministratore da responsabilità anche per impianti privati, ove gli stessi costituiscano fattore  di rischio per il fabbricato, in virtù dei noti principi sulla colpa omissiva più volte espressi anche dalla Suprema Corte (Cass. Pen.  13 ottobre 2009, n. 39959).

La preannunciata introduzione del fascicolo del fabbricato ben potrebbe divenire occasione per creare una disciplina chiara e definitiva che  riveda ed integri anche l’art. 1130 n. 6, con taglio  operativo e non inutilmente penalizzante o, peggio, pericoloso, per colui che  risulta essere un soggetto incaricato da privati di amministrare i loro beni, con nessun potere di spesa e  decisionale limitato alle urgenze e alla ordinaria amministrazione, le cui iniziative  sono comunque sempre soggette a ratifica assembleare.

Curioso poi che chi si onora di presiedere una associazione nazionale di amministratori affermi – nello stesso comunicato – che l’art. 1130 cod.civ. è norma inderogabile (è sufficiente una rapida disamina dell’art. 1138 cod.civ. per rendersi conto del contrario, almeno sotto il profilo letterale) e che la mancata istituzione dei registri costituisca “una delle tre gravi irregolarità che motivano la revoca, anche su ricorso di un solo condomino” (le gravi irregolarità, come è noto, possono essere infinite e apprezzate discrezionalmente dal giudice, l’art. 1129 cod.civ. ne elenca alcune tipiche e il comma XI di tale norma prevede ipotesi di iniziativa singola, nessuna delle quali riguarda i registri suddetti).

Sicurezza statica nei registri condominiali | Quotidiano del Condominio – Il Sole 24 Ore

© massimo ginesi 18 luglio 2017

nel procedimento di revoca dell’amministratore non è necessaria la difesa tecnica

Lo ha stabilito la suprema Corte ( Cass.civ. sez. VI 23 giugno 2017 n. 15706, rel. Scarpa), osservando che .

  • avverso il provvedimento della corte di appello, che statuisce sul reclamo contro il provvedimento di revoca emesso dal Tribunale, è inammissibile il ricorso per cassazione se non sul capo delle spese.
  • Il procedimento di revoca dell’amministratore, che può essere intrapreso su ricorso di ciascun condomino, riveste un carattere eccezionale d’urgenza oltre che sostitutivo della volontà assembleare ed è  ispirato dall’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore. Non è quindi ammessa la partecipazione al giudizio dei condomini e del condominio interessato:  legittimato a contraddire  soltanto l’amministratore, non sussistendo litisconsorzio degli altri condomini.”
  • il giudizio è improntato a rapidità, informalità e ufficiosità, potendo peraltro il provvedimento essere adottato sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente (art. 64 comma 1, disp.att. cod.civ.). Il decreto del tribunale di revoca incide, quindi, sul rapporto di mandato fra condomini ed  amministratore, al culmine di un procedimento camerale plurilaterale, nel quale, tuttavia, l’intervento giudiziale è pur sempre diretto all’attività di gestione di interessi. Pertanto il provvedimento del tribunale non riveste alcuna efficacia decisoria e lascia salva al mandatario revocato la facoltà di chiedere la tutela giurisdizionale del diritto provvisoriamente inciso, facendo valere le sue ragioni attraverso un processo a cognizione piena (pur non ponendosi questo come un riesame del decreto)
  • poiché, allora, il giudizio di revoca dell’amministratore di condominio da luogo ad un procedimento camerale plurilaterale tipico nel quale l’intervento del giudice è diretto all’attività di gestione di interessi e non culmina in un provvedimento avente efficacia decisori,a in quanto non incide su situazioni sostanziali di diritti o di status, non è indispensabile il patrocinio di un difensore legalmente esercente ai sensi dell’articolo 82 comma III c.p.c.

Per tali ragioni, conclude la Corte, salvo che la parte non rivesta essa stessa qualifica di difensore legalmente esercente, non può chiedere che il rimborso delle spese vive, senza che possano essergli liquidate competenze professionali.

© massimo ginesi 26 giugno 2017

nell’impugnativa di delibera il giudice deve pronunciarsi su tutti i vizi indicati dall’attore.

Nel procedimento che riguarda l’impugnazione di una delibera condominiale il principio della ragione più liquida, in forza del quale il giudice può decidere sulla base di un motivo assorbente, parrebbe non potersi applicare in maniera piana.

Lo ha stabilito la Suprema Corte ( Corte di Cassazione, sez. II Civile,  14 giugno 2017, n. 14806) specificando che se un condomino, impugnando una delibera assembleare, denuncia una pluralità di vizi che ne possono determinare l’invalidità, propone contestualmente una pluralità di domande giudiziali, con in comune il petitum (la declaratoria di nullità e/o la pronuncia di annullamento della deliberazione assembleare) ma con distinte causae petendi, corrispondenti a ciascuno dei vizi dedotti (cfr. Cass. n. 2758/2012, in materia di impugnazione di delibera di assemblea societaria).
L’omissione di pronuncia perpetrata, in violazione dell’art. 112 c.p.c., dalla corte d’appello impone, quindi, la cassazione della sentenza impugnata, in relazione ai motivi esposti, con rinvio della causa alla medesima corte, in differente composizione.”

Nell’occasione la Corte ha anche ribadito l’orientamento secondo il quale  legittimati proporre appello nella sentenza resa contro il condominio sono anche i singoli condomini: “Il collegio ritiene di dar seguito, sul punto, a quanto, di recente, affermato da questa Sezione, vale a dire che “… essendo il Condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, né, quindi, del potere di intervenire nel giudizio per il quale tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore e di avvalersi dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell’amministratore stesso che non l’abbia impugnata” (Cass. n. 16562/2015; in senso conf., Cass. n. 10717/2011; Cass. n. 14765/2012; Cass. n. 12588/2002; Cass. n. 9206/2006; Cass. n. 13716/1999; Cass. n. 2392/1994).

© massimo ginesi 19 giugno 2017