il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone in condominio

 

L’art. 659 cod.pen. prevede che : “Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 309 euro”

La Suprema Corte ( Cass. pen. III sez. 15 dicembre 2016 n. 53102) ha delineato i limiti di applicabilità della norma in ambito condominiale, sia con riferimento alla natura del disturbo che con riguardo alla responsabilità del genitore  che non impedisca al figlio di arrecare quel disturbo, tenendo lo stereo troppo alto.

Quanto alla possibilità che il reato sussista in ambito condominiale, la corte afferma che non è sufficiente che il rumore interessi solo le unità contigue:  Affinché sussista la contravvenzione in oggetto relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei a recare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni  non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti medesimo edificio

Nel caso di specie il rumore si percepiva ben oltre l’ambito condominiale: “La sentenza impugnata ha chiaramente e analiticamente riportato elementi di prova dai quali doveva ritenersi che i rumori fossero stati percepiti ben al di là addirittura dell’ambito condominiale, in particolare richiamando le deposizioni dei testi, entrambi appartenenti alla polizia municipale, secondo cui la musica ad alto  volume si percepiva già ad 80 m di distanza dal condominio… Il fatto che sono due persone avessero ritenuto di denunciare il fatto non poteva evidentemente incidere sulla sussistenza del reato”

Assai interessante si rivela invece il passaggio sulla colpa attribuita al padre e sul concetto di posizione di garanzia, spesso richiamato in giurisprudenza anche per fondare la colpa per responsabilità omissiva dell’amministratore: ” aldilà dell’improprio richiamo effettuato per sostenere la responsabilità dell’imputato, agli obblighi discendenti dalla sua qualità di proprietario ed abitante dell’immobile dal quale i rumori si diffondevano, posto che il danno non è stato, nella specie, come correttamente rilevato del ricorrente, prodotto dall’immobile in sé (come richiesto dall’articolo 2051 codice civile) ma dagli apparecchi di riproduzione musicale attivati dal figlio, la sentenza ha posto in evidenza la posizione di garanzia data dall’esercizio della potestà genitoriale sul figlio minore autore, come appena detto, delle propagazioni rumorose”

A tal proposito rileva la Suprema corte che “Tale fonte di responsabilità è stata correttamente evocata dei giudici di merito. L’articolo 40 comma due codice penale prevede che “non impedire un evento che sia l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo” e non può esservi dubbio che fra gli obblighi giuridici richiamati da tale norma debba ricomprendersi anche quello discendente dalla responsabilità genitoriale nei confronti dei figli minori, essendo i genitori responsabili del danno cagionato da fatto illecito dei figli minori secondo quanto previsto dall’articolo 2048 codice civile”

“Va infatti chiarito come da tale disposizione discenda un obbligo  di sorveglianza che, senza escludere la concorrente responsabilità del minore ultraquattordicenne e  capace di intendere di volere, non può non radicare una responsabilità anche del genitore in tutti casi in cui un tale obbligo sia rimasto inadempiuto, solo che restando salva la possibilità, espressamente consentita dal comma tre dell’articolo 2048 citato, di provare di non aver potuto impedire il fatto”

© massimo ginesi 16 dicembre 2016

se il regolamento vieta l’esercizio rumoroso…

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Una clausola del regolamento condominiale contrattuale vieta di destinare gli appartamenti ad attività rumorose:  il condominio adotta una delibera con cui viene fatto divieto ad uno dei condomini di destinare una delle unità ad asilo nido e costui ricorre al giudice per sentirne dichiarare l’illegittimità.

In primo grado viene espletata CTU che rileva come la rumorosità proveniente dall’asilo nido, quantomeno per due delle altre unità del condominio, risulti superiore alla normale tollerabilità, tenuto conto anche dei parametri normativi in materia.

L’attività di asilo nido viene dunque ritenuta contraria alla clausola regolamentare, non già per definizione ma accertata la sua concreta rumorosità.

Sia in primo grado che in appello la pronuncia è favorevole al Condominio.

