Se al momento in cui sorge il condominio l’originario unico proprietario dell’edificio si riserva la proprietà dell’area esterna, questa non diventa condominiale ai sensi dell’art. 1117 cod.civ.
Ove successivamente costui alieni a più soggetti quell’area, costoro ne godranno in forza del regime di comunione e non di condominio, ivi compresa la presunzione di uguaglianza delle quote.
Lo ha stabilito Corte di Cassazione, sez. VI Civile 24 marzo 2017, n. 7743, Rel. Scarpa: “Secondo le emergenze documentali di giudizio invocate dalla stessa ricorrente, il Condominio (omissis) , deve intendersi sorto con l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà di V.S.I. mediante alienazione, per atto del 27 luglio 1973, dell’unità immobiliare al secondo piano a S.M. e D.P.L. . Originatasi a tale data la situazione di condominio edilizio, dallo stesso momento doveva intendersi operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio stesso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26766 del 18/12/2014). Va detto che il cortile fa parte delle cose comuni di cui all’art. 1117 c.c., per tale intendendosi qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a dare luce e aria agli ambienti circostanti, ma anche comprensivo dei vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate degli edifici – quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi – sebbene non menzionati espressamente nell’art. 1117 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7889 del 09/06/2000).
Tuttavia, dal titolo del 27 luglio 1973 risultava, in contrario, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla venditrice V.S.I. la proprietà dello scoperto. La negazione della condominialità dell’area scoperta risale, quindi, irreversibilmente al momento costitutivo del condominio stesso.
Ne consegue che, nel caso in esame: 1) essendo sorto “ipso iure et facto” il condominio (omissis) al momento dell’atto del 27 luglio 1973, quando l’originaria unica proprietaria V.S.I. ebbe ad alienare a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata; 2) ed essendosi la medesima venditrice, in quello stesso momento, riservata la qualità di proprietaria esclusiva dell’area scoperta; 3) V.S.I. ha poi disposto della stessa area scoperta come proprietaria unica di detto bene con la compravendita del 17 marzo 1981, la quale comprendeva nella comproprietà ceduta a S.G. anche lo scoperto.
Non avendo tale atto costitutivo della comproprietà sull’area scoperta determinato la quota spettante a ciascuno dei due comproprietari sulla cosa comune, opera in questa ipotesi la presunzione di pari entità delle quote dei partecipanti alla comunione, fissata dall’art. 1101, comma 1, c.c..”
Lo stabilisce Cass.Civ. II sez. 2 marzo 2017 n. 5329.
Nel Condominio composto da due sole persone si applicano le norme sull’assemblea solo ove partecipino entrambi, se invece alla riunione si presenta solo dei due condomini, costui non potrà decidere da solo ma dovrà rivolgersi al giudice ex art. 1105 cod.civ., per l’impossibilità di adottare decisioni indispensabili per la gestione della cosa comune.
La vicenda trova le sue origini in una opposizione a decreto ingiuntivo promossa dall’altro condomino che lamentava che la delibera in forza del quale era stato ottenuto il decreto fosse stata assunta solo dall’altro condomino e come, come tale, non potesse essere considerata una delibera.
Il Tribunale di Sanremo in riforma della sentenza emessa in primo grado dal Giudice di Pace aveva dichiarato nulla la delibera posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo.
In sede di legittimità il ricorrente osserva che: “ il Tribunale ha errato nel ritenere la delibera nulla o addirittura inesistente, avendo fatto confusione tra il concetto di unanimità e quello di totalità, che non sono assimilabili: rileva in particolare che l’unanimità richiesta dalla giurisprudenza ai fini della validità delle delibere del condominio minimo può validamente formarsi non solo nel caso di concordanza di opinioni espresse dai due partecipanti, ma anche nell’ipotesi – verificatasi in concreto nel caso di specie – di decisione assunta dall’unico condominio comparso all’assemblea regolarmente convocata (il R.B. , appunto). Ritiene che nel condominio minimo l’assemblea possa ritenersi validamente costituita anche nel caso in cui compaia uno solo dei partecipanti ed in tal caso la delibera debba ritenersi adottata all’unanimità degli intervenuti e nel rispetto del quorum richiesto dall’art. 1136 cc. In ogni caso, secondo la tesi del ricorrente, si tratterebbe al più di delibera annullabile perché affetta da vizi attinenti alla regolare costituzione dell’assemblea o adottata con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, con la conseguenza che in tale ipotesi, occorreva una tempestiva impugnazione della delibera nei termini di legge, nel caso di specie non proposta.”
