abbattimento barriere architettoniche e tutela del diritto di proprietà

L’abbattimento delle barriere architettoniche è attività favorita dalla legge anche in condominio, dapprima con a L. 13/1989 e poi con una lettura giurisprudenziale che ha a lungo sottolineato come tali iniziative siano volte ad attuare la funzione sociale della proprietà prevista dall’art. 42 Cost.

In realtà tale favore (che il legislatore del 2012 nel novellare l’art. 1120 cod.civ. ha ridotto, aumentando i relativi quorum deliberativi) va contemperato con la tutela del diritto dei proprietari (ergo, dei condomini), che hanno comunque diritto di precludere l’installazione ove la stessa violi il disposto dell’art. 1120 u.c. cod.civ.

Ne deriva che se da un lato il diritto di proprietà  potrà subire una compressione  a fronte di uno scopo nobile come l’abbattimento delle barriere architettoniche, non sussiste affatto un diritto assoluto del disabile all’installazione di strumenti atti a migliorare la sua mobilità, sì che il giudice è tenuto a contemperare le due esigenze contrapposte con una lettura costituzionalmente orientata

E’ quanto emerge da un recente provvedimento Trib. Massa 6 giugno 2018 reso a conclusione di un procedimento ex art 702 bis c.p.c.

A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 27 marzo 2018

Ritenuto che, con riguardo al petitum principale di cui al ricorso introduttivo, sia cessata la materia di contesa per ammissione della stessa attrice, posto che il condominio ha deliberato – in data successiva alla introduzione della causa – di non frapporre ostacoli all’installazione dell’ascensore.

Ritenuto tuttavia che debbano essere respinte le altre domande avanzate da parte attrice, per le ragioni che seguono.

Quanto alla richiesta di risarcimento del danno ex art 2043 e 2059 c.c., essa appare del tutto nuova ed avanzata solo all’udienza del 27 marzo 2018, come tale tardiva e inammissibile, posto che la sommarietà del rito non vale a mutare i principi generali delineati dall’art. 163 c.p.c., espressamente richiamato dall’art. 702 bis c.p.c.,di talchè si dovrà comunque ritenere vietata la mutatio libelli; a tal proposito il combinato disposto dagli artt. 702 bis e 702 ter c.p.c. indica un iter procedurale che non prevede momenti ulteriori, rispetto alla introduzione della domanda, in cui si possano o debbano precisare le conclusioni, posto che per la natura del rito e l’assenza di necessità istruttorie, la causa va in decisione (salvo la sussistenza di domande riconvenzionali e chiamateincausa)sugliassuntiinizialidelleparti;l’informalità individuata dall’art. 703 comma V c.p.c., che appare riferirsi unicamente al rito e alle attività istruttorie, appare inidonea a superare i parametri preclusivi che valgono nel rito ordinario circa l’integrazione e la modifica delle domande.

Allo stesso modo appare del tutto inammissibile la richiesta di condanna ex art 96 I comma c.p.c. poiché non è dato ravvisare alcuna posizione processuale ostativa o temeraria in colui che non si è costituito in giudizio, mentre – in forza di quanto si esporrà di seguito – non paiono ravvisabili neanche i presupposti per irrogare la condanna (ascrivibile ai c.d. indennizzi punitivi) ex art 96 III comma c.p.c.

Cessata la materia del contendere sulla installazione dell’ascensore, la ricorrente chiede di valutare la soccombenza virtuale del convenuto, onde ottenere condanna dello stesso alla refusione delle spese di questo giudizio, sull’assunto di una condotta ostativa del condominio che avrebbe gravemente violato e compromesso diritti costituzionalmente garantiti.

Tuttavia tale raffigurazione non può essere condivisa, così come non può ritenersi – dalla disamina delle delibere condominiali prodotte dalla stessa ricorrente – che la condotta del condominio abbia assunto valenza meramente ostruzionistica e defatigatoria.

Va infatti rilevato che, se da un lato i principi costituzionali espressi dagli artt. 32 e42 della carta fondamentale tutelano la salute e sottolineano la funzione sociale della proprietà, lo stabilire i modi in cui tale funzione potrà essere assolta è stato demandato dal legislatore costituzionale alla legge.