L. vicenda giunge in Cassazione che, nel pronunciarsi sul ricorso, detta  alcuni importanti principi, anche e soprattutto sui limiti del giudizio di legittimità, troppo spesso dimenticati.

Cass. Civ. II sezione 6 dicembre 2016 n. 24958 ricorda preliminarmente “L’insegnamento secondo cui l’interpretazione del  contratto e degli atti di autonomia privata – e, dunque, pur, siccome nel caso di specie, di un regolamento condominiale contrattuale -costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità  soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione

 “Si rappresenta in particolare che la corte di merito ha correttamente, ovvero in pieno ossequio al canone esegetico letterale, ancorato il riscontro cui poi ha concretamente atteso, alla previsione del regolamento ove, aldilà delle attività oggetto di esplicita e puntuale menzione, è tout court,  senza, ben vero, precisazione alcuna, fatto divieto di destinare  gli appartamenti ad esercizi    rumorosi (l’art. 3 del regolamento recita che è fatto divieto di destinare gli appartamenti ad uso di qualsiasi industria esercizi rumorosi, sì che il concetto di rumoroso va delineando in relazione al suo concreto  espletamento).”…

Sottolinea la Corte che “Nè la censura ex n. 3)  né la censura ex n. 5)  del primo comma dell’articolo 360 c.p.c.  possono risolversi una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera  contrapposizione di una differente interpretazione”

Non può così essere più censurata in cassazione l’interpretazione che della clausola regolamentare hanno dato i giudici di merito, ritenendo vietata l’attività ove rechi disturbo solo ad alcuni condomini e non all’intero fabbricato: “L’assunto della ricorrente secondo cui la corte distrettuale  avrebbe omesso di considerare il chiaro dettato letterale dell’articolo 3 del regolamento condominiale, nella parte in cui individua nella tranquillità dell’intero fabbricato il limite superato il quale le attività non tipizzate (qual è quella di asilo nido) possono ritenersi vietate poiché (nel caso di specie) rumorose, non puoi in alcun  modo essere recepito”

“Si rappresenta conseguentemente che il  preteso vizio di motivazione, sotto il profilo dell’omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente  dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia,  prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esiste insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Nei termini teste enunciati l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed  esaustivo sul piano logico formale”

Insomma l’asilo faceva un rumore concretamente superiore alla normale tollerabilità, accertato mediante CTU e non solo in base alla valutazione astratta della attività, il giudice di primo e quello di secondo grado hanno ampiamente e correttamente motivato la loro decisione, l’interpretazione della clausola regolamentare espressa dal giudice di merito non deve essere la migliore ma solo una di quelle astrattamente possibili e – soprattutto – ove sussistano tutti questi parametri, il ricorso in cassazione avrà con ogni probabilità esito infausto.

© massimo ginesi 8 dicembre 2016

L’amministratore deve essere un professionista, il suo giudice non più

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“ la lingua italiana – scriveva Flaiano – non è adatta alla protesta, alla rivolta, alla discussione dei valori e delle responsabilità, è una lingua buona per fare le domande in carta da bollo, ricordi d’infanzia, inchieste sul sesso degli angeli e buona, questo sì, per leccare. Lecca, lecca, buona lingua italiana infaticabile fai il tuo lavoro per il partito o per i buoni sentimenti “

In realtà il paradosso di Flajano era il frutto dell’amara delusione e disillusione di fronte ad un paese, non ad un linguaggio, che ha sempre omesso di considerare il bene del gruppo, preferendo quello dei pochi, ammantandolo di parole fuorvianti.

Oggi il legislatore, con quella stessa lingua, ci dice da un lato che l’amministratore deve essere un professionista serio, preparato, rigoroso, soggetto a ben precise caratteristiche di affidabilità personale e sociale (basti vedere i numerosi requisiti previsti dall’art. 71 bis disp.att. cod.civ.), che risponde a parametri di deontologia, trasparenza e correttezza verso il suo utente consumatore, secondo un modello che – seppure non strutturato in ordini o collegi – è in tutto e per tutto rapportato dalla L. 4/2013 alle caratteristiche delle professioni ordinistiche.

