condominio, procura alle liti e giudizio di appello

La Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II  ord. 30 novembre 2020 n. 27302) richiama principi consolidati in rodine alla valenza della procura conferita al difensore dall’amministratore di condominio, affrontando tuttavia un caso assai curioso.

L’amministratore conferisce rituale procura alle liti al difensore in primo grado, valida per tutti i gradi del giudizio e – tuttavia – ottenuta sentenza sfavorevole – conferisce nuova procura per l’appello, compiendo tuttavia tale atto alcuni giorni dopo che l’assemblea di condominio aveva nominato un altro soggetto quale amministratore.

LA Corte, tuttavia, rileva che la prima procura era idonea ad esplicare la propria efficacia per tutti i gradi del giudizio e che, nel caso di procura rilasciata dall’amministratore del condominio, la rappresentanza in giudizio non subisce variazioni in caso di mutamento della persona fisica che svolge l’incarico di amministratore:

Va premesso come il difetto di valida procura dell’appellato non incide sulla regolarità del rapporto processuale, ma rileva unicamente ove la non rituale presenza dell’appellato nel processo abbia recato pregiudizio all’appellante (eventualmente per la condanna alle spese che quest’ultimo non avrebbe subito se l’appellato, sprovvisto di valida costituzione, non avesse partecipato al giudizio di gravame; arg. da Cass. Sez. L, 05/12/1998, n. 12363).
Deve comunque ribadirsi il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, nel giudizio in cui sia costituito un condominio, il mutamento della persona dell’amministratore in corso di causa non ha immediata incidenza sul rapporto processuale, che, in ogni caso, sia dal lato attivo che da quello passivo, resta riferito al condominio, il quale opera, nell’interesse comune dei partecipanti, attraverso il proprio organo rappresentativo unitario, senza bisogno del conferimento dei poteri rappresentativi per ogni grado e fase del giudizio. Pertanto, ferma l’inefficacia della procura conferita da chi, alla data di costituzione in giudizio, sia già cessato dalla carica di amministratore di un condominio, perché dimissionario o sostituito con altra persona dall’assemblea, l’eventuale morte o cessazione del potere di rappresentanza dell’amministratore del condominio già costituito in giudizio a mezzo di procuratore possono comportare conseguenze, a norma dell’art. 300 c.p.c., soltanto se e quando l’evento sia stato dichiarato in udienza, ovvero sia notificato alle altre parti dal procuratore costituito, proseguendo altrimenti, il rapporto processuale senza soluzione di continuità (Cass. Sez. 2, 20/04/2006, n. 9282; Cass. Sez. 2, 17/03/1993, n. 3159; Cass. Sez. 2, 10/02/1987, n. 1416; Cass. Sez. 2, 23/12/1987, n. 9628).
A proposito del primo motivo di ricorso, deve perciò ritenersi corretto il ragionamento espresso dalla Corte d’appello di Catanzaro, sulla base del seguente principio.
La nullità della procura conferita per il grado di appello da chi, alla data di costituzione in giudizio, risultava già cessato dalla carica di amministratore del condominio appellato, perché dimissionario e sostituito con altra persona dall’assemblea, non comportava la nullità della costituzione in appello del Condominio (…), avendo la stessa parte comunque rilasciato in primo grado una procura alle liti valida per tutti i gradi del giudizio, e non implicando di per sé il richiamo nella comparsa del procedimento di impugnazione ad una procura invalida una implicita rinuncia ad avvalersi dell’altra, precedentemente conferita, nè altrimenti rilevando il mutamento della persona dell’amministratore avvenuto in corso di causa (cfr. Cass. Sez. 3, 05/03/2020, n. 6162; Cass. Sez. 3, 10/12/2009, n. 25810).”

© massimo ginesi 2 dicembre 2020

impugnazione di delibera e rito: una bizzarra sentenza estiva della Cassazione

E’ ormai dato acquisito che l’impugnativa di delibera condominiale vada proposta con atto di citazione, così come ha inequivocabilmente statuito la Suprema Corte a Sezioni unite ( Cass. civ. Sez. Un. 14 aprile 2011 n. 8491)   e come oggi si desume anche dal novellato  art. 1137 c.c.

La tesi ha trovato pacifica conferma anche per l’appello.

Cio nonostante la Corte di legittimità  (Cass.civ. sez. II  23 agosto 2019 n. 21632)  ritorna sulla forma dell’atto introduttivo del giudizio di appello, laddove la fase di primo grado sia stata introdotta con corso, introducendo – tra l’altro – la questione dell’ultrattività del rito, che poco appare pertinente posto che la forma dell’atto introduttivo non necessariamente condiziona il rito applicabile.

