E’ quanto riafferma la Suprema Corte (Cass.civ. sez. VI-2 ord. 8 giugno 2020 10850 rel. Scarpa) richiamando orientamenti consolidati: laddove uno o più condomini installino un impianto di ascensore successivamente alla costruzione del fabbricato, quel bene sfugge alla presunzione di condominialità prevista dall’art.. 1117 c.c. e sarà onere di chi – successivamente – intende rivendicarne la (com)proprietà dar prova che l’intervento fu effettuato con il consenso suo o dei suoi danti causa.
“Le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata circa la ripartizione dell’onere probatorio sono perciò errate, sia quanto al funzionamento della “presunzione di condominialità”, sia quanto alle conseguenze tratte dalla mancata dimostrazione di un “asserito diritto di proprietà esclusiva” ad opera della convenuta Università degli Studi di Sassari.
La decisione della Corte d’appello di Sassari, come visto, ha affermato la condominialità dell’ascensore alla stregua dell’art. 1117 c.c., nonché della prova conseguita dell’utilizzo dell’ascensore al servizio altresì della unità immobiliare in proprietà Promozione Professionale s.r.l.
In tal modo, i giudici di secondo grado hanno risolto la questione di diritto affrontata senza tener conto del consolidato orientamento interpretativo di questa Corte. Si è infatti più volte affermato che l’installazione “ex novo” di un ascensore in un edificio in condominio (le cui spese, a differenza di quelle relative alla manutenzione e ricostruzione dell’ascensore già esistente, vanno ripartite non ai sensi dell’art. 1124 c.c., ma secondo l’art. 1123 c.c., ossia proporzionalmente al valore della proprietà di ciascun condomino: Cass. Sez. 2, 25/03/2004, n. 5975; Cass. Sez. 2, 17/02/2005, n. 3264) costituisce innovazione, che può essere deliberata dall’assemblea condominiale con le maggioranze prescritte dall’art 1136 c.c., oppure direttamente realizzata con il consenso di tutti i condomini, così divenendo l’impianto di proprietà comune.
Trattandosi, tuttavia, di impianto suscettibile di utilizzazione separata, proprio quando l’innovazione, e cioè la modificazione materiale della cosa comune conseguente alla realizzazione dell’ascensore, non sia stata approvata in assemblea (come si desume dallo stesso art. 1121 c.c., che, al comma 2, parla di maggioranza dei condomini che abbia “deliberata o accettata” l’innovazione), essa può essere attuata anche a cura e spese di uno o di taluni condomini soltanto (con i limiti di cui all’art. 1102 c.c.), salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera (Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20713; Cass. Sez. 2, 18/08/1993, n. 8746; Cass. Sez. 2, 18/11/1971, n. 3314; Cass. Sez. 2, 13/03/1963, n. 614).
A differenza di quanto supposto nella impugnata sentenza della Corte d’Appello di Sassari, dunque, “l’ascensore, installato nell’edificio dopo la costruzione di quest’ultimo per iniziativa di parte dei condomini, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli di loro che l’abbiano impiantato a loro spese. Ciò dà luogo nel condominio ad una particolare comunione parziale dei proprietari dell’ascensore, analoga alla situazione avuta a mente dall’art. 1123, comma 3, c.c., comunione che è distinta dal condominio stesso, fino a quando tutti i condomini non abbiano deciso di parteciparvi. L’art. 1121, comma 3, c.c. fa, infatti, salva agli altri condomini la facoltà di partecipare successivamente all’innovazione, divenendo partecipi della comproprietà dell’opera, con l’obbligo di pagarne pro quota le spese impiegate per l’esecuzione, aggiornate al valore attuale” (così Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20713).
Se l’art. 1117, n. 3, c.c., come sottolinea la Corte di Sassari, ricomprende gli ascensori fra gli oggetti della proprietà comune, è anche da considerare che la presunzione legale di comunione di talune parti dell’edificio condominiale, stabilita dall’art. 1117 c.c., si basa sulla loro destinazione all’uso ed al godimento comune, e deve risultare da elementi obiettivi, cioè dalla attitudine funzionale della parte di cui trattasi al servizio od al godimento collettivo.
Tale necessaria relazione strumentale tra la singola parte (nella specie, l’impianto di ascensore) e l’uso comune deve comunque sussistere sin dal momento della nascita del condominio, restando escluso che sia determinante il collegamento materiale tra le res, se eseguito successivamente.
