caduta nelle scale condominiali: non sempre il condominio ne risponde

il fatto colposo della vittima vale ad interrompere il nesso di causalità previsto dall’art. 2051 c.c.: il soggetto che cade lungo le scale condominiali a causa di una macchia ben visibile e percepibile potrà rimproverare solo se stesso e non potrà reclamare alcun risarcimento dal condominio.

 La cassazione (Cass.civ. sez. VI 16 ottobre 2019 n. 26258)  richiama un orientamento consolidato

Sostiene il ricorrente, infatti, che la Corte di appello avrebbe preteso da lui l’onere di fornire la prova che la macchia sulla quale cadde fosse invisibile; e che, non avendo egli fornito tale prova, la sua domanda sia stata per questa ragione rigettata.

In realtà, esaminando la sentenza impugnata nel suo complesso, ci si avvede che la Corte d’appello non ha affatto risolto la questione ad essa devoluta applicando il principio actore non probante, remi absolvitur.

La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto:

(a) in punto di fatto, che la macchia sulla quale scivolò l’odierno ricorrente fosse “ben visibile” (così la sentenza d’appello, p. 4, primo capoverso);

(b) in punto di diritto, che la circostanza che la vittima non si sia avveduta d’una insidia percepibile con l’ordinaria diligenza costituisca, per il proprietario della cosa dannosa, un “caso fortuito”, come tale idoneo a liberare il custode dalla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. (ibidem, p. 4, ultimo capoverso).

La decisione d’appello, pertanto, non ha affatto risolto la controversia in base al criterio dell’onere della prova: ha, al contrario, ritenuto che la condotta della vittima (consistita nel non percepire un’insidia agevolmente percepibile) abbia rappresentato la causa unica del danno, esonerando da responsabilità il condominio.

Tale valutazione è conforme al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di danni causati da cose in custodia, il fatto colposo della vittima può escludere il nesso di causa tra la cosa e il danno, in misura tanto maggiore, quanto più il pericolo era prevedibile ed evitabile. E’, pertanto, possibile anche che la distrazione o imprudenza della vittima siano di tale intensità o di tale anomalia, da porsi quale fattore causale esclusivo nella produzione dell’evento (per tutti i rilievi che precedono si veda, da ultimo, Sez. 3 -, Ordinanza n. 2482 del 01/02/2018, Rv. 647936 – 02).”

© massimo ginesi 30 ottobre 2019 

calcinacci dal balcone: chi ne risponde sotto il profilo penale?

Alcuni calcinacci cadono dal balcone aggettante e colpiscono un passante cagionandogli lesioni. la condomina dell’appartamento a cui il balcone serve viene condannata in 1° e 2° grado per lesioni colpose ex art 590 c.p. e ricorre alla Corte di Cassazione, sostenendo che – poiché nel fabbricato era stato indicato un amministratore, a costui unicamente doveva essere ascritta la relativa responsabilità penale.

La Corte di legittimità (Cass. pen. sez. IV 28 febbraio 2019 n. 7665) rigetta il ricorso, ponendo alcune osservazioni che risultano di interesse per l’interprete: anche ove vi sia un amministratore ritualmente nominato, la responsabilità del rporpiatrio non è automaticamente esclusa, poiché costui rimane un delegato all’assolvimento di obblighi altrui, pertanto, ove nona tempia correttamente si potrà configurare una sua responsabilità in concorso con quella del delegante ma mai una esclusione della responsabilità del proprietario che è comunque tenuto a vigilare sull’opera altrui.

E’  dunque opportuno che l’amministratore consideri con grande cautela il proprio ruolo e la necessità di interventi su beni pericolanti che si stacchino dal prospetto dell’edificio, interpretando in senso ampio la posizione di garanzia che la legge gli conferisce e senza trincerarsi dietro la proprietà individuale del balcone che, ove si inserisca nel prospetto dell’edificio, è stato comunque ritenuto anche in passato dalla giurisprudenza  fonte di responsabilità per l’amministratore (Cass. 34147/2012, ove si afferma che “L’amministratore del condominio riveste una specifica posizione di garanzia, ex art. 40, comma 2, c.p., in virtù del quale ha l’obbligo di attivarsi per rimuovere le situazioni di pericolo per l’incolumità di terzi”, anche ove tale pericolo fderivi da beni individuali ma si rifletta su parti comuni.)

