Il regolamento condominiale, che non abbia natura contrattuale ma venga approvato a maggioranza ai sensi dell’art. 1138 cod.civ. non può contenere – per un ormai granitico orientamento giurisprudenziale – clausole che incidano sul diritto dominicale dei singoli condomini.
Uno dei classici divieti, che cadono sotto la censura giudiziaria, è quello che impedisce di destinare le abitazioni ad uso turistico-alberghiero.
Cass.Civ. II sez. 28 settembre 2017 n. 22711 affronta un caso davvero peculiare: il Tribunale di Messina e poi la Corte di appello di Messina respingevano la domanda di alcuni condomini, lamentavano che il Tribunale con latra e precedente sentenza avesse dichiarato nulla la clausola regolamentare introdotta con delibera nel regolamento condominiale con il quale “era stato introdotto il divieto di destinare i locali di proprietà dei singoli condomini ad uso diverso da quello abitativo, di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o albergo.”
Ebbene questi condomini lamentavano che fra la data di adozione della delibera e la pronuncia del Tribunale con cui tale divieto era stato dichiarato illegittimo erano stati danneggiati economicamente per non aver potuto utilizzare i propri immobili per gli affitti stagionali a causa del divieto introdotto dal condominio e pertanto chiedevano al condominio risarcimento in tal senso.
Le corti di merito hanno ritenuto che non fosse provato tale danno, poiché “la disposizione regolarmente annullata introduceva il divieto di destinare il locale ad uso diverso dalla privata abitazione, attesa la destinazione degli immobili al luogo di riposo e di villeggiatura e, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, detto disposizione, benché annullata dal Tribunale di Messina perché lesiva delle prerogative dei singoli condomini ed illegittimamente invasiva delle facoltà connessi al diritto di proprietà individuale, tuttavia, non precludeva la possibilità di locare i vani ad uso abitativo anche per brevissimi periodi.
Il divieto riguardava esclusivamente l’affitto degli immobili sotto forma di pensione o albergo, mentre erano consentite tutte quelle utilizzazioni compatibili con la natura del luogo, ivi comprese le locazione ad uso abitativo anche per brevi periodi.
Tali locazioni rappresentavano la forma usuale di sfruttamento degli immobili degli appellanti, come emerso dalle disposizioni dei testi e dalle stesse dichiarazioni rese nel corso dell’interrogatorio, dalle quali risultava che gli immobili in questione, fino all’approvazione del regolamento condominiale, erano affittati per brevi periodi dai clienti dello stabilimento balneare gestito dagli stessi A.”
Secondo i giudici di merito la clausola che vieta la destinazione alberghiera è dunque nulla, ma non perla due l’utilizzo delle brevi locazioni stagionali (ad esempio bed&breakfast) che vanno ricondotte all’utilizzo abitativo.
La vicenda approda in cassazione, su ricorso dei condomini che si ritengono danneggiati, impugnazione che viene respinta, con un interessante motivazione sulla rilevanza del giudicato portato dalla sentenza che ha dichiarato nulla la clausola regolamentare.
Osservano i giudici di legittimità che: “secondo la giurisprudenza di questa Corte cui questo collegio intende dare continuità, “La violazione della cosa giudicata, in quanto importa disapplicazione dell’art. 2909 cod. civ., è denunziabile in cassazione, ma il controllo di legittimità deve limitarsi all’accertamento degli estremi legali per la efficienza del giudicato esterno nel processo in corso, senza potersi sindacare l’interpretazione che del giudicato stesso abbia dato il giudice di merito, perché essa rientra nella sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, è incensurabile in sede di legittimità, quando l’interpretazione stessa sia immune da errori giuridici o da vizi di logica” Sez. L., Sentenza n. 14297 del 08/06/2017.
Nella specie l’interpretazione del giudicato è congruamente motivata con riferimento al tenore complessivo della clausola annullata – pretermesso nell’esposizione del motivo in esame ma ricavabile dalla lettura della sentenza qui impugnata (fol. 5) – che faceva divieto di “destinare i locali ad uso diverso di privata civile abitazione, attesa la destinazione dell’immobile a luogo di riposo e di villeggiatura e pertanto è fatto divieto di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo”, con ciò mettendosi in relazione il diverso uso intensivo dei locali allorché fossero stati destinati a pensione o albergo rispetto all’uso non abitativo in generale.
Sicché la motivazione della sentenza risulta effettivamente immune da errori giuridici e vizi di logica, essendosi limitata a ritenere che la clausola del regolamento condominiale annullata non si riferisse ad un divieto assoluto di adibire i singoli vani dell’immobile ad uso diverso da quello di privata abitazione, e che, pertanto, fosse consentita la locazione per brevi periodi, come dimostrato anche dal tenore letterale del regolamento condominiale e dal fatto che in istruttoria si era accertato che la clausola era stata modificata proprio per chiarire tale aspetto, e che gli stessi appellanti avevano ammesso che la previsione regolamentare consentiva gli affitti saltuari, cui avevano dovuto ricorrere, conseguendo minori guadagni rispetto a quelli derivanti dall’esercizio della preclusa attività alberghiera.
D’altra parte, deve anche evidenziarsi che il significato dell’espressione utilizzata nella sentenza del tribunale di Messina passata in giudicato di cui il ricorrente lamenta la violazione non è affatto univoco. In tale sentenza si legge, secondo quanto riportato nel ricorso, che l’assemblea del condominio non poteva vietare la destinazione dei locali di proprietà esclusiva ad uso diverso di privata abitazione e, tanto meno, vietare di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo. Ben poteva, pertanto, la Corte d’Appello interpretare tale espressione, come poi effettivamente ha fatto, nel senso che, se in astratto è illegittimo un regolamento condominiale che vieti una particolare destinazione agli immobili di proprietà esclusiva, in concreto tale illegittimità certamente ricomprende quella di vietare l’affitto sotto forma di pensione o di albergo.
Alla luce di ciò deve allora ritenersi coperta da giudicato l’illegittimità della clausola ma non le argomentazioni svolte nella sentenza di annullamento in merito agli altri usi che sarebbero stati comunque consentiti, non costituendo, tale svolgimento logico, un presupposto ineliminabile per sostenere la illegittimità della delibera.
© massimo ginesi 6 ottobre 2017