sconfinamenti fra edifici condominiali contigui: il principio dell’accessione prevale sulla presunzione di comunione.

Una recentissima pronuncia della Cassazione ( Cass.civ. sez. VI-2 25 giugno 2019 n. 17022 rel. Scarpa) affronta un tema davvero singolare e che ben si attaglia ai tipici fabbricati liguri (anche se la vicenda di causa ha luogo in toscana).

In due edifici condominiali contigui (ma costituenti autonomi e distinti condomini) taluni condomini provvedono a sopraelevare e a modificare la consistenza delle proprie unità, sforando  nell’edificio vicino e quindi giovandosi di parti comuni dell’altro fabbricato (quali tetto e strutture): la causa origina dalla impugnazione di delibera del condominio “invaso” dall’ampliamento  con la quale si dava mandato all’amministratore di agire per il recupero delle quote di spesa nei confronti di uno di questi soggetti, sull’assunto che lo stesso fosse divenuto – in forza di dette modifiche – condomino anche di tale fabbricato.

Il Tribunale di Firenze ha annullato la delibera, rigettando la richiesta  avanzata dall’impugnante volta ad accertare che non era condomino di quel fabbricato che pretendeva di imputargli oneri di manutenzione;la Corte di Appello di Firenze – sul gravame proposto dalla società impugnante – ha invece ritenuto che questa fosse divenuta condomina di quel fabbricato in virtù delle opere svolte che, pacificamente, debordavano nel condominio vicino.

Il giudice di legittimità rileva in primo luogo che l’accertamento sulla qualità di condomino, ove richiesto con efficacia di giudicato, debba vedere litisconsorzio necessario fra gli altri condomini, difettando legittimazione passiva dell’amministratore in ordine a tali domande, mentre ben può costituire mero accertamento incidentale volto a statuire unicamente sulla validità della delibera impugnata: “ la  domanda  di accertamento  della  qualità di  condomino, ovvero dell’appartenenza, o meno, di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva ad un condominio edilizio, in quanto inerente all’esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 e.e., non va proposta nei confronti della persona che svolga l’incarico di amministratore del condominio medesimo, imponendo, piuttosto, la partecipazione quali legittimati passivi di tutti condomini in una  situazione  di  litisconsorzio necessario.

La definizione della vertenza postula, invero, una decisione implicante un accertamento in ordine a titoli di proprietà confliggenti fra loro, suscettibile di assumere valenza solo se, ed in quanto, data nei confronti di tutti i soggetti, asseriti partecipi del preteso condominio in discussione (Cass. Sez.  6-2,  25/06/2018,  n. 16679;  Cass.  Sez. 6-2, 17/10/2017, n. 24431; Cass. Sez. 6-2, 22/06/2017, n. 15550; Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez.  2,  01/04/1999,  n. 3119). 

Ne consegue che, nel giudizio di impugnazione avverso una delibera assembleare, ex art. 1137 e.e. (quale quello in esame, relativo alla deliberazione dell’assemblea 26 settembre 2003 del Condominio di Via dei N.) in cui la legittimazione passiva spetta all’amministratore, l’allegazione, ad opera della ricorrente, della estraneità degli immobili di sua proprietà esclusiva ad un condominio può formare oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della  sola causa  sulla  validità  dell’atto  collegiale  ma  privo di efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli (arg. da Cass. Sez. 2, 31/08/2017, n. 20612).”

Quanto all’acquisto della qualità di condomino, la Cassazione evidenzia come la stessa possa operare solo ove le modifiche intervengano interiormente alla costituzione del condominio o comunque su area già comune anche ai condomini che effettuano la nuova costruzione, mentre ove lo sconfinamento avvenga su area che già appartiene pro indiviso solo ad altri soggetti, debba prevalere il regime dell’accessione: ” La presunzione legale di comunione di talune parti dell’edificio condominiale, stabilita dall’art. 1117 c.c., si basa sulla loro destinazione all’uso ed al godimento comune, destinazione che deve sussistere anche per le parti nominativamente elencate in detta norma e risultare da elementi obiettivi, cioè dalla  attitudine funzionale della parte di cui trattasi al servizio od al godimento collettivo, intesa come relazione strumentale necessaria tra questa parte e l’uso comune.