 Ecco i due passaggi significativi della pronuncia:

il primo sulla responsabilità personale  del proprietario

il secondo sulla valenza non esimente della ruolo dell’amministratore

© massimo ginesi 10 aprile 2019 

scivolata sulle scale condominiali: compete al danneggiato la prova del nesso di causalità.

Il condominio è custode dei beni comuni e risponde ai sensi dell’art. 2051 cod.civ. dei danni che derivino da tali beni; la norma prevede notoriamente un’inversione dell’onere della prova, sì che sarà il custode a dover dimostrare di aver fatto tutto quanto in proprio potere per evitare il danno (il.c.d. fortuito).

Rimane tuttavia in capo al danneggiato l’onere di provare il nesso  di causa fra il bene e il danno lamentato: in forza di tale principio la suprema corte (Cass.Civ. Sez. VI 8 maggio 2018 n. 10986) ha respinto il ricorso di un condomino che assumeva di aver subito lesioni in conseguenza di una caduta nelle scale condominiali, dovuta alla presenza di sostanza oleosa sui gradini, poichè risultava che lo stesso stesse percorrendo le medesime con entrambe le mani occupate dalle borse della spesa, adottando dunque  una condotta colposa che si inserisce quale elemento interruttivo del nesso causale fra la res e l’evento.

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© massimo ginesi 10 maggio 2018

 

danno da cosa in custodia: il condominio rimasto contumace in primo grado può difendersi in appello.

Colui che rimane contumace in primo grado decade dalla facoltà di proporre eccezioni ma può avanzare in ogni stato e grado mere difese: sostenere che il marciapiede su cui il danneggiato assume di essere caduto non ha natura condominiale e che, pertanto, non sussiste responsabilità da cosa in custodia non costituisce eccezione ma rientra fra  le mere difese, che possono essere avanzate anche in sede di appello  dal condominio rimasto contumace in primo  grado. 

E’ quanto affermato da Cass.Civ. III sez. 20 dicembre 2017 n. 30545

La vicenda processuale: “R.A. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, il Condominio (omissis) chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei sofferti a causa di una caduta su di un marciapiede asseritamente di proprietà del Condominio.
Rimasto contumace il convenuto il Tribunale, svolta prova per testi ed una c.t.u., accolse la domanda e condannò il Condominio al risarcimento dei danni liquidati in Euro 14.429,63, con rivalutazione, interessi ed il carico delle spese.
2. La pronuncia è stata appellata dal Condominio soccombente e la Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 10 marzo 2016, ha rigettato il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale che il marciapiede, pur non rientrando tra le parti comuni di un edificio ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., può assumere natura condominiale in relazione alla sua destinazione e che comunque il Condominio, essendo rimasto contumace in primo grado, era decaduto dalla possibilità di eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva sostanziale e, di conseguenza, l’assenza di ogni obbligo a suo carico di manutenzione del marciapiede.”

il principio di diritto :” Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951, hanno stabilito, tra l’altro, che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.

Nel caso in esame, l’obbligazione risarcitoria del Condominio”, sia ai sensi dell’art. 2043 che dell’art. 2051 cod. civ., intanto può essere in astratto prospettabile in quanto risulti che lo stesso è titolare di un diritto di proprietà sul marciapiede dov’è avvenuto l’incidente, dovendosi altrimenti indirizzare la domanda risarcitoria nei confronti del Comune (come di regola avviene, v. la sentenza 3 agosto 2005, n. 16226).

Ne consegue che la titolarità di un diritto dominicale sul marciapiede teatro dell’incidente costituisce presupposto ineliminabile per l’accoglimento della domanda della R. , per cui la Corte d’appello non avrebbe dovuto affermare la tardività della contestazione in conseguenza della contumacia del Condominio in primo grado, non trattandosi di un’eccezione in senso stretto.”