In tal senso, ove dimostrato che l’impianto di ascensore sia stato realizzato per iniziativa ed a spese solo di uno o di alcuni condomini dopo la costituzione del condominio, trova applicazione il regime presupposto dall’art. 1121 c.c., e non assume rilievo giuridicamente determinante la circostanza che il bene sia stato poi di fatto utilizzato anche a servizio delle unità immobiliari di proprietà di quei condomini che non avevano inizialmente inteso trarre vantaggio dall’innovazione. Neppure rileva quanto dedotto dalla controricorrente circa l’esistenza dell’ascensore – installato, si assume nel medesimo controricorso, intorno al 1960 – al momento del subentro nelle rispettive proprietà ad opera delle parti in lite (risalente al 1996/1997 per l’Università degli Studi di Sassari ed al 1986 per la Promozione Professionale s.r.l.).
La mera circostanza che i successivi titoli d’acquisto delle singole unità immobiliari non contengano alcuna espressa menzione delle vicende delle parti altrimenti sorrette dalla presunzione posta dall’art. 1117 c.c., non comporta che essi possano validamente includere pro quota il diritto di comproprietà di beni originariamente sottratti alla presunzione e rientranti perciò nella proprietà esclusiva di uno o più condomini. Poiché, dunque, è l’attrice Promozione Professionale s.r.l. onerata di dar prova di un valido titolo di comproprietà del bene danneggiato, essa potrà anche avvalersi della presunzione ex art. 1117 c.c., ove però abbia dimostrato che l’ascensore destinato all’uso comune fosse già esistente al momento della nascita del condominio, ovvero che l’impianto, benché installato successivamente alla costruzione dell’edificio, fosse stato comunque realizzato con il consenso della medesima condomina Promozione Professionale s.r.l. o del suo dante causa.”
Una bambina cade nel vano di corsa di un ascensore condominiale e riporta lesioni gravissime. La causa di risarcimento viene promossa contro il condominio, sebbene quell’ascensore serva solo una delle quattro scale che lo compongono: l’intero condominio viene condannato a pagare un risarcimento di diverse centinaia di migliaia di euro.
L’Amministratore del condominio ha resistito in giudizio senza mai dar conto della situazione di parzialità, sicché la condanna viene emessa nei confronti del condominio B. in persona dell’amministratore pro tempore.
I condomini che fanno parte delle altre scale, non servite dall’impianto e che dunque non ne sono proprietari, propongono opposizione di terzo, ritenendosi tali rispetto alla pronuncia.
La vicenda approda in Cassazione, con esiti che meritano lettura.
Da un lato si richiama ancora una volta il concetto di ente di gestione, già assai criticato dalle sezioni unite 9148/2008, mentre dall’altro si suggerisce una rilevanza anche esterna della norma di cui all’art. 1123 III comma cod.civ., che tuttavia doveva essere fatta valere dai condomini non proprietari dell’impianto – secondo il giudice di legittimità – tramite intervento nel giudizio e con gli ordinari mezzi di impugnazione: i condomini estranei al condominio parziale dell’ascensore non sono comunque terzi rispetto al Condominio unitariamente inteso, ma sono semplicemente soggetti che – eventualmente – non sono tenuti a quella spesa.
Cass.Civ. II sez. 21 febbraio 2017 n. 4436 rel. Giusti: “Rileva il collegio che, per costante giurisprudenza, la legittimazione ad impugnare la sentenza con l’opposizione di terzo ordinaria (art. 404 I comma c.p.c.) presuppone in capo all’opponente la titolarità di un diritto autonomo, la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata fra altre parti (Cass. 6179/2009, CAss. 8888/2010). Va inoltre ribadito che il giudicato formatosi all’esito di un processo in cui sia stato parte l’amministratore di un condominio, fa stato anche nei confronti dei singoli condomini, pure se non intervenuti in giudizio, atteso che il condominio è ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini (Cass. 12343/2002, 12911/2012).
Deve pertanto essere esclusa in capo ai condomini istanti la legittimazione all’opposizione ordinaria ex articolo 404 c.p.c., non essendo essi terzi rispetto alla situazione giuridica affermata con la sentenza passata in giudicato, la quale ha riconosciuto la responsabilità del condominio di via X al pagamento in favore di Y delle somme ad essa a dovute a titolo di risarcimento dei danni per le gravissime lesioni subite per essere precipitata nel vano di cosa dell’ascensore condominiale”
I condomini opponenti sono parti originarie rispetto alla lite conclusa con la sentenza impugnata con l’opposizione di terzo (cass. 10717/2011): infatti è stato citato in giudizio il condominio nella sua interezza ed unitarietà e si è costituito il relativo amministratore senza sollevare eccezioni in relazione alla carenza di legittimazione passiva di una parte dei condomini (i condomini appartenenti alle scale a, B e C), i quali non hanno ritenuto di intervenire in giudizio per eccepire la mancanza di ogni responsabilità a loro carico.