“Posto che, in applicazione della regola generale dettata dall’art. 163 cod. proc.  civ.,  le  impugnazioni  delle  delibere dell’assemblea, vanno proposte con citazione (Cass., S.U. 8491/2011), questa Suprema Corte  ha  avuto  modo  di  statuire che “se l’impugnazione di una sentenza relativa alla validità delle deliberazioni assembleari sia stata effettuata con la forma del ricorso, il termine per la notificazione è rispettato col deposito in cancelleria del ricorso e non, invece, con la notificazione  del  ricorso stesso” (Cass. 18117/2013).

È ben vero che, nella giurisprudenza di questa Corte è stato affermato anche il contrario principio secondo cui l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di una deliberazione dell’assemblea di condominio (nonostante il primo giudizio fosse stato introdotto con ricorso), ai  sensi  dell’art. 1137 c.c., va proposto, in assenza di specifiche  previsioni di legge, mediante citazione in conformità alla regola generale di cui all’art. 342 cod. proc. civ., sicché la tempestività del gravame va verificata in base alla data di notifica dell’atto e non a quella di deposito dello stesso nella cancelleria del giudice “ad quem” (Cass., n. 8839/2017).

Il Collegio ritiene, tuttavia, di aderire al  primo  degli  orientamenti qui richiamati, dovendo ritenersi che,  ove  la  controversia  sia  stata erroneamente trattata in  primo  grado  con  il  rito  speciale  del lavoro, anziché con quello ordinario,  la  proposizione dell’appello segue le forme della cognizione speciale.

Tale conclusione è imposta dal principio della “ultrattività  del rito”, che – quale specificazione del più generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice – trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è stato erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (cfr. Cass., n. 210/2019; 682/2005).

Pretendere che la parte che intenda appellare debba proporre  l’impugnazione adottando un rito diverso da quello con cui si è svolto il giudizio di primo grado, non solo attribuirebbe ad essa  un potere di mutamento del rito che le non compete, ma si porrebbe     in     contrasto     col      principio      costituzionale  del “giusto processo” e con la tutela dell’affidamento della parte nelle regole del processo, che ha ormai trovato riconoscimento nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., n. 279/2017; n. 10273/2014).

Sicché, nel caso di specie,  facendo applicazione del principio di cui sopra, sussiste la tempestività dell’appello; essa infatti deve essere computata con riferimento alla data del deposito del ricorso in appello e non a quella della sua notificazione, con conseguente ammissibilità dell’impugnazione”

per un autorevole commento a tale discutibile arresto: “Contenzioso: l’appello va proposto in base al rito iniziale, anche se è sbagliato

© massimo ginesi 4 settembre 2019 

il giudizio di appello deve svolgersi nel contraddittorio di tutte le parti del primo grado

una recente sentenza della corte di legittimità (Cass.Civ. sez.II 28 marzo 2019 n. 8695 rel. Scarpa)  fa applicazione piana di un principio cardine del nostro ordinamento processuale, rilevando un difetto di integrità del contraddittorio nel giudizio di appello, rispetto alle parti che avevo preso parte al primo grado.

La vicenda processuale è decisamente complessa: ” Nel corso del giudizio di primo grado intervennero adesivamente rispetto alla posizione del Condominio attore i singoli condomini F, A, S, A e T, nei cui confronti fu quindi pronunciata la sentenza del Tribunale di Roma dell’8 marzo 2010. Proposero poi appello principale il Condominio di Viale P., (i condomini)  F, A e S, ma tale appello venne notificato unicamente alla Is.r.I., alla A s.r.l.  ed alla B s.r.I., e non anche ad A ed a T.

Deve riaffermarsi che, nell’ambito di giudizio promosso dall’amministratore di condominio con riguardo alla tutela delle parti comuni condominiali (nella specie, per far valere l’illegittima realizzazione di canne fumarie apposte sulla facciata dell’edificio, adibite all’esercizio di attività di ristorazione, in violazione dell’art. 844 c.c., nonché di un divieto contenuto nel regolamento di condominio), ciascuno dei partecipanti al condominio può spiegare intervento a difesa della proprietà comune, connotandosi tale intervento come “adesivo autonomo” (così Cass. Sez. 2, 23/06/1976, n. 2341; Cass. Sez. 3, 18/02/1980, n. 1191), ovvero (sul presupposto che il condomino che intervenga personalmente nel processo, in cui sia presente l’amministratore, non si comporta come un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei) quale costituzione di una delle parti originarie in senso sostanziale determinatasi a far valere le proprie ragioni direttamente, e non più tramite il rappresentante comune (cfr. ad esempio Cass. Sez. 2, 27/01/1997, n. 826; Cass. Sez. 2, 24/05/2000, n. 6813; Cass. Sez. 2, 30/06/2014, n. 14809).