La sentenza di appello è dunque cassata, con rinvio ad altra sezione della stessa corte.

© massimo ginesi 22 dicembre 2017

 

Ancora sulla responsabilità da cosa in custodia: caduta nelle scale del condominio.

 

Una fattispecie davvero particolare affrontata dalla Cassazione (Cass. civ. sez. III 31 ottobre 2017 n. 25856) in tema di responsabilità del condominio .

Una donna scivola lungo le scale condominiali ,  a causa di un materiale sparso  da un sacchetto dell’immondizia lasciato sulle scale, riporta lesioni e fa causa  al condominio per essere risarcita, vedendo la sua domanda respinta sia in primo che in secondo grado.

Il giudice di legittimità si richiama a princpi consolidati in tema di imputabilità del fatto dannoso e di responsabilità da cosa in custodia.

Da un lato osserva che il sacchetto lasciato sulle scale da qualche condomino è fatto imprevedibile che interrempe il nesso causale con il condominio, dall’altro richiama gli ordinari princpi in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato, che deve comunque adottare l’opportuna diligenza nei fatti quotidiani della vita.

“la corte di merito ha ritenuto in fatto  e con valutazione fondata su adeguata motivazione, come tale non sindacabile in questa sede,  che la ricorrente era caduta scivolando sui residui di un sacchetto di immondizia lasciato aperto sulle scale condominiali, e che tale circostanza rappresentava un evento estraneo alla sfera di custodia dell’amministratore del condominio, eccezionale, imprevedibile e non evitabile, tale da poter configurare il caso fortuito, e quindi costituiva l’unica causa del danno, il che era sufficiente ad integrare la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c..

L’esclusione della sussistenza del nesso di causa tra la cosa in custodia e l’evento lesivo, escludono in radice, d’altra parte, la possibilità di affermare una responsabilità per colpa ai sensi dell’art. 2043 c.c. da parte dello stesso amministratore del condominio”

La corte coglie poi l’occasione per ripercorrere i criteri generali della responsabilità da custodia, aldilà dell’ambito condominiale, parametri che sono comunque utili a delineare i confini entro i quali  il condominio potrebbe essere chiamato a rispondere del danno subito dal terzo.

“a) in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (nella specie, la S. C. ha ritenuto eziologiamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneità dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada) (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017, Rv. 644282 – 01);

b) ai sensi dell’art. 2051 c. c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, Rv. 640508 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 23584 del 17/10/2013, Rv. 628725 – 01);

c) in tema di responsabilità del custode, la ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivato» (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10014 del 20/04/2017, Rv. 643830 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 6753 del 06/04/2004, Rv. 571873 – 01)”

© massimo ginesi 7 novembre 2017

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responsabilità da cosa in custodia e caduta dall’ascensore.

Una articolata e interessante pronuncia della suprema corte (Cass.civ. sez. III  31 ottobre 2017 n. 25837) affronta il tema della responsabilità da cosa in custodia in caso di danno derivato da un evento in cui il danneggiato ha concorso, con la propria condotta alla sua causazione.

Si tratta, nella fattispecie, di un evento assai frequente, ovvero la caduta di un soggetto che, uscendo dall’ascensore, inciampa nel gradino che si forma fra cabina e pianerottolo, per una imperfetta fermata, scalino che nel caso di specie vedeva un dislivello di appena otto centimetri.

Tribunale e Corte di appello di Milano avevano respinto la domanda avanzata dal danneggiato per le lesioni subite, ritenendo che la caduta fosse ascrivibile unicamente alla condotta del danneggiato, che non aveva prestato la dovuta attenzione, integrando così il c.d. caso fortuito, che la giurisprudenza ha sempre ravvisato anche nella condotta colposa della vittima, quando è da sola idoneo a cagionare l’evento.