Last but not least, il D.M. 140/2014, come norma attuativa dell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., prevede che l’amministratore deve essere un professionista soggetto a formazione continua e, cosa ancor più singolare, sottoposto obbligatoriamente ad una valutazione annuale, cosa che forse è richiesta oggi solo ai piloti da combattimento e a poche altre professioni.

Tutto ciò, seppure con qualche auspicabile correzione e qualche rigidezza in meno, è stato salutato come il dovuto riconoscimento – trascorsi settanta anni dalla entrata in vigore del codice civile – ad una figura che occupa un ruolo tecnico, complesso, sfaccettato e che richiede competenze eterogenee e non comuni  che vanno dal diritto alla contabilità, alla fiscalità, alla sicurezza sul lavoro. L’amministratore di condominio non deve essere né un avvocato, né un ingegnere né un commercialista ma deve essere un professionista di grande preparazione che – come i medici condotti di una volta – sia in grado di percepire celermente la natura di un problema e di indirizzare il paziente dallo specialista più adatto.

Ciò richiede, indubbiamente, una seria preparazione e un costante aggiornamento, che deve abbinarsi ad una provata affidabilità, ritenuta imprescindibile in un soggetto che – nell’adempimento del proprio dovere professionale – è chiamato anche a gestire ingenti quantità di denaro dei suoi amministrati.

Insomma negli anni dal 2012 al 2014 il legislatore ci ha detto che, finalmente, l’amministratore non era più quel quisque de populo che emergeva dal silenzio del codice del 1942 ma doveva diventare un professionista di grande competenza e attendibilità, in quanto chiamato ad operare in un settore di fra i più complessi e rilevanti nel contesto socioeconomico, ovvero la multiforme realtà degli edifici in condominio; una realtà che rappresenta un laboratorio sperimentale ove si mescolano i profili più delicati del diritto (dai diritti reali alle obbligazioni plurisoggettive, con i relativi articolati processuali) insieme a quelli tecnici degli impianti, degli edifici, della contabilità e della normativa fiscale e tributaria fino alla gestione dei gruppi; un breve sguardo alle materie di aggiornamento obbligatorio previste dall’art. 5 del DM 140/2014 fa impallidire i programmi di diversi corsi universitari: “I corsi di formazione e di aggiornamento contengono moduli didattici attinenti le materie di interesse dell’amministratore, quali:a) l’amministrazione condominiale, con particolare riguardo ai compiti ed ai poteri dell’amministratore; b) la sicurezza degli edifici, con particolare riguardo ai requisiti di staticita’ e di risparmio energetico, ai sistemi di riscaldamento e di condizionamento, agli impianti idrici, elettrici ed agli ascensori e montacarichi, alla verifica della manutenzione delle parti comuni degli edifici ed alla prevenzione incendi; c) le problematiche in tema di spazi comuni, regolamenti condominiali, ripartizione dei costi in relazione alle tabelle millesimali; d) i diritti reali, con particolare riguardo al condominio degli edifici ed alla proprieta’ edilizia; e) la normativa urbanistica, con particolare riguardo ai regolamenti edilizi, alla legislazione speciale delle zone territoriali di interesse per l’esercizio della professione ed alle disposizioni sulle barriere architettoniche; f) i contratti, in particolare quello d’appalto ed il contratto di lavoro subordinato; g) le tecniche di risoluzione dei conflitti; h) l’utilizzo degli strumenti informatici; i) la contabilita’.”

