bonus 110% e cessione del credito in condominio

 l’ecobonus 110  o bonus ristrutturazione 110 è una detrazione fiscale del 110% delle spese sostenute per gli interventi di efficientamento energetico e riduzione del rischio sismico (l’ecobonus per la ristrutturazione al 110 è anche un sismabonus).

Il beneficio è previsto dall’art. 119 D.L. 34/2020 per una serie di interventi ed è prevista espressamente dal comma 9 lett. a), mentre al successivo art. 121 si prevede che  ‘I soggetti che sostengono, negli anni 2020 e 2021, spese per gliinterventi elencati al comma 2 possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione, alternativamente:  a) per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto fino a un importo massimo pari al corrispettivo dovuto anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi e da quest’ultimo recuperato sotto forma di credito d’imposta, con facolta’ di successiva cessione del credito ad altri soggetti, ivi inclusi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari;   b) per la trasformazione del corrispondente importo in credito d’imposta, con facolta’ di successiva cessione ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari’ .

Mentre la delibera sui lavori che prevedono il beneficio è certamente adottabile con le ordinarie maggioranze per interventi di straordinaria manutenzione o per innovazioni (a seconda della natura dell’opera che si intende realizzare) si deve ritenere che  che la cessione del credito – certamente ammissibile anche per il condominio, come ha chiarito per le precedenti disposizioni che prevedevano tale meccanismo anche da circolare della agenzia delle Entrate 28.8.2017 n. 165110 –   avendo ad oggetto un diritto personale del condomino ed essendo destinata ad incidere sulla sua posizione patrimoniale e fiscale personale, sia sottratta alle competenze dell’assemblea e debba vedere espresso consenso dei singoli interessati.

In altri termini: la decisione di  giovarsi direttamente di benefici fiscali, a seconda della personale situazione contributiva di ciascuno, o di cedere piuttosto il proprio vantaggio fiscale in forma di credito al fornitore, è scelta che compete ai singoli titolari della posizione di vantaggio, con  conseguenze patrimoniali direttamente incidenti nella sfera individuale dei singoli condomini – che hanno diritto a detrazione in misura proporzionale alla propria quota millesimale – e su cui l’assemblea non ha alcun  titolo ad intervenire.

© massimo ginesi 12 giugno 2020 

 

interpretazione del regolamento contrattuale: la delibera del condominio non vincola il giudice.

Qualora nel condominio sia in vigore un regolamento di natura contrattuale,, il giudice è tenuto ad interpretarlo secondo le ordinarie regole ermeneutica in tema di contratti e non potrà limitarsi a recepire la lettura che di tali norme sia stata data in sede di successive delibere condominiali.

Nella fattispecie il regolamento vietava innovazioni lesive del decoro e il Condominio aveva  ritenuto conforme alla clausola un intervento di recupero del sottotetto effettuato da un condomino.

La Corte di legittimità ( Cass.civ. sez. II  ord. 27 maggio 2020 n. 9957), nel ribadire nozioni ormai consolidate in tema di decoro, rileva che il giudice di merito era tenuto a valutare se quell’intervento fosse effettivamente in contrasto con la clausola regolamentare, non potendo limitarsi a prendere atto del consenso espresso dalla maggioranza assembleare.

“Questa Corte ha affermato, con orientamento consolidato al quale il collegio intende dare continuità, che costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio (Cassazione civile sez. II, 28/06/2018, n. 17102).
L’alterazione di tale decoro è integrata, quindi, da qualunque intervento che alteri in modo visibile e significativo la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono all’edificio una sua propria specifica identità (Cass. 1076/05 e Cass. 14455/09).

Ne consegue che, attesa la sostanziale identità della domanda basata sulla lesione del decoro architettonico o sull’art. 8 del regolamento condominiale, sia in relazione all’art. 1120 c.c., il motivo dedotto non è decisivo perché basato sui medesimi presupposti fattuali.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa interpretazione dell’art. 1362 c.c., in relazione al regolamento condominiale ed agli artt. 1120, 1137, 1138, 1350, 1372 e 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 2 e 3, per avere la corte distrettuale interpretato il regolamento condominiale, facendo riferimento alla volontà dei condomini manifestata nella Delib. 25 febbraio 2003, con la quale i medesimi nulla obiettavano in ordine al progetto di modifica delle parti comuni; la corte di merito non avrebbe tenuto conto che, trattandosi di regolamento di natura contrattuale, non avrebbe potuto essere modificato a semplice maggioranza, ma con il consenso unanime dei condomini, in quando incidente sul decoro architettonico. Contestava, inoltre, che si fosse formato il giudicato per assenza di opposizione alla citata Delib. condominiale in quanto l’oggetto della Delib. era limitato al riconoscimento della legittimità degli interventi purché conformi al regolamento condominiale.

Il motivo è fondato sotto diversi profili.
È incontestato che il regolamento del Condominio (omissis) abbia natura contrattuale e che la domanda dal medesimo proposta fosse diretta alla declaratoria di illegittimità dei lavori eseguiti dai convenuti, consistenti nel recupero, ai fini abitativi, del sottotetto, perché lesivi del decoro architettonico.
Nell’interpretare il regolamento contrattuale, il giudice deve utilizzare i canoni ermeneutici previsti dal codice civile e quindi leggere le clausole complessivamente e non limitarsi alla singola disposizione (art. 1363 c.c.) e cercare di ricostruire la volontà e l’intenzione delle parti contraenti (art. 1362 c.c. (Cassazione civile sez. VI, 03/05/2018, n. 10478).

L’art. 1362 c.c., allorché nel comma 1, prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cassazione civile sez. II, 22/08/2019, n. 21576).

La corte di merito ha interpretato l’art. 8 del regolamento contrattuale e, in particolare della volontà delle parti, non sulla base dei citati criteri ermeneutici, ovvero tenendo conto del dato letterale e delle altre clausole contrattuali, ma sulla base del comportamento successivo, costituito dal contenuto della Delib. 22 maggio 2003, nella quale il condominio nulla obiettava in relazione al progetto di realizzazione del recupero dell’abitabilità dei sottotetti, secondo il progetto presentato.
Tale deliberazione , che non risulta essere stata adottata all’unanimità, non poteva costituire l’unico parametro interpretativo per l’individuazione della volontà dei condomini espressa nel regolamento contrattuale, nè era idonea a modificarlo perché attinente ad innovazioni incidenti sul decoro architettonico.
In tale ipotesi, infatti, esula dai poteri istituzionali dell’assemblea dei condomini la facoltà di deliberare o consentire opere lesive del decoro dello edificio condominiale, alla stregua dell’art. 1138 c.c., comma 4 (Cassazione civile sez. VI, 18/11/2019, n. 29924).
Ne consegue che l’interpretazione del regolamento contrattuale, erroneamente basato, sulla Delib. Condominiale 22 maggio 2003, non poteva avere autorità di giudicato.”