La Cassazione è invece netta nel respingere la tesi, richiamando orientamento espresso nel 2006 dalle sezioni unite: “Il motivo è infondato.Le sezioni unite hanno affermato che la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l’impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell’assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all’unanimità, quanto, “a fortiori”, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni (Sez. U, Sentenza n. 2046 del 31/01/2006 Rv. 586562; v. anche Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 5288 del 03/04/2012). Altra e più recente giurisprudenza ha ritenuto che nel caso di condominio c.d. minimo, non si applicano le norme sul funzionamento dell’assemblea condominiale, ma quelle relative all’amministrazione di beni oggetto di comunione in generale (v. Sez. 2, Sentenza n. 7457 del 14/04/2015 Rv. 635000 – 01 ma evidentemente sempre con riferimento all’ipotesi di mancanza di accordo tra le parti). Da tali principi discende dunque che nel condominio cd. minimo (formato, cioè da due partecipanti con diritti di comproprietà sui beni comuni nella stessa proporzione) le regole codicistiche sul funzionamento dell’assemblea si applicano allorché l’assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione unanime, intendendosi con tale ultima espressione (decisione unanime) quella che sia frutto della partecipazione di entrambi i comproprietari alla discussione (essendo logicamente inconcepibile che la decisione adottata da un solo soggetto possa ritenersi presa all’unanimità). Ed è proprio questo il senso della pronuncia delle sezioni unite n. 2046/2006 ove in motivazione testualmente si afferma: “nessuna norma impedisce che l’assemblea, nel caso di condominio formato da due soli condomini, si costituisca validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all’unanimità decida validamente”. Si rivela così infondata la tesi formalistica del ricorrente secondo cui, se la Corte Suprema avesse voluto richiedere sempre la presenza di entrambi e la votazione unanime, avrebbe detto espressamente che in un condominio minimo ci vuole sempre il consenso di entrambi senza approfondire l’applicabilità dell’art. 1136 cc. Nella diversa ipotesi in cui non si raggiunga l’unanimità e non si decida, poiché la maggioranza non può formarsi in concreto diventa necessario ricorrere all’autorità giudiziaria, siccome previsto ai sensi del collegato disposto degli artt. 1105 e 1139 cod. civ. (v. sez. unite cit. in motivazione). Volendo esemplificare, si tratta del caso in cui all’assemblea, pur essendo presenti entrambi i condomini, si decida in modo contrastante, oppure, a maggior ragione, del caso, verificatosi nella fattispecie in esame, in cui alla riunione – benché regolarmente convocata – si presenti uno solo dei partecipanti e l’altro resti assente: per sbloccare la situazione di stallo venutasi di fatto a determinare, non resta che i) ricorso all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 1105 CC. Ora, nel caso di specie, l’avvocato R.B. fu certamente diligente nel tentare la prima e più semplice soluzione, convocare la zia condomina per discutere dei lavori al fabbricato, ma avrebbe dovuto poi prendere atto, proprio perché si trattava di un “condominio minimo”, della impossibilità di costituire l’assemblea per assenza dell’altra partecipante e quindi per l’impossibilità di pervenire ad una decisione unanime (nel senso sopra inteso), condizione essenziale per la adozione di una valida delibera da poter poi mettere in esecuzione nelle forme di legge; e, posto di fronte ad una tale situazione di impasse, aveva l’onere di azionare il procedimento camerale previsto dall’art. 1105 cc. lasciando poi che fosse l’autorità giudiziaria a prendere i provvedimenti opportuni, non esclusa la nomina di un amministratore. La diversa scelta di decidere da solo si risolve invece non in una delibera condominiale, ma in una mera manifestazione unilaterale di volontà proprio perché – lo si ripete – mancava l’unanimità della decisione e quindi la condizione essenziale per l’applicabilità al condominio minimo di (OMISSIS) delle regole codicistiche. Non merita pertanto nessuna censura la sentenza impugnata che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha rilevato di ufficio la nullità o addirittura l’inesistenza della delibera posta a fondamento del decreto stesso (v. al riguardo Sez. 2, Sentenza n. 305 del 12/01/2016 Rv. 638022).”
