La Cassazione ( Cass.Civ. sez.II ord. 5 febbraio 2019 n. 3310) conferma un orientamento consolidato in tema di beni comuni ex art 1117 cod.civ.: l’oggettiva attitudine del bene a fornire utilità comune e in assenza di titolo contrario è idonea a far ritenere sussiste la condominiali del bene, senza la necessità per il condominio di adempiere ai ferrei principi probatori in tema di rivendica.
“la Corte territoriale ha – con motivazione logica ed ampiamente esaustiva – accertato come la ricorrente non abbia provato l’esistenza di alcun titolo dal quale desumere la proprietà esclusiva del sottotetto dedotto in controversia, ponendo in risalto come tale bene era, invero, risultato di fatto strutturalmente destinato ad un servizio o ad un’utilità comune per la collettività condominiale di cui fanno parte i controricorrenti quali condomini.
A tal proposito lo stesso giudice di appello ha supportato tale ricostruzione ponendo in luce come dagli stessi atti di trasferimento dei singoli appartamenti fosse emersa la rilevante circostanza in base alla quale era rimasto garantito in favore degli acquirenti il diritto alla proporzionale quota di proprietà degli enti e degli spazi comuni dell’immobile, tra i quali il conteso sottotetto, che, infatti, era stato – sul piano fattuale – in concreto utilizzato dai condomini in virtù della consegna delle relative chiavi avvenuta all’atto della stipula dei vari atti di vendita dei singoli appartamenti proprio da parte della ricorrente (che, del resto, non ha contestato tale circostanza, peraltro realizzatasi fin dal 1970: cfr. pag. 8 dell’impugnata sentenza).
Decidendo in tal senso la Corte milanese di è conformata all’univoca giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 3862/1998; cass. n. 15372/2000 e, da ultimo Cass. n. 20593/2018), alla stregua della quale, in tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova (onere, nel caso di specie, non assolto dalla ricorrente), senza che, peraltro, a tal fine sia sufficiente l’allegazione del suo titolo di acquisto ove lo stesso non contenga in modo chiaro ed inequivocabile elementi idonei ad escludere la condominialità del bene.
Il giudice di secondo grado ha anche spiegato adeguatamente l’ininfluenza a fini probatori del regolamento condominiale e delle cc.dd. schede alloggi, poiché tali documenti non potevano sortire alcuna rilevanza sul piano degli effetti traslativi di immobili. In particolare, la Corte territoriale ha attestato che dalle schede alloggi risultavano solo delle aree circoscritte con due zone quadrangolari, come tali assolutamente inidonee ad assumere la valenza di un documento comprovante l’emergenza di un titolo autonomo e separato di proprietà; allo stesso modo il giudice di appello ha ritenuto l’irrilevanza a questo scopo del regolamento condominiale in cui sono, in linea essenziale, riportate le tabelle millesimali necessarie per la ripartizione delle spese condominiali tra i singoli condomini.”
Il lastrico solare, in quanto destinato a copertura dell’edificio, costituisce uno dei beni funzionalmente destinati all’uso comune e che pertanto si devono ritenere condominiali ai sensi dell’art. 1117 cod.civ.
E’ la stessa norma che prevede tale presunzione di condominialità per i beni ivi elencati (in via esemplificativa e non tassativa), salvo che il contrario risulti dal titolo.
Il costruttore del fabbricato condominiale dovrà dunque provare di aver riservato a sè, negli atti di vendita ai condomini, la proprietà esclusiva del lastrico, essendo unicamente tale presupposto a fondare la titolarità esclusiva del bene che – in difetto – deve ritenersi comune.
A tal fine sono irrilevanti sia gli interventi di modificazione compiuti dal costruttore sul bene sia il fatto che i condomini che ne rivendicano la proprietà comune non abbiano accesso diretto alla copertura.
Si tratta di principi noti e consolidati, che la Cassazione ha anche di recente ribadito nella
Ai sensi dell’art. 1117 c.c., il sottosuolo, da intendersi quale zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiaria che è alla base dell’edificio, va considerato di proprietà condominiale. Non è permesso, pertanto, ad alcun condòmino appropriarsi del bene in questione (come nella specie, eseguendo uno scavo) privandone gli altri condòmini di pari possibilità, anche solo teorica, di utilizzo.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 febbraio – 30 marzo 2016, n. 6154 Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa
Una sentenza ineccepibile, a firma di un relatore noto e illustre a cui vanno i nostri migliori auguri di buon lavoro quale giudice di legittimità: la chiarezza e nettezza della motivazione merita di riportarla senza commenti ulteriori, poiché delinea con grande nitidezza sia il fatto che il diritto: “Dall’esame del regolamento di condominio e dalla destinazione funzionale del terreno in oggetto, posto in rapporto di strumentalità col fabbricato principale, la Corte di Milano ha ricavato, “ad colorandam possessionem”, l’inclusione dello stesso fra le parti comuni dell’edificio ex art. 1117 c.c., così accertando che le denunciate utilizzazioni da parte della società R.G. & c. eccedessero i limiti segnati dalle concorrenti facoltà dei condomini compossessori. In base all’art. 1117 c.c., infatti, l’estensione della proprietà condominiale ad un immobile, quale quello oggetto di lite, che appare come corpo di fabbrica separato rispetto all’edificio in cui ha sede il condominio, può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del condominio stesso (avendo la Corte di merito inteso come tale il regolamento di condominio richiamato nell’atto di acquisto dei danti causa di Locat S.p.a.), qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente (articoli 1 e 2 del citato Regolamento). D’altro canto, la norma regolamentare che ricomprende nella proprietà comune “il terreno sul quale sorgono gli edifici” appare mera riproduzione della regola attributiva dell’art. 1117 c.c., la quale abbraccia pure “il suolo su cui sorge l’edificio”. Oggetto di proprietà comune, agli effetti dell’art. 1117 c.c., è non solo la superficie a livello del piano di campagna, bensì tutta quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l’intero fabbricato e dunque immediatamente pure la parte sottostante di esso. Il termine “suolo”, adoperato dall’art. 1117 citato, assume, invero, un significato diverso e più ampio di quello supposto dall’art. 840 c.c., dove esso indica soltanto la superficie esposta all’aria. Piuttosto, l’art. 1117 c.c., letto sistematicamente con l’art. 840 dello stesso codice, implica che il sottosuolo, costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiaria che è alla base dell’edificio (seppure non menzionato espressamente dall’elencazione esemplificativa fatta dalla prima di tali disposizioni), va considerato di proprietà condominiale in mancanza di un titolo, che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini. Pertanto, nessun condomino può, senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, procedere all’escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, in quanto, attraendo la cosa comune nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, verrebbe a ledere il diritto di proprietà degli altri partecipanti su una parte comune dell’edificio, privandoli dell’uso e del godimento ad essa pertinenti (Cass. 13 luglio 2011, n. 15383; Cass. 2 marzo 2010, n. 4965; Cass. 24 ottobre 2006, n. 22835; Cass. 27 luglio 2006, n. 17141; Cass. 9 marzo 2006, n. 5085; Cass. 28 aprile 2004, n. 8119; Cass. 18 marzo 1996, n. 2295; Cass. 23 dicembre 1994, n. 11138; Cass. 11 novembre 1986, n. 6587). La condotta del condomino che, senza il consenso degli altri partecipanti, proceda a scavi in profondità del sottosuolo, acquisendone la proprietà, finirebbe, in pratica, con l’attrarre la cosa comune nell’ambito della disponibilità esclusiva di quello. Sicché, avendosi nella specie riguardo all’utilizzazione del sottosuolo di un fabbricato compreso nel condominio, la configurabilità di uno spoglio denunciabile con azione di reintegrazione dall’amministratore condominiale, al fine di conseguire il recupero del godimento della cosa, sottratto illecitamente, postula il riscontro di una situazione di compossesso del sottosuolo medesimo, qui desunta dalla destinazione funzionale del bene (la Corte di Milano afferma in proposito di aver accertato un “rapporto imprescindibile di strumentalità con il fabbricato principale”), oltre che, “ad colorandam possessionem”, dalla sua verificata inclusione fra le parti comuni dell’edificio, nonché il riscontro ulteriore che l’indicata utilizzazione ecceda, appunto, i limiti segnati dalle concorrenti facoltà del compossessore (cfr. Cass. 4 dicembre 1974, n. 3965; Cass. 28 gennaio 1985, n. 432; Cass. 16 dicembre 2004, n. 23453). Del resto, la prova dell’animus spoliandi può essere desunta, per via di logica astrazione, dallo stesso comportamento dell’agente, e tale consapevolezza di mutare lo stato di fatto preesistente contro la volontà del Condominio, secondo l’incensurabile valutazione del giudice di merito, sarebbe stata implicita nella “situazione di fatto dei luoghi”. Merita riportare anche la statuizione sul ricorso incidentale proposto da uno dei convenuti, poiché interesserà marginalmente l’amministratore ma assai profondamente il suo difensore: “Va altresì rigettato il ricorso incidentale proposto da Unicredit Leasing s.p.a., la quale deduce il proprio difetto di legittimazione passiva, in quanto semplice concedente del bene in locazione finanziaria all’utilizzatrice R.G. & c. s.a.s. Certamente l’art. 1168 c.c. configura la legittimazione passiva all’azione di reintegrazione secondo uno schema di tipo personale, sicché la domanda è esperibile contro l’autore dello spoglio. Vi sono, tuttavia, fattispecie in cui il provvedimento di reintegrazione va eseguito nella sfera possessoria o proprietaria di un soggetto estraneo all’episodio lesivo, ma vincolato al bene da un unico ed inscindibile rapporto giuridico. Sicché, quando l’attuazione della richiesta tutela possessoria imponga la rimozione dello stato di fatto abusivamente creato, con l’abbattimento di opere appartenenti in proprietà anche a terzi non presenti in giudizio, sussiste la necessità di integrare nei loro confronti il contraddittorio; altrimenti, la sentenza resa nei confronti soltanto dell’autore dello spoglio, e non anche del proprietario dell’opera, sarebbe “inutiliter data”, giacché la demolizione della cosa pregiudizievole inciderebbe sulla sua stessa esistenza e necessariamente quindi sulla proprietà di quel terzo pretermesso, a nulla rilevando, in contrario, che costui possa poi fare opposizione all’esecuzione nelle forme previste dall’art. 615 c.p.c. (Cass. 20 gennaio 2010, n. 921). Ora, poiché nell’operazione di leasing finanziario, quale quella che si assume intervenuta tra la concedente Locat S.p.a. e l’utilizzatrice R.G. & c. s.a.s., la proprietà del bene rimane in capo al concedente, attribuendosi lo stesso all’utilizzatore in forma di detenzione autonoma qualificata fino al momento dell’eventuale esercizio della facoltà di riscatto, sussiste la necessaria legittimazione passiva del medesimo concedente nell’azione di reintegrazione proposta da un terzo, qualora il ripristino della situazione anteriore allo spoglio debba avvenire con la demolizione di un’opera concernente il bene dato in godimento.”