La Corte compie una lunga ed articolata disamina, dapprima soffermandosi sul concetto di insidia, che non necessariamente deve sussistere per integrare la responsabilità del custode, ed evidenziando poi come la condotta del danneggiato non sempre costituisca fortuito idoneo ad escludere la responsabilità da custodia, ma vada valutata nel suo concreto esplicarsi, per stabilire se concorra con la responsabilità del custode o se valga ad escluderla.

Osserva la corte che affinché la condotta della vittima sia idonea ad escludere la responsabilità del custode deve essere non solo imprudente ma anche imprevedibile, evidenziando come tali caratteristiche possano gradatamente combinarsi fra loro in una gamma che può attenuare o escludere del tutto la responsabilità ex art 2051 cod.civ. in capo al titolare del bene in custodia.

sarà compito del giudice di merito accertare la sussistenza di questi presupposti, in forza dei quali stabilire se si tratti effettivamente di fortuito idoneo ad escludere la colpa del custode.

La pronuncia di secondo grado è dunque cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte d’appello, che dovrà attenersi al  principio di diritto enunciato dalla corte.

Una sentenza interessante in diritto, che merita integrale lettura per la vastità e accuratezza delle argomentazioni e che, tuttavia, desta qualche perplessità nella sua pratica applicazione, per la complessità dell’onere probatorio che finisce per addossare alla parte che invoca il caso fortuito.

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© massimo ginesi 6 novembre 2017 

 

 

l’amministratore risponde di omicidio colposo per l’incidente all’appaltatore.

Durante l’esecuzione di lavori in condominio un soggetto cade da circa dieci metri e muore. L’amministratore viene condannata per omicidio colposo dai giudici di appello e ricorre in cassazione, articolando diversi motivi, fra tutti quelli del difetto dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità fra la sua condotta e l’evento.

Cass. pen. Iv sez. 21 settembre 2017 n. 43452 respinge il ricorso con una motivazione che lascia ben poco margine alla posizione dell’amministratore che, per il solo fatto di essere il committente, risponde  del fatto rivestendo in tali ipotesi una posizione di garanzia, anche  se non si è ingerito nella esecuzione dei lavori.

Il fatto e l’imputazione

gli elementi di responsabilità

l’assunto difensivo principale dell’amministratore ruota intorno al fatto che non avrebbe commissionato lui i lavori

I giudici di legittimità rilevano che la corte di appello ha in effetti verificato che fu l’amministratore a conferire l’incarico al soggetto deceduto di effettuare i lavori sulla terrazza in quota, “non verificò in alcun modo la formazione, le competenze e l’idoneità tecnico professionale dell’operaio e che non adottò, nonostante si trattasse di lavori sostanzialmente in quota, alcuna precauzione”

A fronte di tali elementi la conclusione in diritto è senza scampo:

© massimo ginesi 22 settembre 2017 

culpa in eligendo anche per l’infortunio durante un accesso preliminare all’appalto.

La Cassazione, III sezione penale, con sentenza del 1 marzo 2017 n. 10014 ha stabilito che il committente è responsabile per l’erronea scelta di soggetto non idoneo anche se costui subisce infortunio cadendo dal tetto durante un semplice sopralluogo preliminare, finalizzato unicamente alla stesura di un preventivo dei lavori da effettuare successivamente.

LA pronuncia chiarisce che le norme sugli infortuni in ambiente di lavoro, che dettano responsabilità anche per il committente, si applicano non solo durante l’esecuzione dell’appalto ma anche nelle attività prodromiche allo stesso, ove vanno ricompresi anche gli accessi dell’appaltatore volti a verificare i luoghi per predisporre una semplice offerta.

Il caso esaminato riguarda un infortunio sul tetto di un capannone, ma è evidente che la pronuncia deve far riflettere anche per i lavori svolti in ambito condominiale.

