rendiconto e responsabilità dell’amministratore cessato dalla carica

Cass.Civ. sez.VI ord. 17 gennaio 2019 n. 1186  rel. Scarpa si pronuncia su una fattispecie perculiare. affrontando funzione e natura dell rendiconto e la sua attitudine a ratificare l’attività svolta dall’amministratore uscente: “La Corte d’Appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado del Tribunale di Rieti, che, dopo aver accolto la domanda del Condominio (OMISSIS) volta ad ottenere dal proprio ex amministratore R.S. la consegna della documentazione contabile-amministrativa riguardante il periodo del suo incarico gestorio negli anni 1992-1995, aveva comunque respinto l’ulteriore pretesa del Condominio (OMISSIS) diretta alla condanna di R.S. a restituire la somma di Euro 54.912,28. La Corte di Roma ha ritenuto provata, o altrimenti pacifica, la circostanza dell’incasso della somma di Euro 54.912,28 da parte del Condominio, ricavata da un’esecuzione immobiliare e versata sul conto corrente di gestione condominiale intestato all’amministratore. Secondo la sentenza impugnata, il teste G. aveva comunque dichiarato che tale importo era stato utilizzato per coprire le passività del Condominio per gli anni 1992, 1994 e 1995, come appariva pure dal “rendiconto importo funivia” e dal libro giornale.”

Il Condominio non si da per vinto e ricorre, senza successo, in cassazione, ove i giudici di legittimità osservano che: “Gli artt. 1130, 1130-bis (quest’ultimo introdotto dalla L. n. 220 del 2012, nella specie inapplicabile ratione temporis), art. 1135, n. 3, e art. 1137 c.c., regolamentano l’obbligo dell’amministratore del condominio di predisporre e di presentare il rendiconto condominiale annuale all’approvazione dell’assemblea; la competenza dell’assemblea in ordine alla verifica ed all’approvazione del rendiconto, concernente il bilancio consuntivo; i poteri dei singoli condomini relativi al controllo dell’operato dell’amministratore, che si sostanziano nella partecipazione e nel voto in assemblea e, eventualmente, nell’impugnazione delle deliberazioni. L’amministratore di un edificio condominiale è, quindi, tenuto a dare il conto della gestione alla fine di ciascun anno; l’assemblea dei condomini è legittimata a verificare e ad approvare il rendiconto annuale dell’amministratore; i condomini assenti o dissenzienti possono impugnare la deliberazione, che approva il rendiconto, rivolgendosi all’autorità giudiziaria nel termine di trenta giorni.

Se il rendiconto viene approvato, all’operato dell’amministratore il singolo condomino non può più rivolgere censure: questi può soltanto impugnare la deliberazione non per ragioni di merito, ma nei soli casi e secondo i modi fissati dall’art. 1137 c.c.. Per di più, l’approvazione assembleare dell’operato dell’amministratore e la mancata impugnativa delle relative deliberazioni precludono l’azione di responsabilità dello stesso per le attività di gestione dei beni e dei servizi condominiali (cfr. Cass. Sez. 2, 04/03/2011, n. 5254; Cass. Sez. 2, 20/04/1994, n. 3747).

L’assimilazione tra l’incarico di amministrazione condominiale e il mandato con rappresentanza ha comunque portato la giurisprudenza ad affermare, tra l’altro che, a norma dell’art. 1713 c.c., alla scadenza l’amministratore è tenuto a restituire ciò che ha ricevuto nell’esercizio del mandato per conto del condominio, vale a dire tutto ciò che ha in cassa, indipendentemente dalla gestione annuale alla quale le somme si riferiscono (Cass. Sez. 6-2, 17/08/2017, 20137; Cass. Sez. 2, 16/08/2000, n. 10815).