I condomini opponenti avrebbero dovuto intervenire nel giudizio in cui la difesa è stata assunta dall’amministratore o anche avvalersi, in via autonoma, dei mezzi di impugnazione dell’appello o del ricorso per cassazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore (cass. 10717/2011 cit, Cass. 16562/2015)”
Accade con frequenza che un immobile posto in un edificio complesso, ascrivibile alla fattispecie del c.d. supercondominio (oggi espressamente disciplinata dall’art. 1117 bis. cod.civ. ) e munito di più ingressi distinti da autonomi numeri civici, sia servito dalle scale che si dipartono sia dall’uno che dall’altro androne.
Le une servono un’ala dell’edificio e le altre la restante parte, tuttavia una specifica unità immobiliare si giova – per la sua conformazione – di entrambe e, poiché nel suo titolo di acquisto si specifica che su una delle scale ha “diritto di passo”, il titolare ritiene di essere esonerato dalle spese della scala su cui ritiene di transitare solo a titolo di servitù di passo.
Nel fabbricato, proprio per la sua complessità (e litigiosità), da tempo non si riescono ad approvare le tabelle millesimali e così le diverse spese – ivi comprese quelle per i lavori straordinari a detta scala – vengono ripartite, salvo conguaglio, in forza di una tabella provvisoria e mai approvata, che tuttavia attribuisce anche a quel condomino i millesimi scale su entrambi i manufatti.
Costui impugna le delibere, assumendone l’illiceità e chiedendo al Tribunale – oltre alla cassazione dei deliberati – che venga accertata che la proprietà della scala incriminata è da riconoscere solo in capo ai condomini del numero civico X , che in suo favore sussiste su tale scala unicamente di una servitù di passo, con conseguente esonero dalle spese e – in via subordinata – che vengano adottate in via giudiziale le tabelle millesimali che il condominio, nonostante diversi tentativi, non è mai riuscito ad approvare.
Il Tribunale di Massa, con sentenza parziale 5 dicembre 2016, si pronuncia sulle diverse domande, evidenziando diversi profili che possono risultare di interesse applicativo generale.
Il giudice di merito osserva che: “La domanda di parte attrice risulta fondata unicamente in ordine alla richiesta di determinazione dei millesimi in via definitiva e solo in tal senso dovrà e potrà essere accolta. Risultano invece infondate le domande dell’attrice relative all’accertamento sulla proprietà altrui della scala cui accede alla propria unità dalla via R. A. 13, sull’assunto che ella sarebbe proprietaria unicamente della scala a proprio esclusivo servizio che affaccia sul civico 7 sempre della via R.A., godendo sull’altro manufatto unicamente di servitù di passo nonché quelle conseguenti e relative alla impugnazione della delibera 18.7.2009. “
a) la titolarità delle scale, bene tendenzialmente comune.
Il Tribunale si sofferma preliminarmente sulla natura delle scale quale bene necessariamente comune, salvo diversa qualificazione del titolo o in base alla funzione eventualmente limitata ad alcuni condomini cui siano destinate, laddove la funzione principale e comune di mobilità e accesso all’interno del complesso edilizio sia assolta da altro manufatto.