Lo afferma, in una recentissima ordinanza, la Suprema Corte (Cass.Civ. II sez. 2 marzo 2017 n. 5337 rel. Scarpa), che affronta il peculiare caso di un condominio che trae origine da disposizioni testamentarie.
“La Corte d’Appello di Bari, premessa la presunzione di comunione del lastrico solare ai sensi dell’art. 1117 c.c., ha tuttavia ritenuto titolo contrario ad essa, nel senso di desumere che il lastrico solare fosse stato ricompreso dal testatore nella quota del piano elevato attribuito a A, C e B B., la previsione testamentaria del diritto riconosciuto a F., V e V di usufruire della scala soltanto per andare sul terrazzo “a prendere il sole d’estate ed a sciorinare i panni”. Tale previsione, a giudizio della Corte di Bari, sarebbe stata del tutto superflua se il loro genitore G N. B. avesse considerato il lastrico come bene comune a tutti i coeredi.
Il ricorrente F. B. ha sostenuto la violazione degli artt. 1117 c.c. e 1362 c.c. perché, nella specie, mancava un’attribuzione chiara ed univoca della proprietà esclusiva del lastrico solare alle figlie del de cuius, e perchè la Corte d’appello avrebbe confuso tra proprietà ed uso esclusivo del terrazzo.
Anche questo motivo va rigettato.
E’ indubbio che il lastrico solare, ai sensi dell’art. 1117 c.c., è oggetto di proprietà comune dei diversi proprietari dei piani o porzioni di piano dell’edificio, ove non risulti il contrario, in modo chiaro ed univoco, dal titolo.
Il titolo idoneo a far insorgere la situazione di condominio ed a contenere le eventuali deroghe alla presunzione ex art. 1117 c.c. può essere evidentemente costituito anche da un testamento, allorchè il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento, dall’originario unico proprietario ad altri soggetti, di alcune unità immobiliari, si determina mediante istituzioni ereditarie o attribuzioni in legato aventi ad oggetto le suddette parti del fabbricato.
Al fine di escludere la presunzione di proprietà comune di cui all’art. 1117 c.c., allorchè, in particolare, il titolo sia costituito da un testamento, è comunque sufficiente che da questo emergano elementi tali da farlo considerare in contrasto con l’esistenza di un diritto di comunione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2328 del 27/06/1969), preferendosi, alla luce del favor testamenti, qualora di una clausola di esso siano ammissibili più interpretazioni, comunque quella che consenta alla volontà del testatore di avere pratica e concreta attuazione.
Avendo la Corte d’Appello interpretato il testamento di G. N. B. come espressivo di elementi univoci in contrasto con l’esistenza di un diritto di condominio del terrazzo a livello, al fine di attribuire un effetto concreto alla clausola di esso che riservava ai figli maschi soltanto il diritto di accedere al terrazzo per prendere il sole e sciorinare i panni, essa si è attenuta ai ricordati principi di diritto, risolvendosi, quanto al resto, l’interpretazione del titolo negoziale di cui all’art. 1117 c.c. in un apprezzamento di fatto che è prerogativa del giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto per omesso esame di fatto decisivo e controverso ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”
I beni destinati ad un uso limitato ad alcuni dei condomini devono essere gestiti e manutenuti esclusivamente da questi (fattispecie relativa alla delibera dell’assemblea condominiale che, con riferimento al cancello del cortile, era stata assunta ammettendo alla votazione i soli condomini comproprietari di quell’area).