Tale profilo non è direttamente coinvolto dalla decisione, rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 27101 del 2017, sulla più generale questione di diritto concernente la permanente legittimazione del singolo condomino (non costituitosi autonomamente) all’impugnazione di qualsiasi sentenza di primo o di secondo grado resa nei confronti del condominio, alla luce dei principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19663 del 2014.

A seguito dell’intervento volontario del singolo condomino nel giudizio promosso dall’amministratore di condominio per la tutela delle parti comuni, si configura allora un unico giudizio con pluralità di parti, il quale si definisce con la stessa sentenza rispetto alle parti principali ed agli intervenuti, il che dà luogo ad un litisconsorzio necessario processuale.

La causa deve perciò considerarsi inscindibile anche in grado di appello nei confronti dell’interventore, con la conseguenza che, ove l’atto di impugnazione non sia notificato nei suoi confronti ed il giudice non abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c., si determina la nullità, rilevabile di ufficio pure in sede di legittimità, dell’intero processo di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso (arg. da Cass. Sez. 2, 09/05/2018, n. 11156; Cass. Sez. 3, 19/10/2015, n. 21070; Cass. Sez. 2, 06/05/2015, n. 9150; Cass. Sez. 1, 03/04/2007, n. 8350; Cass. Sez. 3, 05/05/2004, n. 8519).

La mancata notificazione dell’atto di impugnazione della sentenza di primo grado a taluno dei condomini intervenuti nella causa promossa dall’amministratore di condominio vizia, dunque, la sentenza di appello che sia stata emessa senza l’integrazione del contraddittorio con i condomini pretermessi e tale vizio può essere fatto valere come motivo di ricorso per cassazione, in quanto, per un verso, la sentenza di primo grado non passa in giudicato nei confronti dei pretermessi in presenza dell’impugnazione di altre parti e, per altro verso, la sentenza che non sia pronunciata nei confronti di tutti i comproprietari risulta comunque ineseguibile e, quindi, inutiliter data (arg. da Cass. Sez. 2, 18/11/2008, n. 27412).

La Corte osserva, con argomenti di grande interesse,  che non ha rilievo la circostanza che taluno dei condomini pretermessi sia poi intervenuto con controricorso nel giudizio di cassazione, poiché rimane il dato oggettivo che costui non ha comunque preso parte al secondo grado di processo.

Si assume, invero, che, allorché in una causa, concernente le cose condominiali, siano costituiti sia uno o alcuni soltanto dei condomini, sia l’amministratore del condominio, la rappresentanza di quest’ultimo resta inevitabilmente limitata agli altri condomini, sicché, ove avvenga piuttosto la costituzione in giudizio di tutti i singoli partecipanti, occorre procedere all’estromissione dell’amministratore, per. sopravvenuto difetto della sua legittimazione passiva (cfr. Cass. Sez. 2, 18/01/1973, n. 184).

Ciò comporta che, allorché il condomino intervenga personalmente nel processo in tema di tutela delle parti comuni, in cui sia già presente l’amministratore, connotandosi quale parte in senso sostanziale del rapporto dedotto in lite che non si avvale più della rappresentanza ex art. 1131 c.c. dell’amministratore stesso, non vale il principio per cui il giudicato, formatosi all’esito di un processo in cui sia stato parte l’amministratore di un condominio, fa stato anche nei confronti dei singoli condomini non intervenuti nel giudizio (Cass. Sez. 3, 24/07/2012, n. 12911; Cass. Sez. 2, 22/08/2002, n. 12343), e l’esigenza di scongiurare eventuali giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio (il condomino intervenuto ed il condominio in persona dell’amministratore) viene preservata, in ipotesi di impugnazione, proprio dal meccanismo di cui all’art. 331 c.p.c.

