responsabilità da infiltrazioni: anche se sussistono più cause, ciascun danneggiante è tenuto per l’intero.

 

Nel caso in cui l’immobile di un condomino subisca danni da infiltrazioni ed emerga che tali fenomeni sono attribuibili a più cause (nella fattispecie, a  beni condominiali e a giardini privati di terzi estranei al condominio), sussiste responsabilità solidale dei danneggianti ex art 2055 c.c., di talchè il danneggiato potrà pretendere l’intero anche da un singolo (salvo poi eventuale rivalsa di quest’ultimo nei confronti dei corresponsabili).

La responsabilità del condominio sarà esclusa solo ove il concorrente fatto del terzo risulti, da solo, idoneo a cagionare l’evento.

E’ quanto richiamato da Cass. civ. sez. VI-2 ord. 12 marzo 2020 n. 7044 rel. Scarpa, che ha cassato una sentenza della Corte d’appello Romana che non si era uniformata a tali principi di diritto.

Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno, e risponde in base all’art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché tali danni siano causalmente imputabili altresì al concorso del fatto di un terzo (quale, nella specie, l’omessa manutenzione a sua volta ascrivibile ai proprietari dei due giardini privati di proprietà esclusiva).

Si prospetta, in tal caso, la situazione di un medesimo danno (da infiltrazioni all’immobile sottostante), provocato da più soggetti per effetto di diversi titoli di responsabilità (la responsabilità del condominio per la custodia dei beni e dei servizi comuni e la responsabilità dei singoli proprietari per la custodia delle unità immobiliari a loro appartenenti), il che dà luogo ad una situazione di solidarietà impropria, in quanto relativa a rapporti eziologicamente ricollegati a distinti titoli extracontrattuali.

La conseguenza della corresponsabilità in solido, ex art. 2055 c.c., comporta tuttavia che la domanda del proprietario dell’appartamento danneggiato va intesa sempre come volta a conseguire per l’intero il risarcimento da ciascuno dei coobbligati, in ragione del comune contributo causale alla determinazione del danno.

Al condomino che abbia agito chiedendo l’integrale risarcimento dei danni solo nei confronti del condominio, come fatto nel caso in esame dalla Seventeen Real Estate s.r.l., il risarcimento non può perciò essere negato in ragione del concorrente apporto casuale colposo imputabile a singoli condomini proprietari individuali di unità immobiliari, applicandosi in tal caso non l’art. 1227, comma 1, c.c., ma l’art. 2055, comma 1, c.c., che prevede, appunto, la responsabilità solidale degli autori del danno.

Né la concorrente mancata manutenzione di porzioni di proprietà solitaria è equiparabile alla condotta di un terzo idonea a negare la responsabilità oggettiva del condominio quale custode dei beni e dei servizi comuni ex art. 2051 c.c., a meno che essa, rivelandosi autonoma, non risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo (cfr. Cass. Sez. 2, 12/07/2011, n. 15291; Cass. Sez. 3, 19/03/2009, n. 6665; Cass. Sez. 3, 20/08/2003, n. 12211).”

© massimo ginesi 18 marzo 2020

denunzia gravi vizi nell’appalto: il termine prescrizionale decorre dalla effettiva consapevolezza.

la Corte di legittimità (Cass.Civ. sez. VI 8 febbraio 2019  n. 3891) riprende principi noti e chiarisce, in una sintetica motivazione, come il committente abbia un ampio margine di valutazione in ordine al nesso causale fra difetto e opera realizzata dall’appaltatore e che, tuttavia, il termine annuale per la denunzia derivi dalla effettiva conoscenza di tale nesso; tale consapevolezza può derivare  all’esito di consulenza tecnica può anche sussistere  prima di tale accertamento: competerà a chi eccepisce  l’intervenuta  prescrizione fornire adeguata prova sul punto.

La Corte di appello ha statuito che andava condiviso il granitico orientamento giurisprudenziale sulla decorrenza del termine prescrizionale dal momento in cui il danneggiato acquisisce un grado apprezzabile di conoscenza oggettiva non solo della grave entità ma soprattutto delle cause tecniche al fine di individuarne le responsabilità e solo dalla ctu in via preventiva erano posti in evidenza i difetti, per cui, decorrendo dal deposito dell’elaborato il termine prescrizionale, l’azione ex art. 1669 cc era tempestiva.

La ricorrente denunzia, col primo motivo, violazione dell’art 1669 c.c., e dell’art. 115 c.p.c., perchè la conoscenza dei vizi risaliva ad una precedente raccomandata e l’atp nulla aveva aggiunto a detta conoscenza; col secondo motivo violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. per la mancata prova dei difetti costruttivi.

In ordine al primo motivo si osserva:

La giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto tempestiva la denunzia successiva ad una CTU che accerti il vizio.