“…non può non rilevarsi come il complesso edilizio denominato oggi Condominio C. debba essere ascritto al genus dei fabbricati edilizi complessi, disciplinati dall’art. 1117 bis cod.civ. (così come introdotto dalla legge 220/2012) fattispecie in precedenza delineata – con esiti pressoché coincidenti – dalla prevalente giurisprudenza. Si tratta indubbiamente di fabbricato dalle caratteristiche peculiari, con parti destinate a fornire utilità maggiore (o esclusiva) ad alcuni dei condomini, ma tale ultimo aspetto ove esistente e rilevante dovrà essere risolto nell’ambito dell’art. 1123 III comma cod.civ., senza che possa fungere da presupposto logico e necessario per affermare l’esistenza di condominii distinti. Risulta infatti che l’intero complesso immobiliare, per ciò intendendo l’intero involucro edilizio cui si accede dai civici 7 e 13 della via R.A., seppure articolato su più corpi di fabbrica e con coperture parzialmente autonome, non si distingua in unità edilizie funzionalmente autonome e separate dalle altre ma comporti una commistione delle strutture murarie principali, delle falde di copertura, degli ingressi e delle parti comuni che risultano, di volta in volta, destinate a fornire una utilità indistinta all’intero complesso, cui – in forza della norma sopra richiamata – devono ritenersi comuni per funzione ex art. 1117 nn. 1 e 3 cod.civ. , ove ciò già non risulti dal titolo. La stessa unità immobiliare della attrice risulta posizionata in maniera trasversale rispetto ai due civici contraddistinti dal 7 e dal 13, sicché può accedere da entrambi gli androni e fruire delle scale posizionate in ciascuno, così come – elemento che si rivela ulteriormente qualificante – si estende, seppure parzialmente, anche sotto la copertura della porzione di edificio riconducibile al civico 13 e servita dalla scala oggetto di contesa (poco importa se con verande o portici o stanze, rilevando a tal fine unicamente il perimetro della proprietà esclusiva servita dalle parti comuni). Tali elementi sarebbero sufficienti a considerare l’immobile un organismo edilizio complesso (c.d. supercondominio), che vede in comune – a mente del disposto di cui agli artt. 1117 e 1117 bis cod.civ. – le parti comuni necessarie alla sua stessa sussistenza. Non vi è dubbio che, fra queste, vi siano – per costante giurisprudenza – le scale, che non solo servono di accesso alle singole unità, ma sono ritenute elemento necessariamente comune negli edifici multipiano: “Le scale e i relativi pianerottoli, negli edifici in condominio, costituiscono strutture essenziali del fabbricato e rientrano, in assenza di una diversa disposizione, fra le parti comuni, anche se sono poste a servizio solo di alcuni proprietari dello stabile.” Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2016, n. 4664 Nel caso di specie non risultano titoli, anche alla luce di quanto si dirà in appresso, che attribuiscano le scale in proprietà specifica ad alcuni condomini, mentre esiste con ogni evidenza una destinazione funzionale delle scale oggetto di contesa ad accedere alla unità della attrice, nonchè al tetto che in parte la copre in quella porzione di fabbricato. Ad ulteriore connotazione della funzione collettiva dell’androne del civico 13 e delle scale che dallo stesso si dipartono, va osservato che diversi impianti funzionali all’unità della attrice trovano ivi allocazione. Non potrà dunque non ritenersi comune anche a detta unità sia l’androne che le scale che hanno accesso dal civico 13 di via R.A. e che svolgono funzione comune all’interno del Condominio C. complessivamente inteso.”
b) eventuali ipotesi di titolarità parziale
“Semmai, per quelle parti che risultino unicamente destinate a servire solo alcuni condomini, varrà l’esclusione in forza dell’art. 1123 III comma cod.civ. e della conseguente giurisprudenza che – in tal caso – ravvisa anche una proprietà limitata ai soli soggetti che se ne giovano: “Le scale danno accesso alle proprietà esclusive e per tale ragione sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, essendo necessarie all’uso comune. Le obiettive caratteristiche strutturali, per cui dette scale servono in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, ne fanno venire meno in questo caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.” Cassazione civile, sez. II, 19/04/2016, n. 7704 In sede di redazione delle tabelle il tecnico dovrà dunque valutare se dette scale, in quanto inidonee a rendere una funzione per taluni dei condomini (anche solo potenziale per l’accesso ad una porzione di tetto che li riguarda), debbano ritenersi di proprietà solo di alcuni, così come dovrà valutare – ai fini della caratura millesimale – l’effettiva entità della proprietà servita dalla parte comune (in ossequio ai principi stabiliti da Cass. 1451/2014). Si tratta tuttavia di principi che attengono alla effettiva imputazione della spesa ai singoli condomini relativamente a parti comunque comuni e non già di circostanze che si rivelino idonee ad incidere sulla titolarità delle stesse. Con la considerazione ulteriore che l’utilità deve essere valutata in senso ampio, astratto e potenziale, per quelle stesse ragioni che attribuiscono anche ai fondi che hanno accesso autonomo dalla strada le relative spese, seppure nella dimidiata misura di cui all’art. 1124 cod.civ. (Cass. n. 4419/2013; n. 15444/2007) Non vi è dubbio, dunque, che ai fini del giudizio, la scala per cui è controversia risulti con certezza rendere una funzione nei confronti della attrice e debba pertanto essere ritenuta comune anche a costei.