A fronte della conclamata complessità della materia, che il legislatore ha ritenuto motivo essenziale per riqualificare (opportunamente) il ruolo e la figura professionale dell’amministratore di condominio, è stata di recente approvata la Legge, 28/04/2016 n° 57, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29/04/2016, che  delega al Governo la riforma della magistratura onoraria.
Già è singolare che una legge che tocca un settore tanto delicato sia delegata all’esecutivo e non sottoposta ad un serio ed approfondito confronto parlamentare. Peraltro il disegno di legge, oltre ad intervenire in maniera assolutamente discutibile – precarizzandola definitivamente – su una figura che da vent’anni regge un bel pezzo del carico dei Tribunali facendo appello spesso solo alla propria buona volontà – unifica Giudici Onorari di Tribunale e Giudici di Pace in un unico ibrido definito Magistrato Onorario di Pace e introduce una sconcertante previsione: “Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera p), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi,:…“attribuendo alla competenza dell’ufficio del giudice di pace:a) le cause e i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio degli edifici”.

Oggi quella materia che è stata definita di tale complessità da richiedere a chi la pratica quotidianamente come attività professionale parametri stringenti e di grande livello, viene in blocco attribuita alla cognizione di un giudice che la stessa legge definisce come figura minore, transitoria e di mero complemento, destinata a rimanere in servizio un quadriennio (prorogabile una sola volta) e con obbligo di dedicarsi contemporaneamente ad altra professione che gli assicuri da vivere,  con un tetto massimo di tempo settimanale da dediciare allo svolgimento della attività giurisdizionale.

L’intera cognizione sulla materia del Condominio sarà dunque affidata in primo grado ad non professionista, un soggetto che lo stesso legislatore relega a figura minore della giurisdizione.

Tutte le controversie in tema di nomina e revoca dell’amministratore diventeranno di competenza del magistrato onorario che – non dedicandosi professionalmente, perché la legge glielo impedisce – a tale attività le guarderà come e quando potrà; stessa sorte attende le impugnative delle delibere condominiali, qualche che sia il loro valore.

Con l’ulteriore problematica che, essendo la materia cautelare sottratta al magistrato onorario, della eventuale sospensiva della efficacia delle delibere si dovrà forse andare a discutere dinanzi al Tribunale, con inutile duplicazione di fasi e costi.

Con la stessa lingua di Flaiano il legislatore ci ha detto che la materia del Condominio è materia assai tecnica e complessa, e di ciò non ne dubitiamo, essendo diversi i grandi giuristi che hanno dedicato a quel tema molte delle loro energie (da Salis a Corona), dall’altra ci sta per dire che, tuttavia, le liti che scaturiscono da quella materia così complessa è bene che le decida un giudice onorario, precario e non professionista.

Contro tale stranissima visione si è già levata alta la voce di diverse associazioni di amministratori e anche di personalità del mondo dell’avvocatura come Maurizio de Tilla, presidente dell’Associazione Nazionale Avvocati Italiani nonché prolifico e attento studioso della materia del Condominio.

Non resta che confidare nei decreti governativi, che comunque dovranno attenersi ai parametri dettati dalla delega e quindi non potranno certo mutarne l’impianto.

alcuni fra i primi approfondimenti

altalex – r. amoroso, riforma della magistratura onoraria: più ombre che luci

altalex – g. buffone, Magistratura onoraria: tutte le novità della riforma

© massimo ginesi 26 luglio 2016 

rottura impianto fognario: il condominio non è responsabile esclusivo ma paga per intero

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una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. Civ. III sez.  7 luglio 2016 n. 13945) fa il punto sugli obblighi di risarcimento derivanti da un impianto fognario  in ordine al quale devono identificarsi più soggetti tenuti ad intervenire, fra i quali il Condominio.

Un condomino agisce in giudizio per vedersi riconosicuto il danno derivante da rigurgito della fognatura comunale; il Comune eccepisce che parte della responsabilità deve essere riconosciuta anche al Condominio che non ha installato una valvola antirigurgito e che è comunque tenuto a  rispondere del tratto privato sino alla immissione nella condotta pubblica.

Le parti richiamano erroneamente il fatto colposo del creditore e chiedono che la Corte valuti tale apporto ai sensi dell’art. 1227 cod.civ.