Al riguardo il testo di riferimento è senza dubbio la L. 13/1989 e, assai meno, il novellato art. 1120 c.c. che – rispetto a principi di rilevanza costituzionale, quali la tutela della salute e la solidarietà sociale, dei quali l’abbattimento delle barriere architettoniche rappresenta certamente un aspetto rilevante – ha inopinatamente innalzato nuovamente i quorum deliberativi per le innovazioni che perseguono tali fini, con ciò evidenziando una concorrente e rinnovata tutela anche del diritto dominicale.

Con riferimento all’odierno contendere non può inoltre dimenticarsi che – pur adottando una lettura ampia e guardando con maggior favore alle iniziative volte a predisporre meccanismi agevolativi per i disabili – lo stesso legislatore del 1989 ha finito per porre un limite assai prosaico ai dichiarati e perseguiti scopi sociali, mantenendo ferma l’applicabilità dell’art. 1120 comma IV c.c. con riferimento alle innovazioni vietate, sì che – infine – le esigenze di tutela sociale delle persone svantaggiate sotto il profilo motorio finisce per doversi confrontare sullo stesso piano con i parametri di tutela della proprietà (decoro architettonico dell’edificio, pari uso dei condomini, inviolabilità del diritto dominicale dei singoli), cedendo il passo ove tali valori – assolutamente privatistici e scevri di ogni connotazione solidaristica – ne risultino lesi.

Di talché non sussiste affatto un diritto assoluto e preminente del disabile ad installare in condominio strumenti di ausilio, sussistendo eventualmente una pretesa, da valutare in ottica ampia e alla luce dei principi costituzionali e primari sopra ricordati, e da raffrontare con i parimenti legittimi diritti (anch’essi costituzionalmente garantiti) dei singoli condomini titolari dei correlativi diritti reali.

In una lettura del diritto di proprietà costituzionalmente orientata, ai sensi dell’art. 42 Cost., volta a contemperare il diritto soggettivo dei singoli condomini con la funzione sociale che i loro beni sono chiamati a svolgere, i giudici di legittimità hanno sempre dato interpretazione ampia alle facoltà del singolo di comprimere il diritto di  godimento al fine di realizzare opere volte all’abbattimento delle barriere architettoniche, dovendosi tuttavia tale facoltà arrestare ove quella compressione si traduca in una lesione della effettiva possibilità di utilizzo del bene comune o individuale, lesione che può essere integrata anche da una significativa compromissione estetico/funzionale (Cass.civ. sez. VI-2 ord. 14 settembre 2017 n. 2133)

Il fatto che la ricorrente intendesse procedere in via autonoma all’installazione dell’ascensore, ai sensi dell’art. 1102 cod.civ, non sottrae il suo operato alla valutazione testè menzionata, che la giurisprudenza ha delineato per gli interventi innovativi decisi dalla maggioranza, mutando – ove proceda il singolo – solo l’imputazione della spesa ma non i criteri generali che sovraintendono alla esecuzione dell’opera.

In tal senso è infatti orientato l’art. 1122 cod.civ., specie dopo l’intervento del legislatore del 2012, che è volto proprio a consentire al condominio e ai condomini di conoscere tali modalità onde attivarsi tempestivamente per farvi fronte ove le ritengano lesive dei diritti comuni o dei singoli; non è infatti prevista la necessità di alcuna autorizzazione assembleare per intervenire ai sensi dell’art. 1102 c.c,  restando tuttavia salva la possibilità dell’amministratore o dei singoli di reagire ad eventuali iniziative che ritengano vietate o comunque illecite.

A tale attività di valutazione e comparazione pare essere improntata la condotta del condominio, poiché dalle delibere (in particolare 1.7.2017 e 23.9.2017) emerge una ampia dialettica fra le parti, volta non già ad impedire alla R. di installare l’impianto quanto a salvaguardare il decoro e la fruibilità dell’edificio condominiale e delle parti comuni soggette alla installazione.