© massimo ginesi 3 giugno 2020

Assemblee di condominio, D.L. 33/2020 e DPCM 17 maggio 2020: facciamo chiarezza

Questi ultimi due mesi ci hanno abituato ad una pessima prassi normativa, che ha aggravato la già pesante situazione di un paese in cui il legislatore degli ultimi 40 anni non pare dotato di grande efficacia e sintesi (tutti ricorderanno la lievitazione dell’art. 1129 c.c., con la riforma del 2012, da 4 a 16 commi).

La legislazione del periodo covid , con un mix micidiale di decreti legge, decreti ministeriali, ordinanze e – non ultime – le faq sui siti ministeriali, ha definitivamente cancellato nella percezione comune la differenza fra fonti di legge e la loro gerarchia  (decreti legge), atti amministrativi (DM e DPCM e ordinanze), atti di indirizzo a mera valenza interna nella pubblica amministrazione (circolari), senza alcun effetto vincolante per il cittadino,  e mere informazioni irrilevanti (e spesso fuorvianti), quali le c.d. FAQ.

A ciò si aggiunga una gazzarra di articoli, commenti interpretazioni che da un lato scontano l’effetto web e social  (ognuno è libero di dire ciò che pensa, parificando agli occhi del lettore non smaliziato, lo studioso di lungo corso al giocatore di bocce) e dall’altro pagano l’effetto del lockdown, in cui molti hanno cercato di rimanere visibili e presenti (specie fra i portali informatici e associativi), spesso puntando sul mero sensazionalismo.

Quanto alle assemblee di condominio, dal 6 marzo in poi si sono succedute diverse fonti normative di rango diverso (D.L. e DPCM) che hanno vietato riunioni ed assembramenti, senza tuttavia fare mai espressa menzione delle adunanze condominiali. 

Abbiamo da sempre sostenuto  che dal punto di vista letterale e sistematico tutte quelle disposizioni si applicavano agli eventi pubblici e non alle riunioni private che, sotto il profilo giuridico, ove si svolgano in locali di metratura idonea a garantire le distanze di sicurezza (o meglio ancora all’aperto, in aree sportive o cortilizie condominiali), non potevano ritenersi ex lege vietate.

Tuttavia pur non potendo ritenersi tout court vietata la riunione dell’organo collegiale condominiale, non può non tenersi conto dei limiti ancora oggi posti alla possibilità di movimento delle persone (si pensi al condomino che abita fuori regione o che sia risultato positivo o in quarantena per contatti con positivo), che rendono di fatto impossibile la partecipazione a taluni aventi diritto, con possibile impugnativa della delibera che venisse presa in loro assenza. 

Allo stesso modo in molte realtà, specie quelle numerose, appare impossibile reperire aree in cui svolgere le riunioni nel rispetto delle norme di distanziamento sociale, sì che ad oggi – appare consigliabile per l’amministratore evitare di convocare adunanze che non siano più che urgenti o celebrabili senza difficoltà per la natura del condominio e l’entità dei partecipanti.

La delicatezza della vicenda è evidente, tanto che la oggettiva difficoltà di convocare assemblee ha indotto il legislatore ad introdurre nel decreto legge c.d. rilancio, ad oggi non ancora pubblicato in G.U., due norme che – seppur con modalità discutibili – prorogano di sei mesi l’incarico dell’amministratore e di un anno il termine per l’approvazione dei rendiconti, così come fissato dall’art. 1130 n. 10 c.c. 

Tali principi, così come la possibilità concreta – anche alla luce della legislazione vigente – di poter tenere assemblea con il collegamento da remoto per taluni condomini o a svolgere in modalità virtuale l’intera riunione, non ostando a tale fine l’indicazione del del luogo (non necessariamente oggettivo) previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ. paiono trasparire anche dall’interpretazione recente di autorevolissima dottrina. *

A fronte di tali premesse, nessuna modifica di rilievo introducono i D.L. 33/2020 e l’annunciato DPCM sula ripresa delle attività, laddove il primo prescrive , all’art. 1 “ 1. A decorrere dal 18 maggio 2020, cessano di avere  effetto  tutte le misure limitative della circolazione  all’interno  del  territorio regionale di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, e tali misure possono essere adottate o  reiterate,  ai  sensi degli stessi articoli 2 e 3, solo con riferimento a  specifiche  aree del territorio medesimo interessate da particolare aggravamento della situazione epidemiologica.” e prevede che le riunioni possano tenersi con la distanza interpersonale di un metro, poichè si tratta di norme che si riferiscono ad eventi tenuti in luogo pubblico o aperto al pubblico e non alle assemblee di condominio a cui, già in precedenza, non poteva ritenersi applicabile sic et simpliciter la disciplina emergenziale di divieto.

Rimangono invece intatti (per il momento sino al 2 giugno p.v. i limiti di circolazione regionale, con possibilità di deroga restrittiva da parte degli enti territoriali, nonchè gli obblighi e le limitazioni sanitarie per taluni soggetti) sì che restano del tutto identici gli aspetti che consigliano di non celebrare ad oggi assemblee di condominio, se non in quei casi in cui si possa effettivamente garantire la partecipazione in sicurezza dei condomini e, soprattutto, tutti gli aventi diritto possano effettivamente essere in condizioni di intervenire.

Ne deriva che la notizia che dal 18 maggio p.v. il condominio riparta a pieno regime e gli amministratori debbano precipitarsi a convocare assemblee non è solo destituita di fondamento, è semplicemente pericolosa. Certamente vi è, in prospettiva, una necessità di riprendere l’ordinaria vita amministrativa,  iniziative tuttavia da effettuare con l’osservanza di tutte le cautele e gradualità che le situazioni concrete e le disposizioni normative di volta in volta emanate consiglieranno. 

* Scarpa “Decreto Rilancio: è davvero invalida l’assemblea virtuale di condominio?”, su “il quotidiano giuridico, WK, 15 maggio 2020 

© massimo ginesi 17 maggio 2020

aggiornamento – il DPCM reso pubblico in serata non incide su alcuna delle questioni sopra esaminate, costituendo – quanto alle misure di prevenzione e sicurezza – un modesto riassembelaggio delle norme sino ad oggi emanate, salvo l’espressa previsione di cui all’art. 2 comma 2 che prevede l’espresso obbligo di mascherina per i luoghi chiusi e aperti al pubblico in cui non sia possibile mantenere la distanza interpersonale, misura  che  appare ragionevole ritenere applicabile anche al condominio (e che peraltro già derivava da buone prassi sanitarie raccomandate da mesi).

