risponde di appropriazione indebita aggravata l’amministratore che scappa con la cassa.

 

Cass. pen. sez. II 11/05/2018,  n. 21011 ripercorre i profili di rilevanza penale della condotta dell’amministratore che si appropria di somme dei condomini.

Oggetto di ricorso è la sentenza con la quale “  la Corte di Appello di Milano il 3/4/2017 ha confermato il giudizio di penale responsabilità espresso dal Tribunale di Monza il 22/6/2016, all’esito di giudizio abbreviato, nei confronti dello stesso C. in ordine a dodici ipotesi di appropriazioni indebite continuate ed aggravate commesse ai danni di condomini dei quali era amministratore, con la conseguente condanna alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 1100,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese processuali in favore delle costituite parti civili.”

sul momento di consumazione del reato e la relativa prescrizione: “il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione (Sez. 2, n. 17901 del 10/04/2014, Rv. 259715; Sez. 5, n. 1670 del 08/07/2014, Rv. 261731).

Alla luce di tali principi, ancor prima che il C. si rendesse irreperibile, deve ritenersi evidente che lo stesso si è appropriato delle somme dei diversi condomini amministrati ogni anno, quando era tenuto a rendere il conto della gestione ed a restituire le somme detenute per conto di ogni condominio, ed ometteva invece tale restituzione con la volontà di far proprie le somme dovute.

Conseguentemente, giacchè in virtù dei diversi atti interruttivi deve considerarsi il termine massimo della prescrizione, determinato in anni sette e mesi sei di reclusione dal combinato disposto degli artt. 157 e 161 c.p.p., va riconosciuta l’estinzione per prescrizione dei fatti di appropriazione indebita antecedenti al 6/8/2010.”

quanto alla gravità della condotta: “La sentenza impugnata, infatti, ha adeguatamente valorizzato, sia per negare le invocate attenuanti generiche che, più in generale, per la determinazione del trattamento sanzionatorio, significativi indici di gravità dei fatti, sotto il profilo soggettivo che oggettivo,n trattandosi di fatti commessi arrecando danni, in molti casi anche rilevanti, ad una pluralità di Condomini ed abusando dell’attività professionale in favore degli stessi.

La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata, pertanto, da motivazione esente da manifesta illogicità, che è conseguentemente insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244), così come è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142).”

va rilevato infine che l’art. 10  D.Lgs. 10 aprile 2018 n. 36 ha abrogato il terzo comma dell’art. 646 cod.pen., di talchè oggi l’appropriazione indebita diviene reato perseguibile a querela anche nelle forme aggravate.

© massimo ginesi 5 giugno 2018

 

quando l’amministratore di condominio delinque: appropriazione indebita e truffa

Una recente sentenza della Cassazione (Cassazione penale, sez. II, 21/04/2017,  n. 25444) offre l’occasione per valutare le responsabilità penali che conseguono a condotte, meno che irreprensibili, tenute dall’amministratore di condominio nel maneggio del denaro che i condomini gli affidano per la gestione delle cose comuni.

Ad una gestione spregiudicata possono conseguire  diverse fattispecie di reato: il caso giunto all’esame della suprema corte vede un amministratore di condominio che, da un lato, pone a carico dei condomini spese per attività mai svolte e, dall’altro, trattiene per sé la cassa al momento del passaggio delle consegne.

Il soggetto è condannato in primo e secondo grado ” Con sentenza in data 5 aprile 2016 la Corte di Appello di Brescia ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo del 16 febbraio 2015 con cui T.A. era stato ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 646 (per essersi appropriato, quale amministratore di un condominio, di somme versate dai condomini per spese di gestione dell’immobile) e 640 c.p. (per aver indotto i condomini in errore circa l’entità delle spese di gestione da sostenere ed essersi così fatto versare dagli stessi somme non dovute) ed era stato conseguentemente condannato alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni subiti dal condominio costituitosi parte civile.”

Il disinvolto amministratore propone ricorso per cassazione con due fantasiosi motivi: da un canto sostiene che non sussisterebbe l’appropriazione indebita poiché “non vi era prova di come le somme fossero uscite dalla disponibilità condominiale, di quando l’ammanco si fosse verificato in epoca antecedente il 30 aprile 2007 e di dove i denari fossero finiti, ha sostenuto che il semplice uso del denaro, ancorché momentaneo, non integrava l’interversione del possesso, sottolineando poi che non era l’imputato a dover giustificare la destinazione delle somme mancanti ma l’accusa a dover provare gli elementi costitutivi del reato”; dall’altro afferma che non sarebbe neanche integrato il reato di truffa atteso che “la corte territoriale non aveva verificato il ricorrere degli elementi costitutivi del delitto di truffa, controllando quali attività inesistenti erano state retribuite o quali importi non dovuti o eccessivi erano stati corrisposti”.