Dalla documentazione prodotta dalla ricorrente non emerge una volontà prettamente ostruzionistica del condominio, quanto piuttosto un’attenzione della compagine condominiale a rendere l’intervento meno invasivo possibile, suggerendo eventuali soluzioni alternative quali il servoscala (anche interno, come prospettato alla assemblea del 23.9.2017, rifiutato dalla ricorrente per generiche ragioni di salute).

A tal proposito non può essere ritenuta esaustiva e dirimente né la documentazione prodotta dalla ricorrente che rimane mero atto di parte (tanto più che la stessa non ha neanche ritenuto di allegare gli elaborati grafici e progettuali dei propri tecnici), posto che era comunque pieno diritto del condominio valutare se non sussistessero alternative ugualmente soddisfacenti delle necessità della ricorrente: non appare infatti necessario – per assolvere al superamento delle barriere architettoniche – l’installazione della miglior soluzione possibile, potendo essere utilmente adottabile anche soluzioni alternative che siano volte “quantomeno ad attenuare e non necessariamente ad eliminare – le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione” (Cass. Civ. sez. II 6 giugno 2018 n.14500).

Né appare convincente e del tutto pertinente la certificazione medica che sconsiglia l’uso di servoscala, in quanto da una parte generica e sfornita di qualunque motivazione (certificato Dr. C 18.1.2018) e, dall’altra, sorretta da valutazione del tutto ipotetica, che peraltro non spiega per quale ragione l’ascensore sarebbe di diversa utilità e di maggior protezione rispetto al montascale (certificato dr. M 12.1.2018).

Va rilevato che la certificazione allegata dalla stessa ricorrente indica patologie ed esiti diagnostici che paiono presupporre un costante accompagnamento, sì che non si comprende quale aggravamento del rischio porterebbe l’adozione di un servoscala, mentre alcuna valenza possono avere i maggiori costi di manutenzione e la più rapida deteriorabilità di tale impianto, lamentati dalla R, ove lo stesso risulti idoneo adassolvere all’ausilio per la mobilità e, al contempo, salvaguardi maggiormente i beni e diritti comuni.

Ancora meno convincenti appaiono le osservazioni della difesa di parte attrice relative a problemi atmosferici per l’utilizzo del montascale, posto che – come si è già rilevato – laricorrentepareaverrifiutatoanchequello internoechein ogni caso la stessa afferma di trascorrere “ i mesi caldi da aprile a settembre presso l’appartamento di cui trattasi”, periodo in cui l’eventualità di avversità atmosferiche appare tendenzialmente di scarsa rilevanza ed incidenza.

Dai documenti allegati al ricorso non si evince dunque la volontà meramente ostruzionistica né la totale infondatezza delle obiezioni del condominio, che paiono invece rispondere al legittimo esercizio di un diritto derivante dal combinato disposto dagli artt. 1102 e 1122 c.c., sì che le ragioni in forza delle quali oggi la ricorrente richiede la condanna del condominio appaiono fondate su mere e unilaterali affermazioni di parte, così come mere allegazioni di parte inidonee a costituire prova, appaiono le osservazioni tecniche (doc.20) prodotte che, in assenza dei relativi progetti, rendono in questa sede impossibile qualunque valutazione oggettiva sulla incidenza dell’impianto.

L’onere della prova circa i fatti costitutivi della pretesa azionata incombeva comunque alla ricorrente, anche ai soli fini della valutazione circa la soccombenza virtuale, onere che non si può ritenere assolto.

Il deliberato finale del condominio in data 10.3.2018 non potrà, come invece pretende l’attrice, essere ritenuto indicativo di alcun riconoscimento o della fondatezza della domanda, poiché quella decisione assembleare appare piuttosto una ponderata scelta che oscilla fra valutazioni di carattere patrimoniale sulla prosecuzione del contenzioso e ragioni di opportunità e disponibilità nell’ambito dei normali rapporti interpersonali  e condominiali, laddove si riconosce “ a malincuore” e per “la volontà di chiudere definitivamente l’annosa questione” la possibilità di procedere alla installazione secondo una delle soluzioni indicate, con materiali a minor impatto esteticopossibile.