C) il rilievo del titolo, proprietà o servitù?
“A superare tale qualificazione non valgono i titoli addotti dalla A., in forza dei quali l’attrice assumerebbe di essere mera titolare di una servitù di passo e di dover essere dunque esonerata dalle relative spese. A tal proposito coglie nel segno la difesa della convenuta B., laddove ravvisa nell’atto notaio C. 1.7.1949 l’elemento costitutivo del Condominio C.. Con quella disposizione E.C.C., originaria unica proprietaria dell’intero complesso, cedeva per la prima volta ad un terzo – tal L. R. – una unità posta nel complesso immobiliare, creando così i presupposti per la nascita dell’edificio in condominio che sorge – senza necessità alcuna di atti costitutivi specifici o di regolamenti ad hoc – nel momento in cui almeno due unità immobiliari iniziano ad appartenere a soggetti diversi (Cass.Sez.II 19429/04). In tale atto non emerge alcuna volontà della E.C.C. né di costituire servitù a favore della proprietà a lei rimasta (e che successivamente alienerà – in parte – al dante causa della odierna attrice) né tantomeno appare desumibile in alcun modo la volontà di dar luogo a più condominii separati, come afferma l’A., apparendo il richiamo al civico di accesso meramente descrittivo della unità effettivamente ceduta. Non appare qualificante, in tal senso, neanche l’atto di vendita a C. – dante causa della odierna attrice e che acquista con atto notaio C.del 24.10.1953 – in cui il termine “diritto di passo” appare utilizzato in modo atecnico e meramente descrittivo, volto a qualificare unicamente la facoltà di accesso e uso dell’unità venduta anche dalla scala che diparte dal civico 13, che non a caso non è definita appartenete ad altro edificio ma semplicemente “secondaria”, ovvero intesa come manufatto appartenente al medesimo complesso immobiliare ma destinata, per funzione ed uso, a rendere utilità anche a quella specifica unità immobiliare compravenduta e, quindi, anche a lei comune, seppur in affiancamento ad altro accesso che si ritiene principale (rectius, personale).
D) la costituzione di servitù in condominio dopo la sua nascita
“Del resto alla possibilità di costituire servitù sulle parti comuni da parte di E. C. C., una volta che il Condominio aveva iniziato ad esistere con l’atto del 1949, osta la circostanza che l’imposizione di pesi reali su beni ormai comuni non è più consentita all’originario unico proprietario in assenza del consenso degli altri condomini (ovvero, nella fattispecie, del R.).
E) riparto provvisorio e approvazione delle tabelle
Alla riconosciuta proprietà comune della scala de quo, consegue l’infondatezza della impugnativa delle delibere azionata con la domanda principale, anche alla luce dei seguenti principi:
è sempre consentito al condominio disporre un riparto provvisorio delle spese, su base proporzionale, al fine di procedere alle necessarie opere di manutenzione
le tabelle millesimali e comunque i criteri di riparto provvisori non richiedono approvazione all’unanimità, laddove si ispirino a criteri proporzionali assimilabili al disposto di cui all’art. 1123 cod.civ. (o, nella fattispecie, di cui all’art. 1124 cod.civ. ) e possono essere approvai con la maggioranza prevista dall’art. 1136 II comma cod.civ. (Cass. SS.UU 18477/2010), nel caso ampiamente raggiunta.
tutte le delibere sono sempre state assunte in via provvisoria, in attesa di approvazione di tabella millesimale definitiva, ivi compresa quella del 27.5.2011 (come espressamente risulta dal relativo verbale), circostanza quest’ultima che rende priva di fondamento anche l’eccezione relativa a cessazione della materia del contendere sollevata dal convenuto condominio.
F) il titolare di servitù usa le scale gratis?
Non sarà inutile rilevare che, anche ove per ipotesi si fosse voluto riconoscere l’esistenza di servitù a favore della attrice, non muterebbero le conseguenze concrete in ordine alla imputazione delle spese, circostanza comunque dirimente in ordine alla legittimità delle delibere impugnate: a mente dell’art. 1069 III comma cod.civ. ove le opere giovino anche al fondo servente costui deve partecipare alle spese (App.-Genova 5.1.2011) ed è plausibile che nel caso peculiare la modalità dei rispettivi contributi debba e possa essere modulata sul disposto dell’art. 1124 cod.civ.