 

decreto rilancio: le novità per l’amministratore di condominio

Prosegue la pessima prassi di annunciare in conferenza stampa provvedimenti legislativi, che vengono poi pubblicati in Gazzetta Ufficiale diversi giorni dopo.

Il 13 maggio 2020 il consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto Decreto Rilancio (con l’altra discutibile prassi di denominare i provvedimenti normativi con nomi propri), nel quale sarebbero contenute due norme di  rilievo per il mondo condominiale.

Dalle bozze reperibili in internet risulterebbe la seguente formulazione

“Art.212-ter Modifiche all’art. 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 

1. All’articolo 83 del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni: 

b) dopo il comma 21, sono aggiunti i seguenti: “21-bis. Quando il mandato dell’amministratore è scaduto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto o scade entro tre mesi dalla stessa alla data, l’incarico dell’amministratore è rinnovato per ulteriori sei mesi dalla scadenza in deroga a quanto previsto dall’articolo 1129 del codice civile, fermo il diritto dei condomini di procedere alla revoca nella prima assemblea successiva al rinnovo. 

21-ter. In deroga a quanto stabilito dall’articolo 1130, comma primo, numero 10), del codice civile, il termine per la convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale annuale con data di chiusura successiva al 31 luglio 2019 è differito di 12 mesi dalla data di chiusura dell’esercizio contabile”. 

La scarsa  tecnica legislativa che ha caratterizzato i provvedimenti dell’era covid affligge anche queste disposizioni che, da un lato, sono volte a prorogare i poteri dell’amministratore in scadenza in questo periodo (a fronte della difficoltà, laddove non se ne ritenga sussistente un vero e proprio divieto, di convocare assemblee) e, dall’altro a estendere il termine per la convocazione della assemblea per l’approvazione del rendiconto, fissato in 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio a mente dell’art. 1130 n. 10 c.c.

Giova osservare che la norma dispone di fatto una proroga, che tuttavia definisce rinnovo (che invece presuppone  il decorso di un nuovo rapporto contrattuale).  Trattandosi di proroga straordinaria disposta ex lege, è da ritenere che l’amministratore mantenga intatti tutti i poteri (e il diritto al compenso) e non solo quelli ordinari previsti in caso di protrazione del mandato ex art. 1129 comma VI c.c.

La proroga decorrerà dalla data di scadenza dell’incarico originario.

Ancor meno felice appare la formulazione della norma sull’estensione del termine per l’approvazione dei rendiconti, che prevede che l’ampliamento  di dodici mesi non decorra dalla scadenza  del termine di cui all’art. 1130 n. 10 c.c. ma dalla chiusura del rendiconto, nascendo così già assai monco rispetto a quelle chiusure che si collocano alla fine del 2019.

© massimo ginesi 15 maggio 2020 

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

CONDOMINIO E COVID-19: problemi pratici e normativi

 

L’evolversi della situazione sanitaria in Italia, con la conseguente adozione di continue misure normative volte a contenere il contagio, pone non pochi problemi di comprensione ed azione all’amministratore di condominio, che si trova a fronteggiare dubbi del tutto nuovi.

E’ dal 2012, anno della novella introdotta con L. 220/2012, che chi si occupa di condominio si pone dubbi sulla effettiva comprensione del fenomeno condominio da parte del legislatore, ma v’è da dire che la produzione normativa di questi giorni fuga ogni dubbio sulla totale approssimazione con cui viene affrontata ogni fattispecie, non solo condominiale, con una continua produzione di atti – spesso in spregio a qualunque criterio costituzionale di legiferazione – che limitano libertà, impongono divieti, prevedono fattispecie senza considerare i risvolti applicativi, ricorrendo sempre più a atti amministrativi (quali i DPCM o le ordinanze ministeriali), che lasciano non poche perplessità al soggetto che deve applicarle.

Vi è poi questa perversa tendenza ad imporre limiti e divieti senza alcun perimetro chiaro, disciplinando ma non vietando, strada che apre la porta agli arbìtri più assurdi per coloro che poi sono chiamati a far rispettare il precetto (da cui l’assurda notizia che si siano contestate decine di migliaia di violazioni ex art 650 cod.pen. a coloro che contravvengono ai divieti, con la prossima paralisi delle procure e dei tribunali che vedranno un sovraccarico di inutili decreti penali da smaltire…)

Un precetto, infine, che prende il divieto salvo situazioni urgenti e di assoluta necessità, che prescrive indicazione per gli anziani e divieti di compiere attività motoria non in prossimità della propria abitazione dimostra con chiarezza l’assurdo di una norma che non delimita la fattispecie cui deve essere applicata: Anziani, prossimità, assoluta necessità sono criteri totalmente discrezionali e non misurabili, che neanche uno studente di giurisprudenza al primo esame si sognerebbe di richiamare.

Detto ciò, in aggiunta a quanto già osservato nei giorni passati, è opportuno delineare i principali problemi che l’amministratore si vede costretto ad affrontare oggi:

  • alcune prassi sono state delineate in collaborazione con l’ISS e rappresentano certamente indicazioni cui avere riguardo, alle quali è opportuno che l’amministratore dia adeguato risalto con appositi avvisi nelle parti comuni.  Va a tal proposito rilevato che i normali parametri di adempimento/inadempimento e responsabilità, nella specifica situazione di emergenza, dovranno trovare applicazione ragionata, sì che all’amministratore non si potrà rimproverare, ex artt. 1129 e 1130 c.c. il mancato ferreo rispetto di tali indicazioni da parte dei condomini (ovvero egli non può trasformarsi in poliziotto condominiale), poiché la sua prestazione non può travalicare i limiti di ragionevolezza e attuabilità, mentre potrebbe essergli rimproverato di non aver dato adeguate informazioni, non aver predisposto adeguati strumenti di protezione per i dipendenti, non aver reso indisponibili talune parti comuni ricreative (piscine, campi da tennis, aree di ritrovo). Sul punto, per coloro che volessero approfondire la tematica dell’inadempimento, sono apparsi sul web diversi scritti interessanti che, mutatis mutandis, possono essere applicati anche alla prestazione contrattuale in condominio (non dimenticando che l’amministratore è un mandatario, ex art. 1129 comma XV c.c.)
  • ASSEMBLEE DI CONDOMINIO : è pacifico che, ad oggi, le assemblee di condominio non debbano tenersi. Era ovviamente troppo semplice redigere una norma apposita, tuttavia il divieto può essere desunto dal coacervo di disposizoni che vietano le riunioni, gli assembramenti, gli spostamenti, etc. Anche se, ove fossero rispettati tutti i parametri di distanza e salubrità  e si trattasse di grave ed imprescindibile necessità (ad esempio necessità di deliberare interventi per la statica dell’edificio o per servizi essenziali), la riunione, alla luce delle norme vigenti e sotto il profilo strettamente giuridico, potrebbe non ritenersi espressamente vietata.
  • E’ tuttavia evidente che l’unica indicazione sensata  che può essere data all’amministratore è di astenersi da qualsiasi convocazione e celebrazione di assemblea, giovandosi dei suoi poteri di intervento autonomi – così come disciplinati dall’art. 1130 c.c. e, per casi straordinari, dall’art. 1135 comma II c.c. (che prevede che “L’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea”). In tale ultima ipotesi l’ostacolo prioritario può essere di natura economica, laddove il condominio non abbia sufficienti risorse in cassa per far fronte all’imprevisto; paiono da sconsigliare (a maggior ragione per la celebrazione di assemblee ordinarie per la nomina dell’amministratore e l’approvazione dei bilanci)  forme virtuali di partecipazione (qui alcune note interessanti), laddove non siano espressamente previste dal regolamento di condominio, poiché la previsione non è ad oggi contenuta in alcuna norma e si presta a successive contestazioni non facilmente risolvibili (modalità di espressione del voto, partecipazione, discriminazione fra coloro che hanno mezzi telematici, etc).
  • Laddove sussistano problemi di liquidità, ed anche ai fini di continuare la gestione ove non si sia potuta celebrare l’assemblea di approvazione del consuntivo e del preventivo e di nomina dell’amministratore, appare prudente che quest’ultimo predisponga una modalità di esercizio straordinaria inviando comunque ai condomini i propri rendiconti e chiedendo una forma di ratifica provvisoria via mail), rimettendo a successiva assemblea gli adempimenti formali di approvazione (appare opportuno, a tal fine, avvisare i condomini che i versamenti saranno effettuati salvo conguaglio, all’esito della approvazione assembleare del rendiconto).
  • Per le stesse ragioni anche la nomina sarà differita alla prima assemblea utile, secondo gli ordinari parametri (sarà interessante verificare poi le successive interpretazioni in tema di funzioni e prorogatio, tema sul quale si può leggere un interessante intervento qui)
  • quanto alle responsabilità dell’amministratore e alla sua nomina, va osservato che  il D.L. 18/2020.   ha sospeso – in maniera assolutamente cervellotica e poco razionale, qui una completa disamina – ogni termine sostanziale e processuale (ivi compresi quelli di prescrizione e decadenza) sino al 15 aprile 2020.  Nulla è previsto circa i termini di cui all’art. 1130 n. 10 c.c., ovvero l’obbligo di convocare l’assemblea entro 180 giorni dalla chiusura del’esercizio, anche se è ragionevole ritenere che eventuali azioni successive di responsabilità, che qualche scriteriato dovesse ritenere di proporre, vedrebbero applicazione da parte della giurisprudenza di una interpretazione di buon senso, già emersa in passato, legata alla sussistenza di motivi imprescindibili che impedivano tali adempimenti.
  • RISCOSSIONE QUOTE – nessuna norma ha sospeso il versamento delle quote né la possibilità dell’amministratore di agire per il loro recupero forzoso (qui alcune riflessioni in tema di pagamenti telematici) . Va tuttavia rilevato che, di fatto, gli uffici giudiziari sono chiusi salvo che per le urgenze quindi, mentre è possibile depositare in via telematica decreti presso i tribunali (quindi per somme superiori a 5.000 euro), non lo è altrettanto presso i giudici di pace, che ad oggi non consentono modalità alternative al deposito cartaceo, in questo momento sospeso. E’ tuttavia plausibile che i decreti, anche se depositati, vedano cospicui ritardi nella firma  da parte del giudice (sono pervenuti da parte di molti Tribunali inviti a soprassedere anche ai depositi telematici) e divenga comunque poi inattuabile la loro notifica, essendo ad oggi impossibile accedere alle cancellerie per la richiesta di copie in forma esecutiva.
  • ove il condominio veda impossibilità di gestione a causa di taluni morosi, può essere disposto eventuale esercizio straordinario, secondo le indicazioni anche di recente emerse dalla Suprema Corte. E’ tuttavia ovvio che, ove la situazione di emergenza perdurasse a lungo,  l’amministratore si potrebbe trovare a fronteggiare situazioni non semplici.
  • ATTIVITA’ VIETATE  – dpcm 22 marzo 2020 – l’ultima boutade “normativa” è il decreto preannunciato in diretta Facebook alle ore 23,20 di sabato 21 marzo 2020, con la ridda di indiscrezioni filtrate per tutta la domenica, ed oggi pubblicato in gazzetta ufficiale, con cui si sospendono le attività produttive e commerciali sull’intero territorio nazionale, attività individuate mediante riferimento ad una tabella di codici ATECO (qui alcune indicazioni).  il condominio pare essere ricompreso con il codice ateco 97 (condominio con dipendenti), anche se appare del tutto improprio individuare tale realtà come attività produttiva industriale o commerciale, di talchè diventa improbabile ricondurre il condominio alla fattispecie indicata dal DPCM.
  • Alla luce di tale bizzarro modo di produrre norme, appare oggi lecito e prudenziale ritenere che debbano essere sospese tutte le attività di cantiere non indispensabili (anche alla luce del divieto di spostarsi da un comune all’altro) così come ogni altra non legata alla fornitura di servizi essenziali, pur rilevando che la solita locuzione “per comprovate esigenze lavorative” svuota di ogni significato precettivo la norma, avallando comportamenti disomogenei invece che favorire una interpretazione univoca (non sfuggirà inoltre che i codici ATECO 33/43 di cui all’allegato del DPCM consentono ogni attività di fornitura /manutenzione che possa rivelarsi necessaria in condominio).
  • quanto alla attività dei portieri, la previsione del codice ateo relativo, induce a ritenerla lecitamente proseguibile, anche se l’amministratore dovrà fornire al dipendente tutti i dispositivi di protezione individuale pervisti dalla normativa vigente in tema di contenimento del virus COVID-19 e fornire istruzioni scritte sulle modalità di svolgimento del servizio stesso e sull’utilizzo dei DPI. L’amministratore, ove lo ritenga funzionale, potrà variare temporaneamente le modalità di svolgimento del servizio, prevedendo ad esempio più passaggi giornalieri di pulizia per citofoni maniglie corrimano e portoni.

