contestazione del verbale di assemblea ed onere della prova

Un condomino, presente in assemblea, afferma di essersi allontanato prima della votazione – circostanza che non risulta dal verbale, ove invece si afferma che costui avrebbe votato a favore della delibera – e pertanto impugna la delibera.

Ciò avviene diversi mesi dopo, poiché anche l’invio del verbale – a detta del condomino – è stato incompleto e la copia inviata dall’amministratore non avrebbe compreso la parte dedicata alle presenze.

Il caso è affrontato da una recente sentenza del Tribunale apuano (Trib. Massa 5 novembre 2018), ove si richiama un costante orientale to di legittimità, che pone a carico di colui che intende contestare la verbalizzazione l’onere di provare l’asserito diverso svolgimento dei fatti:

Tuttavia tali mezzi non si sono rivelati utili a provare i  fatti  costitutivi  della  domanda,  onere che incombeva all’attore ex art 2697 comma I c.c.

Fra tali oneri deve comprendersi anche quanto si deduce essere difforme dal verbale (ex multis Cassazione civile, sez. VI, 11/08/2017, n. 20069),  circostanza  che poi si riverbera necessariamente sia sulla tempestività della impugnazione così come sui motivi di doglianza… di talché – in assenza di prova puntuale sul punto – deve farsi fede a quanto riportato nel verbale.

Quanto testè esposto dirime anche la questione circa la tempestività della impugnazione che, in quanto volta a far rilevare il proprio voto contrario, va ricondotta al termine di cui all’art. 1137 c.c., che per il condomino presente decorre dal giorno della riunione.

Del tutto non provato appare, in ogni caso,  anche  il  dedotto  lacunoso  invio  del  verbale (che di per sé non attesta l’assenza del C., essendo stato provato per testi che l’invio a  tutti costituisce prassi in quel condominio) poiché l’unico  teste  che  riferisce  che  nella  busta ricevuta dall’attore non vi erano tutti i fogli è il  nipote  che,  a  fronte  di  tanta  sicumera sul contenuto del plico, non è poi in grado  di  precisare  neanche  il  numero dei fogli ivi contenuti, sì che la dichiarazione  deve  ritenersi  inidonea  a  provare  quanto  dedotto dall’attore e, dunque, l’azione risulterebbe intempestiva anche rispetto  a  tale evento.

Ne deriva che – non risultando provata nè tempestività né legittimazione all’intimazione (conseguente all’assenza o al voto contrario), la domanda deve essere respinta.

Domanda che peraltro risulta del tutto inconferente anche nel merito: l’erronea verbalizzazione non integra, in sé, vizio del relativo deliberato ove non sia  a  sua  volta  indice di voti erroneamente attribuiti o di maggioranze non idonee, tutti elementi  che l’attore non ha minimamente dedotto.

L’intera impugnativa deduce un vizio di nullità/annullabilità poiché nel verbale non sarebbe menzionata la circostanza che l’attore non era presente alla votazione,  senza dedurre però alcuno specifico vizio della delibera (diverso dalla erronea imputazione di voto).

Poiché non è consentito al Giudice ex art 112 c.p.c. esaminare profili diversi da quelli specificamente dedotti (Cassazione civile, sez. VI, 25/06/2018, n. 16675), la domanda dell’attore sarebbe comunque destituita di fondamento nel merito – poiché anche a voler ritenere provata la sua mancata votazione e sussistente la sua legittimazione ad impugnare – non sono stati dedotti vizi specifici della delibera (che con riguardo ai punti 1 e 2, anche dedotto il valore millesimale  del  C.,  raggiunge  comunque  i  quorum  previsti dall’art. 1136 c.c. e, quanto al punto 3    lavori  straordinari,  si  tratta  di  delibera non suscettibile  di  autonoma  impugnativa,  trattandosi  di  mera  decisione  interlocutoria  in cui non viene assunto uno specifico onere di spesa, che viene rimesso a successiva decisione).

Tantomeno appaiono conferenti i vizi formali rilevati, posto che l’indicazione dei presenti e dei votanti (anche nella sintetica forma all’unanimità, laddove i partecipanti siano nominativamente indicati in apertura del verbale) consente pieno controllo sulla legittimità del voto (Cassazione civile, sez. II, 23/09/2016, n. 18754)”

© massimo ginesi 12 novembre 2018

la convocazione si perfeziona con l’avviso di giacenza.