La presunzione di condominialità è applicabile (come conferma ora l’art. 1117 bis c.c., introdotto dalla legge n. 220/2012) anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, oggettivamente e stabilmente destinate alla conservazione, all’uso od al servizio di tali edifici, ancorché insistenti su un’area appartenente al proprietario  (o  ai proprietari) di uno solo degli immobili; in simile ipotesi, però, la presunzione è invocabile solo se l’area e gli edifici siano appartenenti ad una stessa persona – od a più persone “pro­ indiviso” – nel momento della costruzione della cosa o del suo adattamento o trasformazione all’uso comune, mentre, nel caso in cui l’area sulla quale siano state realizzate le opere destinate a  servire i due edifici  sia  appartenuta  sin dall’origine  ai proprietari di uno solo di essi, questi ultimi acquistano per accessione la proprietà esclusiva delle opere realizzate sul loro fondo, anche se poste in essere per un accordo intervenuto tra tutti gli interessati e/o col contributo economico dei  proprietari degli altri edifici.

Così, al fine di accertare se un fabbricato adiacente ad altro edificio faccia parte dei beni condominiali, ai sensi dell’art. 1117 c.c., è necessario stabilire  se  siano sussistenti i presupposti per l’operatività della presunzione di proprietà comune con riferimento al momento della nascita del condominio, restando escluso che sia determinante il collegamento materiale tra i due immobili, se eseguito successivamente all’acquisto. 

  Alla stregua di tali criteri non può essere condivisa l’affermazione della Corte di  Firenze  secondo cui le fondazioni, i muri maestri ed il tetto  dell’edificio condominiale di Via dei N. siano divenuti comuni  ai proprietari  di  unità  immobiliari  comprese  nell’edificio   limitrofo di via della M.,  per il solo  fatto che alcuni condomini  di  via Dei N., sopraelevando il tetto e “sfondando” il muro perimetrale, avessero debordato, con le costruzioni, dall’area di loro spettanza ed invaso l’area di proprietà  del vicino edificio di  via della M, non avendo i costruttori in tal modo  conseguito l’attribuzione della proprietà  dello  spazio  occupato, né soccorrendo più al momento di tali opere la  presunzione  ex art. 1117 c.c., in quanto il suolo e gli edifici all’epoca della costruzione appartenevano ormai a proprietari diversi, sicché dovevano piuttosto trovare applicazione – in difetto di apposita convenzione scritta, o di maturata  usucapione    le  norme relative all’accessione e alla  forma  richiesta  ad substantiam  per il trasferimento dei diritti reali immobiliari (cfr. Cass. Sez. 2, 26/04/1993, n. 4881; Cass. Sez. 2, 26/04/1990,  n.  3483;  Cass. Sez. 2, 18/03/1968, n. 863; Cass. Sez.  2,  22/10/1975, n. 3501; Cass. Sez. 2, 23/09/2011, n. 19490).”

© massimo ginesi 27 giugno 2019 

 

solo l’esatta ricostruzione esonera dalle norme sulle distanze

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Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza n. 12527/16; depositata il 17 giugno, una sentenza che  ribadisce un principio consolidato. La Corte richiama “il reale insegnamento della giurisprudenza di legittimità, per cui si ha mera ricostruzione, ovvero l’esonero dalle norme vigenti in punto di distanze, “solo se l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle strutture precedenti, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio e, in particolare, senza aumenti della volumetria né delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro”, altrimenti versandosi nell’ipotesi di nuova costruzione, assoggettata alla normativa vigente”.