LO STUDIO DELL’AMMINISTRATORE – il nuovo DPCM 22 marzo 2020 prevede all’art. 1 che “le attività professionali non sono sospese e restano ferma le previsioni di cui all’art. 1 punto 7 DPCM 11 marzo 2020”. 

All’amministratore dunque non pare ad oggi fatto divieto assoluto di recarsi al proprio studio, osservando quanto stabilito sopra ovvero:

7) In ordine alle attività produttive e alle attività pro- fessionali si raccomanda che:

a) sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che pos- sono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;

b) siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;

c) siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;

d) assumano protocolli di sicurezza anti-conta- gio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale;

e) siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali”

si tratta tuttavia di norma mal formulata e di dubbia interpretazione, posto che nell’allegato che indica i codici Ateco (che la norma riferisce solo alle attività industriali e commerciali sospese) sono ricomprese anche attività professionali, fra le quali non è indicata la n. 68, relativa agli amministratori di condominio. E’ evidente che, a mente del combinato disposto (rectius, del malcombinato) di tutte le norme percettive ad oggi emesse, la frequenza dello studio sia del tutto sconsigliata e da lasciare ad ipotesi residuali e di emergenza.

 

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alla luce della situazione in essere va in ultimo rilevato un aspetto collaterale non secondario: la legislazione, specie in periodi emergenziali, non può prescindere dai cardini del sistema costituzionale.

 © massimo ginesi 23 marzo 2020 


Foto di Cock-Robin da Pixabay

le assemblee condominiali ai tempi del coronavirus

“E’ la vita, più che la morte, a non avere limiti.” (l’amore ai tempi del colera – G.G. Marquez)  

Il veloce susseguirsi di provvedimenti urgenti, volti a contenere il diffondersi del contagio da Coronavirus pone non pochi interrogativi agli amministratori di condominio, soprattutto in ordine ad eventi di aggregazione quali finiscono per essere le assemblee condominiali.

Va a tal proposito osservato che in data 4.3.2020 è stato emanato un decreto del Presidente Consiglio dei Ministri , che introduce  ( sino al 3  aprile p.v.) misure che hanno vigore su tutto il territorio nazionale e, in particolare prevedeva  all’art. 1 comma 1 lett. b 

  • b) sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro di cui all’allegato 1, lettera d);

e,  all’art. 2 comma 1 lett. b

  • b) è fatta espressa raccomandazione a tutte le persone anziane o affette da patologie croniche o con multimorbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, di cui all’allegato 1, lettera d);
è del tutto evidente che si tratta di ipotesi che ben rilevano anche a fini assembleari, poiché indubitabilmente si tratta di riunioni che rientrano nella previsione di cui all’art. 1 ed in cui facilmente può verificarsi l’ipotesi di cui all’art. 2.
Come sempre in questo paese il legislatore produce testi di legge da brivido, poiché la formulazione di entrambe le fattispecie  – formulando ipotesi di divieto non chiaramente determinate – lascia nelle mani dell’amministratore il cerino circa la decisione se celebrare le assemblee già convocate o convocarne altre nel periodo de quo. 
Per il periodo che va dal 4 marzo al 9 marzo 2020 la risposta alla seconda ipotesi era del tutto intuitiva: appariva  opportuno posticipare nuove convocazioni a data successiva al 3 aprile p.v., salva l’eventuale proroga o modifica delle misure interdittive. 
La soluzione al primo dubbio appariva  invece assai più complessa, poichè la norma prevede sospensione per riunioni che comportino modalità da non consentire distanze superiori ad un metro (forse nella mente di questo legislatore il segretario o il presidente dovranno munirsi di una portica e allontanare i condomini disponendoli secondo un rigoroso schema geometrico…) mentre la definizione “affollamento tale da…” comporta una valutazione discrezionale di difficile determinazione.
Risultava  allora opportuno che l’amministratore tenesse una condotta particolarmente prudenziale, sia per se stesso sotto il profilo sanitario, sia ai fini di possibili contestazioni sullo svolgimento dell’assemblea (che potrebbero portare a qualche strampalata impugnativa, ove taluno si ritenesse leso ed impedito a partecipare dalle modalità e dal luogo scelto per la celebrazione).
Poteva  dunque rispondere a buon senso rinviare le assemblee di complessi particolarmente numerosi, ove il rispetto delle modalità raccomandate nel decreto sia di fatto impossibile, adottando per le altre (ove non sia possibile o opportuno rinviarle) locali adeguati e rappresentando ai condomini l’opportunità di valorizzare la delega, dando luogo ad assembramenti ridotti. 
In entrambi i casi poteva  essere ragionevole inviare un comunicato (in cui si posticipava l’assemblea o si invitava a partecipazioni consapevoli) con le indicazioni emergenti dal decreto,  anche riguardo alle norme di condotta da osservare. 
Non essendo in quel lasso di tempo  la Liguria considerata zona rossa, non sussistevano provvedimenti interdettivi locali più severi (come invece sono stati adottati in Veneto e Lombardia, volti a contenere al minimo le occasioni di assembramento), sussistono tuttavia ordinanze locali (come quella emanata dal Sindaco di Lerici) che impongono agli amministratori comunicazioni circa gli arrivi nei condomini di soggetti provenienti da zone c.d. rosse..
Vi sono anche  autori che hanno esaminato la possibilità di svolgere l’incontro in videoconferenza, che oggi può essere anche semplicemente gestita via Skype o whatsapp o altri sistemi digitali e  che eviterebbe l’interazione personale, ipotesi che tuttavia pare di difficile attuazione – alla luce delle norme vigenti – ove non sia espressamente prevista dal regolamento contrattuale oppure non veda il consenso di tutti i condomini.
Ove poi l’amministratore decida  di celebrare comunque l’assemblea può essere opportuno dare atto in apertura di verbale che il numero di partecipanti e le caratteristiche del locale consentono di osservare le prescrizioni di cui al DPCM 4.3.2020.
Tuttavia in data 9.3.2020  il Presidente del Consiglio dei Ministri ha firmato un provvedimento (in vigore da oggi) che estende a tutta l’Italia il regime già previsto dal DPCM 8 marzo 2020 per la Lombardia e talune province venete, piemontesi  ed emiliane.
Aldilà di quel che si legge sul web e sulla stampa (pare che in questo paese lo sport preferito sia diffondere panico) il decreto non prevede divieti assoluti per coloro che non sono in quarantena, ma mobilità ridotta e solo per  motivi lavorativi, familiari e di salute da autocertificare con apposito modulo in caso di controllo (art. 1 lett a DPCM 8 marzo 2020: “ a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonche’ all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessita’ ovvero  spostamenti per motivi di salute”)
Prevede tuttavia il divieto, già contenuto del DPCM 8 marzo 2020 all’art. 1 lett G, di qualunque evento pubblico o privato: ”   g) sono sospese tutte le manifestazioni organizzate, nonche’ gli eventi in luogo pubblico o privato, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo, religioso e fieristico, anche se svolti in luoghi chiusi ma aperti al pubblico, quali, a titolo d’esempio, grandi eventi, cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati; nei predetti luoghi e’ sospesa ogni attivita’”
 