Le misure generali di tutela della salute e sicurezza del lavoro, che implicano a  norma dell’articolo 15 decreto legislativo 81/2008 la valutazione preventiva e  l’eliminazione di rischio in relazione ai lavori da eseguire, pongono a carico del committente, sin dalla  fase di progettazione dell’opera e delle conseguenti scelte  tecniche, specifiche cautele prescritte dall’articolo 90, comma 9 del medesimo decreto, fra cui la verifica nell’ipotesi di cantieri temporanei dell’idoneità tecnico professionale dell’impresa affidataria, la quale implica l’iscrizione di quest’ultima alla camera di commercio e la autocertificazione in ordine al possesso dei requisiti previsti dalla normativa di settore.

Da ciò discende che non è affatto necessario il perfezionamento di un contratto di appalto, sia perché trattasi di adempimenti preliminari alla successiva fase della stipula, sia perché la norma in esame non contempla tale figura contrattuale – come si desume dal tenore letterale dello stesso art. 90 che parla di “affidamento dei lavori” e che nella lettera C) del comma 9 contemplante a sua volta gli adempimenti di cui alle precedenti lettere a) e b), esclude espressamente la necessità del ricorso all’appalto – ben potendo la commissione esaurirsi in una mera prestazione d’opera, quale è certamente il sopralluogo sul tetto ai fini della verifica dei lavori necessari, alla quale devono comunque presiedere le cautele previste. “

Con motivazione coerente ed esente ed aderente ai  principi affermati da questa Corte in materia di responsabilità nei reati edilizi (sezione 3 n.1334 del 26/4/2016,  sezione 4 n. 8589 del  14/1/2008) il giudice  di merito ha pertanto ritenuto la culpa in eligendo dell’imputato  non essendo la ditta  X che, secondo la deposizione dell’ispettore,  stava effettuando al momento dell’infortunio attività lavorativa sul tetto…, desunta dal materiale e dall’attrezzatura ivi rinvenuta, più attiva dal 2009 ed essendo l’attività di artigiano edile del preteso titolare cessata sin dal  2003, senza che alcuna rilevanza assuma la proprietà, in capo esecutore materiale ovvero al committente, dell’attrezzatura a tal fine  utilizzata. L’insussistenza  dei titoli di idoneità prescritti dalla legge  in capo alla ditta  esecutrice dell’opera, la cui verifica configura adempimento preliminare da parte del committente rispetto quella dei effettuarsi in concreto in relazione alla capacità rispetto alla tipologia dell’attività commissionata, consente di ritenere che la sentenza impugnata, espressasi in conformità alle fondamentali regole di ermeneutica probatorie con procedimento idoneo a fornire piena contezza dell’iter  logico giuridico dal  quale è derivato il convincimento espresso, sia scevra dai vizi lamentati sul piano motivazionale.”

© massimo ginesi 2 marzo 2017

 

condominio parziale e risarcimento danni: una sentenza assai particolare

Una bambina cade nel vano di corsa di un ascensore condominiale e riporta lesioni gravissime. La causa di risarcimento viene promossa contro il condominio, sebbene quell’ascensore serva solo una delle quattro scale che lo compongono: l’intero condominio viene condannato a pagare un risarcimento di diverse centinaia di migliaia di euro.

L’Amministratore del condominio ha resistito in giudizio senza mai dar conto della situazione di parzialità, sicché la condanna viene emessa nei confronti del condominio B. in persona dell’amministratore pro tempore.

I condomini che fanno parte delle altre scale, non servite dall’impianto e che dunque non ne sono proprietari, propongono opposizione di terzo, ritenendosi tali  rispetto alla pronuncia.

La vicenda approda in Cassazione, con esiti che meritano lettura.

Da un lato si richiama ancora una volta il concetto di ente di gestione, già assai criticato dalle sezioni unite 9148/2008, mentre dall’altro si suggerisce una rilevanza anche esterna della  norma di cui all’art. 1123 III comma cod.civ., che tuttavia doveva essere fatta valere dai condomini non proprietari dell’impianto – secondo il giudice di legittimità – tramite intervento nel giudizio e con gli ordinari mezzi di impugnazione: i  condomini estranei al condominio parziale dell’ascensore non sono comunque terzi rispetto al Condominio unitariamente inteso, ma sono semplicemente soggetti che – eventualmente – non sono tenuti a quella spesa.