L’identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti onde possa individuarsi la “scoperta” del vizio ai fini del computo dei termini deve effettuarsi con riguardo tanto alla gravità dei vizi quanto al collegamento causale di essi con l’attività espletata, sì che, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di convincenti elementi contrari anteriori, solo all’atto dell’acquisizione d’idonei accertamenti tecnici; per il che, nell’ipotesi di gravi vizi la cui entità e le cui cause, a maggior ragione ove già oggetto di contestazioni tra le parti, abbiano, anche per ciò, rese necessarie indagini tecniche, è consequenziale ritenere che una denunzia di gravi vizi possa implicare un’idonea ammissione di valida scoperta degli stessi tale da costituire il dies a quo per la decorrenza del termine ed, a maggior ragione, tale da far supporre una conoscenza dei difetti di tanto antecedente da implicare la decadenza, solo quando, in ragione degli effettuati accertamenti, risulti dimostrata la piena comprensione dei fenomeni e la chiara individuazione ed imputazione delle loro cause, per l’un effetto, alla data della denunzia e, per l’altro, a data ad essa convenientemente anteriore (cfr. Cass. 9.3.99 n. 1993, 18.11.98 n. 11613, 20.3.98 n. 2977, 94 n. 8053).

Ciò non significa, come pure ha evidenziato questa Corte con decisioni del tutto coerenti con i principi sopra richiamati, che il ricorso ad un accertamento tecnico possa giovare al danneggiato quale escamotage onde essere rimesso in termini quando dell’entità e delle cause dei vizi avesse già avuta idonea conoscenza, ma solo che compete al giudice del merito accertare se la conoscenza dei vizi e della loro consistenza fosse stata tale da consentire una loro consapevole denunzia prima ed una non azzardata iniziativa giudiziale poi, anche in epoca precedente, pur senza l’ulteriore supporto del parere d’un perito (cfr. Cass. 9.3.99 n. 1993, 2.9.92 n. 1016).

Solo la certezza oggettiva dei vizi legittima la denunzia.”

© Massimo Ginesi 13 febbraio 2019

ripartizione spese di lite: mai in parti uguali ed escluso il condomino vittorioso.

Lo ha stabilito la corte di legittimità (Cass.Civ. sez.VI-2 21 febbraio 2018 n. 4259 rel. Scarpa), con una pronuncia  che riprende temi consolidati.

I fatti – “A. C. impugnò la deliberazione assembleare del 2 aprile 2013 approvata dal Condominio di Largo L. A., la quale aveva ripartito in parti uguali (€ 14,00 per ogni condomino), e non secondo millesimi, le spese dovute dal medesimo Condominio per effetto della soccombenza maturata con riguardo al decreto ingiuntivo n. 1780/2013 del Giudice di Pace di Roma, pronunciato su domanda del medesimo avvocato C. per l’attività di difensore svolta in favore del Condominio.

Il Giudice di Pace aveva dichiarato improcedibile l’impugnazione di delibera giacchè proposta con ricorso e non con citazione.

Il Tribunale di Roma ha invece ritenuto legittima la ripartizione in quote paritarie delle spese di soccombenza derivanti dal decreto ingiuntivo n. 1780/2013 non opposto dal condominio, non esistendo tabelle millesimali e non essendo applicabile l’art. 1132 c.c. proprio perché quest’ultimo non aveva deliberato di resistere alla pretesa monitoria”. 

IMPUGNATIVA MEDIANTE RICORSO – Osserva la corte che già il giudice di appello ha riformato la sentenza di primo grado, ritenendo ammissibile la domanda anche se proposta con ricorso: “Se è vero che il Tribunale non ha espressamente statuito sul motivo d’appello relativo alla declaratoria di improcedibilità della domanda (la quale effettivamente contrastava con l’interpretazione fornita da Cass. Sez. Un. 14/04/2011, n. 8491, trovando nella specie applicazione l’art. 1137 c.c. nel testo antecedente alle modifiche introdotte con legge n. 220/2012, e dovendosi perciò ritenere comunque valida l’impugnazione delle delibere dell’assemblea proposta impropriamente con ricorso, purchè l’atto risultasse depositato in cancelleria entro il termine stabilito dall’art. 1137 citato), è pur vero che la sentenza impugnata ha esaminato il merito della pretesa dell’attore appellante, con ciò implicitamente superando la questione di improcedibilità sollevata erroneamente dal Giudice di pace.”

LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE – “Ove, come nel caso in esame, vi sia stata una condanna giudiziale definitiva del condominio, in persona dell’amministratore (nella specie, a seguito di decreto ingiuntivo non opposto), al pagamento di una somma di denaro in favore di un creditore della gestione condominiale (nella specie, dello stesso condomino avvocato C. a titolo di compenso per prestazioni professionali), la ripartizione tra i condomini degli oneri derivanti dalla condanna del condominio va comunque fatta alla stregua dei criteri dettati dall’art. 1123 c.c., salvo diversa convenzione (arg. da Cass. Sez. 2, 12/02/2001, n. 1959).