La formulazione  non brilla per chiarezza e il precetto sembra diretto a disciplinare eventi di natura diversa dalle assemblee di condominio, tuttavia il tenore letterale della norma e lo spirito dell’intero provvedimento, volto ad evitare spostamenti e incontri, induce cautelativamente a ritenere ad oggi sospese anche le riunioni assembleari, di talchè pare opportuno predisporre rinvio di quelle già fissate.
 
Ciò sia nell’ottica di rispetto di disposizioni che si pongono a tutela della salute pubblica e devono essere interpretate nel modo più rigoroso possibile, sia per evitare possibili impugnative da parte di coloro che – a questo punto legittimamente – potrebbero considerare la celebrazione di una riunione condominiale un motivo non idoneo allo spostamento dal proprio domicilio (ai sensi dell’art. 1 lett. a DPCM 8 marzo 2020, oggi applicato a tutto il territorio  nazionale).
© massimo ginesi 10 marzo 2020

 

dpcm20200309-200309223929

 

poteri di tutela del singolo condomino contro l’utilizzo improprio della cosa comune

una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.civ. sez. II  ord. 18 novembre 2019 n. 29924 rel. Scarpa) chiarisce che – anche ove il regolamento condominiale preveda il preventivo assenso dell’amministratore o dell’assemblea alla esecuzione di opere da parte dei singoli destinate ad incidere sulle parti comuni –  resta intatta la facoltà del singolo che ritenga leso il proprio diritto, a fronte di interventi che travalichino i confini di cui all’art. 1102 c.c.,  di ricorrere all’autorità giudicai onde ottenere la relativa tutela .

Allorché una clausola del regolamento di condominio, di natura convenzionale, imponga il consenso preventivo dell’amministratore o dell’assemblea per qualsiasi opera compiuta dai singoli condomini che possa modificare le parti comuni dell’edificio, pur dovendosi riconoscere all’assemblea stessa, nell’esercizio dei suoi poteri di gestione, la facoltà di ratificare o convalidare ex post le attività che siano state compiute da alcuno dei partecipanti in difetto nella necessaria preventiva autorizzazione, resta salvo l’interesse processuale di ciascun condomino ad agire in giudizio per contestare il determinato uso fatto della cosa comune ed il potere dell’assemblea di consentirlo, ove esso risulti comunque lesivo del decoro architettonico del fabbricato, non dando ciò luogo ad un sindacato dell’autorità giudiziaria sulle valutazioni del merito o sulla discrezionalità di cui dispone l’assemblea”.

© massimo ginesi 22 novembre 2019 

solo la delibera dell’assemblea per spese straordinarie è idonea a far sorgere l’obbligazione del condomino

E’ quanto ha statuito una recente sentenza della Cassazione (Cass.Civ. Sez. II 14 ottobre 2019 n. 25839 rel. Scarpa), che ha cassato una sentenza della Corte d’appello di Genova.

Il Giudice di legittimità ha rilevato che, ove l’assemblea non abbia deliberato in ordine alle spese per la manutenzione straordinaria, limitandosi a dar incarico ad una commissione di valutare entità dell’intervento e scelta dell’appaltatore, non sorge il correlativo obbligo di contribuzione del singolo condomino che potrà pertanto, ove abbia versato Dali importi agire per la ripetizione dell’indebito nei confronti del condominio.

i fatti e la causa: “Con citazione del 20 maggio 2008 la Autoparco Colombo s.r.l., proprietaria di locali compresi nel condominio, aveva richiesto la restituzione della somma di Euro 86.460,00, versata a titolo di contributo, in misura di due terzi del totale, inerente ai lavori di manutenzione straordinaria del passaggio pedonale esterno di accesso ai portoni, deducendo che l’assemblea del 19 aprile 2007 non avesse approvato l’intervento, ma soltanto dato mandato ad una Commissione Tecnica di valutare ed approvare lo stesso, indicando in Euro 150.000,00 più IVA l’importo massimo e prescrivendo criteri sulla scelta dell’impresa appaltatrice.

La domanda di restituzione, accolta dal Tribunale, sul presupposto che l’assemblea non avesse deliberato nè l’esecuzione dei lavori nè il riparto delle spese, veniva invece respinta dalla Corte d’Appello.

I giudici di secondo grado, recependo il motivo di gravame del Condominio, ravvisavano il vizio di ultrapetizione in cui era incorso il Tribunale, in quanto la condomina Autoparco Colombo s.r.l. in citazione aveva contestato non l’approvazione dei lavori, ma il riparto della spesa, perché non approvato dall’assemblea. Aggiungeva la Corte d’Appello che la delibera dell’assemblea di approvazione dei lavori comunque esisteva ed il criterio di riparto fosse quello stabilito dal regolamento di condominio, con rinvio all’art. 1126 c.c.. Per di più, la sentenza impugnata riteneva tardiva la domanda di accertamento della nullità della delibera di ripartizione della spesa formulata dalla società attrice con la prima memoria istruttoria. La Corte di Genova sosteneva pure che la violazione dei criteri di ripartizione delle spese avrebbe implicato la annullabilità e non la nullità della delibera, con conseguente soggezione al termine di trenta giorni ex art. 1137 c.c.. Dunque, non essendo stata impugnata la delibera che aveva approvato l’intervento di manutenzione e ripartito le spese, non era concepibile per la Corte d’Appello un’azione di indebito arricchimento fondata sull’assunta mancanza di delibera. Conclude la sentenza impugnata che la difesa di Autoparco Colombo s.r.l. avesse ammesso di non aver voluto proporre alcuna domanda di accertamento del criterio di riparto delle spese”

la decisione di legittimità: “È pacifico che occorra l’autorizzazione dell’assemblea (o, comunque, l’approvazione mediante sua successiva ratifica), ai sensi dell’art. 1135 c.c., comma 1, n. 4, e con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., comma 4, per l’approvazione di un appalto relativo a riparazioni straordinarie dell’edificio condominiale (si vedano indicativamente Cass. Sez. 2, 21/02/2017, n. 4430; Cass. Sez. 2, 25/05/2016, n. 10865).