La corte di legittimità è netta nelle sue valutazioni a sfavore del ricorrente ed osserva che: “La corte territoriale ha constatato che per gli anni di gestione del condominio 2007 – 2009, affidati all’odierno ricorrente quale amministratore dopo una precedente gestione assolutamente lineare, il saldo attivo del conto comune sarebbe dovuto essere pari a Euro 29.544,96 mentre in realtà non vi era alcuna disponibilità di cassa e ha conseguentemente ritenuto integrato il reato di appropriazione indebita in ragione del fatto che l’imputato, al subentro del nuovo amministratore, trattenne per sé le somme di pertinenza condominiale.”

Il non restituire la cassa è ipotesi paradigmatica del reato di cui all’art. 646 cod.pen.: “Una simile valutazione è del tutto conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui il delitto di appropriazione indebita è integrato dalla interversione del possesso, che si manifesta quando l’autore si comporti uti dominus non restituendo il bene di cui ha avuto la disponibilità senza giustificazione, così da evidenziare in maniera incontrovertibile anche l’elemento soggettivo del reato (Sez. 2, n. 25288 del 31/05/2016 – dep. 17/06/2016, Trovato, Rv. 26711401). Non si presta poi a censure la valutazione operata dalla Corte d’Appello della congerie istruttoria disponibile, in quanto l’imputato che neghi la sussistenza della condotta ascrittagli ha l’onere di provare o allegare non un fatto negativo, consistente nel mancato accadimento di quanto gli è addebitato, e segnatamente nella mancata appropriazione, ma specifiche circostanze positive contrarie a quelle provate dalla pubblica accusa dalle quali possa desumersi che il fatto in contestazione non è avvenuto (Sez. 2, n. 7484 del 21/01/2014 – dep. 17/02/2014, P.G., P.C. in proc. Baroni, Rv. 25924501; nello stesso senso Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013 – dep. 10/05/2013, Weng e altro, Rv. 25591601).”

Con riguardo alla appropriazione indebita nel corso di un rapporto gestorio continuato, la corte precisa che “nel caso in cui l’agente abbia la disponibilità di denaro altrui in virtù dello svolgimento di un incarico gestorio il reato di appropriazione indebita è integrato dall’interversione del possesso, che si manifesta quando l’autore si comporta uti dominus non restituendo senza giustificazione le somme detenute, che non ha più ragione di trattenere, in modo da evidenziare in maniera incontrovertibile anche l’elemento soggettivo del reato”.

Quanto alla truffa, le tesi dell’imputato non hanno miglior sorte: “la Corte d’ Appello di Brescia ha riscontrato che i condomini avevano consegnato all’imputato, nella sua veste di amministratore, la complessiva somma di Euro 13.335,84 a fronte di spese inesistenti o ingiustificate o comunque non seguite dalle azioni promesse; la Corte ha poi spiegato che gli artifici e raggiri erano consistiti nella richiesta di pagamenti falsamente giustificati relativi a prestazioni fasulle che avevano comportato un’ induzione in errore dei condomini, i quali avevano versato somme non dovute che erano state incamerate dall’imputato senza alcun titolo. In questo modo la corte territoriale, una volta preso atto che l’imputato non aveva in alcun modo assolto l’onere di allegazione che su di lui incombeva di fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che fossero idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore, ha puntualmente dato conto del ricorrere degli elementi costitutivi del reato di truffa in contestazione.”

Di interesse è la motivazione della Corte circa il momento consumativo della truffa, nell’ipotesi di contratto gestorio svolto dall’amministratore: “il perfezionamento della truffa è legato al verificarsi del danno patrimoniale per la vittima e dell’ingiusto profitto per l’agente (dato che è necessario che il profitto dell’azione truffaldina entri nella sfera giuridica di disponibilità dell’agente, non essendo sufficiente che esso sia fuoriuscito da quella del soggetto passivo; Sez. 5, n. 14905 del 29/01/2009 – dep. 06/04/2009, Coppola e altro, Rv. 24360801) e si verifica nel momento in cui queste evenienze vengano entrambe a esistenza o, in caso di mancata contestualità, in coincidenza con l’avverarsi dell’ultima componente.
Dunque la truffa contrattuale è reato istantaneo e di danno la cui consumazione coincide con la perdita definitiva del bene in cui si sostanzia il danno del raggirato e il conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente (Sez. 2, n. 20025 del 13/04/2011 – dep. 20/05/2011, Pg in proc. Monti e altri, Rv. 25035801).
Nel caso di specie l’imputato ha preteso il pagamento di compensi per prestazioni professionali fasulle, condotta a cui hanno fatto seguito l’addebito al condominio degli importi fatturati descritti nel capo d’imputazione e l’incasso da parte dell’amministratore o di parenti dell’imputato dei compensi non dovutiIl perfezionamento del reato deve perciò ritenersi avvenuto nel momento in cui l’indebito esborso e il correlato ingiusto profitto si verificarono, a prescindere dalla sua constatazione da parte dell’amministratore, e dunque nei tempi indicati nel capo d’ imputazione (negli anni 2007 e 2008).