Né ha rilievo in senso contrario alla necessaria ripartizione interna dell’importo oggetto di condanna la mera mancanza formale delle tabelle millesimali (come considerato dal Tribunale di Roma), spettando semmai al giudice di stabilire l’entità del contributo dovuto dal singolo condomino conformemente ai criteri di ripartizione derivanti dai valori delle singole quote di proprietà (Cass. Sez. 2, 26/04/2013, n. 10081; Cass. Sez. 2, 30/07/1992, n. 9107).

La deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione in parti uguali degli oneri derivanti dalla condanna del condominio, in deroga all’art. 1123 c.c., proprio come avvenuto nell’impugnata delibera del 2 aprile 2013, va peraltro certamente ritenuta nulla (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233)

L’IMPUTAZIONE DELLE SPESE – “Il Tribunale di Roma ha affermato che l’avvocato C., in quanto condomino, doveva egli stesso partecipare al pagamento delle spese legali in suo favore consacrate nel decreto ingiuntivo n. 1780/2013 non opposto dal condominio, richiamando la giurisprudenza sul necessario concorso del condomino danneggiato al risarcimento del danno da lui subito per effetto della mancata custodia o manutenzione di un bene comune.

Questa Corte ha invece già sancito l’invalidità della deliberazione dell’assemblea che, all’esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest’ultimo, “pro quota”, il pagamento delle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo, non trovando applicazione nella relativa ipotesi, nemmeno in via analogica, gli artt. 1132 e 1101 c.c. (Cass Sez. 2, 18/06/2014, n. 13885; Cass. Sez. 2, 25/03/1970, n. 801).”

© massimo ginesi 26 febbraio 2018 

nella causa fra condomino e condominio, se quest’ultimo soccombe non può ripartire le spese di lite anche al vittorioso.

Sembrerebbe un principio ovvio:  se tuttavia la Suprema Corte è costretta ancora una volta a ribadirlo ( Cass.Civ. sez.  II 23 gennaio 2018 n. 1629 Rel. Scarpa),  vi è evidentemente qualche amministratore e qualche assembela che ancora non lo hanno recepito.

Il Condomino che è contrapposto in una causa contro il condominio e la vince, con il favore delle spese. non può essere chiamato a partecipare pro quota alle spese di lite, cui il condominio è stato condannato dal giudice in virtù del principio  di soccombenza previsto dall’art. 91 c.p.c.

La ragione è ovvia sotto il profilo pratico, ancor prima che giuridico: il condomino vittorioso rappresenta la controparte processuale  vittoriosa del condominio, controparte  che ha diritto di vedersi rimborsare le spese di lite dal condominio che, in tal caso, ne risponderà nei limiti di tutti coloro che hanno partecipato alla lite quali condomini, tranne il condomino controparte.

la Corte d’Appello di Trento ha fatto corretta applicazione dell’orientamento secondo cui è nulla la deliberazione dell’assemblea condominiale che, all’esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest’ultimo, pro quota, il pagamento delle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo, non trovando applicazione nella relativa ipotesi, nemmeno in via analogica, gli artt. 1132 e 1101 c.c.

Questo orientamento spiega come nell’ipotesi di controversia tra condominio e uno o più condomini, la compagine condominiale viene a scindersi di fronte al particolare oggetto della lite, per dare vita a due gruppi di partecipanti al condominio in contrasto tra loro, nulla significando che nel giudizio il gruppo dei condomini, costituenti la maggioranza, sia stato rappresentato dall’amministratore (Cass. Sez. 2, 18/06/2014, n. 13885; Cass. Sez. 2, 25/03/1970, n. 801).

E’ quindi da considerare nulla per impossibilità dell’oggetto la deliberazione dell’assemblea che, con riferimento ad un giudizio che veda contrapposti il condominio ed un singolo condomino, ponga anche a carico di quest’ultimo, pro quota, l’obbligo di contribuire alle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore o del consulente tecnico di parte nominati in tale processo, trattandosi di spese per prestazioni rese a tutela di un interesse comunque opposto alle specifiche ragioni personali del singolo condomino, e neppure, perciò, trovando applicazione in tale ipotesi l’art. 1132 c.c.”

La corte ribadisce anche un altro principio  importate in tema di spese: non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, ma la misura della compensazione – in caso di reciproca soccombenza – rimane una valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito.

“la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, ovvero la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbano eventualmente ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, e restano perciò sottratte al sindacato di legittimità, essendo questo limitato ad accertare soltanto che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (cfr. Cass. Sez. 2, 31/01/2014, n. 2149).”

© massimo ginesi 24 febbraio 2018