Un condomino lamenta che durante la messa norma dell’impianto elettrico condominiale non sia stata rispettata la regola dell’arte, che dai malfunzionamenti dell’impianto comune gli siano derivati danni al frigorifero e alla lavatrice e chiede che il Tribunale condanni il condominio “a rendere l’impianto elettrico che fornisce il suo appartamento conforme alle disposizioni di legge ed ad eseguire i necessari lavori, nonché a risarcire i danni materiali e non patrimoniali subiti.”
In particolare “da tali continui black out e variazioni di tensione elettrica il LM. aveva sostenuto di aver ricevuto danni per la rottura del frigorifero e della lavatrice, con esborsi pari ad C 10.000,00. Il Tribunale aveva accolto la domanda risarcitoria per l’importo di C 5.000,00 ed aveva condannato il Condominio al rifacimento dell’impianto elettrico”
La Corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale della stessa città, rilevava come non risultasse dalla consulenza svolta il nesso causale fra le carenze – indubbiamente sussistenti – dell’impianto condominiale e i danni lamentati dal singolo condomino.
Costui ricorre in cassazione, rilevando – fra i diversi motivi di impugnazione – che la corte di secondo grado non si era pronunciata sulla domanda di rifacimento dell’impianto elettrico.
La Suprema Corte (Cass.civ. sez. VI 5 luglio 2017 n. 16608 rel. Scarpa) respinge tutti i motivi di ricorso, tranne quello relativo alle spese, con una motivazione netta che chiarisce in maniera ineccepibile la natura del rapporto fra condominio e condomino.
Il giudice di legittimità chiarisce che non sussiste alcun rapporto contrattuale fra condominio e condomino che legittimi quest’ultimo alla richiesta di un adempimento positivo circa l’impianto elettrico; pertanto il condomino – in presenza di illegittimità afferenti i beni comuni – dovrà attivarsi con i rimedi approntati dalla disciplina condominiale, che trovano presupposto nella comproprietà dell’impianto piuttosto che in pretese di natura sinallagmatica, che non possono trovare cittadinanza nel rapporto che lega i singoli alla gestione del bene comune.
“L’art. 1117, n. 3, c.c., delimita chiaramente quale sia l’estensione dell’impianto condominiale di distribuzione e trasmissione dell’energia elettrica e quale, sia quindi, il suo “confine” rispetto all’inizio degli impianti rientranti nelle proprietà esclusive delle rispettive unità immobiliari, avendo riguardo al “punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini”.
Sicchè una responsabilità del condominio per i danni cagionati dal cattivo funzionamento dell’impianto elettrico si limita a quella parte del sistema che sia posto prima delle diramazioni negli appartamenti, rimanendo i singoli condomini tenuti alla manutenzione degli impianti interni.
Va poi chiarito come il singolo condomino non sia titolare verso il condominio di un diritto di natura sinallagmatica relativo al buon funzionamento degli impianti condominiali, che possa essere esercitato mediante un’azione di condanna della stessa gestione condominiale all’adempimento corretto della relativa prestazione contrattuale, trovando causa l’uso dell’impianto che ciascun partecipante vanta nel rapporto di comproprietà delineato negli artt. 1117 e ss. c.c.
Ne consegue che il condomino non ha comunque azione per richiedere la condanna del condominio ad un “facere”, consistente nella messa a norma dell’impianto elettrico comune, potendo al più avanzare verso il condominio una pretesa risarcitoria nel caso di colpevole omissione dello stesso nel provvedere alla riparazione o all’adeguamento dell’impianto (arg. da Cass. Sez. 2, 31/05/2006, n. 12956; Cass. Sez. 2, 15/12/1993, n. 12420), ovvero sperimentare altri strumenti di reazione e di tutela, quali, ad esempio, le impugnazioni delle deliberazioni assembleari ex art. 1137 c.c., i ricorsi contro i provvedimenti dell’amministratore ex art. 1133 c.c., la domanda di revoca giudiziale dell’amministratore ex art. 1129, comma 11, c.c., o il ricorso all’autorità giudiziaria in caso di inerzia agli effetti dell’art. 1105, comma 4, c.c.”
Risultano manifestamente infondati gli altri motivi di ricorso, relativi alla responsabilità ex art. 2043 cod.civ. del Condominio e alla sussistenza del nesso di causalità fra vizi dell’impianto e danni subiti dal condomino, poiché volti – ad avviso della Corte – a sottoporre al giudice di legittimità valutazioni nel merito.
Viene invece accolto un unico motivo, relativo alle spese: in primo grado al condominio – rimasto contumace – erano state liquidate le spese di lite; osserva la Corte che “La condanna alle spese processuali, a norma dell’art. 91 c.p.c., ha, invero, il suo fondamento nell’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere un’attività processuale per ottenere il riconoscimento e l’attuazione di un suo diritto; sicché essa non può essere pronunziata in favore del contumace vittorioso, poiché questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (da ultimo, Cass. Sez. 2, 19/08/2011, n. 17432).”
© massimo ginesi 5 luglio 2017