In difetto di preventiva approvazione assembleare dei lavori di manutenzione straordinaria (e al di fuori del caso dell’urgenza di cui allo stesso n. 4 dell’art. 1135 c.c.), non sussiste il diritto dell’amministratore del condomino a pretendere la riscossione dei relativi contributi dai singoli condomini.

La delibera assembleare in ordine alla manutenzione straordinaria deve in ogni caso determinare l’oggetto del contratto di appalto da stipulare con l’impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi ed il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando tutti i particolari dell’opera, ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa. Sono, peraltro, ammissibili successive integrazioni della delibera di approvazione dei lavori, pure inizialmente indeterminata, sulla base di accertamenti tecnici da compiersi. Mentre l’autorizzazione assembleare di un’opera può reputarsi comprensiva di ogni altro lavoro intrinsecamente connesso nel preventivo approvato (arg. da Cass., Sez. 2, 20/04/2001, n. 5889).

Le delibere assembleari del condominio devono comunque essere interpretate secondo i canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 c.c. e segg., privilegiando, innanzitutto, l’elemento letterale, ed adoperando quindi, soltanto nel caso in cui esso si appalesi insufficiente, gli altri criteri interpretativi sussidiari indicati dalla legge (Cass. Sez. 2, 28/02/2006, n. 4501). In tal senso, la delibera adottata dall’assemblea dei condomini del Condominio (OMISSIS) il 19 aprile 2007 si limitava a “deliberare il lavoro totale, previo studio e capitolato d’appalto da predisporre” da parte di un geometra incaricato, con “mandato alla Commissione Tecnica di valutare e approvare lavorazione… per un importo massimo di Euro 150.000 più i.v.a.”, ed aggiungeva “la cifra è semplicemente indicata come tetto massimo insuperabile per l’attività autonoma della commissione tecnica. Permane l’obiettivo della scelta dell’Impresa più conveniente nel rapporto qualità-prezzo”.

Nel senso proprio delle parole adoperate, questa delibera, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte d’Appello di Genova, non può spiegarsi come definitiva autorizzazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1135 c.c., comma 1, n. 4, delle riparazioni straordinarie del passaggio pedonale di accesso ai portoni dell’edificio condominiale, in quanto essa non determinava ancora l’oggetto del contratto di appalto, atteso che non individuava l’impresa prescelta, nè le opere da compiersi nè il prezzo dei lavori, in modo da limitarsi a delegare alla commissione ristrette scelte di mera gestione tecnico – economiche relative alle opere di manutenzione dello stabile condominiale.

Perché questa delega non si intenda come un esautoramento del condominio nell’amministrazione della cosa comune, e non comporti l’annullamento dei diritti della minoranza dei partecipanti al condominio, nel cui interesse è stabilita la competenza istituzionale dell’organo assembleare, occorre, come questa Corte ha già affermato, che le decisioni della commissione, incaricata di esaminare i preventivi di spesa, vengano poi rimesse all’approvazione, con le maggioranze prescritte, dell’assemblea (Cass. Sez. 2, 06/03/2007, n. 5130; Cass. Sez. 2, 23 novembre 2016, n. 23903; Cass. Sez. 2, 25 maggio 2016, n. 10865; Cass. Sez. 62, 15/03/2019, n. 7484).

Ove non sia configurabile, alla stregua dei richiamati principi, una deliberazione assembleare di approvazione delle opere di manutenzione straordinaria del passaggio pedonale di accesso ai portoni, deve perciò essere nuovamente esaminata la domanda della Autoparco Colombo s.r.l. di ripetizione di quanto si assume indebitamente versato al Condominio a tale titolo.

Per ormai consolidata interpretazione giurisprudenziale, con riferimento alle spese attinenti a lavori condominiali di manutenzione straordinaria o che consistano in un’innovazione, la deliberazione dell’assemblea, chiamata a determinare quantità, qualità e costi dell’intervento, assume valore costitutivo della relativa obbligazione di contribuzione in capo a ciascun condomino.

In sostanza, l’obbligo dei singoli partecipanti di contribuire alle spese straordinarie necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni, postula la preventiva approvazione assembleare, la quale a sua volta suppone essenzialmente, come già detto, la determinazione completa dell’oggetto delle opere, non avendo rilievo ai fini dell’insorgenza del debito, e quindi dell’esigibilità del credito vantato dalla gestione condominiale, l’esistenza di una deliberazione programmatica e preparatoria (Cass. Sez. 2, 26 gennaio 1982, n. 517; Cass. Sez. 2, 02/05/2013, n. 10235; Cass. Sez. 2, 21 febbraio 2017, n. 4430; Cass. Sez. 6-2, 16 novembre 2017, n. 27235; Cass. Sez. 6-2, 17 agosto 2017, n. 20136; Cass. Sez. 2, 20 aprile 2001, n. 5889).

l versamento delle spese che il condomino esegua in favore del condominio prima che sia individuabile, nei termini indicati, una completa definitiva e deliberazione di approvazione dell’intervento di manutenzione straordinaria ben può, pertanto, configurare, un pagamento ab origine indebito, agli effetti dell’art. 2033 c.c. (arg. da Cass. Sez. U, 09/03/2009, n. 5624; Cass. Sez. 3, 19/06/2008, n. 16612; Cass. Sez. 3, 23/02/2006, n. 3994).

© massimo ginesi 16 ottobre 2019 

Tribunale di Roma: conflitto di interessi e luogo di celebrazione dell’assemblea

Un’interessante ed articolata sentenza capitolina (Trib. Roma sez. V 12 marzo 2019 n. 5363)   affronta il tema del conflitto di interesse, portato da uno dei condomini che ha espresso il proprio voto in assemblea (una società che ha votato favorevolmente  all’abbandono di una causa nella quale era parte contro il condominio),  e la contestazione relativa allo spostamento del luogo di celebrazione di assemblea durante lo svolgimento della stessa.