Dunque, il condominio (come avvenuto nel presente giudizio tra il Condominio (OMISSIS) e l’ex amministratore R.S.) può convenire l’amministratore cessato dall’incarico per ottenere sia la presentazione del bilancio sia la restituzione delle somme detenute dall’amministratore, ma spettanti al condominio. Poichè l’amministratore, come visto, è tenuto anno per anno a predisporre il bilancio preventivo ed a far approvare dall’assemblea il bilancio consuntivo, egli ogni anno, alla scadenza dell’esercizio, deve rispondere della sua gestione. In ogni caso, alla scadenza dell’incarico, l’amministratore deve restituire tutte le somme che detiene in cassa per conto del condominio.

Costituendo il rendiconto la principale fonte di prova di ogni rapporto mandato, ad esso deve farsi essenzialmente capo per accertare quanto l’amministratore abbia incassato e debba perciò restituire alla cessazione dell’incarico, dovendosi intendere l’obbligo di rendiconto comunque legittimamente adempiuto quando il mandatario abbia fornito la relativa prova attraverso i necessari documenti giustificativi non soltanto delle somme incassate e dell’entità e causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione ed al vaglio delle modalità di esecuzione dell’incarico, onde stabilire (anche in relazione ai fini da perseguire ed ai risultati raggiunti) se il suo operato si sia adeguato, o meno, a criteri di buona amministrazione (cfr. Cass. Sez. 1, 23/04/1998, n. 4203; Cass. Sez. 3, 14/11/2012, n. 19991).

Nella specie, la Corte d’Appello, con apprezzamento di fatto spettante al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha accertato, sulla base del rendiconto prodotto, del libro giornale e delle deposizioni testimoniali, l’incasso della somma di Euro 54.912,28, il versamento di tale importo sul conto corrente utilizzato dall’amministratore per la gestione del Condominio (OMISSIS) e l’impiego della medesima provvista per coprire passività condominiale.

Lo stesso ricorrente espone in ricorso che la somma oggetto di lite venne incassata su un conto corrente bancario intestato al R. (non applicandosi alla vicenda in esame ratione temporis il vigente art. 1129 c.c., comma 7, introdotto dalla L. n. 220 del 2012), e da questo utilizzato proprio per la gestione del Condominio (OMISSIS), sicchè non ha senso dolersi di un mancato distinto atto di ritrasferimento dell’importo riscosso dall’amministratore sul conto condominiale in favore dei singoli condomini, restando piuttosto i rapporti tra amministratore e condominio disciplinati dalla ripartizione delle attribuzioni tra amministratore ed assemblea in ordine all’erogazione delle spese per le parti comuni, dal dovere di rendiconto annuale e dall’obbligo di restituzione di quanto rimanga in cassa alla cessazione dell’incarico.”

© massimo ginesi 21 febbraio 2019 

la nomina dell’amministratore che non indica il compenso è nulla

Lo ha stabilito  una recente sentenza (Tribunale di Massa 6 novembre 2017 n. 917 ), che ha dichiarato nulla la nomina di un amministratore che non aveva indicato analiticamente la propria richiesta di compenso. La pronuncia affronta anche diversi altri motivi fatti valere dalle parti, che tuttavia si rivelano infondati.

Il compenso dell’amministratore non risultava da alcun documento, né antecedente né posteriore alla assemblea, né sussisteva formale accettazione. Alcuni mesi dopo la riunione il presiedente ed il segretario della riunione avevano predisposto, a loro firma, una nota di correzione del verbale ove si dichiarava che l’assemblea – prima di procedere alla nomina – era stata resa edotta dell’importo richiesto dall’amministratore.