Né è sostenibile che le parti intervenute nel giudizio di primo grado, le quali, pur sussistendo un litisconsorzio necessario, non siano state evocate nel giudizio d’appello, possano poi volontariamente intervenire nel giudizio di cassazione e accettare, come avvenuto nel caso in esame, espressamente senza riserve il contenuto della sentenza di secondo grado che, accogliendo l’appello proposto da altri litisconsorti dei pretermessi, abbia riformato la pronuncia impugnata e così posto nel nulla l’iniziale soccombenza che accomunava i medesimi litisconsorti, in maniera da ripristinare, ora per allora, la condizione di integrità del contraddittorio cui era subordinata la pronuncia di appello (a differenza di quanto si afferma nell’ipotesi in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenga volontariamente in appello ed accetti. la causa nello stato in cui si trova, non essendovi in tal caso rischi di possibili contrasti di giudicato: Cass. Sez. 2, 06/11/2014, n. 23701; Cass. Sez. 1, 04/05/2011, n. 9752; Cass. Sez. 2, 05/08/2005, n. 16504).

Poiché la nullità derivante dalla mancata integrazione del contraddittorio nelle ipotesi di cui all’art. 331 c.p.c. si ricollega ad un difetto di attività del giudice di appello, al quale incombeva l’obbligo di adottare un provvedimento per assicurare la regolarità del processo, ed è, come detto, rilevabile d’ufficio pure in sede di legittimità, non opera nemmeno il temperamento stabilito dall’art. 157, comma 3, c.p.c., secondo il quale la nullità non può essere opposta dalla parte che vi abbia dato causa (Cass. Sez. 3, 16/05/1975, n. 1911; Cass. Sez. 2, 04/04/2001, n. 4948; Cass. Sez. 6 – 2, 18/02/2014, n. 3855 ).

© massimo ginesi 2 aprile 2019 

danno da cosa in custodia: il condominio rimasto contumace in primo grado può difendersi in appello.

Colui che rimane contumace in primo grado decade dalla facoltà di proporre eccezioni ma può avanzare in ogni stato e grado mere difese: sostenere che il marciapiede su cui il danneggiato assume di essere caduto non ha natura condominiale e che, pertanto, non sussiste responsabilità da cosa in custodia non costituisce eccezione ma rientra fra  le mere difese, che possono essere avanzate anche in sede di appello  dal condominio rimasto contumace in primo  grado. 

E’ quanto affermato da Cass.Civ. III sez. 20 dicembre 2017 n. 30545

La vicenda processuale: “R.A. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, il Condominio (omissis) chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei sofferti a causa di una caduta su di un marciapiede asseritamente di proprietà del Condominio.
Rimasto contumace il convenuto il Tribunale, svolta prova per testi ed una c.t.u., accolse la domanda e condannò il Condominio al risarcimento dei danni liquidati in Euro 14.429,63, con rivalutazione, interessi ed il carico delle spese.
2. La pronuncia è stata appellata dal Condominio soccombente e la Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 10 marzo 2016, ha rigettato il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale che il marciapiede, pur non rientrando tra le parti comuni di un edificio ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., può assumere natura condominiale in relazione alla sua destinazione e che comunque il Condominio, essendo rimasto contumace in primo grado, era decaduto dalla possibilità di eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva sostanziale e, di conseguenza, l’assenza di ogni obbligo a suo carico di manutenzione del marciapiede.”

il principio di diritto :” Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951, hanno stabilito, tra l’altro, che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.

Nel caso in esame, l’obbligazione risarcitoria del Condominio”, sia ai sensi dell’art. 2043 che dell’art. 2051 cod. civ., intanto può essere in astratto prospettabile in quanto risulti che lo stesso è titolare di un diritto di proprietà sul marciapiede dov’è avvenuto l’incidente, dovendosi altrimenti indirizzare la domanda risarcitoria nei confronti del Comune (come di regola avviene, v. la sentenza 3 agosto 2005, n. 16226).

Ne consegue che la titolarità di un diritto dominicale sul marciapiede teatro dell’incidente costituisce presupposto ineliminabile per l’accoglimento della domanda della R. , per cui la Corte d’appello non avrebbe dovuto affermare la tardività della contestazione in conseguenza della contumacia del Condominio in primo grado, non trattandosi di un’eccezione in senso stretto.”

La sentenza di appello è dunque cassata, con rinvio ad altra sezione della stessa corte.

© massimo ginesi 22 dicembre 2017

 

impugnazione di delibera assembleare: l’appello contro la sentenza sempre con citazione.