A questo amministratore il giudice di merito ha anche contestato la recidiva infraquinquennale reiterata (ovvero la commissione di più reati nell’arco di un quinquennio da chi è già recidivo), poiché “il T. annovera due precedenti per omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, conseguenti a due decreti penali divenuti esecutivi rispettivamente il 26.6.2008 e il 30.7.2010, e una condanna per appropriazione indebita divenuta irrevocabile il 2.10.2014.”

La corte esclude che possa essere contestata con tali modalità la recidiva, per ragioni legate al tempo di perfezionamento dei reati e al passaggio in giudicato delle diverse condanne “Ora, posto che perché possa configurarsi la recidiva occorre che il nuovo reato sia commesso dopo che la precedente condanna sia divenuta irrevocabile e tenuto conto di quanto in precedenza precisato in merito ai momenti consumativi dei reati ascritti all’imputato, la recidiva infraquinquennale è stata correttamente contestata rispetto al reato di appropriazione indebita, perfezionatosi, come detto, nel giugno 2009 al momento del subentro del nuovo amministratore, poiché a quella data il primo decreto penale era divenuto esecutivo (non assumendo rilievo ai fini della contestazione della recidiva il condono disposto, come ha chiarito Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015 – dep. 04/08/2015, P.G in proc. Agostino e altri, Rv. 26462901).
Diverse considerazioni devono essere fatte rispetto al reato di truffa, che si è perfezionato nei tempi indicati nel capo d’imputazione (e più precisamente nei momenti in cui vennero emesse le fatture fra l’1.6.2007 e il 1.2.2008) e dunque in epoca precedente all’esecutività del primo decreto penale.
Deve quindi essere esclusa, rispetto al reato di cui al capo B), la recidiva contestata.”

Le vicende risalgono ad anni antecedenti l’entrata in vigore della L. 220/2012, oggi – alla luce dell’art. 71 bis disp.att. cod.civ. introdotto dalla novella –  questo amministratore non avrebbe potuto assumere l’incarico, atteso che la lettera b) della norma esclude coloro che  “sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni”.

© massimo ginesi 31 maggio 2017 

amministratore: l’appropriazione indebita si perfeziona con il prelievo

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La Suprema Corte (Cass. pen. II sez. 1 agosto 2016 n. 33547) delinea linee interpretative dell’art. 646 cod.pen. in campo condominiale che devono far riflettere chi si trova  a gestire patrimoni, anche significativi, riconducibili a centri di interesse diversi.

Con sentenza depositata il primo di agosto la Corte chiarisce che l’appropriazione si perfeziona non con la mancata restituzione ma con il  prelievo dal conto condominiale e che l’ingiusto profitto può concretizzarsi anche semplicemente nello spostamento delle somme ad un unico conto con il quale l’amministratore gestiva tutti i condomini, che presentava condizioni di miglior favore.

Un sentenza da leggere, per comprendere come prassi che oggi sono espressamente vietate dall’art. 1129 XII comma n. 4 cod.civ. e che in precedenza erano comunque considerate illecite sotto il profilo civilistico dalla giurisprudenza abbiano anche risvolti di natura penale da non sottovalutare.

© massimo ginesi 2 agosto 2016 

l’appropriazione indebita si perfeziona al passaggio delle consegne

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Se l’amministratore si appropria di somme del condominio può commettere il reato previsto dall’art. 646 cod.pen. Tuttavia il momento consumativo di tale fattispecie non si verifica, in caso di più atti di appropriazione (nel caso concreto l’amministratore si bonificava periodicamente somme dal conto del condominio al proprio conto personale), in occasione di ogni singola condotta ma quando quella condotta diviene irreversibile, manifestando l’agente un atto di signoria sul bene idoneo a far ritenere il provento  acquisito al patrimonio dell’agente.

La Cassazione penale , con una recente sentenza, ha chiarito che è solo al passaggio delle consegne al nuovo amministratore che si cristallizza la volontà dell’agente di non restituire quanto indebitamente trattenuto, a quel momento dunque si deve  intendere perfezionato il reato con ogni conseguenza anche in termine di prescrizione .

Sino a quel momento, invece, i flussi di denaro (seppur sconsigliati alla luce di quanto previsto dall’art. 1129 XII comma n. 4 cod.civ. ) possono trovare ragion d’essere anche in motivi di rilievo non penale, legati alla gestione del condominio: la condotta illecita  si perfeziona “nel momento in cui l’agente, volontariamente negando la restituzione della contabilità detenuta, si era comportato “uti dominus” rispetto alla “res”. Analogamente deve pertanto ritenersi che l’utilizzo delle somme versate nel conto corrente da parte dell’amministratore durante il mandato non profila l’interversione nel possesso che si manifesta e consuma soltanto quando terminato il mandato le giacenze di cassa non vengano trasferite al nuovo amministratore con le dovute conseguenze in tema di decorrenza dei termini di prescrizione. E difatti avendo l’amministratore la detenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni in conto corrente, solo al momento della cessazione della carica si può profilare il momento consumativo dell’appropriazione indebita poiché in questo momento rispetto alle somme distratte si profila l’interversione nel possesso”

© massimo ginesi 5 luglio 2016