Cass.Civ. II sez. 21 febbraio 2017 n. 4436 rel. Giusti: “ Rileva il collegio che, per costante giurisprudenza, la  legittimazione ad impugnare la sentenza con l’opposizione di terzo ordinaria (art. 404 I comma c.p.c.) presuppone in capo all’opponente la titolarità di un diritto autonomo, la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata fra altre parti (Cass. 6179/2009, CAss. 8888/2010). Va inoltre ribadito che il giudicato formatosi all’esito di un processo in cui sia stato parte l’amministratore di un condominio, fa stato anche nei confronti dei singoli condomini, pure se non intervenuti in giudizio, atteso che il condominio è ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini (Cass. 12343/2002, 12911/2012). 

Deve pertanto essere esclusa in capo ai condomini istanti la legittimazione all’opposizione ordinaria ex articolo 404 c.p.c., non essendo essi terzi rispetto alla situazione giuridica affermata  con la sentenza passata in giudicato, la quale ha riconosciuto la responsabilità del condominio di via X al pagamento in favore di Y delle somme ad essa a dovute a titolo di risarcimento dei danni per le gravissime lesioni subite  per essere precipitata nel vano di cosa dell’ascensore condominiale”

I condomini opponenti sono parti originarie rispetto alla lite  conclusa con la sentenza impugnata con l’opposizione di terzo (cass. 10717/2011): infatti è stato citato in giudizio il condominio nella sua interezza ed unitarietà e si è costituito il relativo amministratore senza sollevare eccezioni in relazione alla carenza di legittimazione passiva di una parte dei condomini (i condomini appartenenti alle scale a, B e C), i quali non hanno ritenuto di intervenire in giudizio per eccepire la mancanza di ogni responsabilità a loro carico.

I condomini opponenti avrebbero dovuto intervenire nel giudizio in cui la difesa è stata assunta dall’amministratore o anche avvalersi, in via autonoma, dei mezzi di impugnazione dell’appello o del ricorso per cassazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore (cass. 10717/2011 cit, Cass. 16562/2015)”

© massimo ginesi 24 febbraio 2017 

 

Ascensore: insidia trabocchetto in condominio

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La definizione di insidia/trabocchetto è stata da tempo elaborata dalla giurisprudenza con riferimento alle cadute accidentali per buche o altri ostacoli che, con frequenza, giungono alla attenzione dei giudici.

La Suprema Corte ha sempre sottolineato che la norma di cui all’art. 2051 cod.civ., che prevede la responsabilità del custode del bene che cagiona il danno, fa salvo il caso fortuito e in tale concetto deve ricondursi anche il fatto del terzo o dello stesso danneggiato.

La giurisprudenza ha in più occasioni sottolineato che il soggetto che subisce danno in conseguenza di un ostacolo o di un particolare assetto dei luoghi dovrà essere risarcito solo ove il fatto non possa essere evitato con l’ordinaria diligenza, quindi abbia carattere insidioso idoneo a superare il normale atteggiarsi dell’individuo di fronte a situazioni analoghe.

La Cassazione (Cassazione civile, Sezione III, sentenza 22 giugno 2016, n. 12895) con una recente    sentenza    affronta il problema dell’insidia e della responsabilità da cosa in custodia in condominio.

L’ascensore si ferma un ventina di centimetri sotto il livello della soglia e il soggetto che si trova all’interno inciampa procurandosi lesioni.

Afferma la Corte che “ai sensi del citato art. 2051 cod. civ., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro ingrato il caso fortuito.
Nella specie, osserva la pronuncia, il dislivello di circa venti centimetri avrebbe potuto essere intrinsecamente pericoloso: tuttavia, le condizioni di illuminazione e la presenza della doppia porta, avrebbero reso superabile il pericolo – comunque ingeneratosi – se la ricorrente danneggiata avesse tenuto un comportamento ordinariamente cauto”

Insomma il nesso causale si interrompe se non si guarda dove si mettono i piedi…

© massimo ginesi giugno 2016