Il condominio si è difeso osservando anche che il compenso dell’amministratore era stato comunque indicato come voce del preventivo approvato.

il Tribunale ha osservato che “Risulta (…) fondata la censura sulla nullità della nomina dell’amministratore, in assenza di una valida accettazione che contenga specifica indicazione del suo compenso; il dettato dell’art. 1129 comma XIV cod.civ. è tassativo e non ammette equipollenti: “È nulla la nomina dell’amministratore di condominio – con conseguente nullità della delibera in parte qua – in assenza della specificazione analitica del compenso a quest’ultimo spettante per l’attività da svolgere, in violazione dell’art. 1129, comma 14, c.c. Tale norma, che mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l’emolumento dell’organo gestorio al momento del conferimento del mandato, si applica sia nel caso di prima nomina dell’amministratore che nel caso delle successive riconferme” . Tribunale Milano, sez. XIII, 03/04/2016, n. 4294
A tal fine va osservato che nel verbale di assembla nulla risulta in ordine al compenso, né potrà a tal fine rilevare – come pretenderebbe il convenuto – la mera indicazione di una somma complessiva, per nulla dettagliata, inserita fra le voci del preventivo che – anche ove si possa ritenere che comprenda tutto quanto dovuto all’amministratore alla luce di Cass. 22313/2013 – non soddisfa quella esigenza di chiarezza documentale, trasparenza e formalità che traspaiono dal meccanismo di nomina ed accettazione individuati dal novellato art. 1129 cod.civ., meccanismo che non può prescindere da un atto formale dal quale risulti l’espressa e analitica indicazione del compenso.

Mette conto di rilevare, in proposito, che il preventivo di spesa costituisce una semplice stima – che potrebbe anche essere variata in sede di consuntivo – e non rappresenta invece quell’assunzione di un obbligo negoziale da parte dell’amministratore in ordine al corrispettivo (che rappresenta l’obbligazione assunta dal condominio) che oggi appare indispensabile a mente del novellato art. 1129 cod.civ., a tutela della posizione contrattuale del mandante.
Il Condomino non ha peraltro provato che tale indicazione fosse stata allegata alla convocazione, che neppure è stata prodotta, né che vi sia stato un formale atto di accettazione conforme al dettato di cui all’art. 1129 commi II e XIV cod.civ., norma inderogabile ex art 1138 cod.civ.”

La sentenza contiene anche ulteriori statuizioni che possono essere di interesse, attenendo ad aspetti frequentemente controversi in ambito condominiale:

PRESIDENTE E SEGRETARIO ASSEMBLEA – gli attori si dolevano che gli organi assembleari  non fossero stati ritualmente nominati e che avessero provveduto, altrettanto irritualmente, a correggere a posteriori il verbale, integrandolo con i dati del compenso richiesto dall’amministratore. Osserva il Tribunale che “paiono altresì non provate (e comunque destituite di fondamento) le istanze circa l’invalidità della delibera per la irregolare nomina di presidente e segretario.
Va a tal proposito evidenziato che dal verbale risulta che costoro siano stati eletti dalla assemblea e che le parti attrici, seppur presenti, non abbiano in quella sede contestato alcunché: era peraltro in capo a loro l’onere di provare, ex art 2697 I comma cod.civ., la sussistenza del vizio lamentato, prova che non risulta fornita: “.Il verbale di una assemblea condominiale ha natura di scrittura privata, sicché il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura e, per impugnare la veridicità di quanto risulta dal verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi, invece, far ricorso ad ogni mezzo di prova. Incombe, tuttavia, sul condomino che impugni la delibera assembleare l’onere di sovvertire la presunzione di verità di quanto risulta dal relativo verbale.” Cass. 11375/2017
Né, peraltro, risulta alcuna norma che preveda l’esistenza di tali figure nella assembla condominiale e, anche a voler mutuare la loro funzione dai principi generali in tema di funzionamento degli organi collegiali, non si rinviene alcun dato normativo – ne parte attrice lo individua – che preveda che eventuali vizi afferenti alla nomina di tali soggetti comportino nullità dei deliberati della assemblea, sussistendo anzi giurisprudenza in senso assolutamente contrario (Tribunale Milano, 24/07/1997)”

SULLA POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE SUCCESSIVA DEL VERBALE – “non può avere alcun rilievo il bizzarro atto di integrazione del verbale inviato ai condomini alcuni mesi dopo l’assemblea e che reca almeno tre date diverse: tale scrittura rappresenta una mera dichiarazione – parrebbe a posteriori – di coloro che lo sottoscrivono ed al quali non si può riconoscere alcun valore se non quello di semplice dichiarazione riconducibile agli estensori, atteso che è lecito ritenere che gli organi assembleari (presidente e segretario) cessino la loro funzione – e vengano meno i relativi poteri – con la chiusura della riunione e non potendo ritenersi consentito emendare, a posteriori e in sedi diverse dalla assemblea (con il relativo assenso dei partecipanti), la carenza di elementi essenziali del verbale e delle delibere che quel verbale attesta esser avvenute.”