Osserva correttamente la Corte che l’inquadramento giuridico prospettato dalle parti è erroneo: “La sentenza impugnata, correggendo sul punto la decisione del Tribunale, ha ritenuto che la questione relativa alla mancata adozione del sistema antirigurgito da parte del condominio fosse stata tardivamente proposta dal Comune, in quanto sollevata per la prima volta in sede di replica ai sensi dell’articolo 184 del codice di rito, ed ha percio’ ritenuto inammissibile quel motivo di appello. Roma Capitale non contesta il profilo della tardivita’, ma censura tale decisione osservando che la questione doveva essere esaminata anche d’ufficio ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1″

“Osserva in proposito il Collegio che – a prescindere dal profilo formale della tardivita’ o meno dell’eccezione – la decisione della Corte d’appello resiste comunque alla censura in esame. Ed infatti questa Corte ha gia’ affermato, con un orientamento al quale va data oggi continuita’, che gli impianti fognari, da chiunque realizzati, una volta inseriti nel sistema delle fognature comunali, rientrano nella sfera di controllo dell’ente pubblico che, come custode, risponde, ai sensi dell’articolo 2051 cod. civ., dei danni causalmente collegati alla cosa, salva la prova del fortuito; il concorrente apporto causale di un terzo, rilevante soltanto in sede di eventuale regresso, in base ai principi della responsabilita’ solidale, non vale a diminuire la responsabilita’ del custode nei confronti del danneggiato, salvo che non integri il fortuito (sentenza 19 marzo 2009, n. 6665). In quella pronuncia si e’ anche stabilito che in tema di responsabilita’ extracontrattuale, se il danno subito da un condomino e’ causalmente imputabile al concorso del condominio e di un terzo, al condomino che abbia agito chiedendo l’integrale risarcimento dei danni solo nei confronti del terzo, il risarcimento non puo’ essere diminuito in ragione del concorrente apporto causale colposo imputabile al condominio, applicandosi in tal caso non l’articolo 1227 c.c., comma 1, ma l’articolo 2055 c.c., comma 1, che prevede la responsabilita’ solidale degli autori del danno“.

“In altre parole, la responsabilita’ di Roma Capitale non puo’ essere diminuita, rispetto al condomino danneggiato (cioe’ l’odierna parte controricorrente), neppure ipotizzando un concorso di colpa del condominio, perche’ la mancata presenza di un sistema antirigurgito potra’, semmai, avere rilievo in un eventuale giudizio di regresso promosso da Roma Capitale nei confronti del condominio, ma non in questa sede.”

Quindi il danneggiato ben può richiedere l’intero importo del danno ad uno dei due soggetti, mentre  la misura del concreto  apporto colposo di ciascuno dei danneggianti potrà avere rilievo solo nella successiva causa fra costoro volta a determinare quanto effettivamente competa a ciascuno della somma pagata al terzo danneggiato, nei confronti del quale rispondono solidalmente ai sensi dell’art. 2055 cod.civ.

Così che il terzo danneggiato, ove qualche condomino non sia solerte nel versamento della propria quota parte di risarcimento, non sarà neanche tenuto ad azionare il meccanismo della preventiva escussione previsto dall’art. 63 disp. att. cod.civ., atteso che l’obbligazione extracontarttuale sfugge a tale previsione (come affermato sin da Cass. SS.UU. 9148/2008).

© massimo ginesi 25 luglio 2016

detrazioni fiscali per interventi sull’impianto termico

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chiarimenti forniti da Enea a specifico quesito relativo  alla documentazione necessaria e ai benefici ottenibili a seconda della tipologia di impianto termico presente in condominio:

“Nel caso di interventi su condomini o comunque su edifici con più unità immobiliari, occorre distinguere i diversi casi che si possono presentare. 1) Nel caso di interventi che NON COMPORTANO LA SOSTITUZIONE DI IMPIANTOTERMICO: a) in parti comuni del condominio: -se l’impianto termico è centralizzato occorre predisporre un unico allegato “A” e un allegato “E” del decreto attuativo per l’intero edificio. La richiesta di detrazione può essere inoltrata dall’amministratore o da un tecnico abilitato indicando il numero di unità abitative oggetto dell’intervento ed il costo complessivamente sostenuto; -se gli impianti sono autonomi consigliamo invece di predisporre un allegato “A” e un allegato E per unità immobiliare; in particolare, nell’allegato E da predisporre per ciascuna unità immobiliare si considererà la quota parte di intervento sia in termini dimensionali, sia in termini di spesa, sia in termini di risparmio energetico applicando i millesimi relativi all’intervento sostenuto. b) sul singolo appartamento: -se l’impianto termico esistente è centralizzato, consigliamo di predisporre un allegato “A” facendo riferimento, per l’involucro edilizio, al singolo appartamento e, per l’impianto di riscaldamento, a quello centralizzato; inoltre va predisposto l’allegato “E” per il singolo appartamento; -se l’impianto è autonomo, occorre predisporre gli allegati “A” e “E” per il singolo appartamento. 2) Nel caso di interventi (terminati dopo il 15/08/09) che COMPORTANO LA SOSTITUZIONE DI IMPIANTO TERMICO CON ALTRO NON A BIOMASSA (per il quale caso specifico si rimanda alla faq 27): -se l’impianto termico è centralizzato, occorre predisporre unicamente l’Allegato E riferito all’intero edificio. La richiesta di detrazione può essere inoltrata anche dall’amministratore o da un condomino qualsiasi, specificando che la richiesta viene fatta anche a nome di altri, indicando il numero di unità abitative oggetto dell’intervento ed il costo complessivamente sostenuto; -se gli impianti sono autonomi, occorre predisporre un Allegato E per singolo appartamento. 3) Nel caso di interventi ai sensi del comma 344: a) se l’impianto termico è CENTRALIZZATO occorre predisporre un unico Allegato “A” e un Allegato “E” per l’intero edificio; b) se gli impianti sono AUTONOMI consigliamo di predisporre un Allegato “A” e un Allegato “E” per unità immobiliare. Per quanto riguarda il valore dell’Indice di Prestazione Energetica per l’intero edificio che deve essere minore di quello limite riportato nelle tabelle 3 e 4 dell’Allegato “A” al Decreto 11 Marzo 2008 e s.m.i., riteniamo che questo debba essere calcolato come media di tutti gli indici delle varie unità immobiliari pesati sulla singola superficie o volumetria.”

qui le altre risposte di ENEA alle domande più frequenti (FAQ) in tema di energia.

© massimo ginesi 21 luglio 2016

ACQUA – diritti e regole in condominio – mc editore

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L’acqua, un bene primario che sottende interessi di rilievo costituzionale ed esigenze primarie dell’individuo.

La sua gestione, e i possibili accadimenti patologici che la riguardano, in contesto condominiale sono l’oggetto di questa interessante pubblicazione, appena edita, a firma del dr. Manunta, Presidente di Sezione del Tribunale di Milano, con un contributo di Eugenio Antonio Correale, noto e finissimo studioso di diritto condominiale.

Da leggere

© massimo ginesi 20 luglio 2016

le mille sigle delle associazioni di amministratori di condominio…

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interessante articolo di Francesco Schena oggi sul sole24ore, che descrive una realtà  in continuo divenire  e che coglie senza giri di parole uno degli aspetti del fenomeno:

“in realtà, l’attuale polverizzazione è dovuta, almeno principalmente, non ad una spontanea crescita di nuove realtà associative grazie all’impegno di giovani professionisti, bensì ad un vera e propria epidemia scissionistica. Infatti, molte sigle sono “costole” di altre, nate per dissapori e contrasti interni tra i gruppi dirigenti. Questo fenomeno denota l’incapacità di risolvere conflitti e fare gruppo, a favore di una più facile propensione a creare spaccature”

© massimo ginesi 19 luglio 2016

il giudice può ridurre la penale quando diventa vessatoria o usuraria

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lo ha stabilito la Cassazione con sentenza 13902/2016.