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Cassazione civile, sez. II, 03/11/2016, n. 22311: “Per ritenere sussistente, secondo l’art. 1335 c.c., la presunzione di conoscenza, da parte del destinatario, dalla dichiarazione a questo diretta, occorre la prova, il cui onere incombe al dichiarante, che la dichiarazione sia pervenuta all’indirizzo del destinatario, e tale momento, nel caso in cui la dichiarazione sia stata inviata mediante lettera raccomandata non consegnata per l’assenza del destinatario (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio del relativo avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale, e non già con il momento in cui la missiva fu consegnata (Cass. 27 luglio 1998, n. 7370; Cass. 1 aprile 1997, n. 2847; Cass. 23 settembre 1996, n. 8399; Cass. 13 agosto 1981, n. 4909; Cass. 11 febbraio 1978, n. 628; più di recente, per l’applicazione del principio in materia di contestazione degli addebiti del licenziamento individuale: Cass. 15 dicembre 2009, n. 6527; Cass. 24 aprile 2003, n. 6527; il principio è richiamato anche da sentenze non massimate, o non massimate nei termini che qui interessano: cfr. da ultimo Cass. 4 agosto 2016, n. 16330).
Pertanto, in applicazione della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., la raccomandata, nel caso di momentanea assenza del destinatario (e di altra persona abilitata a riceverla), deve ritenersi entrata nella sfera di conoscibilità del destinatario nel momento in cui viene rilasciato l’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale. presunzione di conoscenza da parte del destinatario ex art. 1335 c.c. della convocazione di assemblea inviata per posta raccomandata a.r. – e non recapitata per sua assenza (o di altri abilitato a riceverla) – si ha con l’avviso di giacenza del plico presso l’ufficio postale. È dunque da tale momento – e non dalla consegna al destinatario – che decorrono i cinque giorni prescritti dalla legge per la regolare convocazione assembleare.”

Attenzione, dunque, nell’effettuare le convocazioni, a calcolare il termine di cui all’art. 66 III comma disp.att. cod.civ. prevedendo qualche giorno in più per  la possibile giacenza nei confronti dei destinatari cui l’avviso viene inviato a mezzo posta.

Il termine di giacenza delle raccomandate ordinarie è di trenta giorni, ma va chiarito che quello è il periodo in cui la lettera rimane a disposizione presso l’ufficio per il ritiro da parte dell’interessato.

In realtà la comunicazione  si perfeziona, secondo la lettura della Cassazione, non appena l’ufficio   rilascia l’avviso di giacenza al destinatario assente (ossia in genere il giorno stesso o pochi giorni dopo la tentata consegna).

© massimo ginesi 15 novembre 2016

QUANDO IL TERMINE NON DECORRE. UNA RECENTISSIMA PRONUNCIA SULL’ART. 1137 COD.CIV.

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E’ orientamento costante, a far data da Cass.Civ. SS.UU. 07/03/2005 n. 4806, che la mancata convocazione di un condomino all’assemblea dia luogo ad annullabilità del relativo deliberato, vizio che l’interessato può far valere in giudizio nel termine di trenta giorni.

L’art. 1137 cod.civ. prevede che il termine – oggi definito perentorio – decorra “dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti” (la L. 220/2012 ha modificato la norma ma ha lasciato immutato tale inciso, prima collocato nel terzo comma ed oggi trasferito nel secondo)

Ove il verbale non venga mai inviato al condomino assente il termine non inizierà mai a decorrere: se tale condizione si verifica potrà quindi accadere che il Condominio richieda un decreto ingiuntivo sulla scorta di quelle delibere, rimaste ancora impugnabili dall’interessato.

E’ il caso affrontato da Cass. civ. II sez. 2. 8.2016 n. 16081, relatore Scarpa: Il condomino assente ha proposto impugnazione delle delibere che mai gli erano state comunicate sino alla richiesta del decreto (non opposto per ragioni di opportunità).

Nella fase di merito Il Condominio si è difeso sostenendo che per l’assente il termine doveva comunque ritenersi decorso dalla data del deposito del ricorso, poiché da quel momento le delibere prodotte divenivano per lui conoscibili, tesi accolta dalla Corte d’Appello di Milano.

La Suprema Corte cassa la pronuncia di merito, interpretando letteralmente l’art. 1137 II comma cod.civ. e sottolineando che l’onere di comunicazione del verbale deve avere carattere attivo e positivo.

La Suprema Corte pone dunque l’accento sul concetto di conoscenza e non su quello di conoscibilità (conoscenza adeguata e sufficiente che potrà anche derivare aliunde, ma in tal caso il Giudice dovrà congruamente motivarne la ritenuta sussistenza in capo al condomino).

La pronuncia conferisce valenza dirimente alla conoscenza effettiva che deriva dalla ricezione del verbale, sottolineando che non può invece porsi a carico del condomino assente “un dovere di attivarsi per conoscere le decisioni adottate dall’assemblea ove difetti la prova dell’avvenuto recapito, al suo indirizzo, del verbale che le contenga”; E’ unicamente in forza di tale ultimo adempimento che “sorge la presunzione, iuris tantum, di conoscenza posta dall’art. 1335 cod.civ., e non già in conseguenza del mancato esercizio, da parte dello stesso destinatario del verbale assembleare, della diligenza nel seguire l’andamento della gestione comune e nel documentarsi su di essa”

Osserva ancora la Cassazione che l’art. 1137 cod.civ. “impone la trasmissione del verbale all’indirizzo del condomino assente destinatario” e che tale dovere in capo all’amministratore non “è surrogabile nel senso di ampliare l’autoresponsabilità del condomino ricevente fino al punto di obbligarlo ad acquisire immediate informazioni sul testo di una deliberazione prodotta dal condominio in sede monitoria”

© massimo ginesi 5 agosto 2016