Ormai da tempo la giurisprudenza ha chiarito che l’impugnativa di delibera assembleare va introdotta con citazione (e non con ricorso): l’appello segue lo stesso rito, anche laddove il giudizio di primo grado sia  stato introdotto con ricorso.

In ogni caso, ai fini del rispetto del termine per l’impugnazione, quale che sia il sistema adottato, vale la notifica all’appellato e non il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice di appello.

Il principio è ribadito da Cass.Civ. II sez. 14 dicembre 2017 n. 30044.

Il ricorso al giudice di legittimità viene proposto contro una sentenza della Corte di Appello di Napoli: “Con sentenza n. 2684 dei 19/27.6.2013 la corte d’appello di Napoli dichiarava inammissibile il gravame, siccome tardivamente proposto, e condannava gli appellanti alle spese.
Evidenziava la corte che il gravame era stato notificato in data 10.2.2009, ben oltre la scadenza – coincidente con l’1.12.2008 – del termine lungo ex art. 327 cod. proc. civ..
Evidenziava altresì che nessun rilievo rivestiva la circostanza che il ricorso, con cui l’impugnazione era stata spiegata, era stato depositato in data 1.12.2008; che invero l’appello era da proporre con citazione, sicché la tempestività del gravame era da riscontrare “in base alla data di notifica dell’atto di citazione e non alla data di deposito dell’atto di gravame nella cancelleria del giudice ad quem” (così sentenza d’appello, pag. 3).”

La Cassazione richiama, con ampio excursus, principi che ormai dovrebbero essere noti a qualunque operatore del diritto:” Il ricorso va respinto. Alla data – 1.12.2008 – di deposito del ricorso recante l’atto di gravame avverso la sentenza n. 2225/2007 del tribunale di Nola l’indirizzo giurisprudenziale enunciato in via assolutamente prioritaria da questa Corte di legittimità era ben chiaro e si esprimeva nel senso che l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di una delibera dell’assemblea condominiale, in assenza di previsioni di legge “ad hoc”, va proposto – secondo la regola generale contenuta nell’art. 342 cod. proc. civ. – con citazione;

cosicché la tempestività dell’appello va verificata in base alla data di notifica dell’atto e non alla data di deposito dell’atto di gravame nella cancelleria del giudice “ad quem” (cfr. Cass. 8.4.2009, n. 8536; Cass. 25.2.2009, n. 4498, secondo cui, nei procedimenti nei quali l’appello, in base al principio di cui all’art. 342 cod. proc. civ., va proposto con citazione, ai fini della “vocatio in ius”, vale la regola della conoscenza dell’atto da parte del destinatario; cosicché se, erroneamente, l’impugnazione, anziché con citazione, venga proposta con ricorso, per stabilirne la tempestività occorre avere riguardo non alla data di deposito di quest’ultimo, ma alla data in cui lo stesso risulta notificato alla controparte unitamente al provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza; Cass. 11.9.2008, n. 23412, secondo cui, qualora l’appello a sentenza pronunciata in esito ad un giudizio celebrato con rito ordinario (nella specie, impugnazione prevista dall’art. 99 della legge 16.3.1942, n. 267) venga proposto con la forma prescritta per l’appello alle sentenze pronunciate in esito a giudizio camerale, il deposito del ricorso, pur se tempestivo, non è idoneo alla costituzione di un valido rapporto processuale, il quale richiede che l’atto recettizio di impugnazione venga portato a conoscenza della parte entro il termine perentorio stabilito dall’art. 325 cod. proc. civ., nella forma legale della notificazione e nel luogo indicato dall’art. 330 cod. proc. civ., sicché l’eventuale sanatoria di tale atto nullo è ammissibile soltanto a condizione che non si sia verificata “medio tempore” alcuna decadenza – quale, appunto, quella conseguente all’inosservanza del termine perentorio entro il quale deve avvenire la ricezione dell’atto – che abbia determinato il passaggio in giudicato della sentenza e, quindi, l’inammissibilità dell’appello; Cass. 11.4.2006, n. 8440, secondo cui in tema di condominio, l’impugnazione della delibera dell’assemblea può avvenire indifferentemente con ricorso o con atto di citazione, ma in quest’ultima ipotesi, ai fini del rispetto del termine di cui all’art. 1137 cod. civ., occorre tenere conto della data di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, anziché di quella del successivo deposito in cancelleria, che avviene al momento dell’iscrizione a ruolo della causa).

In questo quadro non si delineano i margini dell’”overruling”.