SULLA LEGITTIMAZIONE DEGLI USUFRUTTUARI – Deve preliminarmente essere dichiarata infondata anche l’eccezione, avanzata dal convenuto, relativa alla asserita di carenza di legittimazione attiva degli usufruttuari M F e C F, per le delibere che riguarderebbero lavori straordinari, atteso che a fronte della solidarietà fra usufruttuario e nudo proprietario, oggi prevista dall’art. 67 disp.att.cod.civ., la delibera è direttamente ed immediatamente azionabile contro entrambi, sì che a costoro va riconosciuta la pari facoltà di agire per far dichiarare la sua invalidità.

SULL’OBBLIGO DI INDICAZIONE NOMINATIVA DEI VOTANTI – Parimenti del tutto infondata si rivela la doglianza rispetto alle irregolarità che inficerebbero la votazione per non essere stati nominativamente indicati tutti i soggetti che hanno votato a favore e contro: il verbale contiene, in apertura, l’elenco di tutti i soggetti presenti e, per ogni punto in votazione, l’indicazione di chi abbia eventualmente votato contro, con l’espressa quantificazione del loro valore millesimale complessivo. Si tratta, in accordo con la giurisprudenza consolidata, di modalità più che sufficienti a garantire la facoltà di impugnazione ai dissenzienti e la possibilità di individuare i soggetti che abbiano votato a favore e il loro valore millesimale. (Cass. 6552/2015; Cass. 2413272009, cass. 10329/1998); 

SULLA FACOLTA’ DI TESTIMONIARE DEI CONDOMINI  -Altrettanto singolare che parte attrice si ostini a reiterare istanze istruttorie in cui elenca quali testimoni unicamente soggetti che rivestono la qualità di condomino, sostenendo che costoro “sono gli unici a poter testimoniare sulla materia condominiale e, in particolare, sulle circostanze avvenute in sede di assemblea” (pag. 7 comparsa conclusionale).
Sulla mancata ammissione delle testimonianze sarà sufficiente osservare che “I singoli condomini sono privi di capacità a testimoniare nelle cause che coinvolgono il condominio, poiché l’eventuale sentenza di condanna è immediatamente azionabile nei confronti di ciascuno di essi.” Cass. 17199/2015; l’inammissibilità è stata tempestivamente eccepita dal convenuto nella terza memoria ex art 183 VI comma c.p.c.

SUL MANCATO INVIO DEI PREVENTIVI PER LAVORI STRAORDINARI –Infondata risulta la censura relativa alla approvazione di spese straordinarie, che si assume illegittima poiché non sarebbero stati preliminarmente inviati preventivi: posto che tale procedura non è prevista da alcuna norma in materia di condominio e che l’assemblea, ove raggiunga le maggioranze necessarie, è assolutamente sovrana nella scelta delle opere da eseguire, ivi compresi i relativi costi, ciò nell’ambito delle attribuzioni dell’organo collegiale stabilite dall’art. 1135 cod.civ. e salvi solo i limiti delineati dagli artt. 1102 e 1120 cod.civ

SULLA CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE – la dedotta nullità della delibera impedisce qualunque sanatoria, di tal chè la delibera successivamente assunta in data 3.6.2017 – con cui è stato nominato lo stesso amministratore B. – si pone come atto autonomo e distinto da quello impugnato, avente effetti dal momento della sua adozione ed inidoneo a sanare il vizio dedotto nel presente procedimento, circostanza che se da un lato consente di ritenere ovviato il problema concreto della nomina dell’amministratore a far data dal 3.6.2017, dall’altro lascia intatto l’interesse dagli attori di veder dichiarare la nullità della precedente nomina e impedisce di ritenere cessata la materia del contendere, sì che si dovrà pronunciare anche in punto di soccombenza, ai sensi dell’art. 91 cod.proc.civ., senza alcun criterio virtuale.