G) domande di accertamento di diritti reali e litisconsorzio
Sussisteva indubitabilmente legittimazione necessaria dei singoli condomini in ordine alla domanda di accertamento relativa a diritti reali sulle parti comuni, mentre sussiste pacificamente legittimazione autosufficiente del condominio per il giudizio relativo alla impugnativa.
H) la richiesta di adozione dei millesimi
Parimenti sussiste interesse del singolo condomino a veder adottata una tabella millesimale definitiva, volta al riparto delle spese in accordo con i principi codicistici (Trib. PAlermo, 22 marzo 2011).
il Giudizio è dunque destinato a proseguire: nella sentenza parziale il Tribunale “Dichiara che le scale di accesso del Condominio C., con accesso dal civico 13 della via R. A., costituiscono bene condominiale ex art. 1117 cod.civ. e sono comuni anche alla attrice C. A. respinge le domande relative alla impugnativa della delibera 18.7.2009 Dispone la remissione della causa in istruttoria e statuisce in ordine alla prosecuzione del giudizio relativo alla formazione delle tabelle millesimali come da separata ordinanza”
L’ISTITUTO DEL CONDOMINIO PARZIALE AFFRONTATO IN UNA RECENTISSIMA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE
Cassazione civile II sezione civile 17 giugno 2016 n. 12641
La seconda Sezione civile della Cassazione affronta il tema del condominio parziale con una sentenza il cui relatore è un noto ed illustre cultore della materia condominiale.
I FATTI: il titolare di un esercizio commerciale in Genova subisce danno dal crollo di un muro che fa parte del vicino caseggiato, composto dal tre distinti numeri civici e cita in giudizio il numero 13, assumendo che a tale porzione si riferisca il manufatto oggetto di danno. Si costituisce l’amministratore di tale numero civico unicamente per far valere il difetto di legittimazione passiva, affermando che il muro crollato è di pertinenza del civico 15.
I giudici di merito di primo e secondo grado (Tribunale e Corte di Appello di Genova) accolgono l’eccezione e respingono la domanda, così che il danneggiato ricorre in Cassazione.
Assai interessante appare già la ricostruzione dei fatti effettuata dal giudice di legittimità: “E’ pacifico che la domanda di risarcimento dei danni fosse stata portata da G. B. con la citazione del 26 giugno 2001 nei confronti del condominio di via B. I. n. 13″. L’attore esponeva che nell’edificio di tale condominio erano in corso lavori di ristrutturazione, nel corso dei quali si era verificato un crollo che aveva cagionato gravi danni all’esercizio commerciale da lui condotto. Era stato quindi proprio il B. a prospettare in domanda una legittimazione passiva del Condominio di via B. I. n. 13, agendo nei confronti dello stesso a titolo di responsabilità extracontrattuale quale custode e proprietario del muro crollato. Com’è stato autorevolmente chiarito da Cass. sez. un. 16 febbraio 2016, n. 2951, ai fini di valutare la sussistenza della legittimazione a contraddire, ciò che rileva è la prospettazione contenuta nella domanda, la quale individua un soggetto come titolare dell’obbligo o della diversa situazione soggettiva passiva dedotta in giudizio. La legittimazione passiva manca, allora, solo allorchè dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il dovere o l’obbligo azionato non appartiene al convenuto. Nel caso in esame, pertanto, impropriamente si è discusso di difetto di legittimazione passiva del Condominio di via B. I. 13. Questo era il reale destinatario della pretesa risarcitoria intentata dal B., e questo si era costituito davanti al Tribunale di Genova per eccepire che il muro crollato sul Bar S. di proprietà dell’attore appartenesse al vicino edificio ed a diverso condominio edilizio. 61. Il Condominio di via B. I. 13 aveva, quindi, disconosciuto, stricto sensu, non la propria legittimazione passiva quanto la riferibilità ad esso della titolarità della posizione soggettiva passiva dedotta in giudizio a sostegno della richiesta di danni. La relativa questione attiene, pertanto, al merito della causa e non alla legittimazione: ovvero, se il muro crollato nel corso dei lavori di ristrutturazione rientrasse tra i beni comuni ex art. 1117 e.e. appartenenti al Condominio di via B. I. 13. All’esito del giudizio di merito, Tribunale e Corte d’Appello hanno dato per accertato che la parte crollata sull’immobile del B. durante i lavori eseguiti dalla I.G.C. rientrasse nella proprietà del diverso Condominio di via B. I. 15, e quindi che la parte convenuta non fosse titolare dell’obbligo risarcitorio che l’attore aveva prospettato come suo”
La Corte rileva anche il mutamento della domanda avanzata dall’attore: “Mutando la sua iniziale strategia difensiva, l’attore aveva quindi dedotto che, in realtà, la citazione si dovesse intendere rivolta all’unico Condominio di via B. I. 13, 15 e 17, trattandosi di complesso edilizio unitario.”