Ai fini della valutazione della condotta delle parti non appare significativa neanche l’offerta della ricorrente – dalla stessa più volte indicata quale mero atto di disponibilità personale – di far subentrare in futuro eventuali condomini che desiderassero utilizzare l’impianto, essendo ciò specifico obbligo previsto dall’art. 1121 III commac.c

E’ di intuitiva evidenza, infine, che la scelta del Condominio di non resistere in giudizio non significa necessariamente che lo stesso si sia riconosciuto ex ante soccombente né vale ad invertire alcun onere della prova, rimanendo la contumacia  condotta  a valenza neutra (Cass. Civ. sez. VI 24 febbraio 2017 n. 4871), tanto più alla luce della natura della domanda proposta dalla attrice, che presuppone “un’azione di accertamento del … diritto di servirsi della cosa comune nei limiti consentitidall’art. 1102 C.C.; e nella causa da loro promossa legittimi contraddittori potevano essere soltanto quei condomini che tale diritto avevano contestato, e non necessariamente tutti i condomini o il condominio” (Cass. Civ. sez. II 12 febbraio 1993 n. 1781)

Non paiono dunque sussistenti, neanche a livello virtuale, le ragioni che possono condurre ex art. 91 c.p.c. ad una condanna alle spese del convenuto, in assenza di prova da parte del ricorrente dei fatti costituitivi della propria pretesa iniziale P.Q.M. Visti gli artt. 702 bis e segg. c.p.c. Dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda principale relativa alla installazione dell’ascensore. Respinge ogni altra domanda della ricorrente.”

sul tema possono essere ancora interessanti  e non superate le riflessioni di approfondimento svolte in un ormai lontano convegno presso  il Politecnico di Torino.

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© massimo ginesi 15 giugno 2018

installazione ascensore: la suprema corte ribadisce il principio solidaristico in condominio.

L’installazione di un ascensore in condominio risponde a principi di solidarietà sociale che affondano le proprie radici nella funzione sociale della proprietà prevista dall’art. 42 Cost.

La Suprema Corte ( Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza  9 marzo 2017, n. 6129 Rel. Scarpa) tale principio e lo estende ad  caso specifico deciso dalla Corte di Appello di Trieste, che aveva invece avuto riguardo al mero dato letterale della norma.

Il Giudice di secondo grado aveva riformato la sentenza del Tribunale che aveva invece ritenuto che l’imapindo dovesse essere ricondotto alle previsioni della L. 13/1989: “S.T. , A.O. , L.D. ed F.A. (quest’ultima anche quale procuratrice di F.L. ) hanno proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza 4 agosto 2015, n. 483/2015, resa dalla Corte d’Appello di Trieste, che ha riformato la sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Trieste l’11 febbraio 2014, accogliendo l’impugnazione principale di B.N. , S.E. , O.F. e Ba.Ag. .
Il Tribunale di Trieste, in accoglimento della domanda degli attuali ricorrenti, aveva accertato il diritto degli stessi, ai sensi dell’art. 2 delle legge 9 gennaio 1989, n. 13, ad installare un ascensore occupando una parte del sedime del giardino comune, a ridosso della facciata, ove è ubicato il portone d’ingresso del Condominio di via (omissis) . La domanda degli attori conseguiva al rigetto espresso due volte dall’assemblea condominiale alla proposta di installazione dell’ascensore e deduceva la difficoltà di deambulazione di due condomine.
La Corte d’Appello, riformando la sentenza impugnata e rigettando le domande degli appellati, osservava che “l’ascensore è manufatto diverso dal concetto di servoscala o altre strutture mobili e facilmente amovibili”, di cui all’art. 2, comma 2, legge n. 13/1989, e che l’ascensore per cui è causa comunque non avrebbe consentito alle condomine L. ed O. di raggiungere senza problemi i rispettivi appartamenti, dovendo fermarsi sul pianerottolo dell’interpiano con dieci gradini da percorrere a piedi. La Corte di Trieste ha perciò ritenuto l’installazione dell’ascensore lesiva dell’art. 1102 c.c., ed in particolare della destinazione a giardino dell’area comune, e quindi illegittima in difetto di deliberazione assembleare approvata con il quorum di cui all’art. 1136 c.c.”