Viepiù giacché l’insegnamento, di segno contrario, espresso da questa Corte con la pronuncia n. 18117 del 26.7.2013 (secondo cui in tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari del condominio, qualora il giudizio di primo grado sia stato introdotto con ricorso, anziché con citazione, può essere introdotto con ricorso anche il giudizio di appello, e, in questo caso, il rispetto del termine di gravame è assicurato già dal deposito del ricorso in cancelleria, a prescindere dalla sua successiva notificazione) non solo è evidentemente minoritario, ma risulta “contraddetto” dal successivo arresto n. 23692 del 6.11.2014 di questo stesso Giudice del diritto (secondo cui l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di una deliberazione dell’assemblea di condominio, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., va proposto, in assenza di specifiche previsioni di legge, mediante citazione in conformità alla regola generale di cui all’art. 342 cod. proc. civ., sicché la tempestività del gravame va verificata in base alla data di notifica dell’atto e non a quella di deposito dello stesso nella cancelleria del giudice “ad quem”) esattamente conforme al prioritario indirizzo ricostruttivo già consolidatosi in precedenza e comunque consolidato alla data dell’1.12.2008 (nel medesimo senso cfr. ulteriormente Cass. (ord.) 5.4.2017, n. 8839).

Al cospetto del riferito “stato” dell’elaborazione giurisprudenziale ben avrebbero potuto e dovuto i ricorrenti alla data dell’1.12.2008 (allorché ebbero a depositare nella cancelleria della corte d’appello di Napoli il ricorso recante atto di gravame avverso la sentenza di prime cure del tribunale di Nola) aver piena cognizione dell’indirizzo giurisprudenziale del tutto prioritario e su tale scorta proporre l’atto di gravame nella forma “dovuta”, cioè mediante atto di citazione, o quanto meno notificare il ricorso entro l’1.12.2008.”

© massimo ginesi 21 dicembre 2017

 

la forma e il contenuto dell’appello al vaglio delle sezioni unite

La novella al codice di rito del 2012 ha introdotto  alcune precisazioni in tema di appello (artt. 341, 342 e 348 bis c.p.c.) che hanno creato difformità interpretative su quello che si configura a tutti gli effetti come  un filtro preliminare, in forza del quale valutare la legittimità della impugnazione.

Le sezioni unite del giudice di legittimità sono state investite del contrasto e hanno definito i contorni della impugnazione di secondo grado, delineando una disciplina restrittiva ma non punitiva  (Cass.Civ. sez. Un. 16 novembre 2017  n. 27199).

Ritengono queste Sezioni Unite, trattandosi della risoluzione di una questione di massima di particolare importanza che riveste una portata di sistema, di dover ribadire che la riforma del 2012 non ha trasformato, come alcuni hanno ipotizzato, l’appello in un mezzo di impugnazione a critica vincolata.

L’appello è rimasto una revisio prioris instantiae; e i giudici di secondo grado sono chiamati in tale sede ad esercitare tutti i poteri tipici di un giudizio di merito, se del caso svolgendo la necessaria attività istruttoria, senza trasformare l’appello in una sorta di anticipato ricorso per cassazione.

La diversità tra il giudizio di appello e quello di legittimità va fermamente ribadita proprio alla luce della portata complessiva della riforma legislativa del 2012 la quale, come ha osservato l’ordinanza interlocutoria, mentre ha introdotto un particolare filtro che può condurre all’inammissibilità dell’appello a determinate condizioni (artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.), ha nel contempo ristretto le maglie dell’accesso al ricorso per cassazione per vizio di motivazione; il che impone di seguire un’interpretazione che abbia come obiettivo non quello di costruire un’ulteriore ipotesi di decisione preliminare di inammissibilità, bensì quello di spingere verso la decisione nel merito delle questioni poste.

D’altra parte, come ha giustamente posto in luce l’ordinanza n. 10916 del 2017, è una regola generale quella per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale.

Nè deve dimenticarsi, come queste Sezioni Unite hanno già ribadito nella sentenza n. 10878 del 2015, che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha chiarito in più occasioni che le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra le altre, la sentenza CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia).

5.2. Deve essere, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto:

“Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado“.”

La sentenza, per l’ampio excursus motivazionale, merita lettura integrale

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© massimo ginesi 7 dicembre 2017 

mediazione demandata in appello: una pronuncia discutibile.