Da tale ricostruzione la Corte trae una lunga, articolata e interessante ricostruzione del fenomeno “condominio parziale”, che attiene ad aspetti sostanziali e processuali e che trascendono il mero aspetto della ripartizione della spesa individuato dall’art. 1123 III comma cod.civ.: “E’ noto come il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all’art. 1117 cod.civ., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotati di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell’art. 1117 cod.civ., con la riserva “se il contrario non risulta dal titolo”. Anzi, la “condominialità” si reputa non di meno sussistente pur ove sia verificabile un insieme di edifici “indipendenti”, e cioè manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, ciò ricavandosi dagli artt. 61 e 62 disp. att. cod.civ. , che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui “un gruppo di edifici … si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi”, sempre che “restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell’articolo 1117 del codice”. Può, pertanto, ravvisarsi un autonomo condominio dei proprietari di uno o alcuni dei beni già comuni dell’originario intero edificio solo nel rispetto della disposizione eccezionale di cui all’art. 61 disp.att. cod.civ., la quale prevede la possibilità di scissione, in base a deliberazione assembleare adottata con la maggioranza ex art. 1136, comma 2, e.e., dell’unico condominio originario in più condomini, mediante atto ricognitivo postulante che le diverse parti del complesso edilizio presentino i connotati di strutture autonome e distinte. La natura eccezionale dell’art. 61 disp.att. cod.civ. discende dalla constatazione che essa deroga al principio secondo il quale la divisione può essere attuata solo con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione. E’ dunque agevole ipotizzare come possano esservi, nell’ambito dell’edificio condominiale, delle parti comuni, quali, ad esempio, il tetto, o l’area di sedime, o i muri maestri, o le scale, o l’ascensore, o il cortile, che risultino destinati al servizio o al godimento di una parte soltanto del fabbricato. Secondo la giurisprudenza, è in siffatte ipotesi automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale “ex lege”: tutte le volte, cioè, in cui un bene, come detto, risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell’edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass. 24 novembre 2010, n. 23851).
Mancano i presupposti per l’attribuzione, ex art. 1117 cod.civ., della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali, appaiano necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero siano destinati all’uso o al servizio non di tutto l’edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso. Di per sé, il condominio parziale non esige un fatto o atto costitutivo a sé, ma insorge ope legis, in presenza della condizione materiale o funzionale giuridicamente rilevante, finendo per coesistere nell’edificio con la più vasta organizzazione configurata dal condominio.
Può, tuttavia, ipotizzarsi pure un’apposita clausola del regolamento volta ad attribuire soltanto ad un gruppo di condomini la proprietà di un bene o di un impianto, ovvero ad accertarne la titolarità esclusiva in forza della destinazione oggettiva della cosa stessa, dando conto delle conseguenze gestionali di tale situazione di condominio parziale. Nessuna modifica relativa al regime delle cose comuni può, infatti, derivare da una delibera di istituzione di uno o più condomini parziali nell’ambito del fabbricato: la volontà della maggioranza assembleare non potrebbe validamente modificare le relazioni di comproprietà tra i singoli condomini e le parti comuni dell’edificio, néincidere sulla legittimazione dei partecipanti a decidere in ordine alla loro gestione.