Il caso riguarda un contratto d’appalto per lavori straordinari in condominio, nel quale le parti avevano stabilito una clausola penale che prevedeva il versamento di € 19,22 dalla data della domanda al saldo effettivo.

Il risultato concreto della applicazione secca di tale previsione contrattuale finiva per comportare un esborso per il condominio di oltre 33 mila euro, decisamente sproporzionato rispetto alla prestazione pattuita e assolutamente squilibrato rispetto ai concreti interessi delle parti e alla funzione stessa della clausola.

La suprema Corte ha dunque ritenuto che il Giudice – in applicazione dell’art. 1384 cod.civ. –  debba e possa introdurre correttivi che consentano di bilanciare i contrapposti interessi delle parti, adeguando la prestazione alla lesione effettivamente subita dalla parte adempiente  ed evitando effetti che, in concreto, travalicano il limite dell’usura. Per tali ragioni si deve considerare: “il riferimento all’interesse del creditore contenuto nella norma e considerato che la possibilità della riduzione ad una misura equa trova la sua ragion d’essere nell’interesse del debitore inadempiente, consente di identificare quel criterio nell’equo contemperamento degli interessi contrapposti, che assicuri, cioè, il posizionamento del soggetto adempiente sulla curva di indifferenza più vicina a quella su cui si sarebbe co0llocato qualora il contratto fosse stato adempiuto… D’altra parte, tenuto conto che dal nuovo e moderno sistema contrattuale, quale viene sempre più emergendo, anche dalla normativa europea, corollario di un liberismo che al contempo è anche solidaristico, emerge una maggiore attenzione per la giustizia contrattuale, cioè per un contratto che non presenti né uno squilibrio strutturale, né e soprattutto uno squilibrio tra prestazioni o di contenuto, appare ragionevole che anche la clausola penale debba essere espressione di un corretto equilibrio degli interessi contrattuali contrapposti”

© massimo ginesi 14 luglio 2016

 

quando la firma dell’amministratore nella procura alle liti è illeggibile

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la causidicità delle parti nei processi italiani non ha spesso limiti né confini…

L’amministratore del Condominio firma la procura al difensore e appone il proprio segno grafico che risulta non leggibile, il difensore sbaglia nell’indicare correttamente le sue generalità nel corpo dell’atto (sostituisce una R con una S) e la controparte recepisce la nullità della procura.

Peraltro il condomino che eccepisce il vizio conosce perfettamente il nome del suo amministratore e lo ha reiteratamente citato nel proprio atto (!).

Afferma la Cassazione (Cassazione civile, sez. II, 14/04/2016,  n. 7406) che  si tratta di nullità relativa che la parte, a fronte della eccezione sollevata dall’avversario, può sanare alla prima udienza utile:

“Preliminarmente deve rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione di nullità della procura speciale del ricorrente, sollevata dall’intimata in considerazione della divergenza esistente tra il cognome dell’amministratore del condominio riportato nell’intestazione del ricorso ( M.) e quello invece rilevabile dal corpo della procura speciale ( M.), aggiungendosi da parte della P., al fine di corroborare la proposta eccezione, che la corretta individuazione delle generalità dell’amministratore non sarebbe nemmeno evincibile dalla firma in calce alla procura, trattandosi di sottoscrizione illeggibile.
Rileva il Collegio che trattasi all’evidenza di un mero lapsus calami e che, come si ricava dalla stessa lettura del controricorso, le corrette generalità dell’amministratore del condominio erano ben note alla stessa attrice, atteso che nel controricorso, nel riepilogare il contenuto del materiale istruttorio raccolto nel corso del giudizio di primo grado, si fa menzione delle dichiarazioni rese da tal M.F., espressamente qualificato come amministratore del condominio convenuto.
E’ evidente pertanto che non sussisteva alcun dubbio, anche in considerazione delle pregresse conoscenze acquisite dalla parte nel corso del giudizio, in ordine a quale fosse la corretta identità di colui che aveva sottoscritto la procura in qualità di amministratore del condominio.
In ogni caso, appaiono applicabili alla fattispecie i principi desumibili dall’intervento delle Sezioni Unite con la sentenza del 7/3/2005 n. 4810, nella quale si è affermato che l’illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell’atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante, non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d’autografia resa dal difensore, ovvero dal testo di quell’atto, ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall’indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese. In assenza di tali condizioni, ed inoltre nei casi in cui non si menzioni alcuna funzione o carica specifica, allegandosi genericamente la qualità di legale rappresentante, si determina nullità relativa, che la controparte può opporre con la prima difesa, a norma dell’art. 157 c.p.c., facendo così carico alla parte istante d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’amore della firma illeggibile; ove difetti, sia inadeguata o sia tardiva detta integrazione, si verifica invalidità della procura cd inammissibilità dell’atto cui accede.
Da tali affermazioni, e seppur con specifico riferimento al condominio, qualificabile, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, quale mero ente di gestione, appare possibile affermare la regola secondo cui ove emergano delle contraddittorie indicazioni in ordine alle esatte generalità del sottoscrittore della procura, contraddittorietà non risolvibile mediante il riscontro con la firma, per l’incomprensibilità dei segni grafici utilizzati, a fronte della specifica eccezione sollevata dalla controparte, è data la possibilità nella prima difesa di poter chiarire quale sia l’effettivo nominativo del rappresentante. Nella vicenda in esame il Condominio, nel controricorso al ricorso incidentale ha chiarito che il cognome dell’amministratore era ” M.”, provvedendo in tal modo a sanare la nullità denunziata dalla P., e risultando pertanto superfluo anche il rilascio di una nuova procura a ratifica del precedente operato del difensore del condominio.”

© massimo ginesi 11 luglio 2016 

il mancato esperimento della mediazione travolge anche il decreto ingiuntivo

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Lo afferma il Tribunale di Grosseto con una sentenza recentissima (7 giugno 2016).

Il Tribunale toscano osserva che il D.lgs. 28/2010 prevede che il procedimento monitorio, anche per le materie in cui l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità, sia  svincolato dall’obbligo iniziale di integrare detta condizione.

In ambito condominiale, le esigenze di celerità e di corretta amministrazione che costituiscono la ratio dell’art. 63 disp.att. cod.civ., consentono di ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (e così l’ingiunto potrà proporre opposizione) senza alcun obbligo preventivo di mediazione, almeno sino alla fase di decisione cautelare sulla sospensione o meno della provvisoria esecutorietà.

Esaurita la fase preliminare ed emanati in sede di opposizione i provvedimenti sulla eventuale sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, la controversia assume una naturale connotazione di procedimento di merito sulla pretesa creditoria avanzata dal condominio che, pur assumendo nel giudizio di opposizione  veste formale di convenuto, rimane l’attore sostanziale del procedimento (ovvero colui che aziona la pretesa creditoria).

L’opponente potrebbe a sua volta, in quella sede, avanzare domande ulteriori che assumono natura riconvenzionale, pur avendo a sua volta veste formale di attore (in opposizione).

L’onere di proporre la mediazione, esaurite le fasi preliminari, incombe dunque all’attore sostanziale e, laddove abbia proposto domanda riconvenzionale, anche all’ingiunto che propone opposizione.

Ove nessuno dei due si attivi, afferma il Tribunale toscano, il giudice dovrà dichiarare l’improcedibilità della domanda (statuizione che chiude il procedimento, ma non incide sull’azione che può essere successivamente  proposta con nuova domanda) e tale sanzione dovrà travolgere sia il giudizio di opposizione che il provvedimento monitorio.

La tesi non è pacifica in giurisprudenza e ha visto, anche di recente, orientamenti opposti ( Tribunale Vasto )

© massimo ginesi 7 luglio 2016