Posto che  i tempi della giustizia sono ormai biblici e il carico di lavoro significativo, la corte di appello può decidere di disporre la c.d. mediazione demandata, ovvero disporre che le parti compaiano per ordine del giudice dinanzi al mediatore, per provare a conciliare la controversia.

Si tratta di un istituto originariamente previsto dall’art. 5 comma II D.Lgs. 28/2010 e profondamente rivisto dal legislatore  nel 2013:  oggi il giudice non è più chiamato a proporre alle parti un semplice invito a tentare la strada della mediazione ma, quando lo ritiene  opportuno, dispone l’esperimento del procedimento di mediazione che, in tal caso, diviene condizione di procedibilità della domanda.

In tal senso ha statuito di recente la Corte di Appello di Napoli ord. 21.9.2017, ponendo a fondamento della decisione la prevedibile lunghezza del procedimento di secondo grado.

Si tratta di un uso decisamente creativo dell’istituto, nato per favorire la conciliazione di quelle liti in cui il giudice percepisce l’opportunità – per la natura degli interessi in gioco e l’atteggiamento delle parti – di una possibile soluzione pacifica,  volto a sopperire invece alle inefficienze del sistema.

Di interesse invece l’indicazione sulle modalità di partecipazione alla mediazione, che ribadisce l’orientamento giurisprudenziale che sempre più vede affermarsi la necessità di un effettivo esperimento del tentativo di conciliazione e non la mera partecipazione formale delle parti:

© massimo ginesi 14 novembre 2017

la nullità della delibera è rilevabile d’ufficio, anche in appello.

Lo afferma Cass.civ. sez. II 27 settembre 2017, n. 22678 Rel. Scarpa in relazione ad una vicenda nata in terra di Sardegna, in cui l’0assembela aveva autorizzato un condomino alla costruzione di una tettoia a copertura del suo posto auto, delibera impugnata da un condomino.

I fatti e il processo: “Nel giudizio di primo grado, svolto dinanzi al Tribunale di Cagliari, S.T. agiva nei confronti del Condominio (omissis) , affinché l’autorità giudiziaria adita accertasse la nullità della delibera condominiale, datata 10 marzo 1992, con la quale il Condominio aveva annullato la delibera adottata in data 22 aprile 1991, che lo autorizzava alla realizzazione di una tettoia (pergolato) nel cortile condominiale da utilizzare quale copertura del posto auto. Il giudice adito, con sentenza n. 1344 del 2008, nella resistenza del condominio che formulava domanda riconvenzionale al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità della costruzione realizzata dal S. nonostante il dissenso espresso dall’assemblea, rigettava la domanda attorea e nel contempo accoglieva la domanda riconvenzionale del condominio.
Avverso la menzionata sentenza proponeva appello il medesimo S. che impugnava la decisione del giudice di prime cure sostenendo la tesi dell’illegittimità della condizione apposta alla delibera iniziale, ossia l’assenso dell’Istituto Autonomo per le case popolari, proprietario di oltre un terzo dell’edificio, e l’assenza di modifiche nella destinazione dell’area, la Corte di appello di Cagliari, con sentenza n. 307 del 2013, dichiarava inammissibile il gravame, stante la novità delle questioni dedotte con l’atto di appello.”

Il principio di diritto affermato dalla Cassazione: “La questione attinente la nullità della delibera condominiale derivante dalla illiceità della condizione apposta alla delibera del 1991, che subordinava l’autorizzazione alla realizzazione del pergolato al consenso dello I.A.C.P., non può ritenersi nuova ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. e, quindi, inammissibile, per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo, perché l’allora appellante, oggi ricorrente, non ha “arricchito” con diversi profili la propria originaria domanda, ma si è difeso sulla “nuova” prospettazione adottata con la sentenza che aveva deciso il giudizio.

Deve dunque escludersi la novità della domanda, agli effetti dell’art. 345 c.p.c., risultando la stessa comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio con la citazione introduttiva, e tale, perciò, da non determinare la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, né l’allungamento dei tempi processuali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12310 del 15/06/2015).

Nello stesso senso si è di recente chiarito che: “Il divieto di proporre domande nuove in appello implica che è preclusa la facoltà di avanzare pretese che involgano la trasformazione obiettiva del contenuto intrinseco della domanda proposta in primo grado, ma non quella di prospettare rilievi che importino una diversa qualificazione giuridica del rapporto e l’applicazione di una norma di diritto non invocata in primo grado, tanto più quando la nuova ragione giuridica dedotta in sede di gravame derivi da una norma di legge che il giudice è tenuto ad applicare” (Sez. 2 -, n. 6854 del 2017).