© massimo ginesi 13 novembre 2017

 

 

la sentenza risulta pubblicata sulla banca dati giuffrè e sul portale giuffrè Condominio&locazioni, con nota di Luigi Salciarini.

16 novembre 2017

amministratore di condominio e art. 71 bis disp. att. cod.civ. , ma davvero è nullità?

La figura dell’amministratore condominio ha oggi connotazioni normative del tutto nuove, sconosciute al codice del 1942.Un ruolo che allora era indefinito quanto a forma e caratteristiche è stato disegnato dalla L. 220/12 e dalla L. 4/2013, che hanno profondamente inciso sulle caratteristiche necessarie per svolgere l’incarico. L’art. 71 bis disp.att. cod.civ., introdotto dalla legge 220/2012 disciplina i requisiti per lo svolgimento dell’incarico, mentre la L. 4/2013 prevede quelli richiesti per esercitare in forma professionale l’attività.

Le due normative non brillano per coordinamento e lasciano profonde perplessità, poiché introducono parametri simili ma non del tutto coincidenti.

Senza dubbio il legislatore di questi anni ha inteso riconoscere all’amministratore una valenza sociale e una rilevanza significativa quale strumento di tutela di interessi diffusi, pretendendo da una figura destinata al compito delicatissimo e complesso di gestire una rilevante componente del patrimonio immobiliare nazionale parametri di affidabilità e professionalità che travalicano il mero rapporto privatistico che intercorre con i condomini che gli conferiscono l’incarico. Vi è così chi ha letto nella normativa in vigore la caratteristica di norma imperativa, estendendo tale natura non solo alle previsioni a sicura valenza pubblicistica che regolano lo svolgimento della professione ma anche alle disposizioni contenute nell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., così che per alcuni interpreti la mancanza dei requisiti dettati dal codice civile comporterebbe nullità della nomina per contrarietà a norme imperative e – per alcuni lettori estremi – anche nullità di tutti gli atti compiuti dall’amministratore che dovesse trovarsi a svolgere l’incarico in assenza di tali requisiti.

Taluno ha richiamato anche la c.d. nullità di protezione che deriverebbe dall’art. 36 del c.d. codice del consumo, tesi che avrebbe peraltro possibile applicazione solo ove il l’amministratore abbia dolosamente occultato l’assenza dei requisiti e non ove l’assemblea abbia deliberatamente accettato quella assenza

La lettura, non priva di suggestioni, rischia però di diventare estrema e di apparire poco legata al dato testuale; soprattutto il richiamo ad un vizio grave e radicale come la nullità introduce conseguenze assai gravi e dagli esiti imprevedibili, cosicchè è necessario attendere ad una disamina diversa e più ponderata da parte di chi pretenda di porsi dalla parte dell’amministratore, che ha di recente e finalmente trovato una normativa che – seppur assai perfettibile – finalmente ne riconosce il ruolo e la professionalità.

Appare del tutto plausibile che l’amministratore di condominio debba rispondere a parametri che travalicano il mero interesse civilistico ed assicurano alla collettività che quella figura sia rivestita da un soggetto che garantisce affidabilità professionale, patrimoniale e personale. L’intero impianto della L. 4/2013 modula la figura dell’amministratore professionista su parametri astrattamente riconducibili alle professioni ordinistiche, con controlli a natura pubblicistica su formazione, onorabilità, tutela del consumatore, aggiornamento, ovvero tutti quei parametri che paiono idonei a soddisfare interessi pubblici e diffusi che il legislatore mostra di voler tutelare. Si può discutere se il metodo scelto sia idoneo allo scopo, ma è indubitabile che la legge sulle professioni non ordinistiche sia volta a soddisfare quei parametri.