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 dicembre 2015 – 2 marzo 2016, n. 4127 Presidente Mazzacane – Relatore Falabella
Paga e vota chi è proprietario dei beni: un cortile destinato a servire solo alcuni dei condomini non cessa di essere bene condominiale ma le decisioni e le relative spese competono solo a chi lo utilizza. La sentenza offre una chiara e schematica disamina della disciplina del condominio parziale, del regime di accessorietà e delle ragioni che conducono ad applicare ad una fattispecie simile il regime del condominio e non quello della comunione. Il fatto: “Con ricorso ex art. 1137 c.c. depositato avanti al Tribunale di Salerno, S.A.M. , nella qualità di proprietaria di appartamento facente parte del fabbricato ubicato in (OMISSIS) , impugnava la delibera condominiale assunta dall’assemblea in data 13 maggio 2002 con la quale, nell’approvare il bilancio consuntivo dell’anno 2000-2001 e quello preventivo dell’anno 2001-2002, erano stati inclusi tra i costi di gestione condominiali anche quelli inerenti alla manutenzione di un cancello di accesso ad un cortile posto in adiacenza al fabbricato condominiale, il quale era distinto rispetto ad esso perché oggetto di una comunione tra la stessa istante e taluni soltanto dei componenti del suddetto Condominio. Chiedeva quindi che, previo accertamento della proprietà, in capo ad essa istante, di una quota del cortile, fosse annullata la delibera sopra indicata assunta dal Condominio. Quest’ultimo si costituiva in giudizio e contestava le deduzioni attoree, rilevando come la costituzione di un condominio fosse compatibile con una comunione parziale laddove taluni beni fossero utilizzati per la loro struttura funzionale da un gruppo ristretto di condomini ed evidenziando, altresì, che la delibera impugnata aveva rettamente ripartito le spese di manutenzione del cancello tra i sei comproprietari dell’area di cortile, e non tra tutti i condomini “
Il Tribunale di Salerno ha dato torto alla ricorrente, e così la corte di Appello, ma costei ha proseguito per sentirsi dare torto anche in CAssazione. Afferma infatti la Suprema Corte: “il cortile condominiale è definito dall’art. 1117, n. 1 c.c. bene di proprietà comune, in quanto dotato di una attitudine funzionale al servizio dello stabile condominiale nella sua interezza; la proprietà dello stesso in capo ad alcuni soltanto dei condomini implica che quell’area sia asservita non già all’edificio nel suo complesso, ma alle sole porzioni nella proprietà esclusiva dei soggetti che hanno la comproprietà del cortile. Pertanto, il fatto che un bene, rientrante tra quelli di cui all’art. 1117, appartenga solo ad alcuni condomini non modifica, nella sua essenza, la relazione funzionale tra il bene, che è pur sempre destinato ad un uso collettivo (ancorché limitato) e le singole unità immobiliari oggetto di proprietà esclusiva: in tal caso, infatti, deve presumersi che la proprietà comune serva quelle individuali, né più né meno come il bene condominiale serve le proprietà di tutti i condomini. Come si è detto, un cortile assoggettato alla parte dell’immobile che comprende le porzioni in proprietà esclusiva di un numero limitato di condomini è, in base alla previsione dell’art. 1123, 3 co. c.c., un bene soggetto al regime del condominio parziale. Il profilo funzionale che lega il bene ad alcune soltanto delle proprietà individuali non vale, dunque, a sottrarre lo stesso al regime di contitolarità proprio del condominio, anche se in questo caso opera una diversa modulazione dell’ambito soggettivo di quella contitolarità” Interessante la chiusura sul condominio parziale: “Trova quindi giustificazione, con riferimento alla fattispecie in esame, la delibera dell’assemblea condominiale che, con riferimento al cancello del cortile, è stata assunta ammettendo alla votazione i soli condomini comproprietari di quell’area. Infatti il condominio parziale opera proprio sul piano della semplificazione dei rapporti gestori interni alla collettività condominiale, per permettere che, quando all’ordine del giorno dell’assemblea vi siano argomenti che interessino la comunione di determinati beni o servizi limitati soltanto ad alcuni condomini, il quorum, tanto costitutivo quanto deliberativo, debba essere calcolato con esclusivo riferimento alle unità immobiliari e ai condomini direttamente interessati (Cass. 17 febbraio 2012, n. 2363). Il ricorso è dunque respinto”