Il fondamento normativo, che limita in tal senso la proprietà di cose, servizi ed impianti dell’edificio, si rinviene nell ‘ art. 1123, comma 3, cod.civ. Il primo comma dello stesso art. 1123 cod.civ. elabora il principio generale secondo cui l’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni si suddivide in proporzione alle quote di ciascuno; il terzo comma consente allora di aggiungere che l’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione ed il godimento grava, invece, soltanto su taluni condomini, come conseguenza della delimitazione della loro appartenenza. A tale parziale attribuzione della titolarità delle parti comuni corrispondono conseguenze di rilievo per quanto attiene alla gestione, nonché all’imputazione delle spese. Relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarità per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all’assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare. A carico dei medesimi condomini privi di contitolarità con riguardo a quel dato bene, neppure ovviamente si pone un problema di contribuire alle spese. (Cass. 17 febbraio 2012, n. 2363, peraltro, ha del tutto convincentemente negato una legittimazione processuale del condominio parziale, tale da poter sostituire il condominio dell’intero edificio, dichiarando inammissibile il ricorso proposto dal “Condominio della Scala D” avverso una sentenza pronunciata al culmine di un giudizio di merito del quale era stato in precedenza parte il Condominio globalmente inteso, e altresì specificando l ‘irrilevanza del fatto che l’amministratore del medesimo condominio parziale della singola scala fosse la stessa persona fisica investita di tale ufficio nel condominio dell’intero edificio). La negazione di un’ipotetica legittimazione e capacità processuale autonoma o sostitutiva del condominio parziale rispetto al condomino dell’intero edificio, ovvero della facoltà dello stesso di agire mediante un proprio distinto rappresentante a difesa dei diritti comuni inerenti alle parti oggetto della più limitata contitolarità di cui all’art. 1123, comma 3, cod.civ. , è corroborata dalla considerazione che i criteri di ripartizione delle spese necessarie per provvedere alla manutenzione delle parti comuni, stabiliti dagli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126 cod.civ., non possono mai influire sulla legittimazione del condominio nella sua interezza, né sulla rappresentanza del suo amministratore estesa a tutti i condomini.”
La premessa in diritto consente di risolvere il caso all’esame della Corte, che sottolinea come l’accertamento di merito sulla sussistenza o meno di un unico edificio o di più condominii contigui ma autonomi è accertamento di fato insindacabile – ove adeguatamente motivato – in sede di legittimità.:
“Ove, come egli assume, il muro crollato e causa del danno da risarcire costituisse bene necessario all’uso comune soltanto relativo ad uno degli edifici dell’unico Condominio di via B. I. contraddistinto coi numeri 13, 15 e 17, in situazione di condominio parziale, e quindi inserito in un più ampio complesso condominiale abbracciante i tre numeri civici, comunque la domanda risarcitoria sarebbe risultata inammissibilmente rivolta nei confronti di uno solo di tali edifici (quello numero 13), ovvero di un condominio parziale, contravvenendo a quanto dapprima evidenziato nel richiamo al principio affermato da Cass. 17 febbraio 2012, n. 2363. Peraltro, col dedursi appunto che il muro crollato, e dal quale era disceso il danno all’esercizio commerciale del B., appartenesse, in realtà, all’unico condominio complesso, costituito dai tre fabbricati nn. 13, 15 e 17 di via B. I., in quanto gruppo di edifici che, seppur indipendenti, avessero in comune alcuni dei beni di cui all’art. 1117 e.e., si suppone una valutazione in fatto, sottratta ·al giudizio di legittimità. Spetta, infatti, all’accertamento del giudice di merito, non sindacabile dalla Corte di Cassazione ove, come nella specie, congruamente motivato, verificare l’esistenza di un unico condominio nell’ipotesi di fabbricati adiacenti orizzontalmente, in quanto dotati di strutture portanti o impianti comuni tra quelli indicati dal citato art. 1117 cod.civ. La Corte d’Appello di Genova ha argomentato al riguardo che mancassero elementi per ricavarne che i tre civici potessero essere considerati un unico edificio, essendo essi, anzi, del tutto distinti, con ingressi autonomi, sicchè la domanda risarcitoria andava rivolta al Condominio del civico 15, benché fosse rappresentato dallo stesso amministratore del civico 13 erroneamente evocato in lite. Allorchè il ricorrente censura l’affermazione della sentenza della Corte d’Appello secondo cui si tratterebbe di tre edifici del tutto distinti, perché essa non avrebbe tenuto conto del fatto incontestato della “continuità tra i tre civici”, ciò non equivale alla denuncia di un vizio di motivazione su un punto decisivo, denunziabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., in quanto tale doglianza postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo, in modo che l’omissione venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico.”
Una sentenza interessante, che traccia – nell’anno 2016 – i contenuti ed i confini di un istituto peculiare quale il condominio parziale.
Nella seconda parte si esaminerà, con lo stesso criterio (l’evidenziazione dei passi cruciali del provvedimento), una pronuncia assai più risalente che rappresenta una pietra miliare nella disamina dello stesso istituto e che vede la firma – quale relatore – di Rafaele Corona (già presidente della Seconda Sezione della CAssazione), finissimo studioso del diritto condominiale.
Nella sentenza 7885/1994 si tracciano, con grande acutezza, non solo le linee del Condominio parziale, ma si giunge assai vicini all’essenza del diritto di condominio, un concetto che il legislatore ha disciplinato ma mai espresso.