CONFLITTO DI INTERESSI – il Tribunale romano osserva, condivisibilmente ed in linea con l’orientamento di legittimità, che non è  sufficiente addurre la sussistenza di conflitto in capo ad uno dei condomini votanti (che può ma non deve astenersi in quella sede) ma è anche necessario provare che quel voto persegua interessi extracondominiali e dannosi per la compagine comune: “Ne deriva pertanto che l’invalidità della delibera discende non solo dalla verifica del voto determinante dei condomini aventi un interesse in conflitto con quello del condominio (e che, perciò, abbiano abusato del diritto di voto in assemblea), ma altresì dalla dannosità, sia pure soltanto potenziale, della stessa deliberazione: il vizio della deliberazione approvata con il voto decisivo dei condomini in conflitto ricorre, in particolare, quando la stessa sia diretta al soddisfacimento di interessi extracondominiali, ovvero di esigenze lesive dell’interesse condominiale all’utilizzazione, al godimento ed alla gestione delle parti comuni dell’edificio”.

ASSEMBLEA _ la vicenda è curiosa e la decisione del giudice, anche se assai rigorosa, appare giustamente garantista  e motivata. L’assemblea è convocata nell’androne condominiale am – dopo pochi minuti dall’inizio – per il freddo e la scomodità si sposta in un vicino bar. una condomina, arrivata nell’androne poco dopo il trasferimento del consesso ad altra sede, ritiene che la riunione non si tenga e si allontana richiedendo via mail spiegazioni all’amministratore, che risponde tempestivamente ma sembra non comunichi a costei che è ancora in tempo a partecipare, di talchè il giudice ritiene irrimediabilmente pregiudicato il diritto del singolo e violato l’art. 66 disp.att. cod.civ.

la sentenza è decisamente ampia e merita lettura integrale

(Tribunale di Roma, sez. V Civile, sentenza n. 5363:19

© massimo ginesi 13 giugno 2019 

spese personali da addebitare ai singoli ai sensi dell’art. 1123 comma II c.c. ?

Una assai poco convincente  pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II  10 maggio 2019 n. 12573) sembra  ricondurre le spese postali, necessarie  per soddisfare richieste individuali dei singoli condomini e rivolte all’amministratore, all’ipotesi di servizio destinato a servire i condomini in misura diversa e quindi da addebitare ai  singoli secondo il disposto di cui all’art 1123 comma II c.c.

Un condomino si duole  che a consuntivo gli siano state imputate spese personali “argomentando che non rientrava nelle attribuzioni della assemblea il potere di addebitare unilateralmente a loro carico spese definite personali quali, in concreto, gli oneri (per complessivi Euro 302,10) per spese postali e “compensi amministratore” dovuti in dipendenza di comunicazioni e chiarimenti su comunicazioni ordinarie e su problematiche straordinarie condominiali.”

La corte di legittimità ritiene tuttavia che, in astratto,  tale potere invece  possa sussistere in alcune ipotesi  “La possibilità di ripartizione delle spese personali di ciascun condomino “in funzione delle utilità che in concreto” lo stesso gode e ricava sostanzia un criterio che – a ben vedere- si riferisce all’uso di cose comuni e non ad altro.

Quella possibilità si riferisce, infatti, ad “un servizio comune destinato ad essere fruito in misura diversa” e non già a fattispecie come quella in esame ove, in concreto, ricorre altra situazione non sussumibile nella norma comunque applicata.

La concreta situazione per cui è causa (maggiori spese postali e costo servizio) si riferisce a servizi la cui natura-salva la inapplicabilità del generale criterio di ripartizione ex art. 1123 c.c., comma 1, (cui sembra aver fatto esclusi ovo riferimento la sentenza gravata)- va valutata dal Giudice del fatto.

D’altra parte l’invocata ed automatica applicabilità dell’art. 1123 c.c., comma 2, nel senso proposto col motivo qui in esame, non può essere appieno condivisa ove si prospetti l’addebito delle spese “in funzione delle utilità che in concreto” vengano ricavate dai singoli condomini senza la concreta valutazione della natura dell’attività resa al singolo condomino.

Al riguardo deve in ogni caso rammentarsi come la stessa giurisprudenza citata col motivo qui in esame fa, testualmente, espresso riferimento alle spese “per i servizi comuni” e non ad altro.

E la ancor più pertinente pronuncia di Cass. n. 4403/1999 àncora l’applicabilità del criterio di liquidazione ex art. 1123, comma 2 (non in base a millesimi e non a carico di tutti i condomini) solo alla fattispecie inerenti “cose comuni suscettibili di destinazione al servizio dei condomini”.

E, fatta sempre salva, altra azione recuperatoria nei confronti del singolo condomino in via sussidiaria rispetto al meccanismo previsto ex art. 1123 c.c., comma 2 “al fine di evitare un indebito arricchimento rispettivamente a favore e a discapito dei singoli condomini” (Cass. n. 9263/1998).

In conclusione la non addebitabilità di spese al singolo condomino, che usufruisca di servizi, può, quindi, essere affermata, ma non col rinvio al generale principio ex art. 1123 c.c., comma 1, della ripartizione proporzionale;
l’addebito alla intera comunità condominiale di spese (quali quelle postali e di attività ulteriore svolta nell’interesse di un singolo condomino) sulla base del generico ed errato riferimento al criterio della ripartizione delle spese sulla proporzione di uso è quindi errato;

alla stregua dei principi giurisprudenziali innanzi richiamati e correttamente ribaditi, la giustificazione del permanere a carico del condominio delle spese comunque effettuate a fini individuali risiede sono nella corretta applicabilità o meno del criterio ex art. 1123 c.c., comma 2, previa valutazione in fatto della natura del servizio e conseguente considerazione della addebitabilità o meno individuale al singolo condomino.

Nel sibillino e non felice  inciso finale la corte di legittimità sembra escludere in buona parte l’applicabilità dell’art. 1123 c.c. alle spese c.d. personali, che potranno essere imputate al singolo solo ove riguardino servizi e beni comuni ai quali non pare peraltro potersi ricondurre l’operato dell’amministratore che, laddove soddisfi richieste e chiarimenti dei singoli, non sta erogando un servizio comune ma sta soddisfacendo una istanza individuale, i cui costi è corretto che non ricadano sulla intera collettività e – sembra di leggere fra le righe – il cui onere non può comunque essere oggetto di deliberazione assemblare, che può avere ad oggetto solo beni e servizi comuni.

Stabilire poi se quelle spese, imputate al singolo, costituiscano posta individuale – da recuperare con ordinari criteri giudiziali – oppure debbano intendersi servizio comune fruito in maniera più intensa – si che appare giustificata l’applicazione dell’art. 1123 comma II c.c. (e la conseguente competenza dell’assemblea a deliberare sul punto)  è valutazione di fatto che compete unicamente al giudice di merito, chiamato a valutare ogni singolo importo e la natura della prestazione a cui si riferisce.

© massimo ginesi 16 maggio 2019