La Suprema Corte riprende un orientamento consolidato e cassa la pronuncia: “La decisione dei giudici di appello si pone in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui l’installazione di un ascensore rientra fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche, di cui all’art. 27, comma 1, della legge 3 marzo 1971, n. 118, e all’art. 1, comma 1, del d.P.R. 27 aprile 1978, n. 384, e perciò costituisce innovazione che, ai sensi dell’art. 2, legge 2 gennaio 1989, n. 13, è approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 2, c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28920 del 27/12/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8286 del 20/04/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14384 del 29/07/2004). Lo stesso art. 2, legge n. 13/1989, stabilisce che, nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni aventi per oggetto le innovazioni volte all’eliminazione delle barriere architettoniche, i portatori di handicap possono installare, a proprie spese, le strutture occorrenti al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages, fermo quanto disposto dagli articoli 1120, comma 4, e 1121, comma 3, c.c. (all’esito delle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220). L’installazione di un ascensore, allo scopo dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata su parte di aree comuni (nella specie, un’area destinata a giardino), deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14096 del 03/08/2012). Di tal che, nel valutare il contrasto delle opere, cui fa riferimento l’art. 2 della legge n. 13/1989, con la specifica destinazione delle parti comuni, sulle quali esse vanno ad incidere, occorre tenere conto altresì del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18334 del 25/10/2012).

Ai fini della legittimità dell’intervento innovativo approvato ai sensi dell’art. 2 della legge n. 13 del 1989, è sufficiente, peraltro, che lo stesso (pur non potendo, come nella specie accertato dalla Corte di Trieste, in ragione delle particolari caratteristiche dell’edificio, raggiungere l’ascensore direttamente gli appartamenti dei portatori di handicap, dovendosi fermarsi sul pianerottolo) produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 18147 del 26/07/2013).

Il ricorso va perciò accolto, limitatamente al suo secondo motivo, rimanendo assorbiti i restanti motivi. Conseguono la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai richiamati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione.”

© massimo ginesi 13 marzo 2017 

 

l’installazione di ascensore e la lesione dei diritti dei condomini

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La Cassazione, con recentissima pronuncia (Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 luglio – 29 novembre 2016, n. 24235 Presidente Migliucci – Relatore Manna) torna su un tema di grande rilevanza in ambito condominiale e su cui si era  già espressa, in maniera conforme, molte volte.

La vicenda trae origine da fatti accaduti in terra di Puglia: “Nell’assemblea del 13.10.1999 il condominio di (omissis) , deliberava l’installazione di un ascensore all’interno dell’androne delle scale. Assumendosi proprietari esclusivi di un’area retrostante e dei box auto ivi esistenti, e lamentando che la realizzazione dell’ascensore avrebbe impedito loro l’accesso all’area anzi detta e ai box, D.G.G. e C.G. e C. , comproprietari di unità singole al piano terra dell’edificio quali eredi di C.L. , impugnavano detta delibera innanzi al Tribunale di Taranto. assembleare volta alla installazione di ascensore condominiale, impianto che tuttavia avrebbe ristretto considerevolmente lo spazio di accesso ai box posti sul retro dell’impianto”

I proprietari dei box, attori, si vedevano respingere la domanda sia in primo grado che in appello,  sulla scorta di curiose interpretazioni: “Nel resistere in giudizio il condominio eccepiva la prescrizione della servitù di passo carraio, eccezione che l’adito Tribunale di Taranto accoglieva rigettando così la domanda.L’impugnazione proposta avverso detta sentenza da C.G. e C. , anche quali eredi di D.G.G. , nel frattempo deceduta, era respinta dalla Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto. Osservava detta Corte, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che l’installazione dell’ascensore non impediva l’accesso degli appellanti all’area di loro proprietà, lasciando libero a tal fine uno spazio di m. 1,12. Circa la dedotta violazione del godimento dei condomini appellanti, quale limite alle innovazioni di cui al 2 comma dell’art. 1120 c.c., aggiungeva che i testi escussi avevano confermato che gli eredi C. non erano mai entrati con autoveicoli all’interno dell’area di loro proprietà e che i manufatti ivi esistenti non erano mai stati utilizzati quali box auto.”