La seconda ragione di fondatezza del ricorso risiede nel fatto che il ricorrente, con l’appello, ha prospettato un presunto ulteriore vizio di nullità della delibera condominiale, rispetto a quelli fatti valere con la domanda introduttiva del giudizio di primo grado.

In relazione ai motivi di nullità delle delibere condominiali deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo cui: “Alle deliberazioni prese dall’assemblea condominiale si applica il principio dettato in materia di contratti dall’art. 1421 cod. civ., secondo cui è attribuito al giudice il potere di rilevarne d’ufficio la nullità” Sez. 2, n. 12582 del 2015 (Rv. 635891).

Ne consegue che, anche in relazione alla nullità delle delibere condominiali, deve trovare applicazione il principio affermato in materia contrattuale, secondo cui: “La domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ex art. 345, primo comma, cod. proc. civ., salva la possibilità per il giudice del gravame – obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ. – di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante, giusta il secondo comma del citato art. 345” Sez. U, n. 26243 del 2014 (Rv.633566).

Alla luce di quanto esposto la Corte d’Appello di Cagliari ha errato nel dichiarare domanda nuova quella esposta con il motivo di appello relativo alla dedotta nullità della delibera condominiale del 1992 per l’illiceità della condizione, motivo che, invece, andava esaminato nel merito.”

La sentenza è dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari.

© massimo ginesi 2 ottobre 2017 

notifica inesistente o nulla: una recentissima pronuncia.

Cass.civ. sez. VI-2 ord. 12 settembre 2017 n. 21130  affronta un tema delicato, circoscrivendo a pochi casi, gravi e ben delineati, le ipotesi di inesistenza della notifica e ascrivendo alla categoria della nullità le ulteriori e diverse  ipotesi (con la conseguente possibilità di rinnovazione della notifica ritenuta nulla).

La vicenda origina dalla eccepita inesistenza della notifica di un atto di appello al difensore presso la cancelleria del Tribunale.

La corte rileva che “Effettivamente nel corso del giudizio di primo grado l’avv. F., con studio in Roma, si era costituito per gli attori in luogo dei precedenti difensori (che avevano rinunciato al mandato: v. verbali udienze 15.3.2006 e 21.6.2006), senza tuttavia eleggere domicilio nel circondario del giudice adito.
Dunque la prima notifica dell’atto d’appello, effettuata ai sensi dell’art. 82 R.D. n. 37 del 1934 presso la cancelleria del Tribunale di Velletri è senz’altro valida.”

Il principio di diritto richiamato è netto: “ad ulteriore confutazione dell’affermazione di diritto contenuta nella sentenza impugnata, circa l’asserita inesistenza, piuttosto che nullità, della notifica effettuata a persona non avente la rappresentanza processuale della parte e in un luogo diverso dal domicilio, va richiamato il recente arresto delle S.U. di questa Corte (n. 14916/16), in base al quale, l’inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità, sicché, in definitiva, è inesistente solo la notificazione mancata meramente tentata.
Con la duplice conseguenza che una notificazione nulla dell’atto d’appello non rende inammissibile il gravame, ma deve essere rinnovata, e che la sua valida rinnovazione nel termine concesso dal giudice ai sensi dell’art. 291 c.p.c. opera con efficacia retroattiva, e dunque conservativa dell’appello stesso.”

© massimo ginesi 14 settembre 2017 

 

mediazione: il termine per l’inizio non è perentorio e non ha natura processuale.

Una pronuncia di buon senso della giurisprudenza di merito, che ha ritenuto non perentorio il termine di quindici giorni assegnato dal giudice per l’inizio del procedimento, atteso che una interpretazione rigida della normativa in tema di risoluzione stragiudiziale delle controversie finirebbe per penalizzare il diritto stesso di accesso alla giustizia.

Pertanto, ove la mediazione sia stata esperita, anche dopo tale termine, dovrà ritenersi avverata la condizione di procedibilità.

Lo ha affermato la Corte di Appello di Milano con sentenza del 24 maggio 2017, riformando la sentenza di primo grado che aveva dichiarato improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo e definitivo il decreto opposto.

Le argomentazioni a sostegno della decisione sono di deciso interesse e qualificano quale unico termine perentorio previsto dal D.lgs 28/2010 quello di sospensione necessaria del processo, pari a tre mesi, per l’esperimento della mediazione.

© massimo ginesi 22 giugno 2017