Tale normativa viene emanata nel gennaio 2013, a pochi mesi di distanza dalla legge 220/2012 che prescrive a sua volta parametri assai vincolanti anche per lo svolgimento dell’incarico; appare improbabile che il legislatore abbia manifestato così tanta schizofrenia – sovrapponendo normative inconciliabili – così che assimilare i due testi in una unica lettura a carattere pubblicistico potrebbe essere fuorviante: in realtà l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. prevede alcuni requisiti di onorabilità e alcuni requisiti culturali per svolgere l’incarico. L’uso del termine “svolgere” e non di quello “assumere” sembra spostare l’attenzione del legislatore sul momento di esecuzione della prestazione e non su quello genetico della stessa.

A ciò si aggiunga che la stessa norma prevede – per il solo venir meno dei requisiti soggettivi di onorabilità – il rimedio espresso della cessazione dall’incarico, mentre nulla prevede ove non sussistano quelli relativi alla formazione.

Se il rimedio della cessazione appare di lineare applicabilità ove i requisiti vengano meno durante lo svolgimento dell’incarico (condanna passata in giudicato, protesto cambiario, etc.) ci si chiede quali conseguenze comporti l’assenza di tali presupposti sin dal momento della nomina, ovvero in quei casi in cui l’assemblea intenda coscientemente nominare amministratore un soggetto che non risponde a tutti i parametri della norma.

Soccorre in tale senso autorevolissima dottrina (Bianca, Di MArzio) che afferma che la previsione contrattuale che violi norme imperative (ammesso che all’art. 71 bis disp.att. cod.civ. debba riconoscersi tale natura) non riconduce necessariamente all’applicazione rigida dell’art. 1418 cod.civ. in tema di nullità del contratto, poiché la stessa norma prevede che tale gravissimo vizio colpisca il contratto solo ove espressamente la legge lo preveda. Nello stesso solco interpretativo si pone un rilevante orientamento giurisprudenziale che ascrive alla c.d. nullità virtuale tale ipotesi: “in difetto di espressa previsione in tal senso (cd. “nullità virtuale”), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità” Cass. 2394/2015

Il tema è complesso e richiede un approfondimento che travalica i limiti di queste riflessioni, tuttavia appare assai plausibile – alla luce degli orientamenti appena rammentati – una lettura che si discosti dalla tesi della nullità e si arresti al dato testuale della cessazione dall’incarico, tenuto conto che la stessa norma non ascrive la necessaria presenza di quei requisiti al momento genetico del rapporto ma al suo svolgimento, con il prodursi degli effetti della loro mancanza nel momento dell’adempimento e sul piano dell’efficacia e della responsabilità fra contraenti, categorie che anche sotto il profilo sistematico appaiono più pertinenti alla collocazione e connotazione civilistica della norma di attuazione.

Ne consegue che, se tale lettura ha un senso, la mancanza dei requisiti in capo all’amministratore sin dall’origine, lungi da introdurre pericolassime nullità (che potrebbe far valere, in ogni momento, chiunque vi abbia interesse, anche estraneo al condominio) al più legittimerebbe il condomino dissenziente a ricorrere al giudice per veder dichiarata l’inefficacia della nomina e dunque la cessazione dall’incarico dell’amministratore nominato in violazione, con eventuale ricorso all’art. 1105 cod.civ. ove non si riesca a nominarne altro. La sola assenza dei requisiti culturali, che il legislatore mostra di considerare di minor rilievo non ancorando alla loro mancanza alcuna sanzione diretta e addirittura considerandoli superflui per il soggetto che amministri uno stabile in cui ha una proprietà, darebbe invece luogo a mera revoca ai sensi dell’art. 1129 cod.civ.

© massimo ginesi giugno 2016

nel senso di una lettura non rigoristica della norma e della assenza di automatismi legati alla mancanza dei requisiti culturali  si è di recente espresso il Tribunale di Genova