Il caso approda al giudice di legittimità che ribalta il verdetto, ripercorrendo criteri più volte affermati in tema di barriere architettoniche e di violazione degli artt. 1102 e 1120 cod.civ.,  dettando principi che risultano di grande interesse nella prassi applicativa quotidiana, per ciò che  attiene alla valutazione delle singole fattispecie in discussione, che vanno dalla misura minima del passaggio al c.d. uso potenziale.

Il primo motivo di ricorso attiene alla violazione dell’art. 1120 cod.civ.: “Sostiene parte ricorrente che l’innovazione in oggetto viola l’art. 1120, 2 comma c.c., perché lo spazio di mq. 1,12 lasciato libero per il passaggio menoma gravemente il godimento della stessa area comune e degli immobili di sua proprietà. Ciò si desume dal fatto che tale misura è inferiore a quella minima di m. 1,20 fissata dall’art. 4.1.10 del D.M. n. 236/89, relativamente al superamento delle barriere architettoniche, per la lunghezza delle rampe di scale, e impedisce il passaggio contemporaneo di due persone e quello di una barella con un’inclinazione massima del 15% lungo l’asse longitudinale”

Il motivo coglie nel segno: afferma infatti la Corte  “Occorre premettere che in tema di deliberazioni condominiali, l’installazione dell’ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’art. 27 primo comma della legge n. 118/1971 e all’art. 1 primo comma del d.P.R. n. 384/1978, costituisce innovazione che, ai sensi dell’art. 2 legge n. 13/89, è approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall’art. 1136 secondo e terzo comma c.c.; tutto ciò ferma rimanendo la previsione del terzo comma del citato art. 2 legge n. 13/1989, che fa salvo il disposto degli artt. 1120 secondo comma e 1121 terzo comma c.c. (Cass. n. 14384/04).
La condizione di inservibilità del bene comune all’uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell’art. 1120, comma secondo, c.c., rende illegittima e quindi vietata l’innovazione deliberata dagli altri condomini, è riscontrabile anche nel caso in cui l’innovazione produca una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (cfr. Cass. n. 20639/05, che in applicazione di tale principio ha ritenuto illegittima una delibera condominiale che, nel restringere il vialetto di accesso ai garages, rendeva disagevole il transito delle autovetture).
Dunque, le innovazioni dirette a eliminare barriere architettoniche, come appunto quelle che dispongano l’installazione di un ascensore, non derogano all’art. 1120, 2 comma c.c. (vecchio testo), ma solo alla maggioranza che diversamente è prescritta dall’art. 1136, 5 comma c.c., richiamato dal 1 comma dell’art. 1120 c.c.
E di tali principi la giurisprudenza di questa Corte ha fatto applicazione, segnatamente, anche nell’ipotesi dell’installazione di un ascensore (Cass. n. 12930/12), ancorché volto a favorire le esigenze di condomini portatori di handicap, ove detta innovazione sia lesiva dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative (Cass. n. 6109/94), ed ove l’installazione renda talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino (Cass. n. 28920/11)”

LA Corte sottolinea anche come occorra, per valutare la lesione del diritto dei singoli, considerare non già l’uso effettivo da costoro posto in essere ma l’uso naturale e possibile connesso alla natura e destinazione della cosa, ovvero il c.d. uso potenziale :  ” Di tali principi di diritto la sentenza impugnata mostra di aver operato una falsa applicazione, lì dove, nel valutare se l’innovazione in oggetto avesse compromesso il godimento delle proprietà individuali degli attori, ha escluso ogni lesione sulla base dell’uso che negli anni questi ne avevano fatto, mentre l’apprezzamento avrebbe dovuto essere operato a stregua della natura e della destinazione economica dei beni stessi. In particolare, la circostanza, valorizzata dalla Corte territoriale, che gli eredi C. non fossero mai entrati con autoveicoli nell’area interna del palazzo e che non avessero mai utilizzato i manufatti di loro proprietà per il ricovero di autovetture, è del tutto priva di significato al fine di valutare la compromissione della facoltà di godimento dei beni di proprietà esclusiva, facoltà che, essendo inerente al contenuto del diritto di proprietà, non si estingue per non uso.”

© massimo ginesi 30 novembre 2016