La Corte di Appello di Trento aveva ritenuto che il principio dovesse applicarsi solo ad eventuali ampliamenti che interessassero il lato  dell’edificio che prospetta su altri fabbricati, pervenendo ad una interpretazione che il Giudice di legittimità ritiene insostenibile; il giudice di secondo grado si era infatti spinto in una valutazione comparativa: la corte d’appello “ritiene imprescindibile la “disamina della ragion d’essere dei limiti posti dal legislatore alla proprietà in tema di rispetto delle distanze legali”; e quindi asserisce che sarebbe indiscusso che la ratio dell’articolo 873 c.c. “debba esser individuata nell’esigenza non certo della tutela della riservatezza, bensì della salubrità e sicurezza”; ma “se è così” si deve “verificare se rispetto al passato vi sia stata una modifica della sagoma dell’edificio confinante in larghezza ed in altezza, non già alla costruzione confinante astrattamente considerata nella sua unitaria realizzazione, ma solo alla parte di essa che concretamente fronteggia il fabbricato vicino”. E dunque, se l’edificio è stato ricostruito “alla medesima distanza senza ampliamenti della sagoma o dell’altezza rispetto al fabbricato prospiciente del vicino, va ritenuto irrilevante l’eventuale ampliamento e rifacimento realizzato su diversi fronti” come si sarebbe espressa questa Suprema Corte in un risalente arresto (n. 14543/2004). E poiché sia nella c.t.u. di primo grado che in quella d’appello si è “accertato che rispetto al confine ed alla casa degli attori non vi è stato alcun ampliamento della sagoma dell’edificio”, “la sentenza gravata deve essere confermata”.

Il giudizio di legittimità censura tale lettura in modo netto. Qualunque ampliamento dell’edificio comporta che si sia in presenza di nuova costruzione e non di mera ristrutturazione: “A parte che non è logicamente comprensibile come possa definirsi espletata “astrattamente” la considerazione dell’edificio nelle sue globali dimensioni, quel che rileva è, ovviamente, trattandosi di questioni di diritto, non il percorso motivazionale in sé (che suscita una certa perplessità anche laddove afferma di individuare la esclusiva ratio dell’articolo 873 c.c.), bensì il principio applicato. E la giurisprudenza di questa Suprema Corte, come già più sopra osservato, è ormai inequivoca nel senso che la ricostruzione dell’immobile non deve arrecare alcun novum esterno per consentirne l’edificazione ad una distanza difforme da quella stabilita dalla normativa vigente, avendo le stesse Sezioni Unite (nell’ordinanza n. 21578 del 19 ottobre 2011) affermato che, anche alla luce dell’articolo 31, primo comma, lettera d),l. 5 agosto 1978 n. 457, si ha “ristrutturazione” nel caso in cui gli interventi, poiché comportanti modifiche esclusivamente interne, abbiano lasciato inalterati i componenti essenziali dell’edificio, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali e la copertura; e si ha “ricostruzione” quando tali componenti essenziali dell’edificio preesistente siano venuti meno per evento naturale o volontaria demolizione e l’intervento consista nel loro esatto ripristino, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e in particolare senza aumenti della volumetria; ma nel caso in cui tali aumenti sussistano, trattasi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla normativa in tema di distanze vigente al momento dell’edificazione, così ribadendosi quanto insegnato da un ampio orientamento (Cass. sez.2, 26 ottobre 2000 n. 14128; Cass. sez.2, 6 ottobre 2005 n. 19469; Cass. sez.2, 27 aprile 2006 n. 9637; Cass. sez.2, 11 febbraio 2009 n. 3391; Cass. sez.2, 27 ottobre 2009 n. 22688) e anche da ultimo rimarcato (Cass. sez.2, 20 agosto 2015 n. 17043).
Non è pertanto sostenibile, in quanto confliggente con il suddetto insegnamento – contro il quale, d’altronde, la corte territoriale non adduce alcuna valida argomentazione ermeneutica se in grado inficiarlo -, che nel caso di specie, nel quale è indiscutibile, per quanto emerge dalle consulenze, che sia stato effettuato un ampliamento volumetrico, l’edificio sia svincolato dalla normativa vigente sulle distanze, non potendosi qualificarlo né ristrutturazione né ricostruzione, bensì nuova costruzione.”

© massimo ginesi giugno 2016